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Attualità

Successione dei debiti in caso di cessione di azienda bancaria

19 Giugno 2023

Francesco Autelitano, Partner, Trifirò & Partners Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il tema delle successione dei debiti in caso di cessione di azienda bancaria alla luce dell’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nella recente ordinanza 22 marzo 2023 n. 8272.


1. Il caso di specie: cessione di azienda bancaria e successione dei debiti

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, 22 marzo 2023, n. 8272, esamina una peculiare fattispecie relativa alla successione dei debiti in caso di cessione di azienda bancaria.

Nello specifico, l’attore (ex cliente della banca “A”) ha convenuto in giudizio la banca “B” (cessionaria del ramo d’azienda della banca “A”, per effetto di un’operazione di conferimento del ramo aziendale stesso[1]) chiedendo che, in relazione al rapporto di conto corrente intercorso con la prima, la banca convenuta fosse condannata, previa rideterminazione del saldo, al pagamento delle somme illegittimamente versate dal cliente, in ragione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della nullità della clausola che la prevedeva.

La banca “B” ha eccepito il difetto della propria legittimazione e, nel merito, l’infondatezza della domanda, sostenendo che il rapporto di conto corrente intrattenuto dal cliente con la banca “A” non rientrava nel conferimento del ramo di azienda essendo stati espressamente esclusi i crediti classificati “a sofferenza”, come quello vantato dal predetto istituto di credito nei confronti dell’attore, e che, di conseguenza, qualsiasi pretesa restitutoria svolta dal cliente in relazione al predetto rapporto di conto corrente avrebbe dovuto essere azionata nei confronti della banca cedente.

Così posti i termini essenziali della vicenda, la causa è stata decisa nel merito dall’adita Corte d’appello, la quale ha rilevato che nell’atto di conferimento del ramo d’azienda le banche che ne erano parte avevano escluso dal trasferimento i “crediti in sofferenza”; e che il rapporto dedotto in causa, in origine, era classificato appunto in quest’ultimo ambito, inoltre era poi stato oggetto di una transazione tra cliente e banca “A” (prima del conferimento) che aveva determinato l’estinzione del rapporto; la Corte territoriale ha altresì osservato che la transazione e l’estinzione del rapporto non precludevano la domanda del cliente, volta a far valere un proprio credito derivante dal riconteggio del rapporto, depurato degli addebiti illegittimamente eseguiti sulla base delle clausole nulle; tuttavia tale domanda, essendo inerente al rapporto originariamente classificato tra le posizioni in “sofferenza”, era escluso dal perimetro del conferimento aziendale, pertanto la domanda stessa avrebbe dovuto essere azionata nei confronti della banca conferente “A”, che rimaneva legittimata dal lato passivo rispetto ai descritti rapporti non trasferiti alla conferitaria.

La Suprema Corte si è pronunciata in senso opposto, osservando che con la propria domanda giudiziale il correntista ha inteso far valere, dopo l’estinzione del rapporto contrattuale intercorso con la banca “A”, non il “credito in sofferenza” originariamente preteso da quest’ultima (ed escluso dal ramo d’azienda) bensì il debito restitutorio a carico della banca stessa, maturato (prima del conferimento) man mano che la medesima aveva percepito indebitamente le somme in questione.

Il debito della banca verso il cliente, perciò, a giudizio dell’ordinanza in commento, è da ritenersi compreso tra le passività del ramo d’azienda bancaria conferito alla società convenuta, costituito “da debiti e crediti, rapporti contrattuali, diritti e ragioni nonché ogni altro elemento facente parte del ramo aziendale medesimo…”.

La Suprema Corte, inoltre, ha rilevato che l’inclusione del debito tra le passività cedute, non operando per le ragioni dette alcuna espressa esclusione, deriva dal principio per cui “in tema di cessione di azienda in favore di una banca, il D.Lgs. n. 1 settembre 1993, n. 385, art. 58, prevedendo il trasferimento delle passività al cessionario, in forza della sola cessione e del decorso del termine di tre mesi dalla pubblicità notizia di essa (secondo quanto previsto dal comma 2 dello stesso art. 58), e non la semplice aggiunta della responsabilità di quest’ultimo a quella del cedente, deroga alla norma di cui all’art. 2560 c.c., sulla quale prevale in virtù del principio di specialità”, con la conseguenza che, “in caso di cessione di azienda bancaria, alla cessionaria si trasferisce anche l’obbligazione sanzionatoria ricompresa tra i debiti della banca cedente, inclusi nella cessione stessa, e già sorta per effetto dell’illecito compiuto dai soggetti ad essa appartenenti…” (Cass. n. 22199 del 2010; Cass. n. 2523 del 2017).

In conclusione, la Corte Suprema ha giudicato sussistente la responsabilità della banca cessionaria (rectius conferitaria) del ramo d’azienda, con esclusione della legittimazione della conferente/cedente, alla luce del contenuto dell’atto di conferimento prodotto agli atti e del principio di specialità sopra richiamato.

2. I rapporti tra disciplina generale del Codice civile e norme speciali in materia bancaria.

Dall’esame del caso di specie sopra descritto e dalla decisione della Corte di legittimità emergono alcuni spunti di riflessione.

Anzitutto, giova osservare che il problema di fondo, in materia, è costituito dalla delimitazione dei rapporti fra la disciplina prevista dal Codice civile per la cessione di azienda (artt. 2558-2560 Codice civile) e quella prevista dall’art. 58 T.U.B. per la cessione di aziende bancarie.

Il Codice civile regola, separatamente, la successione nei contratti (art. 2558) e la successione dei debiti (art. 2560).

La prima disposizione prevede che, in mancanza di diverso accordo, l’acquirente subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda che non abbiano carattere personale, salva la facoltà di recesso dell’altro contraente entro tre mesi dalla notizia del trasferimento.

L’art. 2560 cit. stabilisce che l’alienante non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta se non risulta che i creditori vi hanno consentito (1° comma); e che, nel trasferimento di un’azienda commerciale, risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori (2° comma).

La legge bancaria, invece, prescrive, quanto ai contratti, che coloro che sono parte dei contratti ceduti possono recedere dal contratto entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari di cui al comma 2 (iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’atto di cessione, art. 58, co. 6, T.U.B.).

In ordine ai debiti, l’art. 58, co. 5, T.U.B. prevede che i creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari di cui al comma 2, di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione; e che, trascorso tale termine, il cessionario risponde in via esclusiva.

Si tratta, quindi, di comprendere la portata delle differenze di disciplina scaturenti dalle due normative ed il rapporto intercorrente fra queste ultime.

Prendendo in esame unicamente le disposizioni relative ai debiti stricto sensu (e non le obbligazioni relative ai rapporti contrattuali oggetto di cessione)[2] si osserva che l’orientamento prevalente in dottrina ritiene che la successione dei debiti, in caso di cessione di azienda bancaria, operi anche se tali debiti non risultano dai libri contabili, con esclusione, quindi, del limite stabilito dall’art. 2560, co. 2, Codice civile.

Si sostiene, in questo senso, che la legge bancaria avrebbe portata interamente derogatoria rispetto alla disciplina codicistica[3]. A supporto di tale interpretazione (oltre a sottolinearsi la natura di norma speciale dell’art. 58 T.U.B.), viene detto che l’art. 2560 Codice civile subordina la liberazione dell’alienante al consenso del creditore, mentre il comma quinto dell’art. 58 T.U.B. attribuirebbe una minore tutela per il creditore, prevedendo un effetto di liberazione automatica del debitore originario (cioè del cedente).

Da ciò deriverebbe la necessità di una sorta di compensazione, negli strumenti di tutela del creditore, che giustificherebbe, in caso di trasferimento di azienda bancaria, l’estensione della responsabilità del cessionario ai debiti non iscritti in contabilità (come, invece, stabilito dall’art. 2560 Codice civile)[4]. A ulteriore supporto della riferita interpretazione, la dottrina richiama l’esigenza di speditezza e di chiarezza connessa ai trasferimenti di complessi aziendali nell’ambito del sistema creditizio, determinata dell’ampiezza degli interessi coinvolti[5].

L’effetto della tesi sin qui illustrata è di attribuire al cessionario dell’azienda bancaria la responsabilità anche per i debiti non risultanti dalle scritture obbligatorie[6].

Nell’alveo dell’interpretazione dottrinale sopra richiamata si inserisce anche l’orientamento della giurisprudenza, la quale tuttavia, accanto all’enunciazione dei principi di diritto conformi all’indirizzo citato, esprime pressochè costantemente un approccio volto a verificare se, negli atti negoziali afferenti al trasferimento d’azienda oggetto di causa, fossero inclusi i debiti di cui si discute: su questa linea si colloca anche la recente pronuncia di legittimità qui commentata (nonché i precedenti citati nella motivazione della stessa[7]) la quale, come si è visto, oltre a enunciare il principio per cui il cessionario subentra in tutti i debiti inerenti all’azienda trasferita, prima ancora procede ad esaminare gli atti del conferimento per constatare che, a suo giudizio, essi includono (rectius “non escludono”) i debiti concretamente azionati in causa; e similmente ha proceduto, come poc’anzi abbiamo dato conto, pure la Corte d’appello nella medesima fattispecie (seppure pervenendo a opposte conclusioni).

Dunque la giurisprudenza è incline a ritenere di regola legittimata passivamente la banca cessionaria del ramo d’azienda, senza indagare sul fatto che il debito in questione risulti nei libri contabili sociali, ritenendo che, nel settore bancario, il secondo comma dell’art. 2560 cit. sia interamente derogato.

3. La necessità di un parametro oggettivo per determinare l’ambito dei debiti trasferiti nella successione

I risvolti pratici che connotano l’indirizzo giurisprudenziale su descritto, e confermato da Cass. n. 8272/2023, consentono di aggiungere brevemente qualche ulteriore riflessione.

L’operazione di cessione o conferimento d’azienda non comporta la successione nell’universum ius della banca cedente, bensì una successione a titolo particolare, facendo subentrare l’istituto creditizio cessionario nelle obbligazioni oggetto della cessione.

Ne deriva che è imprescindibile compiere una prima analisi volta a stabilire quali sono i rapporti nei quali il cessionario dell’azienda bancaria subentra.

Questo specifico problema non viene risolto dalla norma speciale alla quale si fa costantemente riferimento (art. 58, co. 5, T.U.B) in quanto essa prevede che, per i debiti oggetto di cessione, i creditori possono pretendere il pagamento anche verso il cedente nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della cessione in Gazzetta Ufficiale, ma non individua quali siano i debiti oggetto di cessione.

L’art. 58 cit., invero, si riferisce ai «creditori ceduti» ed alle «obbligazioni oggetto di cessione»: entrambe le locuzioni presuppongono che debba rinvenirsi altrove il titolo in virtù del quale un debito dell’alienante possa qualificarsi come «ceduto» ed «oggetto di cessione».

Nella fattispecie generale, la questione è regolata dall’art. 2560 Codice civile, che, giova ribadire, prevede la responsabilità dell’acquirente per i debiti inerenti all’esercizio dell’azienda, anteriori al trasferimento e risultanti dai libri contabili obbligatori.

La mancanza di una disposizione speciale sul punto, nel T.U.B., potrebbe far ritenere che la stessa regola generale valga, altresì, per i casi di cessione di azienda bancaria.

Così opinando, andrebbe considerato che la specialità della norma prevista dall’art. 58, co. 5, T.U.B. non tocca la delimitazione oggettiva dei debiti trasferiti, ma risiede nella diversa disciplina della responsabilità del debitore originario, che viene liberato ex lege, e senza bisogno del consenso del creditore, decorsi tre mesi dalla pubblicazione del trasferimento.

Con altre parole, la sostituzione integrale della disciplina codicistica, ad opera della lex specialis – comunemente affermata – richiederebbe l’idoneità di quest’ultima a stabilire quali debiti sono oggetto della successione fra alienante ed acquirente.

Ma tale idoneità, come detto, non sussiste, non potendosi a nostro avviso riscontrare, nella norma speciale, una regola ad hoc circa l’ambito oggettivo della successione nei debiti.

 

[1] Com’è noto, al conferimento di ramo d’azienda si applicano le norme previste in materia di cessione d’azienda, v. Cass., 26 settembre 2019, n. 2401.

[2] La natura del presente contributo non consente, infatti, di svolgere una compiuta disamina della tematica complessiva riguardante gli effetti della cessione di azienda.

[3] Cfr. Schiavon, Fusione per incorporazione, cessione d’azienda bancaria e azione revocatoria fallimentare, in Società, 2001, p. 1247; Tommasini, Conferimento d’azienda bancaria e debito da revocatoria, in Riv. dir. civ., 2002, II, p. 421; R. Schiera, Cessione di azienda bancaria e posizioni giuridiche connesse: l’azione revocatoria fallimentare, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, I, 35.

[4] Cfr. R. Cercone, Cessione di rapporti giuridici a banche, in AA.VV., La nuova legge bancaria. Il T.U. delle leggi sulla intermediazione bancaria e creditizia e le disposizioni di attuazione. Commentario, a cura di P. Ferro-Luzzi e G. Castaldi, Giuffrè, 1996, t. II, p. 985.

[5] M. R. Schiera, op. loc. citt.; G. Schiavon, op. loc. ult. citt.

[6] In questo senso anche R. Costi, L’ordinamento bancario, Il Mulino, 2001, p. 669.

[7] Cass., 29 ottobre 2010, n. 22199, in Giust. civ., 2011, 2, 373; Cass., 31 gennaio 2017, n. 2523, in Giust civ. Mass., 2017.

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