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Approfondimenti

Carried interest, nuovo intervento dell’Agenzia delle entrate

8 Ottobre 2020

Fabio Brunelli, Marco Sandoli, Di Tanno Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Con la risposta n. 407 del 24 settembre 2020 per la prima volta (almeno pubblicamente) l’Agenzia delle entrate nega la qualificazione reddituale del carried interest come provento di natura finanziaria in considerazione della (non) congruità dell’investimento dei manager, dando altresì rilievo alle politiche di remunerazione della società ed alla classificazione del carried interest quale remunerazione variabile prevista ai fini regolamentari.

Nella fattispecie esaminata una SGR, facente parte di un gruppo bancario ed operante nel settore del private equity, ha istituito un fondo alternativo riservato mobiliare di tipo chiuso di ammontare complessivo di circa 70 milioni. Il regolamento del fondo prevede l’emissione di due categorie di quote: le quote A, destinate ad investitori qualificati, e le quote B, riservate alla SGR, ai suoi soci e ai manager della società (inclusi i key manager). Le quote B sono emesse in numero compreso tra 300 e 600 e hanno un valore unitario di euro 500.

Le quote B attribuiscono ai titolari il diritto di ricevere, oltre all’ordinario rendimento del fondo, un extra-rendimento (carried interest) a condizione che sia stato assicurato ai partecipanti un rendimento minimo annuo (hurdle rate) oltre al rimborso del capitale.

Dalla risposta emergono, tra gli altri, i seguenti elementi di fatto:

  • le quote B risultato sottoscritte da due key manager che ricoprono la funzione di amministratori delegati, e da due altri manager della SGR. La percentuale di quote B che possono essere complessivamente sottoscritte dai detti manager è pari al 37 per cento, corrispondente ad un numero di quote compreso tra un minimo di 111 ed un massimo di 222;
  • l’investimento massimo da parte dei manager nelle quote B sarebbe pari a 222 quote (600×37 per cento) per complessivi euro 111.000, corrispondente a circa lo 0,15 per cento dell’investimento totale nel fondo;
  • nel caso di investimento minimo l’ammontare investito dai manager sarebbe rappresentato da 111 quote (300×37 per cento), di controvalore pari a euro 55.500, così ripartito: i due key manager sarebbero titolari rispettivamente di 51 (controvalore pari a euro 25.500) e 39 quote (controvalore pari a euro 19.500), mentre gli altri due manager sottoscriverebbero rispettivamente 18 quote (controvalore pari a euro 9.000) e 3 quote (controvalore pari a euro 1.500);
  • il consiglio di amministrazione della SGR ha deliberato per i due key manager un tetto massimo per il carried interest pari al doppio della remunerazione ordinaria annua, discostandosi dalla politica di remunerazione e incentivazione del personale della SGR che prevede che il carried interest non superi il rapporto 1:1 rispetto alla remunerazione ordinaria;
  • il carried interest massimo che pertanto i key manager potranno percepire, assumendo un periodo di detenzione delle quote di 5 anni, è pari a 10 volte la RAL annuale;
  • il regolamento del fondo prevede clausole di leavership. In particolare, qualora si interrompa il rapporto di lavoro per causa non imputabile ai manager (good leavership), questi hanno diritto a percepire un pro-rata del carried interest rispetto alla data di cessazione del rapporto nell’ambito del periodo d’investimento.

Poiché l’impegno di sottoscrizione (commitment) dei manager nel fondo è inferiore all’1 per cento dell’impegno complessivo di tutti gli investitori, e dunque non può trovare applicazione la presunzione di legge di cui all’art. 60 del d.l. 24 aprile 2017, n. 50[1] (che qualifica il carried interest come reddito di natura finanziaria e ne esclude quella di reddito di lavoro), viene chiesto all’Agenzia delle entrate di pronunciarsi sulla qualificazione dell’extra-profitto (carried interest) che potrebbe in futuro essere distribuito ai manager, confermandone la natura di provento finanziario.

In particolare gli istanti evidenziano che, considerate le dimensioni del fondo (circa 70 milioni) e il numero esiguo di soggetti deputati alla sua gestione, un investimento pari all’1 per cento dell’investimento complessivo del fondo risulterebbe insostenibile da parte di soli quattro soggetti. Inoltre rilevano che, secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle entrate nella circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E (la “Circolare”), la mancata sussistenza di uno dei requisiti dell’art. 60 non comporta quale conseguenza l’automatica riqualificazione del provento come reddito da lavoro, ma richiede lo svolgimento di un’analisi caso per caso volta ad appurare “l’idoneità dell’investimento, effettuato dai manager, ad allineare gli interessi di questi ultimi a quelli degli investitori, esponendoli, altresì al rischio di perdita del capitale , al pari degli altri investitori”.

Secondo gli istanti, nel caso di specie l’importo investito è comunque idoneo a garantire l’allineamento degli interessi dei manager con quello degli altri investitori. Infatti, da un lato il potenziale diritto all’extra-profitto determina un significativo interesse dei manager ad una gestione profittevole al fine di ottenere il vantaggio economico da esso rappresentato, dall’altro non è previsto nessun meccanismo che comporti una limitazione del rischio di perdita del capitale investito, né alcuna garanzia di rimborso preferenziale delle quote B rispetto a quelle ordinarie. Da ultimo, viene rilevato che i compensi percepiti dai manager sono in linea con i parametri di mercato, tenuto conto delle masse gestite dalla SGR.

La risposta dell’Agenzia delle entrate è (come detto) negativa e appare ispirata ad un approccio più restrittivo rispetto a precedenti pronunciamenti[2] che hanno riconosciuto al carried interest natura di reddito finanziario, pur al di fuori della presunzione di cui all’art. 60 per assenza del requisito dell’investimento minimo dell’1 per cento.

Invero l’Agenzia delle entrate, dopo aver ricordato la ratio della norma e i chiarimenti forniti con la Circolare, ed aver analizzato le peculiarità del caso concreto, conclude negativamente (dunque attribuendo al carried interest natura di reddito di lavoro dipendente), rilevando che “l’entità dell’investimento, sia individuale che complessivo dei quattro manager (pari a circa lo 0,15 per cento dell’investimento complessivo in caso di emissione di 300 quote), non dimostra un allineamento degli interessi e rischi dei manager rispetto a quelli degli altri investitori ai fini di una comune assunzione e condivisione del rischio societario”.

A supporto di tale conclusione, oltre all’entità dell’investimento l’Agenzia delle entrate valorizza i seguenti ulteriori elementi: (i) non è prevista nell’ambito della remunerazione annua dei manager una parte variabile legata ai risultati di performance; (ii) la documentazione societaria inerente le politiche di remunerazione qualifica il carried interest come una “forma di incentivo” volta (secondo l’Agenzia delle entrate) a sostituire la remunerazione variabile connessa ai risultati di performance; (iii) è previsto il mantenimento nel caso di good leavership del diritto a percepire un pro-rata del carried interest rispetto alla data di cessazione del rapporto nell’ambito del periodo d’investimento.

Le conclusioni raggiunte e soprattutto gli elementi portati a supporto delle stesse meritano di essere attentamente valutati, soprattutto con riferimento (i) all’entità dell’investimento che al di fuori della presunzione dell’art. 60 può consentire di qualificare il carried interest come reddito di natura finanziaria e (ii) alla rilevanza che a tal fine può assumere la qualifica del carried interest come remunerazione variabile ai sensi della normativa regolamentare.

In relazione al primo aspetto, l’Agenzia delle entrate rileva che un investimento dei manager pari allo 0,15 per cento del totale del fondo per un valore assoluto compreso tra un minimo di euro 55.500 ed un massimo di euro 111.000 (a seconda del numero di quote emesse) non sarebbe idoneo a dimostrare un allineamento di interessi e rischi dei manager rispetto a quelli degli altri investitori.

Sebbene l’Agenzia delle entrate non espliciti elementi a supporto di tale giudizio, sembra ragionevole ritenere che nell’ambito della valutazione condotta possa aver assunto rilievo non tanto la percentuale dell’importo investito dai manager sul totale del fondo (0,15 per cento), la quale appare in linea con quella che in passato ha condotto l’Agenzia delle entrate ad attribuire comunque natura di reddito finanziario al carried interest[3], quanto piuttosto l’ammontare in valore assoluto[4] investito dai singoli manager, che risulta compreso in un range (a seconda del numero di quote emesse) di euro 1.500-3.000 per il manager più junior ed euro 25.500-51.000 per quello di maggior seniority[5].

Dunque, se il soddisfacimento delle condizioni di applicazione dell’art. 60 (quindi anche la soglia dell’1 per cento) consente di prescindere da una valutazione di congruità dell’investimento, al di fuori del perimetro delineato dalla norma (e quindi andando nell’analisi caso per caso) occorre invece individuare dei parametri – soggettivi e oggettivi – che aiutino a valutare detta congruità dell’investimento ai fini della verifica dell’allineamento del rischio, condizione necessaria[6] per attribuire al carried interest la natura di provento finanziario.

In tale ottica, dal punto di vista oggettivo sembra ragionevole che si tenga in primo luogo conto della quota effettiva di carried interest attribuita ai manager, considerando l’effetto diluitivo che si verifica laddove questi detengano soltanto una parte di tali diritti. In altre parole, se i manager ricevono solo una parte delle quote del carried interest ci si dovrebbe aspettare un investimento inferiore in termini percentuali rispetto all’ammontare complessivo del fondo. Nel caso esaminato i manager investono un ammontare fino allo 0,15 per cento del fondo per detenere il 37 per cento del carried interest. Ciò significa che rapportando a 100 la titolarità del carried interest l’investimento dei manager equivarrebbe allo 0,40 per cento del fondo. Se dunque l’art. 60 richiede al team dei manager di investire almeno l’1 per cento e tale soglia è prevista in un’ottica forfettaria prescindendo dalla quota di carried interest effettivamente attribuita, diversamente nell’analisi caso per caso la significatività dell’investimento non può che valutarsi, ai fini dell’allineamento, in ragione della quota di carried interest in concreto acquisita.

Inoltre, dovrebbe considerarsi anche la dimensione del fondo, nel senso che intuitivamente tanto più questo è di grande ammontare quanto più potrebbe giustificarsi una percentuale di investimento più bassa. Tale valutazione sembra peraltro rinvenibile nelle fattispecie oggetto di precedenti risposte dell’Agenzia delle entrate[7].

Sul piano soggettivo poi appare ragionevole tenere conto del fatto che la partecipazione individuale del manager al rischio è correlata alla propria capacità patrimoniale, che a questi fini può ritenersi rappresentata (con ovvia approssimazione) dal livello di retribuzione annua percepita. Quanto più alto è il livello di seniority e di retribuzione tanto maggiore è la capacità di sostenere un investimento più elevato. Dunque, la congruità dell’investimento ai fini dell’allineamento dovrebbe essere verificata anche rapportando l’ammontare investito alla retribuzione annua (che deve comunque essere di mercato, secondo quanto indicato dall’Agenzia delle entrate).

Pertanto, nel valutare l’idoneità dell’investimento ad assicurare l’allineamento del rischio non sembra sufficiente il mero elemento formale della possibilità di perdita del capitale, ove riferito ad un ammontare investito irrisorio rispetto alla retribuzione del soggetto.

Ai fini della valutazione di congruità dell’investimento non sembra invece dover rilevare l’ammontare di carried interest potenzialmente spettante al termine del fondo, né in valori assoluti né in rapporto alla RAL, trattandosi di una mera aspettativa che potrebbe non concretizzarsi mai[8]. Del resto, l’Agenzia delle entrate ha riconosciuto (nella risposta 27 febbraio 2020, n. 77) che in sede di assegnazione delle quote il carried interest non ancora maturato (out of the money) non deve essere considerato ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente, dunque tale valore non dovrebbe assumere rilievo nemmeno in sede di valutazione di congruità dell’investimento ai fini dell’allineamento.

Tra gli aspetti della risposta n. 407 che meritano di essere approfonditi figura inoltre il rilievo (negativo) attribuito dall’Agenzia delle entrate alla circostanza che nel caso di specie la retribuzione dei manager è costituita solamente dalla componente fissa, senza prevedere alcuna parte variabile legata alla performance laddove la documentazione societaria inerente le politiche di remunerazione qualifica il carried interest proprio come parte variabile della remunerazione.

Relativamente a tali aspetti deve innanzitutto rilevarsi che l’assenza di retribuzione variabile non pare poter assumere di per sé rilievo. Una retribuzione può essere in linea sotto il profilo quantitativo con gli standard di mercato (condizione richiesta per non qualificare fiscalmente il carried interest come un’integrazione della medesima retribuzione) anche in assenza di una quota variabile[9]. Peraltro neanche la Circolare fa menzione della remunerazione variabile[10].

Degno di particolare attenzione è poi il riferimento alle politiche di remunerazione della società che inquadrano il carried interest come una remunerazione variabile. In relazione a ciò è importante ripercorrere la genesi di tale inquadramento di natura regolamentare. Esso origina dagli Orientamenti ESMA[11] del 3 luglio 2013 sulle politiche e prassi retributive per alti esponenti dei gestori di fondi alternativi. Secondo il paragrafo 13 degli Orientamenti, il gestore di un FIA deve essere “in grado di individuare chiaramente e di operare le relative distinzioni nel trattamento: (i) della parte del pagamento eseguito dal FIA in favore delle categorie di personale di cui sopra che eccede l’utile pro rata degli investimenti effettuati dai membri del personale interessati e rappresenta carried interest, cioè una quota degli utili del FIA spettante ai membri del personale a titolo di compenso per la gestione del FIA (che è soggetta alle disposizioni dei presenti orientamenti in materia di remunerazione)…”. Le indicazioni dell’ESMA sono state recepite nell’atto di modifica del Regolamento congiunto Banca d’Italia e Consob, emanato in data 19.1.2015[12], dove nell’Allegato 2 si afferma che costituisce una remunerazione variabile anche il carried interest. Tutto ciò evidentemente con finalità prudenziali, al fine di promuovere una gestione sana ed efficace del rischio da parte del gestore e per disincentivare l’adozione di condotte che comportano l’assunzione di rischi non coerenti con i profili tipici del FIA.

Al fine di chiarire la portata applicativa della qualificazione del carried interest come componente della remunerazione, nel 2015 l’AIFI[13] ha sottoposto alla Banca d’Italia un quesito volto a confermare che la qualificazione del carried interest come componente della remunerazione assume rilievo unicamente ai fini dell’applicazione delle regole prudenziali, evidenziando come in caso diverso si determinerebbero pericolose ricadute ai fini di altri settori del diritto, come quello giuslavoristico e tributario-contributivo. A tale quesito, la Banca d’Italia ha risposto con nota 8 maggio 2015, condividendo la portata limitata della suddetta qualificazione[14]. Da ultimo, in occasione della sostituzione del Regolamento congiunto Banca d’Italia e Consob del 2015 con il nuovo Regolamento Banca d’Italia del 5.12.2019, tale ultimo aspetto è stato espressamente chiarito, recependo il contenuto della risposta resa ad AIFI mediante l’integrazione della nota 1 dell’Allegato 2 al Regolamento. La nota 1 oggi dispone che “Nella nozione di remunerazione non rientra invece la quota di utile pro rata attribuita ai membri del personale in ragione di eventuali investimenti da questi effettuati nell’OICVM o nel FIA, purché proporzionale all’effettiva percentuale di partecipazione all’OICVM o FIA e non superiore al ritorno riconosciuto agli altri investitori. Per una corretta applicazione della disciplina, i gestori devono quindi essere in grado di individuare chiaramente le quote di utile che eccedono l’utile pro rata degli investimenti e che si configurano come carried interest. Le presenti disposizioni perseguono esclusivamente le finalità previste dal Testo Unico della Finanza; in particolare, l’identificazione del carried interest è funzionale all’applicazione delle regole sui compensi, per la sana ed efficace gestione dei rischi nei gestori di OICVM e di FIA[15]. Risulta quindi non revocabile in dubbio che la qualificazione del carried interest come componente della retribuzione dei manager per effetto della disciplina regolamentare non possa in sé e per sé assumere rilievo ai fini di altri settori dell’ordinamento, compreso quello fiscale. Del resto tale conclusione risulta implicitamente (ma necessariamente) condivisa dall’Agenzia delle entrate, atteso che in assenza delle condizioni di applicazione dell’art. 60 è prevista un’analisi caso per caso che risulterebbe del tutto inutile se la qualificazione ai fini regolamentari dovesse riverberare i suoi effetti anche sul piano tributario.

Da ultimo, merita farsi brevemente cenno anche al fatto che nella risposta n. 407 è stato valorizzato (ancora in senso negativo) il diritto dei manager alla maturazione pro rata del carried interest in caso di good leavership. Dalla risposta non è chiaro se il regolamento del fondo prevedesse nel caso di good leavership il mantenimento della titolarità delle quote o meno. Nel primo caso una rimodulazione del diritto economico sarebbe del tutto fisiologica (nonché coerente con la prassi di mercato) rispetto ad una attenuazione dell’esigenza di allineamento conseguente all’uscita. La stessa Circolare ha considerato il mantenimento delle quote anche dopo l’interruzione del rapporto di lavoro come elemento confermativo della natura finanziaria dell’investimento[16]. Nel caso invece di attribuzione del carried interest in maniera scorrelata dalla detenzione delle quote o dal valore di quelle cedute esso potrebbe ricondursi al rapporto lavorativo laddove venisse meno il sottostante dell’investimento finanziario.

Da ultimo è utile ricordare come la Circolare abbia evidenziato che la detenzione delle quote del carried interest da parte di soggetti diversi dai manager (quali possono essere i soci della SGR) rappresenti un indicatore della natura finanziaria del reddito, in quanto trattasi di investimento effettuato alle medesime condizioni da soggetti non legati da rapporto di lavoro e per i quali dunque non è ipotizzabile una finalità di remunerazione per l’attività prestata. Tale aspetto in effetti potrebbe risultare presente anche nella fattispecie di cui alla risposta n. 407, dove ai manager è riservata una quota limitata del carried interest e dove si può quindi presumere che la restante quota sia (almeno in parte) destinata ad altri soggetti legittimati (la SGR ed i relativi soci bancari)[17].

Alla luce delle brevi considerazioni svolte, traendo spunto dalla Risposta n. 407, sembra dunque di poter evidenziare come al di fuori della presunzione di legge sulla qualificazione del carried interest l’analisi caso per caso debba essere sempre e prioritariamente incentrata, come chiave interpretativa, sul riscontro nel caso concreto dell’allineamento degli interessi e rischi dei manager rispetto agli altri investitori. Tra gli indicatori di tale allineamento figura naturalmente al primo posto l’entità dell’investimento dei manager e senza dubbio, in assenza di parametri dati, valutarne la congruità costituisce un esercizio non semplice. A questo riguardo sembra di poter ritenere che, avendo a mente la finalità di allineamento, detta congruità sia da verificare rispetto alla retribuzione annua del manager quale indicatore (seppur approssimato) della sua capacità patrimoniale. Il rapporto dell’investimento con l’ammontare del fondo in termini percentuali sembra un indice meno diretto di misurazione dell’allineamento, tenuto conto della forte variabilità dovuta alle dimensioni più o meno grandi che il fondo può assumere. Non sembra invece dover in genere rilevare un confronto con il carried interest potenziale, essendo questo un dato ipotetico non rilevante ai fini fiscali al momento dell’investimento. Naturalmente la presenza di elementi che segnalino anomalie o forzature rispetto alla logica economica e alla prassi del settore potrebbe incidere sul giudizio circa l’obiettivo di allineamento, sia in termini complessivi per il team sia con riferimento (se del caso) al singolo manager.

Come evidenziato, altro aspetto di carattere generale degno di nota riguarda il riferimento alle politiche di remunerazione ed alla assimilazione del carried interest alle componenti variabili della remunerazione ai fini di vigilanza. Su questo punto occorre sgombrare il campo da ogni possibile equivoco in quanto detta assimilazione non ha alcun rilievo al di fuori del contesto regolamentare, come peraltro chiaramente presupposto dalla analisi caso per caso prevista dalla Circolare al fine di verificare la natura finanziaria del medesimo carried interest.

 


[1] Ai sensi dell’art. 60, il carried interest si qualifica per presunzione di legge come reddito di capitale o diverso se sono verificate le seguenti tre condizioni: (i) l’impegno complessivo di tutti i dipendenti e amministratori comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1 per cento del totale delle sottoscrizioni (commitment); (ii) il carried interest matura solo dopo che tutti gli investitori hanno percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nel regolamento del fondo (hurdle rate); e (iii) le quote aventi diritti patrimoniali rafforzati sono detenute dai dipendenti e amministratori, ovvero dagli eredi in caso di decesso, per almeno 5 anni o, se precedente, fino alla data di cambio di controllo o sostituzione del soggetto incaricato della gestione del fondo.

[2] Cfr. risposta 7 novembre 2019, n. 472 (e risposta “gemella” 13 novembre 2019, n. 482, riferita al medesimo caso), nonché risposta 12 febbraio 2020, n. 55.

[3] Nella risposta 12 febbraio 2020, n. 55, l’ammontare investito dai manager era pari allo 0,18 per cento del fondo, mentre nella risposta 7 novembre 2019, n. 472 (e nella risposta “gemella” 13 novembre 2019, n. 482) detto ammontare (da quanto si può ricostruire) era pari allo 0,06 per cento (erroneamente indicato nel testo della risposta in misura pari allo 0,6 per cento).

[4] Ciò del resto sarebbe coerente con la Circolare, secondo cui: “Un criterio rilevante di valutazione è sicuramente l’idoneità dell’investimento, anche in termini di ammontare, a garantire l’allineamento di interessi tra investitori e management e la correlata esposizione al rischio di perdita del capitale investito che contraddistingue l’investimento del management”.

[5] Nella recente risposta (positiva) dell’Agenzia delle entrate n. 435 del 2 ottobre 2020 non viene esplicitato l’ammontare del fondo e dell’investimento dei manager, evidenziandosi solamente che quest’ultimo è pari a “xxx milioni”. A tal riguardo l’Agenzia delle entrate afferma che “l’ammontare degli importi investiti dai manager, pur non raggiungendo l’1 per cento del capitale del fondo, risulta in ogni caso significativo in valore assoluto”. Viene dunque valorizzato l’ammontare in valore assoluto dell’investimento dei manager nonostante questo fosse inferiore alla soglia dell’1 per cento.

[6] Secondo la Circolare occorre altresì verificare che la retribuzione sia adeguata ai livelli di mercato al fine di non considerare il carried interest una integrazione della retribuzione, da cui conseguirebbe la natura di reddito di lavoro dipendente.

[7] Cfr. Riposte nn. 472/2019, 482/2019 e 55/2020.

[8] Nel caso di specie viene evidenziato che“l’ammontare del carried interest che ciascun Manager potrà percepire sarà pari a ben due volte il valore della propria remunerazione annua, per ciascun anno di detenzione dell’investimento. Assumendo un periodo di detenzione dell’investimento di 5 anni, il carried interest che i due Key Manager potranno percepire potrà quindi arrivare ad ammontare ben dieci volte la RAL”.

[9] Relativamente a tale aspetto, può rilevarsi che nei casi oggetto delle risposte nn. 472/2019, 482/2019 e 55/2020 sussisteva sia una componete fissa che una parte variabile, mentre nella fattispecie considerata nella recente risposta n. 435 del 2 ottobre 2020 è fatta menzione di una remunerazione annuale lorda “allineata alle migliori prassi di mercato nel settore del private equity”.

[10] La Circolare si limita a rilevare che “Ugualmente potrà essere valutata la presenza di una remunerazione adeguata al manager per la propria attività lavorativa. Una remunerazione che si attesti ben al disotto dei parametri di mercato potrebbe infatti indurre a considerare il carried interest una integrazione della retribuzione ordinaria sotto forma di bonus per l’attività lavorativa svolta”.

[11] Trattasi dell’Autorità Europea degli Strumenti Finanziari e dei Mercati.

[12] Oggi sostituito dal Regolamento Banca d’Italia 5.12.2019 che continua a disciplinare nell’Allegato 2 le “Politiche e prassi di remunerazione e incentivazione dei gestori”.

[13] Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt.

[14] Nella nota di Banca d’Italia “si conferma, come richiesto, che le disposizioni del Regolamento perseguono esclusivamente le finalità previste dal Testo Unico della Finanza (d.lgs. n. 58/1998) e sono quindi fonte di obblighi in questo ambito: l’identificazione del carried interest è funzionale all’applicazione delle regole sui compensi, per la sana ed efficace gestione dei rischi nei GEFIA”.

[15] La parte evidenziata è stata aggiunta con la pubblicazione del nuovo Regolamento del 2019.

[16] Nello stesso senso le risposte n. 472/2019, 482/2019, e 435/2020.

[17] Nella recente risposta n. 435/2020 l’Agenzia delle entrate afferma che “La circostanza per cui viene attribuito un diritto di beneficiare del carried interest anche a soggetti non legati alla società da rapporti di lavoro dipendente o di amministrazione, costituisce elemento atto ad escludere un collegamento tra detenzione di quote e prestazione lavorativa e al contempo costituisce garanzia per l’allineamento di interessi e rischi tra i manager e gli altri investitori”.

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