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La Cooperative Compliance nella Delega Fiscale

5 Luglio 2023

Luigi Quaratino, Counsel, Legance

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza le novità al regime di Cooperative Compliance previste nel disegno di Legge Delega per la riforma del sistema tributario (c.d. Delega Fiscale) volte a potenziare l’interlocuzione tra contribuenti e Agenzia delle Entrate.


1. Premessa

Nel disegno di Legge Delega per la riforma del sistema tributario[1] (“Delega Fiscale”) sono contenute varie disposizioni atte a potenziare l’interlocuzione costante dei contribuenti con l’Agenzia delle Entrate, in chiave preventiva e collaborativa[2].

Uno degli obiettivi dichiarati della Delega Fiscale è il transito, da un sistema di controllo fiscale ex post da parte dell’Amministrazione finanziaria, a un dialogo ex ante con i contribuenti, che favorisca l’adempimento spontaneo dell’obbligazione tributaria.

In specie, il Governo si propone di sostituire i tradizionali e, in parte obsoleti, strumenti di repressione “successiva” (i.e.le attività di accertamento e riscossione) con un efficace sistema di controllo preventivo del rischio fiscale e di dialogo costante tra contribuenti e Agenzia delle Entrate.

In quest’ottica, la spinta alla compliance e all’adempimento spontaneo è fortemente incentivata nella Delega Fiscale attraverso un significativo potenziamento dell’attuale principale strumento di interlocuzione tra Fisco e contribuenti di maggiori dimensioni e, cioè, del regime di Cooperative Compliance.

2. Le novità in materia di Cooperative Compliance

L’istituto della Cooperative Compliance è stato introdotto nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 128 del 5 agosto 2015[3].

Con tale strumento, il legislatore tributario ha previsto significativi elementi di innovazione nel tradizionale rapporto tributario tra il Fisco e i grandi contribuenti.

Come sottolineato da autorevole dottrina[4], la Cooperative Compliance ha cambiato radicalmente il rapporto tra l’Amministrazione finanziaria e una certa categoria di contribuenti. Si è passati, cioè, dal tradizionale rapporto “verticale”, il cui impulso era nelle mani del Fisco attraverso lo strumento accertativo, a uno di tipo “orizzontale”, in cui l’azione è demandata principalmente al contribuente, per mezzo di una collaborazione costante con il Fisco, in un’ottica di gestione preventiva della variabile fiscale.

La Cooperative Compliance ha avvicinato l’Agenzia delle Entrate e i contribuenti di maggiori dimensioni nella prospettiva di (i) pervenire a una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali, (ii) gestire le situazioni di incertezza attraverso un confronto preventivo e (iii) risolvere anticipatamente le potenziali controversie fiscali ed evitare o attenuare le conseguenti sanzioni amministrative e penali.

In tale contesto, la Delega Fiscale si propone di intervenire in maniera significativa su tale regime, ampliando la platea di contribuenti in grado di accedervi, prevedendo ulteriori effetti premiali in aggiunta a quelli attualmente esistenti in favore dei contribuenti “virtuosi” e introducendo semplificazioni operative[5].

3. L’estensione dei contribuenti ammessi alla Cooperative Compliance

Attualmente, l’accesso diretto al regime di Cooperative Compliance è riservato a due categorie di contribuenti[6]:

  • le imprese (residenti in Italia ovvero non residenti, ma con una stabile organizzazione in Italia) che, nel triennio precedente a quello di presentazione della domanda di accesso, presentano un volume d’affari o di ricavi superiore a un miliardo di Euro; oppure
  • le imprese che, pur non integrando la citata soglia dimensionale, hanno presentato un interpello sui nuovi investimenti e intendono dare esecuzione alla risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate.

Con la Delega Fiscale si prevede un allargamento significativo della platea dei contribuenti che potranno aderire alla Cooperative Compliance attraverso la riduzione della soglia dimensionale di accesso al regime.

In specie, il legislatore tributario si propone di accelerare il processo di riduzione delle soglie di accesso, con un abbassamento della soglia dimensionale fino al limite dei 100 milioni di Euro di fatturato/volume d’affari[7].

Inoltre, secondo quanto anticipato dal Viceministro dell’Economia e delle Finanze, Maurizio Leo, in alcuni incontri tenuti con professionisti e stampa specializzata, la volontà del legislatore sarebbe quella abbassare ulteriormente tale soglia in futuro fino a 50 milioni di Euro.

L’intenzione di ampliare la platea delle imprese potenzialmente idonee ad accedere al regime va accolta certamente con favore, ma dovrà essere accompagnata da un adeguamento degli oneri di compliance in funzione della dimensione e delle caratteristiche del contribuente e da una semplificazione delle procedure di interlocuzione con gli uffici.

È presumibile, infatti, che la scelta di aderire al regime da parte delle imprese di medie dimensioni dipenderà anche (se non del tutto) da un’attenta valutazione in termini di costi/benefici derivanti dall’ingresso nel regime.

In quest’ottica, in sede di attuazione della Delega Fiscale sarebbe auspicabile che gli oneri di compliance richiesti (tra cui, ad esempio, il grado di dettaglio del sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale – il cd. “Tax Control Framewok” o “TCF”) e gli adempimenti procedurali connessi all’ingresso nel regime possano essere ripensati, tenendo conto della capacità organizzativa delle imprese, individuando delle soluzioni adeguate e proporzionate ed evitando complessità eccessive.

Si potrebbe prevedere che le imprese fino a una certa soglia dimensionale possano dotarsi di un TCF più “snello” rispetto a quello richiesto ai contribuenti di grandi dimensioni (TCF che potrebbe poi essere aggiornato e adeguato in ipotesi di crescita dell’impresa o di ampliamento/modifica del business).

L’estensione dei confini della Cooperative Compliance è attuata dalla Delega Fiscale anche sotto un’altra prospettiva, attraverso cioè l’allargamento dei casi di ingresso cd. “per trascinamento”.

Come noto, in base alla normativa vigente, l’accesso al regime è consentito anche a talune imprese che, pur non rispettando i requisiti dimensionali e/o pur non avendo presentato istanza di interpello sui nuovi investimenti, svolgono funzioni di indirizzo in relazione al sistema del controllo del rischio dell’impresa aderente.

In virtù di tale funzione, tali imprese possono essere “trascinate” nel regime da parte dell’impresa che vi aderisce.

In specie, attualmente possono chiedere l’ammissione “per trascinamento” al regime anche:

  • le imprese che svolgono funzioni di indirizzo in relazione al sistema del controllo del rischio fiscale ove tale inclusione sia ritenuta necessaria ai fini di una completa rappresentazione dei processi aziendali[8];
  • le imprese “sopra-soglia”, qualora al progetto pilota abbia partecipato un’impresa del “gruppo” che, pur non avendo i requisiti dimensionali, svolge funzioni di indirizzo sul sistema del controllo del rischio fiscale[9];
  • soggetti che accedono al regime mediante la procedura dell’interpello sui nuovi investimenti, qualora la richiesta di ingresso per trascinamento riguardi una impresa residente e risponda all’esigenza di totale cooperazione con l’Agenzia delle Entrate[10].

In base alle previsioni contenute nella Delega Fiscale, l’accesso alla Cooperative Compliance sarà allargato anche alle imprese, prive dei requisiti soggettivi di ammissibilità, che appartengano a un gruppo di imprese (i) nel quale almeno un soggetto abbia i requisiti dimensionali e (ii) a condizione che il gruppo adotti un sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale gestito in modo unitario per tutte le società del gruppo.

In coerenza con le indicazioni fornite nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38 del 16 settembre 2016[11], è ragionevole ritenere che nel concetto di “gruppo” debbano rientrare le società residenti o non residenti con stabile organizzazione in Italia, inserite nell’area di consolidamento civilistico o comunque soggette a “direzione e coordinamento” da parte del medesimo soggetto.

A giudizio di chi scrive, anche l’allargamento del perimetro di ingresso “per trascinamento” merita di essere accolto con favore per molteplici ragioni.

Anzitutto, la gestione trasparente e preventiva del rischio fiscale con l’Amministrazione finanziaria viene potenzialmente allargata al gruppo unitariamente considerato, consentendo una condivisione più profonda con il Fisco delle strategie fiscali dei gruppi di imprese.

In secondo luogo, la possibilità di una Cooperative Compliance “di gruppo” dovrebbe rappresentare un significativo incentivo per i gruppi italiani, laddove la gestione del rischio fiscale sarebbe allargata al rischio fiscale “Paese”, garantendo maggiore certezza e prevedibilità della variabile fiscale.

Infine, tale novità dovrebbe garantire ai gruppi di imprese che vi accedono una più efficace e capillare mappatura del rischio fiscale.

L’obiettivo dichiarato della Delega Fiscale di dare impulso a un modello di interlocuzione preventiva col Fisco e di adempimento spontaneo dell’obbligazione tributaria trova ulteriormente riscontro anche con riferimento alla platea dei contribuenti “minori”, quali le PMI, le cui soglie dimensionali non consentono l’accesso al regime della Cooperative Compliance.

In quest’ottica, è prevista l’estensione dei benefici sanzionatori del regime anche alle imprese che non possiedono i requisiti dimensionali per accedervi, ma che adottano un TCF idoneo ed efficace e che comunicano preventivamente all’Agenzia delle Entrate l’esistenza di un potenziale rischio fiscale[12].

4. Le novità in tema di Tax Control Framework

Nella Delega Fiscale sono previste rilevanti novità anche con riferimento all’altro requisito necessario per accedere alla Cooperative Compliance, cioè l’adozione, da parte dell’impresa, di un idoneo ed efficace Tax Control Framework.

Come noto, le imprese che intendono aderire al regime devono dotarsi di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, inserito nel contesto del sistema di governo aziendale e di controllo interno.

Il Tax Control Framework deve essere in grado di garantire all’impresa un presidio costante sui processi aziendali e sui conseguenti rischi fiscali. In estrema sintesi, il TCF deve:

  1. contenere una chiara e documentata strategia fiscale dell’impresa;
  2. assicurare una chiara attribuzione di ruoli e responsabilità ai diversi settori dell’impresa;
  3. prevedere efficaci procedure per la mappatura dei rischi fiscali e per il monitoraggio per eventuali carenze e conseguenti rimedi da adottare;
  4. adattarsi ai principali cambiamenti per l’impresa e prevedere, con cadenza almeno annuale, la predisposizione di una relazione destinata al management.

In tale contesto, la Delega Fiscale introduce la possibilità per l’impresa aderente al regime di ottenere la certificazione del TCF da parte di professionisti abilitati.

Tale certificazione dovrebbe fungere da “garanzia” dell’efficacia e dell’affidabilità del TCF.

In aggiunta, in una prospettiva di semplificazione, il Viceministro Maurizio Leo ha ipotizzato di coinvolgere l’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) a cui affidare la redazione di documenti di natura interpretativa contenenti le linee guida per la creazione di TCF distinti per settori di attività (es. settore leasing, settore immobiliare, settore automotive). La volontà del Governo sembrerebbe quella di creare dei modelli di TCF, distinti per settori, che possano rappresentare una base di partenza affidabile per la predisposizione del TCF da parte dell’impresa che intenda aderire alla Cooperative Compliance.

Il tutto, secondo quanto emerso da alcune notizie di stampa, con l’ausilio di Sose e Sogei, che saranno chiamati ad analizzare i vari settori per comprenderne i rischi fiscali tipici e fornire delle linee guida di partenza per l’OIC.

A parere di chi scrive, la certificazione del TCF e il coinvolgimento dell’OIC per la creazione dei modelli dovrebbero generare effetti positivi sotto vari punti di vista.

In primo luogo, evidenti benefici sono prevedibili in termini di semplificazione della procedura di accesso al regime. Uno dei profili più problematici della Cooperative Compliance attuale è rappresentato proprio dai lunghi tempi necessari per l’ammissione dell’impresa, legati alla complessa attività istruttoria necessaria per valutare l’idoneità del TCF.

Con la previsione di una sorta di visto di conformità del TCF, è verosimile che l’attività istruttoria dell’Agenzia delle Entrate sia significativamente più rapida, con indubbi effetti positivi in termini di celerità del procedimento, specie se il contenuto del TCF sia conforme alle linee guida di settore dell’OIC.

In secondo luogo, certificazione del TCF e contenuto coerente con i modelli dell’OIC, dovrebbero consentire una più efficace mappatura dei rischi fiscali e una maggiore possibilità di evitare contestazioni del Fisco.

In questo contesto, sarà ancora più importante che le imprese si affidino a professionisti esperti per la redazione del TCF, i quali, in forza della loro esperienza, potranno redigere e certificare TCF che siano in grado di superare agevolmente il vaglio dell’Agenzia delle Entrate nella procedura di accesso al regime[13].

5. L’estensione dei benefici premiali per i contribuenti virtuosi

Un altro versante su cui la Delega Fiscale si propone di intervenire è l’ampliamento dei benefici premiali per le imprese che accedono al regime[14].

Le novità maggiormente in grado di aumentare l’appeal del regime sono quelle legate alla riduzione del carico sanzionatorio per le imprese in Cooperative Compliance.

Il regime attuale prevede che, laddove l’Agenzia delle Entrate non condividesse la posizione espressa dall’impresa in relazione a un rischio fiscale tempestivamente comunicato, le sanzioni amministrative applicabili sono ridotte alla metà e, in ogni caso, non possono essere superiori al minimo edittale. Inoltre, è espressamente previsto che la riscossione delle sanzioni è in ogni caso sospesa fino alla definitività dell’accertamento.

Sul versante penale, invece, non è attualmente prevista un’espressa protezione del contribuente virtuoso. In un’ottica di attenuazione della responsabilità penale, le previsioni di legge dispongono unicamente che in caso di denuncia per reati tributari, l’Agenzia delle Entrate dia notizia alla Procura della Repubblica che il contribuente ha aderito al regime di Cooperative Compliance[15].

La Delega Fiscale interviene sia sul fronte delle sanzioni amministrative, che sul versante penale/tributario.

Quanto alle sanzioni amministrative, si dispone che, in ipotesi di rischi fiscali preventivamente comunicati in modo esauriente all’Agenzia delle Entrate, sia previsto un ulteriore alleggerimento delle sanzioni applicabili, fino alla possibilità di una loro totale disapplicazione[16].

In secondo luogo, sul versante penale-tributario, ci si propone di individuare specifiche misure di alleggerimento sanzionatorio, specie con riferimento al reato di dichiarazione infedele a favore dei contribuenti che abbiano tenuto comportamenti non dolosi e comunicato preventivamente, in modo tempestivo ed esauriente, l’esistenza di rischi fiscali.

Infine, si prevede di potenziare gli effetti premiali della Cooperative Compliance con l’introduzione di istituti speciali di definizione del rapporto tributario circoscritti in un predeterminato lasso temporale, in presenza di apposite certificazioni rilasciate dai professionisti che attestino la correttezza dei comportamenti del contribuente.

Da ultimo vale segnalare una serie di ulteriori novità con cui il Governo intende ulteriormente promuovere l’adesione al regime. In specie, ci si propone di introdurre:

  • la possibilità gestire all’interno della Cooperative Compliance tematiche riferibili a periodi di imposta precedenti all’ingresso nel regime. È auspicabile che, in sede di attuazione, tale previsione sia accompagnata dalla possibilità di poter beneficiare delle sanzioni ridotte anche per violazioni commesse in passato (e. commesse non in regime di Cooperative Compliance), ma emerse in sede di interlocuzioni con l’Agenzia delle Entrate nel contesto delle attività effettuate in costanza di regime;
  • procedure semplificate per la regolarizzazione della posizione dell’impresa che aderisse a indicazioni dell’Agenzia delle Entrate comportanti la necessità di effettuare ravvedimenti operosi;
  • forme più penetranti di contraddittorio preventivo per le ipotesi di (a) eventuale notifica di un interpello o parere negativo e (b) potenziale esclusione dal regime della Cooperative Compliance per le violazioni fiscali non gravi (si immagina un periodo transitorio di osservazione prima di decidere per la fuoriuscita o la permanenza nel regime da parte dell’impresa);
  • nell’ottica di leale collaborazione e trasparenza, un codice di condotta che disciplini diritti e obblighi dell’Amministrazione finanziaria e dei contribuenti.

6. Prime considerazioni critiche

Da una prima disamina dei principi contenuti nella Delega Fiscale emerge come il legislatore tributario intenda dare ulteriore impulso al regime della Cooperative Compliance percorrendo tre strade:

  • la semplificazione e la razionalizzazione del procedimento di adesione al regime, attraverso la certificazione del TCF e il coinvolgimento di soggetti esterni, quali l’OIC e Sose/Sogei;
  • l’allargamento del perimetro di applicazione del regime, attraverso l’inclusione delle imprese di minori dimensioni e la possibilità di dar vita a una Cooperative Compliance del “gruppo” nei casi di adozione di un TCF unitario a livello di gruppo;
  • l’estensione dei benefici premiali, in particolare attraverso un’ulteriore riduzione delle sanzioni applicabili in caso di violazioni fiscali in costanza di regime.

Come detto, uno dei principali punti di debolezza dell’attuale versione della Cooperative Compliance è rappresentato dai lunghi tempi previsti per l’ammissione al regime.

La predisposizione di un TCF idoneo a superare il vaglio dell’Agenzia delle Entrate richiede tempi lunghi. Allo stesso modo, il procedimento istruttorio del Fisco (considerate le limitate risorse a disposizione) si presenta tortuoso ed eccessivamente burocratizzato (frequenti richieste documentali integrative, possibilità dell’Agenzia di effettuare verifiche in loco con sospensione del termine previsto per la conclusione della procedura di ammissione, ecc.).

In quest’ottica, la possibilità di ottenere la certificazione del TCF è destinata a ridurre notevolmente i tempi per l’ammissione. A giudizio di chi scrive, infatti, l’apposizione del visto di conformità da parte del professionista abilitato consentirebbe di “blindare” il TCF da un punto di vista della sua validità e alleggerirebbe l’onere di controllo dell’Agenzia.

Nella visione del legislatore delegato tale certificazione sembra poter rappresentare una sorta di corsia preferenziale di accesso al regime, a maggior ragione se il TCF sarà redatto da professionisti esperti e prendendo a riferimento i modelli predisposti per settori di riferimento da parte dell’OIC, basati su specifici studi da parte di Sose e Sogei.

In altre parole, l’affidabilità di un TCF certificato e basato su linee guida chiare e condivise alleggerirebbe e velocizzerebbe gli oneri di controllo dell’Agenzia delle Entrate, rendendo la procedura d’ingresso più snella e veloce, senza ingolfi eccessivi.

Ulteriore appeal per l’adesione al regime è senza dubbio legato anche all’abbassamento delle soglie di ingresso e alla possibilità di prevedere l’adesione alla Cooperative Compliance di gruppo.

Anche queste novità meritano di essere accolte con estremo favore.

In primo luogo, aprire la strada della Cooperative Compliance anche alle imprese di medie dimensioni vuol dire estendere significativamente la prospettiva di gestione ex-ante del rischio fiscale.

Ancora più interessante è l’opportunità della Cooperative Compliance “di gruppo”. In quest’ottica, il passo in avanti del legislatore tributario sembra ancora più evidente con il passaggio da una gestione del rischio fiscale a livello dell’impresa a una gestione del rischio fiscale “Paese”. Come anticipato, estendere la Cooperative Compliance al gruppo significa, in buona sostanza, fornire uno strumento di gestione della variabile fiscale unitariamente considerata e a livello consolidato. Per la prima volta i grandi gruppi italiani avrebbero la possibilità di un dialogo davvero a 360 gradi con l’Amministrazione finanziaria, con una gestione della variabile fiscale a tutto tondo.

In termini di costi, l’adozione di un TCF di “gruppo” potrebbe rivelarsi più onerosa per l’impesa. Tuttavia, la maggiore onerosità, in primo luogo, sarebbe certamente controbilanciata dai benefici derivanti da una Cooperative Compliance di gruppo e, in secondo luogo, sarebbe limitata al momento di accesso al regime, mentre nel medio/lungo periodo ci si dovrebbe fare unicamente carico di aggiornare il TCF esistente tenendo conto dell’evoluzione del gruppo.

La terza strada è quella dell’ampliamento dei benefici sanzionatori.

Da questo punto di vista, in un’ottica di maggiore spinta verso l’adesione all’istituto, sarebbe auspicabile uno sforzo ulteriore del legislatore delegato, con particolare riferimento alle conseguenze previste per violazioni fiscali per le quali il contribuente abbia fornito al Fisco una completa disclosure della propria condotta.

In queste ipotesi, anzitutto, sarebbe auspicabile l’introduzione di una penalty protection a favore del contribuente. La disapplicazione delle sanzioni amministrative – già prevista, ad esempio, nell’ambito della disciplina del transfer pricing – sarebbe certamente giustificabile tenuto conto dalla condotta trasparente e collaborativa del contribuente e fungerebbe (anche questa) da forte incentivo per l’adesione al regime.

Altrettanto dovrebbe prevedersi anche sul versante penale per il reato di infedele dichiarazione. In quest’ottica, l’assenza di comportamenti fraudolenti e l’inclusione della fattispecie tra quelle mappate nel TCF dovrebbero ridurre notevolmente il disvalore penale della condotta del contribuente e giustificare l’assenza di conseguenza penali a suo carico[17].

Infine, sarebbe auspicabile che, in presenza di un TCF idoneo, fosse introdotto anche l’esonero da responsabilità degli enti per illeciti amministrativi – prevista dal Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 – nelle ipotesi di reato presupposto di natura tributaria.

 

[1] Il disegno di legge delega, presentato in prima lettura alla Camera dei Deputati in data 23 marzo 2023 (Atto Camerale n. 1038), ha ottenuto l’approvazione del Consiglio dei Ministri in data 16 marzo 2023.

[2] Per una prima analisi delle novità introdotte dalla Delega Fiscale in tema di Cooperative Compliance, si vedano A. Dodero, “Nuove opportunità per l’adempimento collaborativo”, in Il Fisco 14/2023, pag. 1327 e M. Lio, E. Macario, “Il Tax Control Frameworkfattore chiave del nuovo paradigma dei rapporti Fisco-contribuente”, in Corriere Tributario 5/2023, pag. 445.

[3] Le disposizioni attuative del regime di Cooperative Compliance sono contenute nei Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 14 aprile 2016 prot. n. 54237 “Disposizioni concernenti i requisiti di accesso al regime di adempimento collaborativo disciplinato dagli articoli 3 e seguenti del decreto legislativo del 5 agosto 2015, n. 128” e prot. n. 54749 “Integrazione del modello di adesione al regime di adempimento collaborativo approvato con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 54237 del 14 aprile 2016”.

[4] G. Melis, “Tax compliance e sanzioni amministrative”, in G. Marino “Corporate tax governance, il rischio fiscale nei modelli di gestione di impresa”, Milano 2022.

[5] Si veda, su tutti, l’art. 15, comma 1, lettera f).

[6] Una disciplina specifica è prevista nell’ambito delle disposizioni che regolano il gruppo IVA di cui agli articoli 70-bis e seguenti del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (“DPR 633/1972”). In specie, in forza di quanto previsto dall’art. 70-duodecies, c. 6 del suddetto decreto, qualora un partecipante al gruppo IVA aderisca alla Cooperative Compliance, tale regime si estende obbligatoriamente a tutti gli altri partecipanti al Gruppo IVA. Con la circolare 10 aprile 2019, n. 8, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la suddetta estensione “benché obbligatoria, non può ritenersi automatica, ma comunque subordinata al possesso degli altri requisiti previsti dal decreto legislativo n. 128 del 2015, in capo ad ogni singolo partecipante. Pertanto, il contribuente che fa parte di un Gruppo IVA cui partecipa una società che abbia aderito o sia stata ammessa al regime di adempimento collaborativo deve, al fine di dar corso all’obbligo di legge introdotto dalla novella legislativa, presentare istanza di ammissione al regime di adempimento collaborativo”.

[7] Tale possibilità è già prevista dall’art. 7, del Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 218, secondo cui “Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabiliti i criteri in base ai quali possono essere, progressivamente, individuati gli ulteriori contribuenti ammissibili al regime, che conseguono un volume di affari o di ricavi non inferiore a quello di cento milioni di euro”. Tuttavia, tale disposizione non è mai stata attuata.

[8] Si veda il punto 2.5 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 14 aprile 2016 prot. n. 54237Disposizioni concernenti i requisiti di accesso al regime di adempimento collaborativo disciplinato dagli articoli 3 e seguenti del decreto legislativo del 5 agosto 2015, n. 128” (“Provvedimento”).

[9] Si veda il punto 2.6 del Provvedimento.

[10] Si veda la risposta alla domanda 1.4 della circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38 del 16 settembre 2016.

[11] Si veda la risposta alla domanda 1.3 della circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38 del 16 settembre 2016.

[12] Si veda l’art. 18, comma 1, lett. a), n. 3 della Delega Fiscale.

[13] In questa prospettiva, Ivan Vacca – Condirettore Generale e Direttore dell’area Fiscale Assonime – nel suo intervento al convegno “Adempimento collaborativo e altri strumenti di attrazione degli investimenti” del 27 marzo 2023 ha rilevato come “Il TCF – ovviamente, solo se ben fatto – garantisce una sorta di “auto-accertamento” completo e sistematico per l’impresa, perché è in grado di rappresentare, a 360 gradi, tutte le sfaccettature dei rischi fiscali, scendendo nel merito dei processi aziendali, negli attivi che ne fanno parte e – se del caso – nelle singole operazioni. È, dunque, uno strumento di accertamento molto più rapido, immediato ed efficace di quello di cui può disporre un accertatore in sede di verifica ex post”.

[14] I benefici più significativi previsti dal regime vigente di Cooperative Compliance sono i seguenti: (i) valutazione preventiva con l’Agenzia delle Entrate di situazioni suscettibili di provocare rischi di natura fiscale; (ii) obbligo, in capo all’Agenzia delle Entrate, di rispettare la posizione presa su questioni condivise in via preventiva con il contribuente; (iii) abbreviazione a 45 giorni del termine ordinario per fornire risposte ad istanze di interpello presentata dal contribuente; (iv) riduzione delle sanzioni amministrative applicabili nell’ipotesi di violazioni fiscali relative a rischi preventivamente comunicati all’Agenzia delle Entrate.

[15] La relazione illustrativa al Decreto legislativo 128/2015 chiarisce che tale comunicazione è effettuata per consentire all’Autorità Giudiziaria di “valutare il comportamento dello stesso (del contribuente, ndr.) anche in relazione alle eventuali iniziative poste in essere al fine di limitare o evitare gravi conseguenze”.

[16] Tale beneficio può trovare applicazione nei confronti di contribuenti particolarmente collaborativi e trasparenti, da individuare in maniera puntuale e i cui documenti contabili siano (i) certificati da professionisti qualificati e (ii) conformi ai principi contabili.

[17] Sul punto, sempre Ivan Vacca, nell’intervento citato, rileva come “Non è chiaro, infatti, come soggetti che continuano a partecipare al regime di adempimento collaborativo e, dunque, ad essere ritenuti pubblicamente “virtuosi” possano essere passibili di sanzioni penali per reati per i quali è richiesto il dolo. E, ancor prima, come possano sorgere i presupposti stessi per l’invio di una notitia criminis”.

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