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Giurisprudenza

Nullità del contratto di investimento fuori sede per la mancata previsione del diritto di recesso

19 Gennaio 2021

Luca Monosi, Dottorando presso l’Università degli Studi di Milano

Cassazione Civile, Sez. VI, 15 settembre 2020, n. 19161 – Pres. Ferro, Rel. Falabella

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Con l’ordinanza in esame, la Cassazione torna su alcuni aspetti della rilevabilità officiosa dei profili di nullità contrattuale, nel solco delle sentenze gemelle pronunciate dalle Sezioni Unite il 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243.

Nel caso deciso dalla Corte, un correntista ha opposto un decreto ingiuntivo ottenuto da un istituto bancario e fondato sul saldo debitorio di due distinti conti correnti, basando l’opposizione sull’asserita mancanza di prova scritta ex art. 50 T.U.B. e deducendo la responsabilità della banca per le sottostanti operazioni di trading on line che hanno dato luogo alla posizione debitoria. Soltanto con la comparsa conclusionale depositata nel giudizio di primo grado, inoltre, l’opponente ha sollevato la questione della nullità dei contratti-quadro di investimento, poiché, pur essendo stati stipulati fuori sede – il che emergeva ex actis, non avendo la banca alcuna filiale nel luogo in cui furono sottoscritti – in essi non era prevista la facoltà di recesso entro il termine di sette giorni dalla loro conclusione, in violazione dell’art. 30 co. 7 T.U.F. Tuttavia, sia il Tribunale che, successivamente, la Corte d’Appello hanno negato di poter rilevare tale nullità, non avendo il correntista (rectius investitore) tempestivamente dedotto i relativi profili fattuali, a prescindere dall’emergenza degli stessi dai documenti offerti in comunicazione.

Sul punto, la Cassazione ha annullato con rinvio la pronuncia del giudice territoriale, ribadendo che il rilievo della nullità contrattuale (ossia l’indicazione alle parti del vizio, cui in ipotesi può seguire la domanda di accertamento incidentale ex art. 34 c.p.c.) è sempre obbligatorio per il giudice a prescindere dalla tempestiva allegazione del fatto da cui l’invalidità deriva, poiché l’obbligatorietà del rilievo ex officio è ancorato alla mera emergenza ex actis del profilo stesso. Inoltre, nella posizione in cui si trova l’opponente di un decreto ingiuntivo, ossia di convenuto sostanziale rispetto ad una domanda di condanna al pagamento di somme, la questione di nullità si pone come eccezione in senso lato alla pretesa creditoria, per cui, ai sensi dell’art. 345 co. 2 c.p.c., essa è proponibile anche nel grado di appello.

Infine, con specifico riferimento al caso della nullità di protezione di cui all’art. 30 co. 7 T.U.F., la Corte ha chiarito come la rilevanza di tale vizio non possa essere confinata alle sole ipotesi in cui l’investitore alleghi di aver manifestato la propria volontà di recedere dal contratto nei termini prescritti (e non gli sia stato consentito), in quanto la disposizione prefata non prevede un meccanismo di sostituzione automatica ex art. 1419 co. 2 c.c. – tale che, in mancanza della pattuizione convenzionale del recesso, l’investitore possa comunque esercitare lo ius poenitendi in forza della norma imperativa –, ma la nullità parziale è esclusa proprio dalla previsione della nullità dell’intero contratto-quadro, a protezione dell’investitore a cui non è stata assicurata la facoltà di recedere dal contratto stipulato fuori sede.

 

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