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Giurisprudenza

Mutuo con garanzia MCC: nullo se la banca era consapevole dell’insolvenza

16 Gennaio 2024

Tribunale di Asti, 10 gennaio 2024 – Pres. Rampini, Rel. Dagna

Di cosa si parla in questo articolo

Con sentenza dell’8 gennaio 2024, il Tribunale di Asti (Pres. Rampini – Rel. Dagna) ha dichiarato la nullità di un contratto di mutuo bancario assistito da garanzia pubblica (fondo di garanzia MCC per le PMI) in ragione della consapevolezza, da parte della banca, dello stato di insolvenza del finanziato.

Infatti, la condotta della banca era apparsa così distante dalla diligenza professionale tipica del banchiere, da desumermene, in via presuntiva:

  • la piena consapevolezza delle reali condizioni di insolvenza del cliente, o, in ogni caso,
  • il completo disinteresse per le stesse,

con la consapevole accettazione del rischio di concedere un finanziamento ad un’impresa insolvente.

Secondo il Tribunale, ciò è avvenuto unicamente in ragione della possibilità, in concreto, di accedere alla garanzia statale MCC per il finanziamento concesso.

Condizione, conclude il Tribunale, in difetto della quale si può presumere che mai sarebbe stata omessa l’attività istruttoria ed erogato il finanziamento.

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Da un punto di vista causale, quindi, una volta riconosciuta, sin dalla concessione del mutuo, l’impossibilità da parte del mutuatario di restituire la somma mutuata, per il Tribunale la vera causa concreta del negozio sottoscritto deve ricondursi nell’ottenimento della garanzia statale in favore della parte mutuante.

Tale causa, distinta da quella tipica del contratto di mutuo, si pone in contrasto con le disposizioni normative di natura primaria e secondaria che regolano le modalità con le quali va condotta l’attività bancaria (l’art. 5 TUB e contenuto integrativo di cui alla Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013), nonché l’accesso alle garanzie prestate dal Fondo.

Il contratto, la cui causa effettiva è contraria a norme imperative, va quindi ritenuto nullo per illiceità della causa ai sensi dell’articolo 1343 C.c.

Quale chiosa finale, per il Tribunale l’intera operazione si pone altresì in contrasto sia con l’art. 316-ter C.p., che con l’art. 217, comma 1, n. 4, l. fall.

Quanto all’art. 316- ter C.p., è inevitabile rilevare che il contratto di muto oggetto di giudizio era in realtà funzionale all’indebito conseguimento da parte della banca di un contributo, consistente nella garanzia statale: ciò è potuto avvenire, però, solo grazie all’omissione di quelle informazioni che in realtà avrebbero dovuto essere fornite all’ente pubblico preposto all’erogazione dei finanziamenti.

L’istituto di credito, infatti, aveva il dovere di comunicare lo stato d’insolvenza del beneficiario, in relazione alle disposizioni normative che regolano l’accesso alle garanzie prestate dal Fondo (come gli allegati al D.M. Ministero attività produttive 23/09/2005) nonché delle istruzioni del MISE e delle raccomandazioni della Banca d’Italia.

Infine, tale operazione negoziale, in quanto idonea a procrastinare la dichiarazione di fallimento dell’impresa, è altresì in contrasto con l’art. 217, comma 1, n. 4, l. fall., poiché ne è conseguito un aggravamento del dissesto.

Conclusivamente, a fronte delle ragioni esplicitate in parte motiva, il Tribunale ha rigettato l’opposizione allo stato passivo avanzata dall’istituto di credito, definitivamente escludendo l’importo del finanziamento concesso dallo stato passivo del fallimento.

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