Facendo seguito ai due precedenti, recenti, interventi di cui al decreto legge n. 50 del 24 aprile 2017, convertito in legge n. 96 del 21 giugno 2017 e, successivamente, alla legge del 30 dicembre 2018, n. 145, (legge di bilancio 2019), con l’ultimo intervento qui in esame, il c.d. Decreto Crescita (decreto legge in corso di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale approvato in data 23 aprile 2019), il legislatore si propone dichiaratamente e pomposamente di completare quello che, con un indubbio eufemismo, nella Relazione illustrativa viene chiamato un “percorso di riforma”. Trattasi per il vero di una nuova puntata della morbosa attenzione che il legislatore dedica ormai periodicamente alla legge italiana sulle cartolarizzazioni, avendoci da tempo abituati ad una serie di interventi “taglia e cuci” (un cantiere costantemente in progress), come davvero non si ricorda sia mai avvenuto per nessun altro istituto giuridico; malauguratamente si tratta di interventi sempre scoordinati, talora incoerenti spesso incompleti e criptici di cui, quindi, come più volte (ormai stucchevolmente) segnalato[1], si perde alla fine il senso sistematico e la finalità ultima.
A parte tutta una serie di dettagliate previsioni di contenuto fiscale e ad una serie di micro-interventi chirurgici volti a correggere errori, a rimediare a sviste, ad aggiustare il tiro delle precedenti incursioni normative, si interviene innanzitutto ad integrare – seppur tardivamente – le lacune di disciplina che avevano reso infatti sin qui del tutto impercorribile la nuova operatività che pur si era ritenuto di consentire alle “società per la cartolarizzazione”; in particolare la c.d. “cartolarizzazione di ristrutturazione” introdotta nel 2017 ma rimasta sostanzialmente sulla carta, sopra tutto a causa di un zoppicante e incompleto regime di segregazione patrimoniale[2] che oggi viene meglio delineato nel comma 4 dell’art. 7.1.
Ma l’intervento più utile e urgente a cui pare essersi dedicato il Legislatore è certamente quello finalizzato a dare un senso alla criptica nuova fattispecie di “cartolarizzazione dei proventi”, introdotta di soppiatto con la citata Legge di Bilancio 2019 nel corpo della L. 130/99 al nuovo comma 1., lett. b-bis) dell’art. 7, su cui ci siamo già espressi diffusamente[3] – con iniziale incredula perplessità – circa quale dovesse/potesse ricostruirsi come il concreto contenuto da attribuire a quella a-tecnica locuzione e, quindi, a quale operatività pensasse il Legislatore riferendosi ad essa(?).
Due ci erano sembrate le possibili ipotesi ricostruttive.
La prima. In assenza di alcuna ulteriore articolazione del concetto e di una seppur minima traccia di disciplina tutto poteva far pensare che, con il concetto di “proventi” – dovendosi necessariamente con ciò intendere qualcosa di ontologicamente diverso dai “crediti”, anche “futuri”, o anche dai “flussi monetari” da essi derivanti, (quest’ultimo costituendo lo specifico oggetto della cartolarizzazione del tipo disciplinato dall’art. 7 comma 1, lett. a)) – ci si volesse genericamente riferire a “flussi monetari” (sub specie di bene futuro ex art. 1348 c.c.) derivanti, di per sé, dalla “titolarità” di beni immobili o mobili registrati, ovvero diritti connessi; “flussi monetari” che non trovino, dunque, al momento della loro “cessione” (rectius “cartolarizzazione”), alcuna già esistente relazione genetica di natura negoziale; qualcosa di simile, allora, a quanto avviene in quelle operazioni che, nel mondo anglosassone, vengono talora dette “whole business securitisations”[4]? Mancava però del tutto la previsione – in capo all’originator allora, necessariamente – di una disciplina di segregazione dei suoi “proventi” analoga, mutatis mutandis, a quella ordinariamente prevista dall’art. 3 della legge per i “crediti”, in capo, però, qui, alla società di cartolarizzazione.
La seconda. Che si volessero effettivamente riecheggiare alcuni tratti delle cartolarizzazioni pubbliche nel passato realizzate con finalità di privatizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, c.d. “operazioni SCIP”, le quali però erano avvenute nel contesto di un ben più comprensibile, completo e coerente quadro normativo che qui era del tutto assente, rispetto a quella che comunque appariva come una opzione assai impegnativa sistematicamente (“eversiva”?), in assenza di alcuna meditata ed esplicita disciplina di coordinamento col vigente ordinamento.
Bene, il legislatore parrebbe esser dunque sceso in campo a sciogliere l’arcano che aveva creato solo qualche mese fa e ciò appare sicuramente utile ed opportuno. E tuttavia, l’incertezza non pare affatto del tutto diradatasi…anzi, per certi versi pare esser ulteriormente alimentata.
Innanzitutto si interviene sull’art. 7, comma 1, lett. b-bis), confermando e chiarendo la descrizione della “nuova” forma di cartolarizzazione in termini di “cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla titolarità, in capo alle società di cui all’art. 7.2 della presente legge, di beni immobili, beni mobili registrati e diritti reali o personali aventi ad oggetto i medesimi beni” (evidenza aggiunta).
Si introduce poi il nuovo, collegato, articolo 7.2. rubricato “cartolarizzazioni Immobiliari e di beni mobili registrati” che dovrebbe costituire proprio il “contenuto” della fattispecie della “cartolarizzazione dei proventi” di cui al citato art. 7, comma 1, lett. b-bis)! Al di là del mancato coordinamento interno di questa, come di molte altre disposizioni che nel farraginoso legiferare si sono succedute nel tempo, rimane all’interprete un dubbio amletico. Ma allora questa nuova fattispecie ha come obiettivo (i) quello di ritenere cartolarizzabili i “proventi”derivanti dalla titolarità di immobili, da parte quindi di un “originator” che quella titolarità detenga e continui a detenere fino all’eventuale loro cessione, i cui relativi “proventi” saranno pure stati cartolarizzati, al pari di quelli derivanti dalla sua gestione ovvero, (ii) quello di introdurre una vera e propria – ma allora ancor più innovativa, rivoluzionaria (eversiva?) – ipotesi di “cartolarizzazione” di un bene immobile! Per cui, quindi, l’originator, cartolarizza l’asset stesso, non tanto i flussi monetari (presenti, futuri, o potenziali) connessi e/o derivanti da quell’asset?!
Da un punto di vista lessicale possiamo intanto osservare come, normalmente, il termine “cartolarizzazione” appare riferito alla prospettiva soggettiva dell’originator che persegue – primariamente – l’obiettivo di rendere liquido un asset di cui abbia la titolarità (tipicamente, e fin qui, un credito o meglio, flusso monetario); in un secondo momento e conseguentemente ci si riferisce allo schema operativo a cui ricorre strumentalmente quell’originator per perseguire quel programma…e allora si parla di “operazione di cartolarizzazione”, “società per la cartolarizzazione” etc. Parlare dunque di “cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla titolarità di immobili” o di cartolarizzazione di “immobili” (o “cartolarizzazione immobiliare”) o di “beni mobili registrati” vuol dire delineare due filosofie di intervento e quindi due schemi operativi ben diversi, con problematiche dunque assai diverse tra loro, da considerare e gestire.
Ma allora, a cosa pensa il legislatore? Come anticipato, gli elementi di cui dispone l’interprete anche a seguito di quest’ultimo intervento che si prefiggeva proprio l’obiettivo di “completamento” della “riforma” (!), non paiono risolutivi.
1. Da un lato, la locuzione mantenuta nell’art. 7 comma 1 lett. b-bis pare riferirsi, tuttora, ad una “classica” ipotesi di cartolarizzazione di crediti o “flussi” (proventi) per quanto relativi e connessi ad un particolare, “sottostante”, asset di natura immobiliare (ci si avvicinerebbe dunque, effettivamente, all’ipotesi della whole business securitization); ulteriori dati normativi si rintracciano, a livello sistemico, (i) nella definizione generale di “cartolarizzazione” accolta tuttora nell’art. 1, laddove neppure viene ipotizzato che la “cartolarizzazione” possa avere ad oggetto assets fisici non riconducibili alla categoria dei crediti o flussi[5]; (ii) in quello che rimane tuttora descritto, nell’art. 3 della legge, come l’oggetto che deve essere esclusivo delle apposite società che devono essere utilizzate per realizzare una operazione di cartolarizzazione (appunto le “società per la cartolarizzazione dei crediti”). Ma allora, come si concilierebbe con questa ipotesi ricostruttiva il contenuto del nuovo art. 7.2? Esso dovrebbe/potrebbe allora esser letto e inteso come disciplina volta a dettare i requisiti imposti dall’ordinamento in capo all’originator che volesse procedere a dar corso a questo peculiare tipo di cartolarizzazione dei suoi “proventi” (derivati da un immobile di cui abbia la titolarità) – dovendosi, allora, pur sempre far ricorso strumentalmente, a tal fine, ad una ordinaria “società di cartolarizzazione” che interverrà ad emettere gli ABS destinati a finanziare il pagamento del corrispettivo per l’acquisto di quei proventi, secondo il consueto schema operativo – al fine di delineare un efficace regime di segregazione di quei beni e proventi e, allora, in capo all’originator stesso che di quei “proventi” manterrà necessariamente la titolarità. Proprio questa era, infatti, la difficoltà concettuale, che avevamo da subito segnalato, al fine di poter costruire un efficace ipotesi di cartolarizzazione “dei proventi” da intendersi come ipotesi di whole business securitization. Questa operazione verrebbe dunque consentita solo a quegli originator – le “società” cioè di cui parla l’art. 7.2 (come ora specificato proprio dall’inciso introdotto ora nel comma 1, lett. b-bis) dell’art. 7), come tali diverse, quindi, dalle “società per la cartolarizzazione” ex art. 3 che dovranno comunque esser chiamate ad intervenire strumentalmente per la realizzazione dell’operazione di cartolarizzazione dei “proventi” di titolarità delle prime, secondo i consueti schemi – che siano titolari di beni immobili e che risultino esser stati appositamente “attrezzati” a quel fine, prevedendosi (i) l’esclusività del loro oggetto sociale allo svolgimento (da intendersi, qui dunque, in veste di “originator”) di operazioni di cartolarizzazione dei loro “proventi” di natura immobiliare; (ii) una delega gestoria concessa a terzi ex art. 7.1 comma 8 della L. 130/99; ne conseguirebbe allora per quelle società (o meglio per il loro patrimonio immobiliare) il delineato regime legale di “separazione” (peraltro, che il regime di “separazione patrimoniale”, debba essere inteso e ricostruito in maniera “avanzata”, in capo cioè non alla “società di cartolarizzazione” – come usualmente avviene nel modello “standard” – ma già in capo all’”originator” che mantenga la titolarità degliasset cartolarizzati, è ipotesi già concettualmente ammessa e disciplinata con riguardo alla fattispecie di “cartolarizzazione “sintetica” o “da finanziamento”, disciplinata dall’art. 7 comma 1, lett. a), (oggetto, peraltro, anch’essa di innovativi- ma problematici – interventi nell’ultima incursione legislativa di fine 2018).
2. L’altra ipotesi è quella, invece, che come detto, l’art. 7.2 – come dice chiaramente la sua rubrica e nonostante tutti i difetti di coordinamento interni già segnalati – abbia invece inteso inaugurare nell’ambito dell’architettura della legge domestica della cartolarizzazione una vera e propria ipotesi di cartolarizzazione[6] di “beni immobili e beni mobili registrati”, con la conseguenza, dunque, che le società di cui si parla qui, siano una particolare categoria di “società per la cartolarizzazione immobiliare” – a cui deve dunque applicarsi mutatis mutandis l’intero apparato disciplinare disegnato per esse nell’art. 3 della legge – caratterizzate dunque dalla esclusività del loro oggetto sociale allo svolgimento (da intendersi, qui dunque, non in veste di “originator” ma di società strumentale/emittente gli ABS destinati a finanziare l’acquisto dall’originator, dell’immobile stesso e non tanto dei connessi “proventi”) di operazioni di cartolarizzazione diassets immobiliari.
Occorre subito osservare come il dato letterale non paia risolutivo in tal senso; la formula di apertura del nuovo comma 7.2, “Le società che effettuano le operazioni di cui all’art. 7 comma 1 lettera b-bis, non possono svolgere operazioni di cartolarizzazione di natura diversa…”(evidenza aggiunta) , potrebbe infatti, di per sé, ben intendersi nel senso di cui alla prima ipotesi ricostruttiva sopra proposta, riferendola cioè all’originator, al quale verrebbe quindi inibito di “effettuare” o “svolgere” operazioni di cartolarizzazione di natura diversa con riguardo ai (a valere sui) suoi asset. Né lumi paiono potersi trarre dalla Relazione illustrativa dell’articolato, laddove nell’illustrare la novità normativa si parla ripetutamente di “modalità di cartolarizzazione che ha come bene sottostante non crediti, bensì beni immobili…”(evidenza aggiunta); non quindi di una cartolarizzazione che abbia ad “oggetto” beni immobili, con locuzione che sarebbe quindi stata inequivoca rispetto all’ipotesi ricostruttiva qui ipotizzata, atteso che anche quella diversa tesi sopra proposta potrebbe ben descriversi – forse anzi ancor meglio – in tema di “cartolarizzazione (di proventi) che ha come sottostante beni immobili…”. Significativo potrebbe poi apparire il fatto che nessun richiamo o rinvio (diretto, indiretto o anche solo implicito) venga fatto alla disciplina generale prevista per le “società per la cartolarizzazione” all’art. 3 della legge.
Ciò detto, dico però anche subito che lo “spirito” dell’intervento complessivo, (oltre la presenza nell’art. 7.2 di pezzi di normativa che risulta, maldestramente e acriticamente, ripresa pari-pari dal D.L. 25 settembre 2001, n. 351 disciplinante le citate operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico) lascerebbe invece effettivamente pensare a questa seconda ipotesi interpretativa; che, cioè , il Legislatore abbia effettivamente voluto ripercorrere l’esperienza delle cartolarizzazioni finalizzate alla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico di inizio anni ‘2000, calandola ora nel corpo della L. 130/99. Ma se così è, le implicazioni (i) sia all’interno del quadro della L. 130/99, (ii) sia in una più ampia prospettiva sistemica – come avevamo anticipato in sede di primo commento – risultano davvero delicate e richiederebbero dunque un intervento assai più accorto, ponderato e coordinato, sotto molteplici profili.
(i)Sotto il primo profilo di analisi – volto a verificare la compatibilità di questo nuovo modello operativo con l’archetipo della “cartolarizzazione” accolto sin dall’inizio nel nostro ordinamento – possono qui richiamarsi ed estendersi, allora, mutatis mutandis, le stesse perplessità d’ordine concettuale e sistemico che già avevamo avanzato[7] al tempo della altrettanto inedita e rivoluzionaria introduzione, nel corpo della L. 130/99, della inedita possibilità per una “società per la cartolarizzazione” di detenere e gestire, per effetto della conversione in equity di crediti deteriorati, partecipazioni societarie, anche di controllo; in quella che avevamo chiamato la nuova fattispecie della “cartolarizzazione di ristrutturazione” introdotta nel 2017 con il D.L. n. 50, come convertito dalla L. n. 96 del 2017.
A meno di voler davvero ritenere configurabile nell’ordinamento un efficace sistema di segregazione patrimoniale “bidirezionale” nei termini delineati dal legislatore, (ma si vedano tutte le rilevantissime perplessità sistemiche di cui diremo al successivo punto (ii)), l’utilizzo dello schema della “Società di Cartolarizzazione” per consentire la detenzione e gestione di assets immobiliari, in vista di una loro valorizzazione e dismissione, pare infatti immediatamente contrastare con le opzioni concettuali sottese al modello stesso di “cartolarizzazione” adottato nel nostro ordinamento[8]. Sulla scorta del modello anglosassone, anche la nostra normativa[9] concepisce da sempre la Società di Cartolarizzazione come un mero veicolo “trasparente”, “passante”, tra l’originator e i sottoscrittori dei titoli, finalizzato ad un efficiente ring fencing dei crediti destinati al pagamento dei sottoscrittori e caratterizzato da una intrinseca insolvency remotness (senza dire qui del tema tutto dogmatico ma denso di implicazioni pratiche, circa la natura imprenditoriale o meno dell’ attività svolta dalla SPV[10] che oggi, nella sua nuova veste di potenziale “società (di gestione) immobiliare”, appare assai più difficile da negare, essendo oggi venuta meno la possibilità di ricostruire l’operazione in termini di mera operazione di “capital market”. Da qui l’oggetto sociale esclusivo, la thin capitalization e i peculiari tratti della gestione dei crediti in termini di gestione “passiva”, “conservativa”. Ogni elemento di inquinamento della chiara ed esclusiva mission del veicolo è stato dunque visto sin qui con estremo sfavore e sostanzialmente considerato estraneo al modello di riferimento e, in tal senso, anche la possibilità[11] di temporaneo reinvestimento delle disponibilità liquide, che pur è oggi consentita sebbene con limiti, sollevò dall’inizio più d’una perplessità circa la sua compatibilità con la logica stessa della “cartolarizzazione”[12]. Evidentemente, l’ibridazione che di tale modello si determina per effetto della nuova operatività oggi estesa all’ambito del real estate (e al tempo, già determinatasi con la “cartolarizzazione di ristrutturazione” di cui all’art. 7.1) – consentendo alla Società di Cartolarizzazione di rendersi cessionaria e poi di svolgere una detenzione e gestione attiva di assets immobiliari, con tutti i connessi profili di responsabilità) – viene a minare irrimediabilmente quelle sottostanti opzioni concettuali; da questo punto di vista – e pur con i limiti già indicati altrove[13] – certamente meno problematica, anche se non totalmente esente da incertezze, potrebbe apparire la previsione di una detenzione indiretta attraverso un veicolo ad hoc, conformemente alla soluzione che è stata adottata con l’intervento del 2017,nel comma 4 dell’art. 7.1[14], con riguardo agli asset di natura immobiliare derivanti da operazioni di repossession.
I rischi e le responsabilità che potrebbero derivare in capo alla Società di Cartolarizzazione come conseguenza della detenzione e/o gestione di assets immobiliari, vorrebbe poi forse esser scongiurato, nelle intenzioni degli estensori della norma, prevedendosi – oltre ad un regime di segregazione patrimoniale di dubbia tenuta pratica e sistematica, su cui ci soffermeremo oltre al punto ii) – il rinvio al primo periodo del comma 8 dell’art. 7.1 – ove è previsto che “compiti di gestione o amministrazione o i poteri di rappresentanza”, debbano esser conferiti ad un “soggetto di adeguata competenza e dotato delle necessarie abilitazioni o autorizzazioni in conformità alle disposizioni di legge applicabili”. È tuttavia evidente come assai dubbia possa risultare la tenuta giuridica di un tale sistema di delega se finalizzata ad isolare efficientemente la società delegante dai rischi connessi all’attività di detenzione e gestione di immobili. Si pensi innanzitutto ai titoli di responsabilità di natura contrattuale o extra-contrattuale che possono sorgere in capo al “proprietario” di un immobile; si pensi, solo per fare un esempio, alle responsabilità che possono ad esso conseguire dalla “rovina dell’edificio” ex art. 2053 cod. civ., ovvero a quelle di natura ambientale o fiscale. In tali casi potrebbe risultare assai dubbio che questi profili di responsabilità possano efficacemente esclusi o anche solo minimizzati, in virtù di una delega gestoria di natura negoziale attribuita a terzi, ben potendo comunque residuare in capo al soggetto delegante titoli di responsabilità “oggettiva”, in quanto proprietario e, comunque, oneri di vigilanza sulle modalità di esercizio di quella delega e conseguenti responsabilità.
La soluzione delineata, peraltro apre ulteriori e delicati problemi interpretativi nel momento in cui prevede che la citata delega gestoria debba essere conferita “ad un soggetto di adeguata competenza e dotato delle necessarie abilitazioni o autorizzazioni in conformità alle disposizioni applicabili”, non richiamandosi poi il secondo periodo del comma 8, il quale prevede che “qualora (?…locuzione spiazzante, che lascerebbe allora pensare anche ad una diversa possibilità, soluzione che evidentemente appare però del tutto incoerente con l’elencazione di soggetti qualificati che segue) tale soggetto sia una banca, un intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico bancario, una società di intermediazione mobiliare o una società di gestione del risparmio” a tale soggetto sono imputati non meglio precisati oneri di verifica della conformità “dell’attività e delle operazioni (da intendersi limitatamente a quelle oggetto di delega, deve ritenersi) della Società di Cartolarizzazione (…) alla legge e al prospetto informativo”. Dalla non chiara disposizione, in base ad una interpretazione logica e sistematica, parrebbe comunque possibile trarre le seguenti conclusioni: i soggetti destinatari della delega debbono essere necessariamente ricercati, in base a quello che risulterà di volta in volta il suo contenuto gestorio specifico, tra quelli esplicitamente indicati dalla seconda parte (pur non richiamata) della norma; e cioè banche, intermediati ex 106 TUB, s.i.m. o s.g.r.) e tra questi soggetti occorrerà che la scelta avvenga considerando “l’adeguata competenza” e nel rispetto “delle necessarie abilitazioni o autorizzazioni in conformità alle disposizioni applicabili”. Ora, posto che l’attività di detenzione e gestione di immobili, per un verso non è attività riservata oggi nel nostro ordinamento, e per altro verso può esser svolta da banche, s.i.m. o intermediari 106 solo in via accessoria e strumentale, occorrerebbe allora concludere che la delega alla detenzione e gestione di “immobili” debba essere necessariamente conferita ad una s.g.r. autorizzata a gestire fondi immobiliari. E infatti – e perlomeno ove vi siano una pluralità di portatori di titoli “nell’interesse dei quali” deve esser svolta la delega gestoria, essendo allora il fenomeno strutturalmente del tutto analogo a quello della “gestione collettiva del risparmio”[15] – nel sistema vigente, il soggetto a cui possa esser conferita la delega non potrebbe che esser una s.g.r., questo dovendo ritenersi l’unico soggetto “abilitato e autorizzato” alla (da intendersi qui in senso lato e sostanziale) “gestione collettiva” di assets immobiliari! Il che peraltro vorrebbe dire che[16] agli schemi classici con cui la “gestione collettiva del risparmio” può svolgersi nel nostro Ordinamento – quello di natura contrattuale (fondo comune) o quello societario (sicav/sicaf) – verrebbe oggi aggiunto un terzo ibrido schema: “Società per la Cartolarizzazione Immobiliare” con delega contrattuale esterna ad un gestore professionale, s.g.r.[17] Laddove, invece, non vi sia una pluralità di investitori (portatori di titoli), e non si possa dunque configurare un fenomeno di “gestione collettiva”, la gestione potrebbe essere affidata ad altri soggetti? E tuttavia, si ripete, in assenza ad oggi nel nostro ordinamento di soggetti abilitati o autorizzati a svolgere attività di detenzione e gestione di immobili, come potrebbe essere verificata quella richiesta “adeguata competenza” e la presenza “delle necessarie abilitazioni o autorizzazioni in conformità alle disposizioni applicabili” se non, ancora una volta, in capo a “sgr immobiliari”[18].
(ii)Sotto il secondo profilo d’analisi, volto a collocare e ad analizzare tale nuova “cartolarizzazione immobiliare” in un più ampio quadro sistematico, davvero delicate e impegnative appaiono subito le esigenze di coordinamento che la nuova (scarna e sommaria) disciplina prevista nell’art. 7.2 in commento pone rispetto: (i) all’attuale sistema della pubblicità immobiliare e; (ii) al vigente sistema di tutela del credito commerciale, nell’ambito dello svolgimento di attività d’impresa. È infatti evidente che stiamo qui assistendo all’affacciarsi sul “mercato dei traffici giuridici” di nuove entità – quelle che abbiamo ipotizzato essere le nuove “società per la cartolarizzazione immobiliare” – che ad ogni effetto verrebbero a svolgere attività di natura imprenditoriale, seppur delegata, (nei limiti in cui ciò sia possibile), assumendo direttamente e in proprio rischi e responsabilità di natura contrattuale (commerciale e finanziaria), atteso che la delega darebbe luogo ad un agire “con rappresentanza”, ovvero extra-contrattuale, con buona pace allora della insolvency remotness – di cui dovrebbero godere. Ed è allora proprio per questo che il legislatore ha dovuto allora pensare ad un regime di segregazione patrimoniale da quei rischi e responsabilità che però, oltre ad apparire disegnato (“copiato”) in modo davvero “grossolano”, mostra subito ricadute sistemiche davvero “eversive”. E infatti tale regime di separazione (segregazione) patrimoniale, di cui le nuove SPV immobiliari dovrebbero oggi godere – per via legale e prescindendosi dunque dal ricorso alle tradizionali forme di garanzia reale o di “segregazione” patrimoniale, con i loro regimi di forma e opponibilità – risulta “copiato” malamente e a-criticamente[19] da quello previsto nel “vecchio” D.L. 25 settembre 2001, n. 351 disciplinante le citate operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico e appare comunque collocato al di fuori di qualsiasi regime di pubblicità e opponibilità del vincolo di destinazione ai terzi e al fallimento e privo di qualsiasi minima indicazione disciplinare in ordine a presìdi di tipo contabile-organizzativo, in termini almeno paragonabili a quelli oggi previsti per le garanzie reali o per i “patrimoni separati” ex artt. 2447 bis ss. Sono infatti evidenti le ben diverse esigenze di tutela e di compatibilità sistemica che si pongono ove si tratti di concepire e disegnare un regime di separazione patrimoniale per un patrimonio fatto di mere posizioni creditorie (attive quindi), nell’ambito di una mera attività statica di incasso di quelle non riconducibile, di per sé, ad attività di impresa (come avviene sin dall’inizio, nell’ambito della disciplina delineata nell’art.3 della legge che risponde primariamente ad esigenze di corretta imputazione e titolarità), rispetto all’ipotesi in cui si tratti di considerare un’attività (di gestione e valorizzazione immobiliare), di natura indubbiamente imprenditoriale, a cui fanno capo posizioni creditorie ma anche debitorie, di natura contrattuale (commerciale o finanziaria) o eventualmente anche extra-contrattuale (rispetto alla quale, quindi, non può certo essere sufficiente, richiamare o scimmiottare il medesimo regime di “separazione” patrimoniale pensato nell’art. 3 per ben altro scenario che richiede una disciplina che incida sul regime di imputazione della responsabilità patrimoniale).
Similmente a quanto già avvenne nell’ambito della disciplina dei “fondi comuni di investimento”[20] in epoca ormai “remota” – con l’affacciarsi sul mercato dei fondi di private equity e di quelli immobiliari – anche per le cartolarizzazione pare ora di assistere ad un analogo fenomeno di “mutazione genetica” della sua originaria natura che porta allora in superficie le contraddizioni insanabili di un approccio analitico che voglia basarsi su un modello unico e storicizzato di “cartolarizzazione”.
E infatti, paiono subito riaffacciarsi qui (guarda caso?), problemi di disciplina (in ordine a molteplici profili: modalità, confini e responsabilità nell’esercizio della delega gestoria; tenuta e portata della “separazione patrimoniale”; modello di prevenzione e/o gestione della – qui ben configurabile – “crisi” o insolvenza finanziaria e/patrimoniale; etc…) che si ritrovano uguali tipicamente negli OICR immobiliari e che nella disciplina di quelli hanno infatti già trovato una assetto disciplinare soddisfacente solo dopo una lunga e travagliata elaborazione giuridica. L’impressione che se ne trae – come già si era rilevato altrove con riguardo alla concorrenza “sleale” che si è voluto introdurre nel 2017 sul mercato, con le “cartolarizzazioni di ristrutturazione”, a fianco dei “fondi di turn-around” ovvero di quelli “di ristrutturazione” – è quella che si sia sempre alla ricerca di “scorciatoie” destinate poi, alla prova dei fatti, a rivelarsi sterili. Anche a voler riconoscere in tale atteggiamento del legislatore le migliori intenzioni di semplificazione del quadro normativo e regolamentare, al fine di rendere più incisivi e efficienti gli strumenti di intervento sull’”economia reale” e non, invece, quella di licenziare frettolosamente “norme-manifesto” destinate a far parlare di sé ma a rimanere lettera morta , ci si rende ben presto conto che – dovendosi comunque sempre fare i conti, con le stesse sottostanti esigenze di tutela di interessi protetti e di vertice (il risparmio, il credito commerciale, l’andamento dei mercarti, etc…) – si finisce alla fine per replicare modelli di intervento e di regolazione già conosciuti e consolidati. Questi riemergono allora trasfigurati, ingenerando opachi (e spesso illusori) meccanismi di arbitraggio normativo e fiscale (con impatti che paiono tutt’altro che indifferenti sulle prospettive di gettito) e con l’effetto di una indubbia complicazione del sistema, come conseguenza della confusione e ibridazione dei modelli che certo non giova alle esigenze di sicurezza giuridica ricercata (questa si!) dai mercati! Volendo insomma guardare alla sostanza dei problemi – come inevitabilmente deve farsi ove si voglia aver riguardo agli interessi tutelati – e non agli schemi formali ovvero a caratteri secondari, qual è allora – e quale potrebbe razionalmente giustificarsi essere – la differenza tra un fondo immobiliare e una “società per la cartolarizzazione immobiliare” etero-gestita?
Un efficace schema per la costruzione di operazioni cartolarizzazione di “proventi immobiliari”, che volesse essere rispettoso del vigente sistema normativo della L. 130/99 e armonizzarsi al contempo coi principi generali e di vertice che operano nel più ampio quadro sistemico in cui verrebbe a collocarsi, poteva e potrebbe già oggi ben ipotizzarsi – senza peraltro dovere pensare ad ulteriori, inutili e confondenti superfetazioni normative, ma eventualmente a minimi interventi sulla disciplina di istituti già noti e consolidati – applicando a società originator detentrici di asset immobiliari preventivamente e opportunamente isolati in “patrimoni destinati” (e particolarmente funzionale a tal fine appare la variante del “finanziamento destinato” di cui alla lettera b) dell’art. 2447- bis cod. civ.[21], ricorrendosi dunque alla ben più completa e armonica disciplina disegnata per essi nel Codice civile), uno schema “classico” di cartolarizzazione, (ove a tal fine potrebbe apparire massimamente funzionale la variante di cui all’art. 7, comma 1, lett. a); e dunque a queste operazioni estendere le misure di agevolazione fiscale ritenute opportune.
[1] Mi sia consentito rinviare ai precedenti miei interventi di commento alle due ultime più recenti interventi di revisione normativa, si veda P. Carrière, Verso una concorrenza (sleale?) di modelli sul mercato dei NPL?, Diritto Bancario online, 23.5.2017; P. Carrière, Le nuove frontiere della cartolarizzazione: tra profili sistematici e incertezze di disciplina, in Rivista di Diritto Bancario, 11/2017, P. Carrière, Le frontiere della “cartolarizzazione” si spingono ancora oltre. Un primo commento all’ultimo intervento di modifica della Legge n. 130 del 1999,in Diritto Bancario online, 15.1.2019.
[2] Come avevamo, in particolare, segnalato, in P. Carrière, Le nuove frontiere della cartolarizzazione: tra profili sistematici e incertezze di disciplina, op.cit. p. 8.
[3] Si veda P. Carrière, in particolare, Le frontiere della “cartolarizzazione” si spingono ancora oltre. Un primo commento all’ultimo intervento di modifica della Legge n. 130 del 1999,op. cit. In tal senso si era poi anche espressa altra avveduta dottrina con argomentazioni assai fondate e convincenti, cfr V. Solimeno, L’acquisto di immobili nel contesto delle operazioni di cartolarizzazione, Diritto Bancario online, marzo 2019.
[4] Segnalavamo il rischio che l’intervento normativo in esame avrebbe allora potuto rivelarsi improvvido – in una evidente eterogenesi dei fini – ove finisse per mettere in discussione definitivamente queste innovative esperienze di mercato (alcune magari in essere!), sancendosi ora chiaramente che tali operazioni di cartolarizzazione di “proventi” sono (semmai) esclusivamente concepibili (in quanto, appunto, operazioni di “cartolarizzazione” a cui possa quindi conseguire, in primis, lo specifico apparato protettivo per esse disegnato nella L. 130/99, in deroga a numerosi “principi generali” di varia natura) solo in relazione a proventi derivanti dalla “titolarità di beni immobili….” (laddove anche sulle conseguenze del richiamo al concetto di “titolarità” ci sarebbe da ragionare…”titolarità” e non anche “godimento”, o questo deve intendersi ricompreso nella “titolarità”?…Si osservi come nelle operazioni SCIP si parlasse piuttosto di “cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato”).
[5] Siano tali crediti o flussi “cartolarizzati” o meno, dove il termine è qui inteso in senso civilistico classico di “incorporazione” in titoli cartolari, quali obbligazioni etc…).
[6] Nozione che però, proprio per effetto di quel suo particolare “oggetto”, parrebbe sfuggire alla stessa definizione comunitaria di “cartolarizzazione”, con tutto ciò che ne conseguirebbe.
[7] P. Carrière, Le nuove frontiere della cartolarizzazione: tra profili sistematici e incertezze di disciplina, in Rivista di Diritto Bancario, op.cit, p.3.
[8] E, tutta da verificare, come già detto, ci pare anche la compatibilità con le norme di rango europeo.
[9] Per tutti può rinviarsi a A. Giannelli, La società per la cartolarizzazione dei crediti: questioni regolamentari e profili di diritto societario e dell’impresa, in Riv. Soc., 2002, p. 930.
[10] Su cui può rinviarsi a Di Ciommo, I soggetti che svolgono operazioni di cartolarizzazione e la separazione patrimoniale, in Pardolesi (a cura di), La Cartolarizzazione dei Crediti in Italia, p. 80 e ss, nonché A. Giannelli, op. cit. p. 929 e ss.
[11] V. art. 2, comma 3, lett. e) della L. 130/99.
[12] Cfr. Di Ciommo, op. cit. p. 82.
[13] P. Carrière, Le nuove frontiere della cartolarizzazione: tra profili sistematici e incertezze di disciplina, in Rivista di Diritto Bancario, op.cit, p. 11.
[14] Oggi pure oggetto di “ritocchi” con l’intervento in commento.
[15] V. L. Carota, La cartolarizzazione dei crediti, in F. Galgano (opera ideata e diretta da), Le operazione di finanziamento, Torino, 2016, p. 945 e 955.
[16] Come già avevamo rilevato con riguardo alle “società per le cartolarizzazioni di ristrutturazione” rispetto ai “fondi di ristrutturazione”.
[17] Soluzione che, peraltro, risulterebbe oggi di non immediato inquadramento nel vigente sistema normativo della Gestione Collettiva del Risparmio di cui la Parte II Titolo III del T.U.F. laddove, all’articolo 33 comma 1, è previsto che le s.g.r. possano gestire il patrimonio e i rischi esclusivamente di “OICR”, dovendosi oggi intendere con tale acronimo la fattispecie definita all’articolo 1.1 k) del T.U.F. tra cui non compare e a cui, quindi, dovrebbe essere ricondotta anche la “società di cartolarizzazione immobiliare”, o meglio, quella parte del suo patrimonio rappresentato da immobili.
[18] E peraltro, le medesime esigenze di tutela sopra delineate che inducono ad individuare in un soggetto professionale, dotato di “adeguata competenza” nonché “delle necessarie abilitazioni o autorizzazioni in conformità alle disposizioni applicabili”, il destinatario della delega gestoria prevista nell’art. 7.2, non si vede perché non debbano valere e non siano state considerate nell’ambito della disciplina di cui al comma 4 dell’art. 7.1 in relazione alle “società veicolo d’appoggio” (come ora rinominate, sic!) per le quali non è previsto alcun obbligo di conferimento di delega gestoria; certo, queste società a differenza di quelle di cui all’art. 7.2 non hanno il vincolo dell’oggetto sociale esclusivo, ma non si vede perché non debbano comunque valere qui le medesime esigenze di tutela degli interessi dei “portatori dei titoli”.
[19] Viene infatti ripreso il testo di cui all’art. 2 del citato D.L. con le medesime gravi aporie che già erano colà presenti; in particolare nel disegnare il regime di “segregazione” della responsabilità patrimoniale al primo comma, ci si riferisce alla regola per cui “delle obbligazioni nei confronti dei portatori dei titoli, nonché di ogni altro creditore nell’ambito di ciascuna operazione di cartolarizzazione risponde esclusivamente il patrimonio separato…” (evidenza aggiunta), salvo poi, nel comma 2, dire contraddittoriamente che “sul ciascun patrimonio separato non sono ammesse azioni da parte di qualsiasi creditore diverso dai portatori di titoli…ovvero dei concedenti i finanziamenti…ovvero delle controparti dei contratti derivati…” A parte la difficoltà di capire a chi abbia voluto riferirsi il legislatore con l’ambigua locuzione “ogni altro creditore nell’ambito di ciascuna operazione di cartolarizzazione”,(si riferisce tale locuzione solo a chi classicamente presta servizi di servicing, consulenza etc. in relazione alla strutturazione dell’operazione strettamente intesa, o, nel caso qui in esame può ritenersi riferibile anche ai creditori dell’attività – di natura imprenditoriale – di gestione e valorizzazione immobiliare svolta, seppur in via delegata?)e comunque il segnalato mancato coordinamento tra i due commi su un aspetto così centrale per ricostruire l’applicabile regime di segregazione che si vorrebbe introdurre, deve segnalarsi come appaia davvero ingiustificabile la scelta di far ricorso ad una zoppicante, lacunosa, scoordinata disciplina che forse poteva apparire giustificabile nel pionieristico esperimento delle operazioni SCIP di inizi anni ‘2000, in un tempo in cui effettivamente l’Ordinamento non conosceva ancora l’istituto dei “patrimoni destinati”, introdotto solo con la Riforma del 2003 nella disciplina codicistica delle società in maniera assai più meditata, coordinata e completa e a cui, piuttosto, avrebbe potuto farsi ricorso assai più utilmente!
[20] Sia consentito rinviare a P. Carrière, La “crisi” dei fondi comuni di investimento: tra autonomia patrimoniale e soggettività, in Rivista di Diritto Societario, n. 2/2014, p. 256 ss.
[21] In relazione a tale fattispecie peraltro, si noti – e qui si in maniera conferente – viene utilizzata la locuzione “proventi” per riferirsi al patrimonio destinato ivi disposto.