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Giurisprudenza

Scioglimento dei contratti di anticipazione bancaria nel concordato preventivo

18 Novembre 2020

Francesca Gaveglio, dottoressa di ricerca in diritto d’impresa presso l’Università Bocconi e avvocato presso Fivelex Studio Legale

Cassazione Civile, sez. I, 15 giugno 2020, n. 11524 – Pres. Didone, Rel. Fidanzia

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Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione ha affermato importanti principi in materia di scioglimento dei contratti di anticipazione bancaria nel concordato preventivo.

In primo luogo, la Corte ha affrontato la questione se l’art. 169 bis l.f. sia o meno applicabile ai contratti di anticipazione bancaria in conto corrente contro cessione di credito o mandato all’incasso con annesso patto di compensazione, le c.d. linee di credito autoliquidanti.

Premesso che la nozione di “contratti pendenti” ex art. 169 bis l.f. fa riferimento a fattispecie negoziali che non abbiano avuto compiuta esecuzione da entrambe le parti al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo (con conseguente inapplicabilità dell’art. 169 bis l.f. ai contratti a prestazioni corrispettive in cui una delle parti abbia già compiutamente eseguito la propria obbligazione), la Corte ha ritenuto di distinguere il contratto-quadro che disciplina le operazioni di anticipazione bancaria dalle singole operazioni di anticipazione eseguite dall’istituto di credito.

La Corte ha infatti affermato che – mentre l’art. 169 bis l.f. è «applicabile al contratto-quadro di anticipazione bancaria contro cessione di credito o mandato all’incasso ed annesso patto di compensazione, fino quando la banca, nell’anticipare al cliente l’importo dei crediti non ancora scaduti vantati da quest’ultimo nei confronti dei terzi, non abbia ancora raggiunto il tetto massimo convenuto tra le parti» (i.e. finché l’obbligazione dello stesso istituto non può ritenersi interamente eseguita) – a conclusioni diverse deve, invece, addivenirsi con riferimento alle operazioni di anticipazione già eseguite in esecuzione del contratto-quadro in un periodo anteriore all’apertura del concordato preventivo, a fronte delle quali la banca non abbia ancora incassato il credito: in tali casi – «avendo la banca, con l’erogazione della anticipazione, già compiutamente eseguito la propria prestazione» – «l’art. 169 l.f. è inapplicabile».

Ciò vale, sia in caso di anticipazione contro cessione di credito a scopo di garanzia, sia in caso di anticipazione con mandato all’incasso e patto di compensazione.

Nel primo caso si ha un’immediata efficacia traslativa del credito ceduto dal cliente della banca, la quale, essendone divenuta già titolare al momento dell’erogazione dell’anticipazione, potrà disporre come meglio crede e quindi trattenersi le somme che incasserà dal terzo: non si pone quindi neppure la questione della “pendenza“ del singolo contratto di anticipazione bancaria.

Anche nel secondo caso deve ritenersi che la banca, con l’erogazione della somma al cliente, abbia già compiutamente eseguito la propria prestazione, posto che la previsione a favore della banca di un mandato all’incasso, con patto di compensazione, non consente di ritenere che la banca sia tenuta ad una “prestazione aggiuntiva” che rientri nel sinallagma contrattuale (l’attività di incasso della banca attenendo soltanto alla modalità di satisfazione del proprio credito). In ogni caso, anche ove si volesse ritenere che l’attività di incasso dei crediti del cliente verso i terzi rientrasse tra le obbligazioni della banca, si tratterebbe comunque di una prestazione di natura accessoria, non idonea ad incidere sulla nozione di compiuta esecuzione della prestazione a norma dell’art. 72 e 169 bis l.f.

La Corte si è poi interrogata se, indipendentemente dalla possibilità o meno di scioglimento della singola operazione di anticipazione che sia avvenuta precedentemente all’apertura della procedura di concordato, la banca, una volta incassato il credito del cliente, sia obbligata o meno a restituire le somme al debitore proponente, allorquando esista una pattuizione che consente alla banca il diritto di ritenere le somme riscosse, ossia il c.d. patto di compensazione o di annotazione ed elisione dl contro delle partite di segno opposto.

La Cassazione – nel fornire risposta negativa al predetto quesito – ha osservato che la prosecuzione del rapporto di conto corrente bancario all’apertura di una procedura concorsuale minore si estende a tutte le clausole pattizie che lo regolano, ivi compresa quella con la quale le parti abbiano attribuito alla banca il diritto di “incamerare le somme riscosse”. Il patto, infatti, è essenzialmente interdipendente al negozio di credito connesso al mandato a riscuotere, nel senso che attenendo esso alla regolamentazione delle modalità di satisfazione del credito della banca, in sua carenza l’operazione non sarebbe stata posta in essere, sicché negozio e patto non possono che rimanere inscindibilmente connessi.

Alla luce di ciò, la Cassazione ha concluso che «il collegamento negoziale e funzionale esistente tra il contratto di anticipazione bancaria ed il mandato all’incasso con patto dì compensazione, dando luogo ad un unico rapporto negoziale, determina l’applicazione dell’istituto della c.d. compensazione impropria tra i reciproci debiti e crediti della banca con il cliente e la conseguente inoperatività del principio di “cristallizzazione” dei crediti, rendendo, pertanto, del tutto irrilevante che l’attività di incasso della banca sia svolta in epoca successiva all’apertura della procedura di concordato preventivo». Non trova quindi applicazione l’art. 56 l.f.., che non consente la compensazione tra i crediti reciproci se non entrambi preesistenti all’apertura della procedura di concordato preventivo.

 

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