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Note

Sui debiti dell’azienda ceduta: per una rilettura dell’art. 2560 c.c. alla luce di Cass. N. 32134/2019

8 Aprile 2020

Ugo Minneci, Professore ordinario di diritto commerciale, Università degli Studi di Milano

Cassazione Civile, Sez. III, 10 dicembre 2019, n. 32134 – Pres. Vivaldi, Rel. Di Florio

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Debiti della precedente gestione e responsabilità aggiuntiva del cessionario. – 2. Il presupposto della registrazione nelle scritture contabili. – 3. La portata innovativa di Cass. n. 32134/2019. – 4. Conclusioni

 

1. Debiti della precedente gestione e responsabilità aggiuntiva del cessionario

E’ noto che per l’ipotesi di trasferimento di azienda il legislatore ha dettato, agli artt. 2555 ss. c.c., una disciplina ad hoc [1]. All’interno di questa, l’art. 2560 concerne espressamente i debiti dell’impresa (commerciale) assunti sotto la precedente gestione[2]: intendendosi per tali tanto quelli sorti fin dall’inizio come situazioni passive isolate (debiti risarcitori o ex lege), quanto quelli derivanti da un contratto sinallagmatico ma già eseguito ex uno latere[3].

A ben vedere, il primo comma dell’art. 2560 non si distingue per particolare originalità. Più precisamente, nel prevedere che il perfezionamento della vicenda traslativa relativa al compendio produttivo non valga di per sé a liberare il cedente dagli impegni anteriormente presi – occorrendo all’uopo una dichiarazione apposita da parte del creditore aziendale -, tale disposizione non fa altro che ribadire un principio generale in tema di obbligazioni[4]: più precisamente, il principio per il quale la sostituzione del soggetto tenuto alla prestazione può avere luogo solo con il consenso del soggetto attivo del rapporto.

Molto più innovativa e interessante si presenta per contro il capoverso dell’art. 2560. In effetti, la norma appena richiamata chiama a rispondere anche il cessionario dell’azienda per i debiti relativi all’impresa assunti dal cedente, sempre che registrati nelle scritture contabili[5].

In altri termini, si ha la previsione di una responsabilità aggiuntiva (quella del cessionario) relativamente alle passività assunte dal cedente, ma al contempo una limitazione della stessa ai soli debiti risultanti dalle scritture contabili dell’impresa.

Quella che si porge all’interprete è dunque una norma complessa che si propone di conciliare interessi diversi, perseguendo una soluzione idonea a contemperare le varie esigenze in gioco, senza enfatizzare l’una a completo discapito dell’altra.

In via di prima approssimazione, può ritenersi che, nel prevedere la responsabilità aggiuntiva del cessionario[6], il nostro legislatore abbia cercato di tutelare l’affidamento dei creditori aziendali sulla redditività del compendio produttivo, ovvero sulla capacità dello stesso – sempre che in esercizio – a generare un sufficiente cash flow in grado di far fronte alle passività sorte nello svolgimento dell’attività.

Si ha cioè l’impressione che la soluzione adottata rifletta la consapevolezza che, nell’ambito delle iniziative produttive, la maggiore garanzia di soddisfacimento delle pretese creditorie sia data non tanto dal patrimonio dell’imprenditore (secondo la logica propria dell’art. 2740 c.c.), quanto dai risultati dell’attività svolta attraverso l’azienda.

Si tratta, questa, di una visione che si lascia apprezzare per una notevole modernità, in quanto mostra di tenere conto del subentro dell’impresa, in luogo della proprietà fondiaria, quale principale fonte di produzione di nuova ricchezza.

Più nel concreto, la previsione della responsabilità anche del cessionario per i debiti sorti sotto la precedente gestione rappresenta il tentativo di evitare, per quanto possibile, che rispetto ai creditori aziendali, le chances di soddisfacimento delle relative ragioni subiscano un contraccolpo negativo per effetto del passaggio di mano del compendio produttivo. Invero, la possibilità di agire anche nei confronti del nuovo titolare dell’azienda consente di continuare a fare affidamento sulla capacità della stessa di essere autoliquidante rispetto alle passività generate dall’esercizio dell’impresa[7].

2. Il presupposto della registrazione nelle scritture contabili

Come già accennato, la tutela dei creditori aziendali non costituisce l’unica preoccupazione dell’art. 2560 c.c. Nel subordinare la responsabilità aggiuntiva alla avvenuta registrazione del debito nelle scritture contabili dell’impresa, il legislatore ha dimostrato di tenere in considerazione anche la posizione del cessionario: in particolare, l’interesse di quest’ultimo a non trasformare il trasferimento di azienda in una operazione di pura sorte, ovvero dal rischio potenzialmente illimitato.

In altri termini, dietro alla richiesta della annotazione nelle scritture contabili, vi è l’idea di offrire, al soggetto interessato ad acquisire il complesso produttivo, uno strumento per prefigurarsi l’ordine di grandezza della responsabilità alla quale potrebbe trovarsi esposto nell’ipotesi di perfezionamento della operazione traslativa.

Occorre subito avvertire che la giurisprudenza ha tradizionalmente interpretato con estremo rigore la portata di tale requisito.

Non solo (o non tanto) per il fatto che ha escluso, con riguardo alla esistenza del debito, la rilevanza di fonti di conoscenza alternative rispetto alle scritture contabili del cedente; ma anche, e soprattutto, perché, passando attraverso il medio logico di annoverare la registrazione tra i c.d. «fatti costitutivi» della fattispecie, ha addossato sul creditore procedente l’onere di offrire evidenza di tale elemento.

In letteratura non sono mancati suggerimenti per ammorbidire la severità di una simile lettura, soprattutto facendo leva su una interpretazione «teleologica» della norma in questione.

In tale prospettiva, alcuni hanno criticato il rifiuto della giurisprudenza di dare spazio ad ulteriori canali di conoscenza del debito; e questo sul presupposto che per la tutela dell’interesse del cessionario (ovvero dell’interesse a potersi rappresentare l’entità del rischio incombente in caso di subentro nell’azienda) fondamentale sarebbe la previa conoscenza delle passività aziendali, non il veicolo di acquisizione della stessa.

Spingendosi più in là, altri hanno sottolineato come, per non scivolare in una eterogenesi dei fini, occorrerebbe prendere atto di alcune ipotesi in cui l’insorgenza della responsabilità del cessionario dovrebbe ritenersi svincolata dal presupposto della registrazione del debito nelle scritture contabili.

A titolo di esempio, vengono indicati i casi in cui la cessione dell’azienda avvenga in assenza di contabilità, oppure si traduca in una operazione fraudolenta in danno dei creditori aziendali, in quanto accompagnata da un accordo tra cedente e cessionario diretto ad alleggerire le scritture contabili delle passività più pesanti.

Invero, nella prima situazione, il fatto stesso di avere acquisito un’azienda priva di scritture contabili sarebbe da considerare indicativo della volontà di concludere un affare aleatorio, sicché non avrebbe senso permettere al cessionario di invocare uno strumento pensato per evitare lo scenario in realtà perseguito; mentre nell’altra, se si concedesse al soggetto che subentra nella titolarità dell’azienda di farsi scudo dietro la mancata registrazione del debito, si finirebbe per piegare la norma ad uso e consumo di una frode in pregiudizio dei creditori dell’impresa.

3. La portata innovativa di Cass. n. 32134/2019

Non vi è dubbio che nel panorama giurisprudenziale appena delineato, l’ordinanza della Cassazione n. 32134/2019[8] abbia introdotto un elemento di forte discontinuità.

La vicenda concreta da cui trae origine presenta le sembianze proprie del caso di scuola. Un creditore del cedente munito di decreto ingiuntivo divenuto definitivo agiva anche nei riguardi del cessionario, ai sensi dell’art. 2560, comma 2 c.c., per ottenere il pagamento del dovuto. Quest’ultimo eccepiva la mancata registrazione del debito nelle scritture contabili.

Respinta in primo grado, tale difesa veniva accolta in appello: e ciò malgrado il carattere fraudolento della operazione traslativa si rivelasse agevolmente percepibile, tenuto conto che il cessionario si presentava come una newco costituita con la stessa compagine sociale, il trasferimento della medesima clientela e l’esercizio della stessa attività della società cedente (non a caso messa in liquidazione in concomitanza con il trasferimento del compendio).

Nel decidere il ricorso con il quale il creditore insoddisfatto contestava al Giudice di secondo grado di avere interpretato troppo restrittivamente il capoverso dell’art. 2560, la Suprema Corte ha, con un iter argomentativo serrato, ribaltato alcuni luoghi comuni della materia.

Più nel dettaglio, attraverso la pronuncia in esame, la Cassazione ha ricordato il proprio (peraltro consolidato) orientamento secondo cui, in caso di cessione di azienda, l’iscrizione dei debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, nei libri contabili obbligatori è da ritenersi elemento costitutivo della responsabilità dell’acquirente dell’azienda e, data la natura eccezionale della disposizione che prevede tale responsabilità, non può essere surrogata dalla prova che l’esistenza dei debiti era comunque conosciuta da parte dell’acquirente medesimo.

Ma lo ha fatto per prenderne le distanze, subito aggiungendo come «la regola dell’art. 2560 comma 2 c.c. debba essere declinata in funzione della effettiva ratio di protezione contenuta nella norma, che non può prescindere dalle complessive emergenze processuali»: e ciò in ragione della necessità di coniugare la suddetta regola con l’esigenza di fornire tutela effettiva, «escludendo che una interpretazione fondata sul mero dato letterale ed impermeabile sia alle contrastanti evidenze processuali che alle ormai consolidate elaborazioni giurisprudenziali in materia di vicinanza della prova e di conseguente possibile inversione dei relativi oneri, possa condurre a soluzioni incoerenti con la ratio sulla quale essa si fonda o addirittura a una eterogenesi dei fini».

Muovendo da tali considerazioni, la Suprema Corte è venuta a fissare l’insegnamento innovativo in virtù del quale «in tema di cessione di azienda, il principio di solidarietà tra cedente e cessionario, fissato dall’art. 2560, secondo comma c.c. con riferimento ai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, principio condizionato al fatto che essi risultino dai libri contabili obbligatori, deve essere applicato tenendo conto della “finalità di protezione” della disposizione, finalità che consente all’interprete di far prevalere il principio generale della responsabilità solidale del cessionario ove venga riscontrato da una parte un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi da quelli per i quali essa è stata introdotta, e, dall’altra, un quadro probatorio che, ricondotto alle regole generali fondate anche sul valore delle presunzioni, consenta di fornire una tutela effettiva al creditore che deve essere salvaguardato».

4. Conclusioni

Di sicuro, la rilettura dell’art. 2560, comma 2 c.c. operata dalla Suprema Corte si presenta di estremo interesse.

Apprezzabile appare l’impostazione concettuale secondo cui, pur trovandosi al cospetto di una norma che cerca di tenere insieme interessi diversi e, almeno talvolta, potenzialmente confliggenti, sarebbe possibile istituire una sorta di graduatoria tra gli stessi e all’interno di questa collocare in una posizione di vertice quello della tutela dei creditori dell’impresa.

Nell’ottica indicata, è da condividere in particolare la sollecitazione a non limitarsi a una verifica meccanica della sussistenza o meno del requisito della registrazione nei libri contabili obbligatori, ma a tenere comunque conto delle varie circostanze che hanno fatto da cornice all’operazione traslativa.

In effetti, solo abbandonando l’idea di far dipendere tutto dalla individuazione o meno di una qualche traccia del debito nelle scritture contabili e facendo per contro proprio un approccio attento a valorizzare i restanti elementi della vicenda concreta, si potrà evitare di cadere nello scenario paradossale in cui uno strumento pensato per rispondere a una esigenza effettiva venga piegato fino al punto di essere posto al servizio di accordi in frode dei creditori dell’impresa.

A nostro avviso, la prospettiva «sostanzialista» che permea il recente intervento della Suprema Corte si presta ad ulteriori sviluppi.

A ben vedere, non sembra esservi ragione per non disapplicare l’inciso finale dell’art. 2560 anche nell’ipotesi di trasferimento di una azienda del tutto priva di contabilità. In effetti, l’interesse dei creditori aziendali appare destinato ragionevolmente a prevalere su quello di un soggetto, che avendo acquisito un compendio produttivo al buio, ha per definizione inteso realizzare un affare speculativo: in tale situazione, permettere al cessionario di trincerarsi dietro la mancata registrazione del debito nelle scritture contabili equivarrebbe a concedergli a posteriori un tipo di protezione cui aveva precedentemente rinunciato.

Andando ancora più in là, verrebbe altresì da ripensare la consueta qualificazione dell’elemento della annotazione del debito nelle scritture contabili come «fatto costitutivo» della fattispecie, di per sé riconducibile all’interno del thema demostrandum a carico del creditore procedente. In effetti, tenendo conto della posizione di lontananza (ovvero di normale inaccessibilità) di quest’ultimo rispetto ai registri contabili del cedente, varrebbe almeno la pena domandarsi se non sia da ritenere preferibile, in funzione di un più corretto riparto degli oneri probatori (anche alla luce elaborazioni giurisprudenziali in tema di vicinanza della prova), classificare l’elemento in questione come «fatto impeditivo» della responsabilità solidale di cui al capoverso dell’art. 2560; con la conseguenza di addossare sul cessionario l’onere fornire evidenza della mancata registrazione del debito[9] attraverso la produzione delle scritture contabili relative alla precedente gestione dell’impresa.

 


[1] Si tratta di una disciplina trasversale, tendenzialmente applicabile alle svariate tipologie di contratto (vendita, donazione, conferimento in società ecc.) aventi ad oggetto una azienda. Contiene regole da un lato volte a facilitare il passaggio uno actu dei vari elementi che compongono l’unità produttiva (ad esempio, nel caso dell’art. 2558 c.c., consentendo il passaggio dei contratti indipendentemente dal consenso del contraente ceduto), dall’altro dirette a sterilizzare, per quanto possibile, in capo a terzi qualificati (tra cui i creditori dell’impresa, ex art. 2560 c.c.) eventuali esternalità negative correlate al passaggio di mano del compendio produttivo.

[2] Sulla vicenda del trasferimento di azienda e, in particolare, con riguardo al regime dei debiti, cfr. M. Cian, Dell’azienda, in Commentario Schlesinger, Milano, 2019; F. Martorano, L’azienda, in Trattato Buonocore, Torino, 2010, U. Minneci, Trasferimento di azienda e regime dei debiti, Torino, 2005.

[3] Ai debiti puri si contrappongono quelli c.d. corrispettivi, i debiti cioè che trovano radice in contratti a prestazioni corrispettivi non ancora eseguite e che restano al di fuori del perimetro dell’art. 2560 per essere attratti, in uno con i rapporti contrattuali di cui fanno parte, all’interno dell’art. 2558.

[4] Si tratta di un principio pacificamente desumibile dagli artt. 1268, 1272 e 1273 c.c., rispettivamente in tema di delegazione di debito, espromissione e accollo.

[5] Come desumibile dal testo, l’art. 2560 regola il c.d. lato esterno delle passività aziendali (riconoscendo ai creditori dell’impresa la possibilità di far valere le proprie ragioni nei confronti tanto del cedente quanto del cessionario); ma non impone alcuna soluzione (anzi per la verità non dice nulla) in ordine ai rapporti interni tra vecchio e nuovo titolare dell’azienda circa la sopportazione del peso economico delle stesse. Secondo l’opinione del tutto prevalente, si tratta di una quaestio voluntatis.

[6] Vi è sostanziale concordia – in giurisprudenza e in dottrina – nel ritenere che si tratti di responsabilità aggiuntiva di carattere solidale.

[7] Naturalmente, niente può escludere che l’azienda venga acquisita per essere dismessa, in modo da rafforzare la posizione sul mercato dell’impresa del cessionario. Ma quello della cessazione dell’attività costituisce un rischio esistente anche nell’ipotesi n cui il compendio produttivo resti nelle mani del titolare originario.

[8] L’ordinanza in commento del 10 dicembre 2019 è reperibile sul sito www.dirittobancario.it.

[9] Per un maggiore approfondimento degli spunti di cui al testo, cfr. U. Minneci, Imputazione e responsabilità in ordine ai debiti relativi all’azienda ceduta, in Banca borsa tit. cred., 2008, II, 736.

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