SOMMARIO: La questione della validità dei contratti di finanziamento che non menzionano le modalità di ammortamento del debito arriva alle Sezioni Unite. Sotto accusa è la mancata indicazione sia della tipologia di piano prescelto dalle banche, c.d. alla francese, in luogo del più rassicurante piano all’italiana, sia della modalità di capitalizzazione, composta e non semplice, come invece il cliente si aspetterebbe sulla base di quanto disposto dall’art. 821 c.c. La difficoltà di inquadrare in prospettiva sistematica l’ammortamento alla francese e, con esso, l’utilizzo della capitalizzazione composta per formare le singole rate sconta un certo approccio teorico assai conservatore sul piano dell’inquadramento della vicenda espressa dal pagamento degli interessi in un contratto di mutuo, avuto riguardo alla disciplina generale sulla maturazione dell’interesse, da un lato, e a quella sull’adempimento, con specifico riferimento al profilo dell’imputazione, dall’altro.
ABSTRACT: The Grand Chamber of the Italian Supreme Court is called on to shed light on the (in)validity of the widespread custom in loan contracts consisting in the concealment of the actual methodology adopted for the construction of the amortization plan (eg. French/Italian, compound/simple interest). The paper shows it is mainly a transparency issue applied to banking contracts.
1. La questione giuridica: ammortamento alla francese, capitalizzazione composta e trasparenza.
La questione della validità dei contratti di finanziamento che non menzionano le modalità di ammortamento del debito arriva alle Sezioni Uniti. Sotto accusa è la mancata indicazione sia della tipologia di piano prescelto dalle banche, c.d. alla francese, in luogo del più rassicurante piano all’italiana, sia della modalità di capitalizzazione, composta e non semplice, come invece il cliente si aspetterebbe sulla base di quanto disposto dall’art. 821 c.c. Gli interessi monetari, è d’altronde ripetuto costantemente, sono frutti civili, che, in quanto tali, il creditore acquista giorno per giorno, in ragione della durata del diritto.
Sul tappetto è messo in primo piano il tema della trasparenza e, in particolare, della corrispondenza di una prassi, che omette di dare conto in contratto delle modalità di ammortamento del debito, con la previsione dell’art. 117, comma 4, TUB, la quale a sua volta impone alle banche di indicare in contratto «il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora». La modalità di ammortamento alla francese è in effetti una condizione di rimborso e il ricorso alla capitalizzazione composta, che comporta un esborso maggiore per il cliente, è senza dubbio un prezzo ulteriore da sopportare per la concessione del danaro.
Nel quadro normativo disegnato dall’ordinanza di rimessione non manca, infine, più di un riferimento all’art. 1346 c.c., laddove si paventa che la omessa indicazione delle modalità di ammortamento e di capitalizzazione potrebbe comportare l’indeterminatezza dell’oggetto dell’obbligazione. Vero è che dal piano di ammortamento allegato si può risalire all’esatto ammontare del debito; vero è anche però, afferma il Tribunale di Salerno, che la banca ha l’obbligo di rendere edotto il cliente di tutte le componenti del prezzo del finanziamento.
Come poi tale obbligo vada adempiuto è da vedere. Sulla base di quanto affermato nell’ordinanza, l’indicazione del TAN e del TAE non sarebbe sufficiente, pur essendo queste le esatte grandezze numeriche che esprimono l’incidenza dell’ammortamento alla francese e della capitalizzazione composta sul prezzo del denaro. Ma neppure dovrebbe esserlo la formula di matematica finanziaria utilizzata per comporre le rate; la quale formula certo dice ben poco al cliente che non sia anche un matematico.
2. Frutto civile e ammortamento alla francese. Il primo equivoco.
La difficoltà di inquadrare in prospettiva sistematica l’ammortamento alla francese e, con esso, l’utilizzo della capitalizzazione composta per formare le singole rate sconta un certo approccio teorico assai conservatore sul piano dell’inquadramento della vicenda espressa dal pagamento degli interessi in un contratto di mutuo, avuto riguardo alla disciplina generale sulla maturazione dell’interesse, da un lato, e a quella sull’adempimento, con specifico riferimento al profilo dell’imputazione, dall’altro.
Di queste difficoltà l’ordinanza non si occupa. Dà per scontata la legittimità del ricorso ai piani di ammortamento alla francese sotto il profilo delle relative regole di formazione, dubitando invece della coerenza con le regole di trasparenza bancaria delle modalità con le quali l’utilizzo di sì fatti piani viene portata a conoscenza dei clienti.
Il linguaggio utilizzato dal Tribunale di Salerno continua nondimeno a evocare la qualificazione tradizionale dell’interesse monetario alla stregua di un frutto civile; qualificazione, dalla quale parte delle costruzioni traggono importanti corollari, in punto di inquadramento generale delle problematiche cui dà luogo l’ammortamento alla francese, che darebbero ragione del contrasto tra le modalità di formazione del piano e alcune regole dettate del codice civile in materia di maturazione degli interessi e di imputazione del corrispondente debito[1]. Ciò, in quanto il ricorso a questa tipologia di piano determinerebbe una esigibilità anticipata proprio del debito di interessi: anticipata rispetto a quanto dettato dall’art. 821 c.c.[2]; ma, pare di comprendere tra le righe, anticipata pure rispetto a quanto prescritto dall’art. 1282 c.c.[3].
Per amore di chiarezza è dunque opportuno partire da ciò che l’ordinanza non dice, ma che sembra rappresentare la premessa concettuale ai fini della definitiva individuazione delle sorti dei piani di ammortamento alla francese.
In prima battuta viene in considerazione il rilievo che si dà comunemente al fenomeno della maturazione dell’interesse, intimamente legato alla qualificazione dello stesso interesse monetario alla stregua di un frutto civile. Qualificazione invero riservata dal legislatore soltanto all’interesse corrispettivo su somme liquide e inesigibili, ma in definitiva estesa sotto traccia, dalle diverse costruzioni in materia, a tutte le tipologie di interessi, in coerenza con il riconoscimento della validità ricostruttiva del principio della naturale fecondità del danaro.
Sul piano del valore ordinante attribuibile alla categoria del frutto, va detto che il legislatore del 1942 introduce la disciplina dei frutti civili nel libro III, sotto il titolo dedicato ai beni, subito dopo avere regolamentato i frutti naturali con il chiaro (ed esclusivo) intento di individuare il momento nel quale il frutto diventa altro dal bene che lo ha prodotto, quale referente oggettivo di situazioni giuridiche autonome rispetto a quella proprietaria, perciò separatamente disponibile. La scelta, comprensibile alla luce del contesto economico che ne ha accompagnato l’entrata in vigore, che si apriva alle prime istanze capitalistiche, è, nell’oggi, forse, soltanto storicamente giustificabile. Lo è, tenuto conto della profonda distanza che separa il frutto naturale da quello civile: l’uno, che evoca la materialità delle cose e il concetto di appartenenza; l’altro, che evoca semplicemente una situazione creditoria. Ma lo è pure se si tiene presente lo scopo che ha presieduto alla assimilazione di fenomeni disomogenei all’epoca della riunificazione dei codici: disciplinare la produttività dei beni nella prospettiva della soluzione dei conflitti che potrebbero sorgere nella attribuzione delle rispettive utilità.
Da altro angolo visuale, sul piano dell’inquadramento generale delle differenti fattispecie di interessi, il ricorso alla categoria del frutto civile ha anche contribuito a relegare la disciplina dell’interesse monetario nell’ambito di un microsistema, retto appunto dal principio della naturale fecondità del danaro, sull’assunto della comune natura delle menzionate fattispecie, pur nelle reciproche diversità funzionali, in quanto tutte costituenti il portato della natura di capitale della moneta[4]. A monte sembra esserci, invero, una male intesa lettura del legame esistente tra interessi monetari e disciplina dell’obbligazione pecuniaria, per ciò che dalle peculiarità del bene moneta deriverebbe sull’inquadramento dei primi.
Non v’è dubbio che alcune previsioni in materia di interessi rendono, quasi plasticamente, l’effetto che si vorrebbe fare discendere dal principio della naturale fecondità del danaro. L’art. 1282 c.c., ma anche l’art. 1224 c.c. a date condizioni, prescrivono la ‘maturazione’ automatica degli interessi, quasi a concretizzare l’immagine del bene che produce il suo frutto, in questo caso per volontà di legge. La c.d. ‘maturazione’ automatica degli interessi, tuttavia, risponde a null’altro che non sia una logica di sistema, comprensibile certo alla luce delle peculiarità del bene moneta, ma in quanto, non già bene produttivo, bensì strumento di pagamento e, dunque, di estinzione di una obbligazione pecuniaria.
Guardando nelle pieghe della disciplina è subito riscontrabile il seguente dato: gli interessi hanno sempre fonte legale, pure nel mutuo, in quanto dovuti a prescindere da una espressa pattuizione[5]. È questo un risultato cui si è giunti con l’unificazione dei codici, la quale ha riportato al codice civile alcune ipotesi di interessi prima limitate ai soli crediti commerciali; risultato, che ben esprime una scelta di sistema in assenza di pattuizioni sull’entità del tasso da parte dei contraenti: porre a carico del debitore il rischio della perdita di valore occorsa nella finestra temporale che va dalla scadenza dell’obbligazione pecuniaria fino al suo pagamento, come contraltare dell’effetto inverso che, con riferimento alla distribuzione tra debitore e creditore del medesimo rischio, produce il principio nominalistico[6].
Non è dunque il principio della naturale fecondità del danaro a caratterizzare parte dello statuto dell’obbligazione pecuniaria. Lo statuto normativo di questa obbligazione è bensì espressivo di un preciso bilanciamento di interessi, comprensibile in ragione delle funzioni di misuratore dei valori e di strumento di pagamento che sono proprie della moneta, l’esito del quale bilanciamento è coerente con i valori sottesi alla codificazione del 1942. Nella architettura del codice, l’impresa prende il posto prima riservato alla proprietà e, sul piano del regime di circolazione dei beni, le regole vengono dirette alla tutela dell’acquisto, consacrando la supremazia del valore di scambio sul valore d’uso. Un disegno armonico e in sé stesso anche completo, contemperato dall’angolo visuale macroeconomico dal ruolo riconosciuto allo Stato in economia, sino al mutamento di paradigma registratosi con l’avvento della disciplina comunitaria.
L’approccio interpretativo alle diverse fattispecie di interessi deve cambiare quando le parti prevedano espressamente l’obbligazione che li ha a oggetto, determinandone il tasso. La valorizzazione dell’intervento dell’autonomia privata nella quantificazione della prestazione degrada l’interesse monetario convenzionale a mera tecnica di determinazione della prestazione, atteso che per il suo tramite è veicolato l’interesse sostanziale che connota funzionalmente l’obbligazione. Soltanto in questa prospettiva è possibile distinguere, in ragione della funzione assolta, le differenti categorie di interessi: da un lato, gli interessi moratori; dall’altro gli interessi corrispettivi nel mutuo.
Esito costruttivo in punto di determinazione delle diverse tipologie di interessi è il superamento della teoria tradizionale (e maggioritaria), che individua nella natura di capitale il comune denominatore delle varie fattispecie di interessi[7]; il risultato, in termini di disciplina applicabile, è l’abbandono del criterio guida dell’indistinta riferibilità a queste fattispecie delle regole che hanno quale loro presupposto di applicazione la preesistenza di una obbligazione di interessi. Quando interviene l’autonomia negoziale, ciascuna obbligazione di interessi si connota funzionalmente in ragione di quanto muove i contraenti alla contrattazione, con la conseguenza che, ai fini della selezione della disciplina a essa applicabile, diventa necessario guardare al titolo che la giustifica.
È vero che nessuno ha mai messo in dubbio che l’interesse nel mutuo assolva una funziona corrispettiva, salvo reputarla tale anche nel caso in cui l’interesse sia dovuto al tasso legale. È vero anche, però, che individuare nell’interesse corrispettivo, alle condizioni indicate, soltanto una tecnica di determinazione di una prestazione significa ricondurlo nel suo naturale contesto di disciplina, che è la disciplina delle obbligazioni e dei contratti, individuata sulla base del titolo che ne giustifica l’attribuzione.
3. Segue. Interessi corrispettivi e disciplina dell’imputazione.
L’intero dibattito sulla ammissibilità dell’ammortamento alla francese poggia sulla attribuzione al concetto di maturazione dell’interesse monetario di un significato che non le è proprio, ricavato dall’equivoco parallelismo con il frutto naturale, a ribadire la forza precettiva del principio della naturale fecondità del danaro. Gli è, invece, che l’interesse monetario ha la sua principale sede di disciplina nel diritto delle obbligazioni e dei contratti. E che le regole applicabili alla c.d. maturazione dell’interesse dipendono dalla fonte e dal titolo della corrispondente obbligazione.
Una delle conclusione cui si giunge in virtù del rinvio alla categoria del frutto è che l’art. 821, comma 3, c.c., nel disporre che gli interessi si acquistano giorno per giorno, presupporrebbe l’esigibilità del relativo debito alla scadenza del debito di capitale. La deroga, pure legittima di questa previsione, metterebbe perciò fuori gioco l’art. 1194 c.c., facendo tornare applicabile l’art. 1193, comma 1, c.c., che attribuisce al debitore la scelta dell’imputazione[8]. Scelta cui in effetti il cliente controparte del finanziatore che adotti un piano di ammortamento alla francese rinuncia, senza neppure saperlo.
La prima considerazione da fare è che l’art. 821, comma 3, c.c. sembra limitarsi a disporre che gli interessi si acquistano giorno per giorno, senza mai chiamare in causa il concetto di esigibilità, né del debito di interessi, né del debito di capitale. Di regola disciplinato nel contratto, il profilo dell’esigibilità del credito di interessi, in assenza di un accordo tra le parti, trova la propria sede di regolamentazione entro il diritto delle obbligazioni e dei contratti. Su questo piano assume anzitutto rilievo l’art. 1284 c.c., che fissa la scadenza del credito di interessi in ragione d’anno. È questa una regola dispositiva, che trova puntuale deroga nei contratti di finanziamento bancari, rispetto ai quali i termini di scadenza sono individuati dalle parti. L’art. 821, comma 3, c.c., di contro, si limita a porre una regola volta a stabilire le modalità di acquisto degli interessi monetari, con specifico riguardo al loro conteggio rispetto al tempo. Quest’ultimo è uno dei fattori determinanti ai fini della identificazione della prestazione di interessi: in assenza di specifica pattuizione contraria, il giorno viene adottato come unità di misura temporale rilevante ai fini della individuazione della spettanza del creditore, in relazione alla durata del prestito. La norma non pare dire nulla di più. Al suo ambito applicativo sembra estraneo il concetto di esigibilità del credito di interessi, come pure il relativo collegamento con l’esigibilità del capitale. Tanto più che la regola è posta con riferimento agli interessi corrispettivi su somme liquide e inesigibili.
Sul piano dell’imputazione del debito di interessi in via anticipata rispetto al debito di capitale nessun divieto né limitazione di sorta pare rintracciabile nel sistema. Le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, sono libere di determinare le modalità di imputazione delle somme dovute a titolo di interessi nel mutuo, se in via anticipata o simultaneamente alla scadenza del debito di capitale sul quale gli stessi sono conteggiati. D’altro canto, l’art. 1193, comma 1, là dove rimette la scelta dell’imputazione al debitore, stabilendo che «chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare», fissa una regola dispositiva destinata a cedere il passo di fronte a una diversa pattuizione dei contraenti.
Va però pure specificato che quanto detto per l’art. 821, comma 3, c.c. vale, al contrario, per l’art. 1282 c.c. Come non si può fondare l’illegittimità del piano di ammortamento alla francese sulla prima norma, così non si può predicarne la legittimità sulla base della seconda, là dove stabilisce che «i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente»[9].
Di là dalla circostanza che un tale approccio interpretativo riporterebbe in auge la convinzione della esistenza di una regola generale che richiede la contemporanea esigibilità del debito di capitale e interessi, a prevalere è la seguente considerazione: l’art. 1282 c.c. disciplina una categoria di interessi ben distinta da quelli su somme liquide e inesigibili. Si tratta dei c.dd. interessi compensativi, dovuti ex lege, alla scadenza del debito pecuniario. Irriducibili a quelli corrispettivi anzitutto dal punto di vista funzionale, in quanto volti, al contempo, a compensare il creditore dei vantaggi ritratti dal debitore per la prolungata disponibilità della somma di danaro, oltre il termine di adempimento, e a risarcire l’eventuale danno subito per il ritardo. Ove dovuti al tasso convenzionale, essi gravitano nell’area degli interessi moratori[10].
Neppure, agli stessi fini, vale il richiamo all’art. 1194 c.c.[11] Questa disposizione, che stabilisce che «il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore» e che «il pagamento fatto in conto di capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi», contiene una norma espressiva di un chiaro favor creditoris, legata a doppio filo proprio con la regola della c.d. maturazione automatica degli interessi di cui all’art. 1282 c.c. La fattispecie in essa regolata consiste infatti nell’imputazione del pagamento a un debito scaduto, produttivo, giusta il disposto dell’art. 1282 c.c., di interessi. Alla detta scadenza, il debitore non può, in autonomia, decidere di estinguere il debito di capitali e non anche quello di interessi, ché altrimenti non sarebbe più remunerato per il ritardo, tenuto conto che gli interessi non possono produrre altri interessi. È perciò chiaro che l’articolo pone una norma che ha come suo presupposto di applicazione esattamente l’esigibilità del debito di capitale. Se il debito in questione non fosse scaduto, si porrebbe il problema del pagamento degli interessi.
In apice, c’è che non è neppure ben chiaro cosa si intenda per pagamento anticipato degli interessi. Se cioè l’anticipazione riguardi il pagamento rispetto al decorrere del tempo – nel senso che il debitore paga per la disponibilità in ragione di un dato tempo non ancora trascorso – o la sola scadenza del debito di interesse rispetto a quello avente a oggetto il capitale, sul quale il medesimo interesse viene calcolato.
Caratteristica del piano di ammortamento alla francese è la particolare composizione della rata, dato che essa prevede «una quota capitale crescente e una quota interessi decrescente», poiché «a mano a mano che il capitale viene restituito, l’ammontare degli interessi diminuisce e la quota di capitale aumenta»[12]. Il debitore, con il pagamento di ciascuna singola rata, paga gli interessi sul capitale residuo esclusivamente in ragione del tempo decorso dal pagamento della rata precedente. È dunque da escludere che si realizzi un pagamento anticipato nel primo senso evocato.
Da questo angolo visuale anzi, il piano di ammortamento è forse persino coerente con quanto previsto dall’art. 821 c.c., che, come detto, si limita a porre una regola di acquisto dell’interesse monetario alla sfera giuridica del creditore; regola la quale individua nel tempo trascorso il parametro di determinazione della prestazione[13].
4. Ammortamento alla francese, capitalizzazione e indeterminatezza dell’oggetto: il secondo equivoco e un fondo di verità.
Alle questioni appena menzionate l’ordinanza di rimessione non fa cenno alcuno. Si interroga, piuttosto, sulla validità della pattuizione sugli interessi dalla differente prospettiva del rispetto delle regole in materia di trasparenza bancaria. Oggetto di dubbi è in particolare se la mancata indicazione della modalità di ammortamento, da un lato, e del ricorso alla capitalizzazione composta per comporre il montante, dall’altro, possano determinare una sostanziale indeterminabilità dell’oggetto del contratto e, al contempo, contrastare con gli obblighi di trasparenza imposti agli intermediari ex art. 117 TUB.
A scanso di equivoci, va subito detto che indeterminatezza o indeterminabilità e violazione degli obblighi di trasparenza non sono vizi che viaggiano allineati. Ciò, in quanto una pattuizione può essere anche determinata con riferimento al suo oggetto, ma posta in violazione di una regola di trasparenza. La motivazione di questo disallineamento è assai semplice. Divergono la ratio e soprattutto il piano di incidenza delle prescrizioni normative: l’una, che attiene al piano dei requisiti strutturali dell’atto; l’altra, che invece attiene a quello delle condotte.
Da ciò discende, a proposito dell’uso delle categorie, che il ricorso a quella dell’oggetto del contratto non è indispensabile al fine di garantire il cliente della banca sotto il profilo della chiara esposizione e, di conseguenza, dell’acquisizione di una reale consapevolezza in ordine alle condizioni della contrattazione. Di là dalla circostanza che in effetti nel caso di cui si occupa l’ordinanza del Tribunale di Salerno di indeterminatezza dell’oggetto della prestazione di interessi non pare proprio esservi traccia, l’ambito applicativo della disciplina sulla trasparenza bancaria è assai più ampio rispetto a quello dell’art. 1346 c.c., in quanto volto ad assicurare, oltre alla determinabilità della prestazione classicamente intesa, la consapevolezza da parte del cliente in ordine alla portata delle condizioni economiche del contratto e ai rischi, che sul piano economico, possono discenderne[14].
Il ricorso all’ammortamento alla francese non rende l’oggetto della prestazione di interessi indeterminato le volte in cui al contratto venga allegato il piano. Il piano, infatti, individua con precisione le somme dovute a titolo di capitale e di interessi. Né sembra si possa predicare l’indeterminabilità dell’oggetto ove il piano manchi, ma sia chiaramente indicato in contratto, accanto al TAN, anche il TAE, ossia il tasso effettivo annuo (o equivalente). L’assenza della specifica imputazione delle somme da restituire non comporta certo l’indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto della prestazione. Il maggior peso economico che consegue dalla modalità di imputazione è espresso dal TAE.
A quest’ultimo riguardo, è peraltro opportuna una specificazione.
Noto è l’insegnamento dei matematici finanziari in virtù del quale il TAE non divergerebbe dal TAN: atteso che il TAN individua il tasso di interesse annuo, il TAE esprimerebbe il medesimo tasso, ma infrannuale, in ragione del numero di rate da pagare nell’anno.
Se questo è vero per il matematico, non così può essere per il giurista, poiché per il giurista il TAN e il TAE individuano il corrispettivo dovuto dal cliente per l’erogazione del finanziamento. Il TAE può essere individuato in regime di capitalizzazione semplice o di capitalizzazione composta. In linea generale, il TAE, quando vi sia ammortamento alla francese, è tendenzialmente più alto del TAN. Sicuramente l’applicazione di un TAE individuato in regime di capitalizzazione composta dà come esito la maggiorazione della prestazione cui è tenuto il mutuatario a titolo di interessi.
Per il giurista, dunque, la tipologia di capitalizzazione prescelta concorre alla determinazione del corrispettivo nei contratti di finanziamenti, poiché anche da essa dipende la quantità di interessi che, in concreto, chi riceve una somma di danaro deve restituire al finanziatore. Considerato che l’interesse corrispettivo non è altro che una tecnica di determinazione della controprestazione, la grandezza numerica che ne esprime le conseguenze economiche dovrebbe essere indicata in contratto sulla base di quanto dettato dall’art. 117 TUB[15].
Neppure di indeterminatezza sembra si possa discorrere in mancanza di ogni riferimento al TAE. La non indicazione del Tasso annuo effettivo (o equivalente), in presenza del TAN, concretizza una ipotesi patologica ancora differente, che si sostanzia nella mancata corrispondenza tra quanto pattuito e quanto in effetti applicato. Il costo è perciò determinato, ma non è determinato correttamente.
Alcune costruzioni, per avallare l’immeritevolezza del piano di ammortamento alla francese, hanno puntato sull’art. 1195 c.c.[16]. La disposizione chiarisce che «chi, avendo più debiti, accetta una quietanza nella quale il creditore ha dichiarato di imputare il pagamento a uno di essi, non può pretendere un’imputazione diversa, se non vi è stato dolo o sorpresa da parte del creditore». Ispirata al principio del favor debitoris, la norma stabilisce che anche ove accetti la scelta dell’imputazione fatta dal creditore, il debitore può comunque chiedere una imputazione diversa qualora la precedente sia stata il frutto di dolo della controparte o abbia prodotto una sorta di effetto sorpresa. Il piano di indagine viene, dunque, nuovamente spostato alla disciplina dell’imputazione dei debiti.
Ricorrendo all’ammortamento alla francese, la banca decide unilateralmente di imputare la maggior parte delle rate iniziali agli interessi, determinando senza dubbio un aumento del costo del finanziamento, con probabile grande sorpresa da parte del cliente che non ha potuto visionare prima il piano. Il meccanismo di restituzione definito dal piano infatti implica che il finanziato goda di più capitale per più tempo rispetto a quanto invece accadrebbe con l’adozione di un piano che abbassa il capitale in modo proporzionale. Detta modalità, assieme alla tecnica di capitalizzazione (eventualmente composta) dell’interesse prescelta, presupposta dalla formula matematica utilizzata per definire le rate, determina il maggior esborso per il cliente.
Ma di nuovo, la previsione di cui all’art. 1195 c.c. copre soltanto una ipotesi: quella della mancata allegazione del piano. Ove quest’ultimo ci sia, infatti, non si potrebbe parlare di effetto sorpresa, almeno nei casi in cui il cliente prenda visione del piano prima della stipulazione del contratto. Con riferimento ai rimedi azionabili, poi, l’applicazione di detto articolo può consentire l’impugnazione del piano di ammortamento per ottenerne una rimodulazione. Il rischio è tuttavia che non si possa andare al di là di una rimodulazione secondo le regole proprie del piano c.d. all’italiana. Si tratterebbe dunque di una tutela diminuita se posta a confronto con quanto previsto dall’art. 117 TUB[17].
Tanto considerato, si può reputare che l’ordinanza prenda la giusta direzione quando, nel formulare il quesito da sottoporre alle Sezioni unite, fa espresso riferimento alla nullità parziale di cui all’art. 117, comma 4 TUB, per l’ipotesi di mancata indicazione in contratto della modalità di ammortamento e/o di capitalizzazione.
5. Trasparenza bancaria. Obbligo di forma scritta e condizioni economiche del contratto. Obbligo di pubblicità e obbligo di forma.
L’art. 117 TUB, in modo inequivoco, dispone che «i contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora», prevedendo l’eterointegrazione del regolamento in caso di omessa indicazione.
Come detto, l’ammortamento alla francese – rispetto a quello all’italiana – determina l’aumento del corrispettivo dovuto dal cliente, quale controprestazione del finanziamento. Ciò, in quanto, maggiore è la somma di cui si dispone per più tempo, maggiori sono gli interessi che si vanno a pagare sulla stessa. In questo senso, e soltanto in questo, la modalità di imputazione concorre a determinare il costo effettivo del mutuo, traducendosi in un costo ulteriore di cui il cliente è davvero ignaro.
Lo stesso vale, forse anche di più, quando si ricorre alla capitalizzazione composta.
A tale proposito va nondimeno specificato che l’accostamento della capitalizzazione composta all’anatocismo rischia di equivocare i termini del problema[18]. L’utilizzo di questa tipologia di capitalizzazione per determinare il montante sul quale calcolare gli interessi nulla ha a che vedere con l’anatocismo disciplinato dall’art. 1283 c.c. Quest’ultimo presuppone un debito di interessi scaduto, sul quale si vanno a calcolare interessi ulteriori. La norma pone in definitiva un limite all’ambito applicativo della prescrizione precedente (art. 1282 c.c.), escludendo che la regola della maturazione automatica dell’interesse possa valere anche per il debito di interessi scaduto, che è pur sempre un debito pecuniario. Seppure non riconducibile alla disciplina dell’art. 1283 c.c., il regime di capitalizzazione composta implica un costo ulteriore per il cliente, determinando un deciso aumento del TAE rispetto al TAN, per ciò che esso esprime nel contratto: ossia il corrispettivo dovuto dal cliente per l’erogazione del finanziamento.
A questa stregua, la risposta al quesito formulato dal Tribunale – se, cioè, ai fini della validità del contratto ai sensi dell’art. 117 TUB, vadano indicate la tipologia di ammortamento e di capitalizzazione adottate – sembra debba essere positiva. Si tratta pur sempre di condizioni economiche, nella specie condizioni di rimborso, che rientrano nell’ambito di applicazione della menzionata previsione[19]. Non pare però che l’indicazione di queste due condizioni, specie se accompagnata soltanto dalla formula matematica che le descrive, sia sufficiente. Entrambe incidono sul costo, impattando sul tasso di interesse applicato al finanziamento, ossia sulla quantità di corrispettivo dovuto dal cliente. Essenziale sul piano della conformità del contratto alla regola introdotta dall’art. 117, comma 4, TUB è dunque anche l’indicazione del TAE.
Su questo piano, l’art. 117, comma 4, TUB è secco: «i contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora». Considerata anche l’interpretazione evolutiva cui è stata soggetta la disciplina sulla trasparenza bancaria, la quale interpretazione ha condotto a una lettura delle regole di forma e di condotta sempre più orientata ad assicurare la reale consapevolezza delle condizioni di contrattazione da parte dei clienti, coerente con il complesso quadro normativo che ne costituisce l’esito è l’imposizione in capo a banca e intermediari dell’obbligo di indicare il TAE, unitamente alla menzione delle modalità di ammortamento e di capitalizzazione, da cui dipende lo stesso tasso annuo effettivo (o equivalente).
Obiettare che la conoscenza del costo complessivo del finanziamento è rimessa all’ISC, per i contratti con i non consumatori, e al TAEG, per i contratti con i consumatori, come fa parte della giurisprudenza, non coglie nel segno. Qui, non si fa questione della conoscenza da parte del cliente del costo complessivo, bensì del rispetto da parte di banche e intermediari dell’obbligo di forma scritta in relazione agli elementi essenziali del contratto. La prescrizione che impone di indicare il tasso di interesse è posta a completamento della regola dettata dal primo comma dell’art. 117 TUB. Oltretutto, identificare il tasso di interesse con il tasso annuo effettivo – che resta una grandezza diversa dall’ISC e dal TAEG – è pure coerente proprio con la funzione c.d. informativa attribuita alla forma scritta dei contratti bancari e finanziari[20] e con ciò che il TAE rappresenta nel contratto: una delle possibili modalità di determinazione del corrispettivo nell’ambito di un contratto sinallagmatico.
Dunque, in virtù di quanto disposto dall’art. 117 TUB, i contratti di finanziamento bancari devono riportare il TAE e le condizioni di ammortamento. V’è però di più.
La strumentalità degli obblighi di forma, di informazione e di comunicazione al raggiungimento della duplice finalità della tutela del cliente e del corretto funzionamento del mercato bancario è quanto mai scontata. Come pure scontato è che le regole di condotta imposte agli intermediari in forza del richiamo alla trasparenza bancaria non abbiano, tutte, la medesima ratio. Né ce l’hanno le regole la violazione delle quali è sanzionata con lo stesso rimedio.
Alla luce di questo quadro, è difficile isolare l’art. 117 TUB dall’art. 116 TUB. Quest’ultimo disciplina la fase pubblicitaria, imponendo alle banche e agli intermediari finanziari di rendere «noti in modo chiaro ai clienti i tassi di interesse, i prezzi e le altre condizioni economiche relative alle operazioni e ai servizi offerti, ivi compresi gli interessi di mora e le valute applicate per l’imputazione degli interessi». La norma ha una ispirazione pro concorrenziale, tenuto conto che l’obiettivo che per il suo tramite si intende raggiungere è di garantire una contrattazione trasparente allo specifico fine di consentire al cliente di scegliere liberamente in maniera informata tra offerte di più concorrenti. Pertanto, anche l’inserimento in contratto di tassi, prezzi e condizioni peggiorativi rispetto a quanto pubblicizzato è sanzionato con la nullità parziale, cui segue l’eterointegrazione di cui all’art. 117 TUB.
Senza volere tacere la diversità di ratio tra l’art. 116, comma 1, e l’art. 117, comma 4, TUB, non si può non constatare che l’oggetto dell’obbligo pubblicitario, da un lato, e dell’obbligo di forma del contratto, dall’altro, è il medesimo. Sicché pare proprio illogico ampliare e al contempo meglio specificare l’oggetto del secondo, senza incidere anche sull’oggetto del primo. Se per tasso di interesse e condizioni economiche di cui alla disciplina sulla trasparenza devono intendersi il tasso annuo effettivo e ogni ulteriore indicazione rilevante ai fini del relativo calcolo, sembra si possa ragionevolmente sostenere che soltanto la pubblicità del medesimo tasso e delle medesime condizioni garantisca una scelta libera e consapevole – e senza sorprese – da parte del cliente che si affaccia al mercato del credito.
[1] V. Farina, Piano di ammortamento alla francese: liceità, meritevolezza e trasparenza della relativa clausola, in Riv. dir. banc., 2023, p. 131 ss.; Id., Finanziamento con restituzione rateale a mezzo di piano di ammortamento alla francese. Profili di disciplina, in www.ilcaso.it, 2022; A.A. Dolmetta, A margine dell’ammortamento « alla francese »: gravosità del meccanismo e sua difficile intelligenza, in Banca borsa tit. cred., 2022, p. 641 ss.; R. Marcelli, Finanziamento con ammortamento alla francese. La sentenza del Tribunale di Torino (E. Astuni, 18 febbraio 2022) ritiene priva di vizi la formulazione contrattuale: esame critico, in www.ilcaso.it, 2022. In senso contrario, R. Natoli, L’ammortamento “alla francese”: istruzioni per l’uso, in E. Ginevri, R. Lattanzi, U. Malvagna, U. Minneci, G. Mucciarone e A. Sciarrone Alibrandi (a cura di), Liber amicorum per Aldo A. Dolmetta, Pisa, 2023, p. 285 ss., il quale colloca il discorso sull’ammortamento alla francese sul terreno che gli è proprio: quello della trasparenza bancaria.
[2] A.A. Dolmetta, A margine dell’ammortamento « alla francese »: gravosità del meccanismo e sua difficile intelligenza, in Banca borsa tit. cred., 2022, p. 641 ss.
[3] V. Farina, Piano di ammortamento alla francese: liceità, meritevolezza e trasparenza della relativa clausola, cit., p. 154 s.
[4] Le fattispecie di interessi e la loro classificazione sono note (in argomento classiche sono le pagine di M. Giorgianni, L’inadempimento. Corso di diritto civile, Milano 1975, p. 146 ss.; M. Libertini, Interessi, in Enc. dir., XXII, Milano 1972, p. 95 ss.; O.T. Scozzafava, Gli interessi monetari, Napoli, 1984; B. Inzitari, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, Libro quarto delle obbligazioni, Art. 1277-1284, Bologna-Roma 2011, p. 268 s.). Accanto agli interessi su somme liquide ed esigibili, disciplinati dall’art. 1282 c.c., e agli interessi moratori, dovuti a seguito dell’inadempimento ex 1224 c.c., ci sono gli interessi su somme liquide e inesigibili, previsti dall’art. 1815 c.c. È questa una classificazione generalmente accettata, che, pur distinguendo sul piano funzionale, tende a ricostruire le diverse ipotesi in modo unitario, considerando l’interesse null’altro che il riflesso della natura di capitale della moneta. E perciò, la funzione compensativa dell’interesse di cui all’art. 1282 c.c. troverebbe la relativa giustificazione nella peculiare natura della moneta, della quale non si gode ma si può soltanto disporre, presumendosi pertanto che chi la possiede la utilizzi. Egualmente per la funzione risarcitoria ascritta agli interessi moratori, dovuti a prescindere da qualunque prova di danno, e per quella corrispettiva, attribuita agli interessi su somme liquide e inesigibili: l’espresso riconoscimento normativo della legittimità della pratica del prestito a interessi coincide storicamente con il riconoscimento della natura di capitale della moneta [seppur con approcci diversi, distinguono nettamente tra interessi corrispettivi, da un lato, e interessi moratori e compensativi, dall’altro, riservando soltanto ai primi, gli unici ad assolvere una funzione corrispettiva, la qualità di frutti civili, O. T. Scozzafava, Gli interessi monetari, cit., 71 ss., 115 ss., 136 ss.; G. Marinetti, Interessi (diritto civile), in Nss. D.I., VIII, Torino 1968, p. 858 ss. Estende, invece, la qualificazione contenuta nell’art. 820, comma 3, c.c. anche agli interessi legali decorrenti su somme liquide ed esigibili (art. 1282 c.c.) e a quelli dovuti dopo la costituzione in mora (art. 1224 c.c.) E. Simonetto, Interessi (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma 1989, p. 1 ss.].
[5] L’art. 1815 c.c., nell’introdurre la presunzione di onerosità del mutuo, svolge un ruolo di primaria importanza esattamente sul piano della sistemazione delle differenti categorie di interessi. Gli è infatti che con la sua introduzione viene superato il rilievo dato in passato alla differenza tra interessi di fonte legale e interessi di fonte convenzionale. È dunque vero che alla scadenza dell’obbligazione principale, a prescindere dalla natura dell’operazione posta in essere dai contraenti, gli interessi sono sempre dovuti, quantomeno al tasso legale. Tanto tuttavia non basta a predicarne la radice comune. Prima della unificazione dei codici, fonte e titolo dell’obbligazione di interessi non erano indifferenti ai fini della selezione della disciplina applicabile. Gli interessi di fonte legale potevano avere a oggetto soltanto una somma di danaro e maturare su una somma di danaro. Gli interessi di fonte convenzionale, invece, avrebbero potuto avere a oggetto anche beni diversi dal danaro e non necessariamente l’oggetto della prestazione principale e l’oggetto della prestazione di interessi avrebbero dovuto caratterizzarsi per omogeneità [G. Piola, Interessi (diritto civile), in Dig. It., XIII, Torino 1927, p. 50 ss.; A. Vita, Interessi (diritto civile), in Nuovo Dig. It, VII, Torino 1938, p. 49 ss.]. Rispetto ai primi, la dottrina dell’epoca discorreva di funzione compensativa (G.C. Messa, Teoria generale degli interessi, Milano 1907, p. 48 ss.): una sorta di prestazione fondata su ragioni di equità per compensare il creditore della mancata disponibilità del danaro. I secondi – che erano soltanto gli interessi nel mutuo – rivestivano una chiara funzione corrispettiva. L’unificazione dei codici azzera la differenza tipologica per fonti e introduce un diverso criterio che parimenti permette una classificazione degli interessi e, al contempo, la valorizzazione dei relativi profili funzionali: ossia, la presenza di una previsione contrattuale sulla relativa misura. In argomento, diffusamente, M. Semeraro, Interessi monetari. Utilitas temporis e scelte di sistema, Napoli 2013.
[6] Ovviamente differente è la funzione del tasso legale di cui all’art. 1284, comma 4, c.c. Lì, alla scadenza dell’obbligazione, quale ulteriore condizione ai fini della esigibilità degli interessi, si affianca la proposizione della domanda giudiziale; quest’ultima, assieme all’entità del tasso stabilita per legge, dimostra che la funzione è sanzionatoria: in argomento, per tutti, v. S. Pagliantini, Spigolature su di un idolum fori: la c.d. usura legale del nuova art. 1284, in G. D’Amico (a cura di), Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, Torino, 2017, p. 49 ss.
[7] V. retro, nota n. 4.
[8] Per tutti, A.A. Dolmetta, A margine dell’ammortamento « alla francese »: gravosità del meccanismo e sua difficile intelligenza, cit., p. 641 ss.; V. Farina, Piano di ammortamento alla francese: liceità, meritevolezza e trasparenza della relativa clausola, cit., p. 131 ss.
[9] In questo senso, invece, ABF Coll. Coordinamento, 8 novembre 2022, n. 14376.
[10] Cosi anche A.A. Dolmetta, A margine dell’ammortamento « alla francese », cit., 641 ss.
[11] Diversamente invece parte della giurisprudenza: per tutti Trib. Roma, 01.06. 2023, n. 8747, in dejure.
[12] In questi termini la definizione di ammortamento alla francese rinvenibile sul sito di Banca d’Italia.
[13] Parimenti non sembra che l’ammortamento alla francese contrasti con la logica del sistema, per come essa è desumibile dall’art. 1815 c.c. Quest’ultima norma rende evidente la rilevanza del rischio assunto dai contraenti in relazione al tempo dell’adempimento nella disciplina dell’obbligazione. Di questo rischio si presume che le parti abbiano tenuto conto nella determinazione delle prestazioni; perciò, in ipotesi di pagamento anticipato non dovuto, chi ha eseguito la prestazione ha diritto alla c.d. interusurium. Nel caso di pagamento rateale secondo le scadenze stabilite dal piano di ammortamento alla francese non c’è alcun pagamento anticipato, poiché il debitore paga la rata alla scadenza stabilita dal contratto e poiché quella rata ingloba soltanto gli interessi calcolati sul capitale residuo di cui si è effettivamente goduto fino a quel momento.
[14] Corte Giust. 3 aprile 2014, C-26/13 Kasler contro OTP Jelzálogbank Zrt; Corte Giust. 3 dicembre 2015, C-312/14 Banif Plus Bank Zrt. contro Lantos; Corte Giust. 20 settembre 2017, C-186/16 Ru. Pa. An. e altri contro Banca Româneasca SA, tutte in curia.europa.eu.
[15] V. § successivo.
[16] L’intuizione è di A.A. Dolmetta, o.l.u.c.
[17] Lungo questa linea interpretativa si muove parte della giurisprudenza, seppure con esiti differenti. Alcune pronunce dichiarano la nullità della clausola di interessi per la mancata indicazione del tasso, applicando l’art. 117 TUB (App. Bari, 13 gennaio 2023, in ilcaso.it). Molte altre invece escludono ogni sorta di patologia, riconoscendo la determinabilità del tasso effettivo in ragione della presenza in contratto dell’ISC o del TAEG (così, Trib. Rimini, 6 giugno 2022, n., 579, in dejure; App. Bari, 07 maggio 2021, n. 866, ibidem). Entrambe queste grandezze rappresenterebbero il costo complessivo ed effettivo del finanziamento, non dando perciò modo di discutere della relativa conoscibilità da parte del cliente. Di là dalle soluzioni accolte, tutte le decisioni pongono al centro delle rispettive argomentazioni il grado di chiarezza e di completezza del regolamento contrattuale con riferimento al patto degli interessi.
[18] Sull’accostamento della capitalizzazione composta nell’ammortamento alla francese all’anatocismo, più di recente D. Tombesi, Piano di ammortamento alla francese. Anatocismo o regime composto, in ilcaso.it, 2021; G.B. Barillà e F. Nardini, Legittimità dell’ammortamento alla francese e lo «spettro» dell’anatocismo. Un po’ di chiarezza tra matematica e diritto, in Banca, borsa tit. cred., 2021, I, 679. Nega che la capitalizzazione composta dia luogo a un fenomeno anatocistico, A.A. Dolmetta, o.l.u.c. Nello stesso R. Natoli, L’ammortamento “alla francese”: istruzioni per l’uso, cit., p. 293 ss.
[19] Così F. Quarta, Trasparenza e determinatezza dell’oggetto nei contratti di finanziamento con «ammortamento alla francese». Commento a Collegio di Coordinamento ABF, 8 novembre 2022, n. 14376, in Riv. dir. banc., 2023, p. 319 ss.
[20] Cass., Sez. un., 16 gennaio 2018, n. 898, in Banca borsa tit. cred., 2018, II, p. 267. In dottrina, per tutti, A. Tucci, Una pura formalità. Dalla struttura alla funzione del neo-formalismo contrattuale, ibidem, 2017, II, p. 543 ss., nota di commento a Cass., 27 aprile 2017, n. 10447.