La Cassazione, con la recente sentenza n. 29840 del 27 ottobre 2023, consolida il proprio precedente orientamento in materia di concessione abusiva di credito, con specifico riferimento al criterio di “ragionevolezza delle prospettive di risanamento”.
In particolare, secondo la Cassazione, l’assenza di concrete prospettive di risanamento deve essere valutata valorizzando la capacità finanziaria attesa dell’impresa, in base alla ragionevolezza del business plan sul quale si fonda la domanda di finanziamento.
Sulla base di tale principio, la Suprema Corte riconosce implicitamente la ragionevolezza di un credito ipotecario concesso valorizzando un flusso di cassa atteso, in quanto collegato a Stati di Avanzamento Lavori progressivi e ad uno specifico piano aziendale di crescita dell’impresa: ciò, in ottica di esimente della concessione abusiva di credito, pur in presenza di un esiguo valore del bene immobile concesso a garanzia.
In generale, si definisce “abusiva” quella concessione di credito da parte di un ente finanziatore effettuata, con dolo o colpa, ad un’impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi.
Il caso in esame riguardava la concessione ad un’impresa di costruzioni di un credito ipotecario: in particolare, l’impresa di costruzioni aveva acquistato un terreno su cui realizzare alcune opere pubbliche in ragione di una convenzione sottoscritta con il Comune e di un connesso accordo con un diverso soggetto pubblico che avrebbe poi condotto in locazione i manufatti, una volta terminati sulla base di un progetto concordato.
La peculiarità del finanziamento oggetto della pronuncia esaminata risiedeva proprio nella circostanza che era stato concesso in forma modulare, ovvero con ipoteca volontaria sul terreno oggetto del successivo sviluppo immobiliare, al quale si affiancava una linea di finanziamento erogata a progressivi Stati Avanzamento Lavori, in modo tale che il valore cauzionale del bene posto a garanzia avrebbe potuto correlativamente essere aumentato man mano che la costruzione procedeva.
Tuttavia, a causa del successivo mancato rilascio da parte del Comune della licenza a costruire, la società che avrebbe dovuto sviluppare il progetto edificatorio entrava in crisi e si rendeva poi insolvente.
In tale contesto il curatore fallimentare e il Tribunale di merito avevano negato l’ammissione al passivo della banca che aveva concesso il finanziamento ipotecario, contestando la responsabilità per concessione abusiva di credito, in ragione dell’esiguità del capitale sociale della mutuataria in rapporto alla linea di credito, e dal fatto che la stessa aveva maturato solo perdite.
Con la sentenza in oggetto, la Cassazione ha tuttavia accolto il ricorso della banca mutuante, applicando in modo peculiare il notorio principio di diritto per cui la concessione del credito è abusiva quando la banca, con dolo o colpa, non tenga in considerazione la circostanza che la finanziata si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria, in assenza di concrete prospettive di superamento della crisi.
L’assenza di concrete prospettive di risanamento, tuttavia, secondo la Cassazione, deve essere valutata non in un’ottica “statica” – rappresentata dalla mera consistenza del patrimonio netto – ma in un’ottica dinamica, valorizzando cioè la capacità finanziaria attesa dell’impresa, in base alla ragionevolezza del business plan sul quale si fonda la domanda di finanziamento.
Pertanto, la banca che applichi ex ante, al momento della valutazione della concessione del finanziamento, i principi di sana e prudente gestione, non incorre in abusiva concessione di credito ove accada, in ottica ex post, che un elemento estraneo alla volontà delle parti (come nel caso di specie il mancato rilascio della licenza a costruire) ne renda di fatto impossibile la realizzazione.
Nel caso di specie, rivestiva certamente un rilievo dirimente la specifica veste giuridica utilizzata, ovvero un’apertura di credito collegata agli stati di avanzamento lavori (SAL).
In tal caso, come dedotto dalla banca ricorrente, più l’apertura di credito fosse stata utilizzata, più la società finanziata avrebbe aumentato il proprio patrimonio immobiliare.
In sostanza, all’incremento della voce “debiti verso banche”, di cui al passivo dello stato patrimoniale, era inevitabilmente correlato l’incremento della corrispondente voce delle “immobilizzazioni materiali” di cui all’attivo dello stato patrimoniale.
Altresì, per la Cassazione, non hanno valenza decisiva rispetto alla consistenza del patrimonio netto ed alla sua prospettiva evolutiva correlata, in vista del superamento dell’eventuale stato di crisi, all’erogazione creditizia de qua agitur:
- la modesta consistenza del capitale sociale,
- la “debolezza dell’assetto economico della società”,
- l’applicazione di interessi passivi atti a generare un indebitamento rilevante,
- l’ “aspecifico” rilievo delle perdite di cui ai bilanci degli esercizi 2001 e successivi,
- l’assunta inadeguatezza della garanzia ipotecaria accordata in relazione “alle caratteristiche concrete dell’operazione immobiliare finanziata”.
La Cassazione ha pertanto cassato la sentenza di merito impugnata, proprio in ordine alla carenza di motivazione del profilo “oggettivo” della condotta asseritamente “abusiva”, carente nell’indicazione del criterio logico-giuridico che aveva condotto il Tribunale alla formazione del proprio convincimento in ordine all’abusività del credito concesso all’impresa successivamente insolvente.