Con la sentenza in commento la Corte d’Appello di Milano affronta il ricorso di un dipendente di una banca di Credito Cooperativo volto ad ottenere l’iscrizione del proprio compagno convivente alla Cassa Mutua Nazionale per il Personale delle Banche di Credito Cooperativo.
Nel caso di specie, il contratto di assunzione prevedeva che il dipendente fruisse, a fronte di un contributo da trattenersi in busta paga, dell’assistenza per esigenze sanitarie previste dalla Cassa Mutua Nazionale per il personale della Banche di Credito Cooperativo.
L’articolo 4 dello statuto della Cassa individuava quali beneficiari del diritto alle prestazioni i “destinatari, i loro familiari fiscalmente a carico e il convivente more uxorio risultante dallo stato di famiglia e con reddito non superiore a quello previsto per essere considerato familiare fiscalmente a carico”.
Nel respingere la richiesta di iscrizione del proprio convivente quale beneficiario delle prestazioni della Cassa, al dipendete era stato eccepito che la suddetta norma facesse riferimento esclusivo ad un istituto (il matrimonio) non ammesso dalla legislazione statale per le coppie dello stesso sesso, con esclusione quindi delle casistiche riconducibili alle coppie omosessuali.
La Corte di Appello di Milano, nell’accogliere il ricorso del dipendente, ha evidenziato come la norma statutaria in questione, interpretata congiuntamente alle altre norme dello statuto, individuasse, quale condizione essenziale per l’estensione dei benefici delle prestazioni in parola, tanto nel caso dei familiari di primo grado quanto in quello del soggetto terzo con il quale vi sia comunione di vita, la convivenza con il destinatario primo delle prestazioni della Cassa.
Secondo la Corte, l’applicazione del principio di buona fede porta a escludere che all’espressione “convivenza more uxorio” possa essere riconosciuto il significato attribuitole in un’epoca ormai risalente, dovendo la stessa essere interpretata in considerazione dell’attuale realtà economico-sociale, degli schemi oggi socialmente riconosciuti.
Richiamando alcuni recenti pronunciamenti (Corte Costituzionale, 23 marzo 2010, n. 138; Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. I, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf contro Austria; Corte di Cassazione, 15 marzo 2012, n. 4184), la Corte d’Appello di Milano ha affermato come, nell’attuale realtà politico-sociale, la convivenza more uxorio, intesa quale comunione di vita caratterizzata da stabilità e dall’assenza del vincolo del matrimonio, nucleo familiare portatore di valori di solidarietà e sostegno reciproco, non è soltanto quella caratterizzata dall’unione di persone di sesso diverso, ma è altresì quella propria delle unioni omosessuali alle quali il sentimento socialmente diffuso riconosce il diritto alla vita familiare propriamente intesa.
Secondo la Corte le previsioni dello Statuto della Cassa depongono a favore di un’interpretazione utile a garantire l’estensione dei benefici ivi previsti alle unioni di fatto equiparabili a quelle scaturenti dal matrimonio in quanto rientranti nella nozione comune di convivenza more uxorio; condizione che deve essere riconosciuta, nella società attuale, anche alle convivenze omosessuali.