Innalzamento delle cornici edittali previste per gran parte dei reati tributari ed abbassamento di alcune soglie di punibilità; estensione ad alcuni reati fiscali della c.d. confisca “per sproporzione”; introduzione delle principali fattispecie tributarie nel catalogo dei reati, per cui è prevista la responsabilità dell’ente, ex d. lgs. 231/01; estensione della causa di non punibilità, prevista dall’art. 13 d. lgs. 74/00, ai reati di frode fiscale: sono questi i punti salienti della riforma del sistema penale tributario, introdotta con il decreto legge 124/2019 ed enfatizzata dai proponenti con la riesumazione del vecchio slogan “manette agli evasori”.
1. Inasprimento delle pene e abbassamento delle soglie di punibilità
Come anticipato in premessa, il legislatore è innanzitutto intervenuto sulle principali fattispecie tributarie, innalzando le cornici edittali e prevedendo un abbassamento di alcune delle soglie di punibilità previste.
Analiticamente, le fattispecie previste dal d. lgs. 74/00 sono state così modificate:
- Art. 2 d.lgs. 74/00– dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti àla pena della reclusione sale a 4 anni nel minimo e a 8 anni nel massimo, rimanendo confinata nella cornice attuale (da 1 anno e 6 mesi a 6 anni) nel caso in cui l’importo degli elementi passivi fittizi non superi 100 mila euro.
- Art. 3 d.lgs. 74/00– dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici àla pena edittale sale a un minimo di 3 e a un massimo di 8 anni di reclusione (antecedentemente, la pena prevista era quella della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni).
- Art. 4 d. lgs. 74/00 – dichiarazione infedeleàla pena sale a 2 anni nel minimo e a 4 anni e 6 mesi nel massimo(prima variava da 1 a 3 anni); inoltre, ne risulta esteso l’ambito di applicazione, in virtù dell’abbassamento delle soglie di rilevanza penale, intervenuto sia sul valore dell’imposta evasa (da 150 mila a 100 mila euro), sia su quello degli elementi attivi sottratti a imposizione (da 3 a 2 milioni di euro). Resta in vigore il comma 1-ter, ma l’esclusione della punibilità è circoscritta alle sole ipotesi in cui le valutazioni complessivamente (e non singolarmente) considerate si discostanoda quelle corrette in misura inferiore al 10%.
- Art. 5 d. lgs. 74/00 – omessa dichiarazione àsi prevede lapena della reclusione da 2 a 5 anni (l’ambito edittale era da 1 anno e sei mesi a 4 anni).
- Art. 8 d.lgs. 74/00 – emissione di fatture per operazioni inesistentiàla pena della reclusione da 1 e sei mesi a 6 anni si applicherebbe nella sola ipotesi in cui l’importo delle fatture emesse risultasse inferiore a Euro 100.000 per periodo d’imposta; nel caso in cui fosse superiore, la cornice edittale sarebbe da un minimo di 4 a un massimo di 8 anni.
- Art. 10 d. lgs. 74/00 – occultamento o distruzione di documenti contabili àpena della reclusione da 3 a 7 anni (invece di una pena da 1 anno e sei mesi a 6 anni).
Le rimodulate fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2), di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3) e di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8) risultano oggi sanzionate con una pena più severa di quella prevista, ad esempio, per il reato di omicidio stradale (da 2 a 7 anni) o di quella prevista per i promotori di un’associazione per delinquere (da 3 a 7 anni)
La situazione è paradossale se si considera poi che la truffa ai danni dello Stato è punita con la reclusione da 1 a 5 anni: la frode fiscale, che ne è un aspetto, è oggi punita in maniera ben più severa.
Quali sono poi le conseguenze indirette derivanti da questi aumenti di pena?
Sotto il profilo della prescrizione le novità spostano poco: da un termine di 8 anni ad uno di 10 anni e 8 mesi non c’è grande differenza.
La rigida risposta sanzionatoria prevista dalla riforma ha invece delle ripercussioni rilevanti sul piano processuale.
In particolare, per il reato di omessa dichiarazione, di cui all’art. 5 d. lgs. 74/00, potrà ora essere disposta, ai sensi dell’art. 280, comma 2, c.p.p., la custodia cautelare in carcere (misura applicabile ai soli delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni).
Invece, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, gli arresti domiciliari e le altre misure coercitive diverse dalla custodia cautelare in carcere potranno ora essere applicate anche al delitto di dichiarazione infedele, di cui all’art. 4 d. lgs. 74/00.
L’innalzamento delle pene massime produce anche un effetto ulteriore: nei procedimenti per le fattispecie di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. 74/00, l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero non avverrà più con le forme della citazione diretta a giudizio, ai sensi degli artt. 550 e ss. c.p.p.; anche per questi reati, si celebrerà, invece, l’udienza preliminare, con conseguente rallentamento dei tempi di definizione dei procedimenti ed ulteriore intasamento dei Tribunali.
Per le frodi fiscali di cui agli artt. 2 ed 8, invece, gli aumenti di pena previsti dalla riforma potranno avere ripercussioni in punto di competenza funzionale.
In particolare, in caso di contestazione della circostanza aggravante ad effetto speciale di cui al secondo comma dell’art. 13 bis d. lgs. 74/00 (norma che, come noto, prevede un aumento di pena fino alla metà nel caso in cui il reato sia commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale), il procedimento sarà attribuito alla competenza del Tribunale in composizione collegiale.
2. Estensione della “confisca per sproporzione” ai reati fiscali
Una delle novità più discusse introdotte con la riforma è rappresentata dall’estensione ad alcuni reati fiscali della c.d. confisca allargata o “per sproporzione”, di cui all’art. 240 bis c.p..
Tale disposizione normativa, ad oggi applicabile ad alcuni reati di particolare gravità (in primis, ai reati di criminalità organizzata, dal 2018 anche a gran parte reati contro la pubblica amministrazione), consente all’Autorità Giudiziaria di procedere, in caso di condanna o di patteggiamento della pena, alla confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica.
Si tratta evidentemente di una misura estremamente invasiva: in tale forma di confisca – che trova la sua origine nella lotta alla criminalità organizzata – viene meno il nesso di pertinenzialità tra beni sequestrati e reato e viene aggredita l’intera ricchezza non giustificata, ritenuta frutto dell’accumulazione illecita.
Più precisamente, per usare le parole della Corte Costituzionale, la confisca “allargata” (…) poggia, nella sostanza, su una presunzione di provenienza criminosa dei beni posseduti dai soggetti condannati per taluni reati, per lo più (ma non sempre) connessi a forme di criminalità organizzata: in presenza di determinate condizioni, si presume, cioè, che il condannato abbia commesso non solo il delitto che ha dato luogo alla condanna, ma anche altri reati, non accertati giudizialmente, dai quali deriverebbero i beni di cui egli dispone” (Corte Costituzionale n. 33/2018).
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, tale forma di confisca si basa su «un’insindacabile scelta politico-criminale, una presunzione iuris tantumd’illecita accumulazione, nel senso che il provvedimento ablatorio incide su tutti i beni di valore economico non proporzionato al reddito o all’attività economica del condannato e dei quali questi non possa giustificare la provenienza, trasferendo sul soggetto, che ha la titolarità o la disponibilità dei beni, l’onere di dare un’esauriente spiegazione in termini economici (e non semplicemente giuridico-formali) della positiva liceità della loro provenienza, con l’allegazione di elementi che, pur senza avere la valenza probatoria civilistica in tema di diritti reali, possessori e obbligazionari, siano idonei a vincere tale presunzione» (In tal senso, Cass. pen. n. 36499/2018)
Ebbene, con l’introduzione nel d. lgs. 74/00 dell’art. 12-ter, la confisca allargata sarà applicabile anche a quei reati fiscali previsti dal d. lgs. 74/00 caratterizzati da condotte fraudolente.
Segnatamente:[1]
- Art. 2 d.lgs. 74/00 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), quando l’ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore a 200.000 euro;
- Art. 3 d. lgs. 74/00 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), quando l’imposta evasa è superiore a 100.000 euro;
- Art. 8 d. lgs. 74/00 (emissione di fatture per operazioni inesistenti), quando l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture è superiore a 200.00 euro;
- Art. 11 d. lgs. 74/00 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte), quando l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture è superiore a 100.000 euro ovvero quando l’ammontare degli elementi attivi o passivi fittizi è superiore all’ammontare effettivo di oltre 200.000 euro.
Dunque, in caso di conversione del decreto, la contestazione di un reato fiscale costituirà l’occasione per aggredire il patrimonio del contribuente anche ben oltre l’ammontare dell’imposta evasa.
La situazione risulta poi ancora più allarmante se solo si considera che, secondo quanto previsto dagli artt. 104-bis e 183-ter delle disp. att. c.p.p , all’Autorità Giudiziaria sarà consentito altresì procedere al sequestro preventivo dei beni confiscabili e dunque anticipare gli effetti della misura già al momento delle indagini: ciò significa che per anni, per tutta la durata del procedimento, beni che sicuramente non sono in relazione diretta col delitto per cui si procede, potranno essere sottratti alla libera disponibilità di cittadini che potranno poi essere riconosciuti innocenti.
Quanto all’efficacia temporale, si deve sottolineare che, in sede referente, la Commissione Finanze ha specificato, con l’introduzione del comma 1-bis all’art. 39, che l’istituto della confisca allargata potrà essere applicato solo a fatti commessi dopo l’entrata in vigore della riforma.
Si tratta di una specificazione tutt’altro che scontata, considerato che la confisca di valore è qualificata dalla giurisprudenza di legittimità come misura di sicurezza atipica, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 200 c.p., essa non sarebbe – almeno di regola – sottoposta al principio di irretroattività proprio della sanzione penale, previsto dall’art. 25 co. 2 della Costituzione[2].
Insomma, in assenza della specificazione introdotta al comma 1 bis, la misura avrebbe potuto essere applicata anche in relazione a reati fiscali commessi anteriormente all’entrata in vigore del nuovo art. 12 ter d.lgs. 74/00: gli effetti della novella legislativa sarebbero stati ancor più dirompenti.
3. Non punibilità delle frodi fiscali in caso di “ravvedimento operoso”
Il legislatore è intervenuto sull’art 13 del d. lgs. 74/00, disposizione che esclude la punibilità per alcuni reati tributari, a fronte del tempestivo pagamento del debito tributario, a seguito del c.d. ravvedimento operoso.
Se fino a questo momento questa causa di non punibilità era prevista esclusivamente per i reati di cui agli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, con la riforma, sono state aggiunte al novero dei reati che si estinguono con l’integrale pagamento del debito tributario anche le fattispecie di frode fiscale e, segnatamente, la fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2) ed il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3).
La causa di non punibilità scatterà allorché i debiti tributari, compresi sanzioni ed interessi, siano estinti con integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso, sempre che la regolarizzazione intervenga prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
4. Introduzione dei reati fiscali nel catalogo dei reati presupposto previsti dalD. Lgs.231/01
4.1 Ulteriore novità introdotta con la riforma fiscale è rappresentata dall’inserimento dei reati fiscali nel novero dei reati presupposto della responsabilità dell’ente ex d. lgs. 231/01.
A ben vedere, il monito perentorio di introdurre la responsabilità anche per i reati fiscali arriva direttamente dall’Unione Europea.
La Direttiva 2017/1371, in materia di tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione europea (meglio nota come Direttiva PIF), ha imposto infatti agli Stati membri di introdurre forme di responsabilità giuridica a carico degli Enti con riferimento “ai casi di reati gravi contro il sistema comune dell’IVA” , ovvero con riferimento a quelle frodi che siano “connesse al territorio di due o più Stati membri dell’Unione e che comportino un danno complessivo pari ad almeno 10.000 euro”.
Dunque, il legislatore italiano, nel Decreto legge n. 124/19 ha previsto l’aggiunta del nuovo art. 25-quinquiesdecies al d. lgs. 231/01, andando così ad inserire nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità dell’ente i seguenti reati tributari:
- Art. 2 – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti o altri documenti per operazioni inesistenti: in particolare, per l’ipotesi prevista dal comma 1 dell’art. 2 (dichiarazioni fraudolente che mediante uso di FOI che determinano un passivo fittizio uguale o superiore a 100.000 euro), è prevista una sanzione amministrativa fino a 500 quote (dunque, fino a 774.500 euro, considerato che una quota può valere fino a 1.549 Euro); nell’ipotesi prevista dal comma 2 dell’art. 2-bis, invece, (passivo fittizio inferiore a 100.000 euro) potrà, invece, essere applicata all’ente la sanzione pecuniaria fino a 400 quote (dunque, fino a 619.600 euro);
- Art. 3 – Dichiarazione fraudolente mediante altri artifici, per il quale è prevista la sanzione pecuniaria fino a 400 quote;
- Art. 8 – Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti: in particolare, nel caso previsto dall’art. 8 co.1 (emissione di FOI per importi uguali o superiori a 100.000 euro), si applicherà all’ente la sanzione fino a 500 quote; invece, nell’ipotesi meno grave prevista dall’art. 8 co. 2 bis (emissione di FOI per importi inferiori a 100.000 euro) si applicherà all’ente la sanzione fino a 400 quote;
- Art. 10 – Occultamento o distruzione di documenti contabili, per il quale è prevista la sanzione fino a 400 quote;
- Art. 11 – Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, per il quale è prevista la sanzione fino a 400 quote.
Al comma 2 del nuovo art. 25-quinquiesdecies il legislatore ha previsto poi una circostanza aggravante: tutte le sanzioni sono aumentate di un terzo se, a seguito del reato tributario, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità.
Inoltre, agli enti che risulteranno responsabili dei reati fiscali sopra menzionati, potranno essere applicate le seguenti sanzioni interdittive:
- divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
- esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
- divieto di pubblicizzare beni o servizi.
4.2 Non è tutto: dall’introduzione dei reati fiscali nel catalogo del d. lgs. 231/01, derivano importanti novità anche in tema di confisca.
Primad’ora, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in tema di confisca del profitto del reato fiscale, con la sentenza n. 10561/2014 (S.U. Gubert), avevano chiarito che è ammessa «la confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato».
Era, invece, escluso che potesse essere disposta sui beni dell’ente la confisca per equivalente, “ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni”.
Rispetto a tale esclusione risultava decisiva proprio la circostanza che i reati fiscali non fossero compresi nel catalogo dei reati presupposto previsti dal d. lgs. 231/01, con conseguente inapplicabilità della confisca di valore prevista dall’art. 19 d. lgs. 231/01.
Con l’introduzione dei reati fiscali d. lgs. 231/01 nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità dell’ente, sarà quindi possibile procedere al sequestro e alla successiva confisca per equivalente del profitto del reato fiscale, nella disponibilità della persona giuridica.
4.3 Le imprese saranno chiamate ad aggiornare i propri modelli organizzativi, attraverso la previsione di un efficace sistema di gestione del c.d. rischio fiscale.
Va detto, tuttavia, che, a ben vedere, le imprese, anche prima del d.l. 124/19, erano chiamate a monitorare tale tipologia di rischio.
Pur non essendo gli illeciti tributari formalmente inclusi nel catalogo dei reati presupposto previsti dal d. lgs. 231/01, le imprese erano comunque tenute a considerare i profili di responsabilità penale nell’ambito della Corporate Tax Governance, per almeno due essenziali ragioni:
- l’impresa – come già illustrato -, a determinate condizioni, può subire la confisca diretta del profitto del reato tributario commesso dal suo legale rappresentante;
- la responsabilità delle persone giuridiche può, in ogni caso, scaturire da reati diversi, già inclusi da tempo nell’elenco dei reati presupposto del d. lgs. 231/01, correlati in vario modo ai reati tributari.
Il reato tributario, infatti, può porsi come reato scopo della fattispecie di associazione per delinquere, prevista dall’art. 24-ter d. lgs. 231/01: il c.d. pactum sceleris potrebbe essere finalizzato a porre in essere frodi ai danni del fisco (il caso tipico è l’accordo tra più imprese per generare un giro di false fatturazioni attraverso il quale evadere le imposte dirette e l’IVA).
Sul punto, infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha osservato che: “La responsabilità amministrativa degli enti si applica anche ai reati tributari se sono il fine dell’associazione per delinquere, con la conseguenza che deve ritenersi legittimo il sequestro operato nei confronti di una società i cui vertici sono imputati di associazione per delinquere finalizzata all’emissione e all’utilizzazione di fatture false»(Cassazione Penale, Sez. III, 6 giugno 2013, n. 24841).
Il reato fiscale, inoltre, potrebbe come reato presupposto delle fattispecie di riciclaggio ed autoriciclaggio previste all’art. 25-octies d.lgs. 231/01, considerato che l’orientamento giurisprudenziale ormai predominante ammette che possa configurarsi il riciclaggio o l’autoriciclaggio del profitto dei reati fiscali, che chiaramente si identifica nel risparmio di imposta conseguito.
In ogni caso, è indubbio che, in caso di conversione del decreto legge, con l’ingresso formale dei reati fiscali nel sistema 231 le imprese, dopo un’attenta attività di risk assessement, dovranno provvedere ad implementare i propri modelli prevedendo misure idonee a gestire i nuovi rischi fiscali che potranno profilarsi.
In particolare, i modelli dovranno prevedere:
- un adeguato programma di formazione del personale, con riferimento alla materia fiscale;
- l’attribuzione di ruoli e responsabilità nell’ambito dei diversi settori dell’organizzazione, in relazione ai rischi fiscali;
- l’adozione di un sistema amministrativo-contabile adeguato, affiancato da un sistema gestionale altrettanto efficace;
- adeguati flussi informativi verso l’OdV, tali da consentire allo stesso di individuare anomalie suscettibili di approfondimento;
- l’introduzione di procedure di rilevazione e gestione del rischio fiscale, il cui rispetto sia garantito a tutti i livelli dell’organizzazione aziendale;
- l’introduzione di procedure che consentano di non avviare o interrompere in maniera sollecita rapporti commerciali con soggetti per i quali non sia possibile verificare la ‘regolarità’ (eventuali cartiere).
4.4 Con l’introduzione dei reati tributari nel catalogo dei reati per cui è prevista la responsabilità dell’ente, è stata finalmente colmata una lacuna legislativa da tempo segnalata dagli ambienti professionali, da parte della dottrina, e, da ultimo, anche dall’Unione Europea.
Resta tuttavia ancora da affrontare una delle problematiche sollevate, già prima della novella legislativa, da alcune voci della dottrina sfavorevoli all’introduzione dei reati fiscali nel sistema 231.
Si è osservato, infatti, che, in assenza di un parallelo intervento organico di riforma del sistema sanzionatorio amministrativo, l’estensione della responsabilità da reato degli enti ai reati fiscali rischia di generare un nuovo caso di conflitto tra la legislazione italiana ed il principio del “ne bis in idem” sostanziale.
La normativa tributaria attualmente vigente prevede, infatti, che la commissione di un illecito penale tributario comporti comunque l’irrogazione, solo in capo alla società, delle sanzioni amministrative che derivano dalla condotta illecita del dipendente, rappresentante o amministratore.
Appare dunque concreto il rischio che il cumulo tra le sanzioni amministrative già previste a carico dell’ente per i casi di violazione delle norme tributarie e le sanzioni pecuniarie e interdittive previste dal d.lgs. 231/2001, se non opportunamente coordinate tra loro, possa portare a un trattamento sanzionatorio complessivamente sproporzionato.
5. Conclusioni
È indubbio che il drastico inasprimento del regime sanzionatorio previsto per i reati fiscali, voluto dal legislatore della riforma, avrà un effetto assolutamente dirompente sul sistema penale tributario.
Non ci si può, tuttavia, esimere dal sottolineare le “derive” insite ad un sistema sanzionatorio così delineato.
Alla luce delle novità introdotte con la riforma, questo, infatti, lo scenario che si prospetterebbe, dal punto di vista sanzionatorio, a fronte di un medesimo fatto di evasione:
– la persona fisica rischia:
- pene detentive;
- la confisca per equivalente;
- la confisca per sproporzione;
– la società, invece,
- in sede tributaria, rischia di essere condannata al pagamento dell’imposta evasa, delle sanzioni amministrative e degli interessi;
- in sede penale, rischia di vedersi applicate sanzioni pecuniarie fino a 774.500 euro, sanzioni interdittive e la confisca di valore, secondo quanto previsto dal d. lgs. 231/01.
Sembra che, ancora una volta, il legislatore, nel tentativo di adottare una linea dura di contrasto al fenomeno dell’evasione fiscale, sia incorso nell’errore di intervenire semplicisticamente sul carico sanzionatorio penale, piuttosto che intervenire sulla pressione fiscale, che rappresenta una delle cause – non la minore – dell’evasione.
Il pericolo è che una simile scelta possa condurre a conseguenze estreme: è ben possibile che lo spauracchio delle pesanti sanzioni penali riesca a disincentivare la commissione di reati fiscali; quel che ci si augura, però, è che, a fronte di una pressione fiscale particolarmente elevata, alla riduzione dei casi di evasione fiscale non segua un aumento dei fallimenti.
[1] La versione originaria del d.l. 124/19 prevedeva l’applicabilità della confisca allargata a tutti i reati fiscali, con la sola eccezione di quelli previsti dagli artt. 10 bis e 10 ter d. lgs. 74/00; in sede referente, si è scelto invece di limitare all’applicabilità dell’istituto ai soli delitti caratterizzati da condotte fraudolente.
[2] Cfr.: Cass. Pen., Sez. I, (ud. 28/02/2018) dep. 12/04/2019, n.16122 «La confisca c.d. “allargata” ha natura di misura di sicurezza patrimoniale “atipica” (…) in quanto prescinde da collegamento pertinenziale con il reato per la cui commissione è stata inflitta condanna dei beni che ne costituiscono l’oggetto e dall’epoca del relativo acquisto, anteriore ovvero successivo alla commissione del reato medesimo; (…) l’istituto esplica una funzione preventiva e mantiene le caratteristiche proprie della misura di sicurezza patrimoniale di diritto speciale. La conseguenza è che essa è applicabile anche per reati presupposto commessi nel tempo in cui tale specifica confisca non era prevista dalla legge, non operando il principio di irretroattività della legge penale, ma quello dell’applicazione della legge vigente al momento della decisione fissato dall’art. 200 c.p.»