La sentenza resa dal Tribunale veronese è la prima ad affrontare il tema delle c.d. criptovalute. Nel caso concreto, un cliente ha corrisposto a una società di «servizi informatici» somme in valuta avente corso legale in cambio di «bitcoin», i quali avrebbero dovuto costituire la provvista necessaria all’adesione a un’operazione di crowdfunding condotta da una società ucraina. Acquistata la valuta virtuale, il conto di cui alla relativa disponibilità di bitcoin non fu mai realmente operativo. Il cliente conveniva dunque la società informatica, che aveva nei fatti riscosso le somme, per la restituzione delle stesse.
In punto di qualificazione del rapporto, il Tribunale ha ritenuto che il rapporto in forza del quale due parti concludono on-line un contratto di cambio di valuta reale con «bitcoin» integra un servizio finanziario.
Secondo la lettura della fattispecie data dal Giudice veronese, la società di «servizi informatici» ha dunque assunto – abusivamente – «il ruolo di “fornitore” del servizio finanziario descritto dall’art. 67-ter, lett. a), b), c) e g) [Codice Consumo]». La stessa ha cioè operato «quale soggetto privato che – mediante “contratto a distanza” ex art. 50 cod. consumo e servendosi di “operatore o fornitore di tecnica di comunicazione a distanza” … – ebbe a collocare i bitcoin di cui trattasi».
Rilevata, al di là dell’abusività dell’attività, la totale assenza, nella singola operazione, di informativa fornita al cliente, così come di un documento contrattuale redatto per iscritto, e quindi la violazione degli obblighi legali di forma e di informativa precontrattuale di cui agli artt. 67-duodecies ss. cod. cons. («violazione degli obblighi di informativa precontrattuale, idonea ad alterare in modo significativo la rappresentazione delle caratteristiche dell’investimento», si osserva), il Tribunale ha affermato la nullità del contratto ex art. 67-septiesdecies cod. cons. e, a cascata ex art. 2033 c.c., il conseguente obbligo alla restituzione di quanto ricevuto.
È utile infine osservare che il Tribunale ha valorizzato la circostanza della originaria destinazione delle somme a una raccolta mediante crowdfunding, per rilevare altresì la violazione le norme di carattere generale della delibera Consob 26 giugno 2013, n. 18592 (ndr, in materia di portali crowdfunding), così operando una «trasposizione» degli specifici doveri gravanti sul gestore del portale (naturale destinatario degli obblighi regolamentari) in capo al fornitore, «volta a evitare, in via esegetica, lacune nell’ordinamento di settore».