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Giurisprudenza

La risoluzione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, con deduzione della caparra confirmatoria restituita, non costituisce operazione elusiva

11 Novembre 2020

Alessandro Nota

Cassazione Civile, Sez. V, 17 settembre 2020, n. 19340 ― Pres. Virgilio, Rel. D’Aquino

Di cosa si parla in questo articolo

La controversia in esame trae origine da un avviso di accertamento (per il periodo d’imposta 2004) relativo ad IRES, IRAP ed IVA, con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava, tra gli altri elementi, l’emissione di una nota di credito a fronte della risoluzione di un preliminare di vendita immobiliare.

In particolare, l’Amministrazione Finanziaria riteneva insussistenti le ragioni economiche dello scioglimento del vincolo contrattuale e della conseguente restituzione ai promissari acquirenti di una caparra confirmatoria già versata, anche alla luce di relazioni di parentela tra le persone fisiche coinvolte.

Per l’effetto, riprendeva a tassazione la ritenuta indebita deduzione, ai fini delle Imposte dirette, dell’ammontare della caparra, giudicando inopponibile la risoluzione consensuale del contratto.

Il contribuente, investita la competente CTP per la risoluzione della controversia, vedeva il proprio ricorso parzialmente accolto, in relazione alla inerenza del costo scaturente dalla restituzione della caparra.

In secondo grado di giudizio di merito, la CTR, appellata dall’Amministrazione finanziaria, ha ritenuto la risoluzione del preliminare “pretestuosa” e, tenuto anche conto dei rapporti familiari tra le persone fisiche coinvolte, ha disconosciuto la deducibilità del costo in esame per difetto di inerenza.

Il contribuente ha dunque adito la Corte Suprema, affidando il proprio ricorso a molteplici motivi.

Per quanto di interesse, il contribuente lamentava la falsa applicazione dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973 (vigente ratione temporis) e dell’art. 109 d.P.R. n. 917/1986, ritendendo che la risoluzione di un contratto preliminare non rientrasse tra le operazioni elusive.

 In particolare, secondo il contribuente, non sussisteva nel caso di specie un indebito vantaggio fiscale, e dovevano essere considerate le valide ragioni economiche a base dello scioglimento contrattuale.

Sul punto, gli Ermellini sottolineano ― come già affermato in diverse pronunce (Cass., Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 27886; Cass., Sez. V, 25 novembre 2015, n. 24024; Cass., Sez. V, 14 gennaio 2015, n. 405) ― che la disciplina antielusiva dettata dall’art. 37-bis d.P.R. n. 600/1973 (vigente ratione temporis) prevedeva una tipizzazione delle singole fattispecie negoziali elusive.

Perciò poteva configurarsi un abuso del diritto solo qualora ricorresse una delle operazioni indicate dalla norma.

Nel caso di specie, lo scioglimento del contratto per mutuo dissenso (ex art. 1372, comma 1, cod. civ.) non rientrava tra le fattispecie negoziali elusive tipizzate dalla norma prima menzionata.

La Suprema Corte, pertanto, ha accolto il suesposto motivo di impugnazione, cassando la sentenza impugnata e rinviandola alla CTR, in diversa composizione.

 

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