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Giurisprudenza

Cessione crediti tributari: limiti alle eccezioni

13 Dicembre 2023

Cassazione Civile, Sez. V, 20 novembre 2023, n. 32113 – Pres. Cataldi, Rel. Crivelli

Di cosa si parla in questo articolo

Con sentenza n. 32113 del 20 novembre 2023 la Sezione V della Corte di Cassazione (Pres. Cataldi, Rel. Crivelli) ha affrontato il caso di una cessione di crediti tributari contestata dall’Agenzia delle Entrate.

In particolare, a seguito del fallimento della società cedente i crediti tributari, il relativo curato fallimentare aveva intimato all’Amministrazione finanziaria di non effettuare il pagamento nei confronti della società cessionario, in quanto la stessa cessione poteva essere oggetto di revocatoria.

Successivamente, l’Agenzia delle Entrate aveva rifiutato il pagamento al cessionario sul presupposto del dubbio in ordine alla legittimazione dello stesso alla riscossione dei crediti tributari ceduti.

Sull’eccezione di astratta inefficacia

La Cassazione si è soffermata sulla possibilità per l’Amministrazione finanziaria di eccepire l’inefficacia dell’atto di cessione quale possibile conseguenza della sua revocabilità. Sul punto, la Cassazione ha ricordato come, in caso di cessione di crediti tributari nei confronti dell’amministrazione finanziaria, quest’ultima, quale debitore ceduto, può eccepire al cessionario non solo le eccezioni inerenti all’esistenza o alla validità del rapporto in base al quale è sorto il credito ceduto, ma altresì quei fatti che incidono ab origine sull’efficacia del contratto di cessione, poiché inerenti la legittimazione del cessionario.

Tuttavia, l’Amministrazione finanziaria non può eccepire quei vizi che non determinano l’originaria inefficacia, né la revocabilità, del rapporto di cessione, come nelle ipotesi di atti astrattamente revocabili ai sensi degli artt. 2901 C.c. e 65 e ss. L.F..

In tali casi, infatti, la cessione resta efficace fino al passaggio in giudicato della relativa pronuncia, senza la quale permane la piena legittimazione del cessionario a chiedere l’adempimento al debitore ceduto.

La cessione di credito, infatti, come noto, produce pieni effetti dal momento in cui viene notificata al debitore ceduto, ai sensi dell’art. 1264 C.c.

Con particolare riferimento al caso rimesso alla Corte, pertanto, il fallimento del cedente, successivo a tale notifica (correttamente effettuata dal cessionario all’Amministrazione finanziaria), non legittimava certo il curatore fallimentare a riscuotere il credito in assenza di una preventiva (e vittoriosa) azione revocatoria dell’atto di cessione; né, d’altronde, comportava l’efficacia liberatoria del pagamento che il debitore avesse in ipotesi effettuato al curatore, restando preclusa ogni possibilità di applicazione delle norme relative al pagamento del creditore apparente di cui all’art. 1189 C.c.

L’Amministrazione finanziaria, pertanto, non aveva alcun diritto di sospendere il pagamento del credito al cessionario, in quanto non vi era alcuna pronuncia giudiziale – né d’altronde neppure un giudizio pendente – che avesse revocato l’atto di cessione compiuto dal debitore originario al cessionario.

Sull’impugnabilità dei provvedimenti sospensivi

Inoltre la Cassazione, dal punto di vista più strettamente procedimentale, si è soffermata sul tema dell’impugnabilità dei provvedimenti sospensivi dell’amministrazione finanziaria ribadendo quanto già affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 5194 del 21/02/2019, ovvero che il provvedimento qualificato dall’amministrazione finanziaria come sospensivo del procedimento instaurato con istanza di rimborso, debba essere equiparato ad un rigetto dell’istanza di rimborso medesima.

Pertanto, tale provvedimento è direttamente impugnabile dal contribuente qualora l’amministrazione si rifiuti di procedere all’accertamento del credito e ne differisca indefinitamente l’esecuzione.

Nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria aveva infatti sospeso l’erogazione di un credito IRES, ceduto dal debitore originario ad un terzo soggetto cessionario, subordinandola ad una pronuncia giudiziale che accertasse la legittimazione del cessionario ad agire per il rimborso del credito; tale giudizio, tuttavia, non era pendente e l’Amministrazione finanziaria non aveva neppure esaminato il merito della spettanza stessa.

Osserva infatti la Corte come, con particolare riferimento al caso di specie, tale sospensione fosse di fatto del tutto comparabile ad un differimento sine die, equiparabile ad un rifiuto di rimborso.

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