La Suprema Corte conferma il proprio costante orientamento in tema di reato di bancarotta semplice per mancata tempestiva richiesta di fallimento, secondo cui “la scelta di ritardare la dichiarazione di fallimento deve essere, in se stessa, determinata da un atteggiamento gravemente colposo”.
Infatti, la fattispecie di cui all’art. 217, c. 4 L. Fall. se da un lato punisce l’aggravamento del dissesto, dipendente dal semplice ritardo nell’avviare la procedura concorsuale, non essendo richiesto il compimento di ulteriori comportamenti concorrenti, dall’altro circoscrive la punibilità alla sola colpa grave, desumibile non in base ad un mero ritardo nella richiesta di fallimento, bensì, in concreto, da una provata e consapevole omissione (sul punto, Cass. pen., Sez. V, 21 aprile, 2017, n. 28609; Cass. pen., Sez. V, 12 marzo 2018, n. 18108).
Nel caso di specie, la colpa grave veniva desunta dalla consapevolezza, in capo agli imputati, della situazione di dissesto, conclamato dal 2008 (ma di fatto in atto dal 2006, secondo la relazione ex art. 33 L. Fall. presentata dalla curatela), che risultava irreversibile già da epoca ben precedente rispetto alla dichiarazione di fallimento, intervenuta nel 2012. In tale contesto, si contestava agli imputati di essersi astenuti dal richiedere la dichiarazione di fallimento, senza adottare al contempo alcun piano di risanamento strutturale della società (per approfondimenti, U. Giuliani Balestrino, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 2006, 370; C. Pedrazzi, Reati fallimentari, in AA. VV., Manuale di diritto penale dell’impresa. Parte generale, Milano, 2000, 130).
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