Il giudizio de quo ha ad oggetto l’impugnazione del provvedimento con cui la Corte d’Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Forlì, ha accertato la validità ed efficacia della garanzia fideiussoria prestata da una società in accomandita semplice in favore di una società a responsabilità limitata. Nella specie, la ricorrente ha lamentato l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale laddove ha ritenuto che la mera indicazione della possibilità di rilasciare fideiussioni nell’oggetto sociale fosse sufficiente ad accertare l’efficacia della garanzia nei confronti dei terzi, senza necessità di alcuna indagine, da parte di questi ultimi, in ordine alla coerenza dell’operazione con l’interesse della società. In particolare, la ricorrente ha richiamato i principi espressi da Cass. 25409/2016, secondo cui “ai fini della valutazione della pertinenza di un atto degli amministratori all’oggetto sociale, il criterio da seguire è quello della strumentalità, diretta o indiretta, dell’atto rispetto all’oggetto sociale stesso”, mentre “non è sufficiente il criterio dell’astratta previsione, nello statuto, del tipo di atto posto in essere”.
Sul punto, la Suprema Corte ha fondato il proprio ragionamento sull’analisi dell’art. 2298 c.c. in materia di rappresentanza nelle società di persone. Al riguardo, la Corte ha evidenziato che: (i) il dettato dell’art. 2298 c.c. mostra di considerare “rilevante il dato oggettivo della previsione dell’atto nell’oggetto sociale, senza suggerire la necessità di un accertamento caso per caso della sua effettiva strumentalità rispetto a tale oggetto”; (ii) nell’ottica del bilanciamento tra le ragioni della società e la tutela dell’affidamento dei terzi, l’art. 2298 c.c. riconosce “rilievo preminente al dato della formale indicazione dell’atto nell’oggetto sociale, senza rimandare ad una verifica in concreto della strumentalità, mediante un accertamento che sarebbe decisamente arduo per il terzo e che introdurrebbe elementi di persistente incertezza circa l’efficacia di singoli atti, pur astrattamente previsti nell’oggetto sociale”.
In aggiunta, la Corte ha altresì evidenziato che la necessità di tutelare l’affidamento dei terzi è stata oggetto di attenzione già da Cass. n. 4774/1999 la quale, ancor prima della Riforma del 2003, ha rilevato che “in tema di limiti ai poteri degli amministratori delle società derivanti dall’oggetto sociale, l’introduzione in relazione alla disciplina delle società delle regole contenute nell’art. 2384 c.c. [e nell’art. 2384 bis c.c.] non è suscettibile di applicazione analogica nei confronti delle società di persone, regolate da specifiche norme”; tuttavia, ,la disciplina delle società di capitali – che, a differenza dell’art. 2298 c.c., esclude la possibilità di opporre ai terzi le limitazioni al potere di rappresentanza, anche se pubblicate e con l’unica eccezione dell’exceptio doli – svolge “un indubbio «effetto di irraggiamento» sull’intero sistema, nel senso di imporre, anche in relazione alle società di persone, in ossequio al principio della tutela dell’affidamento dei terzi, una concezione più sfumata dei limiti al potere di rappresentanza degli amministratori derivanti dall’oggetto sociale, da intendere con molta larghezza”.
In ragione della chiarezza della disposizione, che attribuisce rilievo al solo dato formale dell’oggetto sociale, la Suprema Corte ha quindi dichiarato superato il diverso principio espresso da Cass. n. 25409/2016 – peraltro, come specificato dalla stessa Corte, riferito alla diversa ipotesi in cui l’oggetto sociale sia formulato in termini generici – e ha di contro ritenuto tuttora attuale il precedente orientamento espresso da Cass. n. 4774/1999, così confermando l’interpretazione dell’art. 2298 c.c. secondo cui l’ampiezza dei poteri degli amministratori di società di persone deve essere verificata unicamente alla luce del dato formale dell’oggetto sociale, non potendosi imporre al terzo l’onere di verificare nel caso concreto la strumentalità dell’atto compiuto dagli amministratori all’oggetto sociale.