La Suprema Corte ribadisce il proprio consolidato orientamento secondo cui la c.d. bancarotta riparata si configura “quando la sottrazione dei beni facenti parte del compendio aziendale viene annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento e così annulli il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno” (ex multis, Cass. pen., Sez. V, 04 novembre 2014, n. 52077; Cass. pen., Sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4790; Cass. pen., Sez. V, 24 novembre 2017, n. 57759).«»
Nello specifico, presupposto necessario per l’applicazione di tale istituto, che determina l’insussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è che le somme versate abbiano una effettiva funzione reintegratrice del patrimonio, non rilevando i versamenti fatti ad altro titolo, come quelli effettuati a titolo di finanziamento. L’erogazione di un finanziamento infatti, pur determinando un immediato incremento delle disponibilità finanziarie, è operazione gravata dall’obbligazione restitutoria: pertanto esso non costituisce un’effettiva reintegrazione del patrimonio della società, la quale rimane obbligata alla restituzione, sia pure con postergazione rispetto al soddisfacimento degli altri creditori, ex art. 2467 c. 1 c.c. (per approfondimenti in tema di bancarotta riparata, C. Pedrazzi, sub Art. 216, in C. Pedrazzi, F. Sgubbi, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, in F. Galgano (a cura di), Commentario Scialoja-Branca. Legge fallimentare. Art. 216-227, Bologna, 1995, 72; O. Zampano, Bancarotta «riparata» e principio di offensività, in RTDPE, 2006, 745).