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Giurisprudenza

Reverse charge: detrazione IVA subordinata al principio di inerenza

31 Gennaio 2024

Luca Cicozzetti

Di cosa si parla in questo articolo

Con sentenza n. 140/2022, la Corte di Cassazione ha affermato che, in tema IVA, in ipotesi di applicazione del meccanismo del reverse charge, il diritto alla detrazione da parte del cessionario, derivante dall’annotazione nel registro degli acquisti, presuppone la sussistenza dell’inerenza dell’operazione rispetto all’attività d’impresa.

Conseguentemente, l’eventuale insussistenza di una connessione con l’attività d’impresa del soggetto passivo determinerà la ripresa della somma portata in detrazione, ferma, per contro, l’imposta dovuta.

Il principio contenuto nella sentenza in oggetto sembra essere conforme a diversi precedenti espressi dalla giurisprudenza unionale (cfr. Corte di Giustizia, sent. 1.10.2020, Vos Aannemingen BVBA, in C-405/19; 30.5.2013, X, in C-651/11; 29.10.2009, SKF, in C-29/08).

Nella fattispecie in esame, una società per azioni impugnava un avviso di accertamento avente ad oggetto l’indebita detrazione dell’IVA per l’anno 2006 in relazione ad operazioni passive poste in essere dalla medesima S.p.A. con una società svizzera, nonostante quest’ultima avesse ricevuto incarichi esclusivamente dalla propria controllante, senza che fosse documentata la conclusione e il contenuto di eventuali contratti infragruppo.

Da ciò, dunque, derivava – secondo l’Agenzia delle Entrate –, la carenza di prova dell’inerenza all’esercizio dell’attività svolta.

Alla luce di ciò, la contribuente proponeva ricorso deducendo l’infondatezza della pretesa dell’Ufficio, trattandosi di operazione effettuata con la procedura dell’inversione contabile, con conseguente irrilevanza della prova dell’inerenza.

Infatti, nell’ambito del meccanismo del reverse charge, il diritto alla detrazione IVA, a giudizio della ricorrente, doveva essere sempre e comunque riconosciuto nella stessa misura in cui l’imposta era stata indicata nell’autofattura ed esposta nel registro vendite, in corretta applicazione degli adempimenti formali previsti dalla normativa vigente.

Tale ricostruzione veniva avallata da entrambi giudici di merito.

Pertanto, l’Amministrazione finanziaria decideva di proporre ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione degli art. 17 e 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, sostenendo che la commissione tributaria regionale avesse errato in primo luogo, nel ritenere superfluo, nell’ambito del regime di inversione contabile, il requisito dell’inerenza delle prestazioni, e al contempo, nel considerare sufficiente, ai fini del riconoscimento e della spettanza della detrazione IVA, l’osservanza degli obblighi relativi all’autofatturazione. 

In tal senso, la CTR aveva fatto espresso riferimento ai principi espressi dalla Corte di Giustizia nel caso ECOTRADE (C-95/07 e C-97/07, pronuncia dell’8 maggio 2008), dove questa afferma che, in linea di principio, in caso di applicazione del reverse charge nulla sia dovuto, in principio, all’erario.

Preliminarmente, la Corte di Cassazione ripercorreva le modalità di assolvimento ordinario dell’imposta, sottolineando come il meccanismo di inversione contabile sposti sul cessionario l’onere di versare l’IVA: infatti, chi effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi non espone l’imposta in fattura e non è debitore verso l’Erario, mentre chi riceve la fattura emessa in regime di reverse charge, è tenuto ad integrarla con l’IVA dovuta e a provvedere alla relativa annotazione nel registro delle vendite.

Al fine poi di consentire il sorgere dell’esercizio del diritto di detrazione, è prevista l’annotazione della stessa operazione nel registro degli acquisti, così da riequilibrare il sistema in coerenza con i principi di neutralità.

I giudici di legittimità proseguivano evidenziando che mentre il versamento dell’IVA è dovuto in relazione alla natura dell’operazione di scambio, il diritto di detrazione da parte del cessionario è condizionato alla sussistenza oltre che delle condizioni soggettive (ossia che lo stesso cessionario sia un soggetto passivo), anche di quelle oggettive, ossia che i beni o servizi siano utilizzati ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta (cfr. art. 168, lett. a) Direttiva 2006/112/CE).

La mancanza delle condizioni sopra esposte impedisce il sorgere del diritto di detrazione, con la conseguenza che l’annotazione sul registro degli acquista determina una fruizione indebita del diritto medesimo.

Da ciò consegue che, nel regime dell’inversione contabile, il versamento dell’IVA effettuato dal cessionario in luogo del cedente, si configura come unico versamento dell’imposta nei confronti dell’Erario.

Invece, il diritto di detrazione che deriva dall’annotazione nel registro degli acquisti, presuppone che vi siano le condizioni sostanziali – tra le quali deve essere ricompresa anche l’inerenza dell’operazione rispetto all’attività d’impresa – per fruirne e, qualora ne sia accertata l’insussistenza, comporta la ripresa della somma portata in detrazione, ferma, per contro, l’imposta dovuta.

In virtù delle ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate e cassava la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR in diversa composizione.

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