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Approfondimenti

Manipolazione del tasso Euribor e riflessi sulla clausola degli interessi

12 Aprile 2024

Luciano Castelli, Partner, LCA Studio Legale

Gian Paolo Coppola, Partner, LCA Studio Legale

Michele Petriello, Partner, LCA Studio Legale

Marta Caprino, Mid-Level Associate, LCA Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il dibattito sorto anche a seguito della pronuncia Cassazione n. 34889 dell’ottobre scorso in ordine alla sorte dei contratti di finanziamento a tasso variabile interessati dal problema della Manipolazione dell’Euribor.


1. Premessa

L’ordinanza n. 34889 della III Sezione Civile della Corte di Cassazione, resa in data 12 ottobre 2023 e pubblicata in data 13 dicembre 2023, sta suscitando enorme interesse nell’opinione pubblica e in numerosi studiosi, ma sta altresì alimentando notevoli speranze in coloro che, tra il 29 settembre 2005 ed il 30 maggio 2008, hanno stipulato un mutuo o un finanziamento a tasso variabile basato su un tasso Euribor manipolato ed auspicano ora un equo rimborso[1].

Per comprendere meglio la portata della predetta ordinanza occorre ricostruire in modo critico la vicenda, che è quella, appunto, in cui si innestano le questioni giuridiche affrontate. A tal fine, appare però imprescindibile un breve cenno ai concetti di Euribor e intesa. Una volta delineati questi concetti chiave, si analizzeranno:

  1. dapprima, la decisione della Commissione Europea del 4 dicembre 2013, che ha accertato l’esistenza di un’intesa lesiva della concorrenza tra alcune banche internazionali per il periodo 2005-2008, a seguito di una manipolazione del tasso Euribor applicabile ai prestiti bancari;
  2. successivamente, l’ordinanza n. 34889 citata in apertura, soffermandosi sulle opinioni espresse dai primi commentatori, richiamando le prime pronunce di merito sul tema e concludendo con la recentissima richiesta del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione di sottoporre la questione alle Sezioni Unite.

1.1 L’Euribor

L’Euribor, abbreviazione di Euro Inter-Bank Offered Rate, è definito dalla Banca d’Italia come il “tasso d’interesse, applicato ai prestiti interbancari in euro non garantiti, calcolato giornalmente come media semplice delle quotazioni rilevate su un campione di banche con elevato merito di credito selezionato periodicamente dalla European Banking Federation”. Si tratta, in altri termini, di un parametro che consente al mercato di “fotografare” il tasso di interesse a cui le principali banche dell’eurozona, in un dato momento, sono disposte a scambiarsi denaro tra loro, principalmente a titolo di finanziamento. L’Euribor viene calcolato quotidianamente dalla Federazione Bancaria Europea, sulla base dei tassi di deposito interbancario forniti da un panel di banche, ed è generalmente distinto in base alla sua durata (Euribor 1 mese, Euribor 3 mesi, Euribor 6 mesi ed Euribor 12 mesi etc.). Il risultato finale viene poi pubblicato dallo European Money Markets Institute.

L’andamento dell’Euribor, per quanto qui di interesse, si riflette inevitabilmente sui contratti di mutuo a tasso variabile o di leasing, ove il tasso di interesse è generalmente “agganciato” proprio a detto parametro, aumentato di una percentuale che gergalmente viene definita spread”.

1.2 L’intesa ex art. 101 TFUE e la decisione della Commissione Europea del 4 dicembre 2013

Come accennato, occorre ora soffermarsi sul concetto di “intesa”, così come disciplinato dall’art. 101 TFUE. Tale disposizione, ai commi 1 e 2, prevede che:

1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:

  1. fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione[2];
  2.  limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
  3. ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
  4.  applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
  5. subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.

2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto.

È proprio la disposizione sopra richiamata che costituisce il presupposto giuridico della decisione assunta il 4 dicembre 2013 dalla Commissione Europea, la quale ha accertato l’illegittimità di un cartello tra alcune banche europee (Barclays, Deutsche Bank, Société Générale ed il gruppo Royal Bank of Scotland) volto alla manipolazione del tasso Euribor.

Più nello specifico, tale decisione è stata emessa ad esito del procedimento avviato da Barclays, la quale aveva segnalato l’esistenza di un cartello nel settore degli EIRD (Euro Interest Rates Derivatives)[3] e, manifestando l’intenzione di cooperare con la Commissione, aveva formulato domanda di immunità. L’intesa oggetto del procedimento si era articolata, in estrema sintesi, nello scambio di comunicazioni tra il personale degli istituti di credito coinvolti al fine di concordare il valore dell’Euribor, così da limitare – nel periodo compreso tra il 29 settembre 2005 ed il 30 maggio 2008 – l’esposizione di dette banche rispetto ai prodotti derivati (EIRD) e dipendenti dal predetto parametro[4].

Chiarito che, sulla base dell’art. 101 TFUE[5], “si può parlare dell’esistenza di un accordo qualora le parti aderiscano ad un piano comune che limiti o possa limitare le condotte commerciali individuali determinando le linee delle loro azioni reciproche o della loro astensione dall’azione sul mercatoe che detto accordo può essere esplicito o implicito, la Commissione Europea ha:

  1. riconosciuto che “i tassi di riferimento sono una componente importante del prezzo degli strumenti finanziari derivati dal tasso di interesse con il quale sono acquistati e venduti dalle banche”;
  2. accertato che “attraverso l’obiettivo comune di falsare il normale processo per la determinazione del prezzo degli EIRD, i trader partecipanti puntavano a beneficiare delle posizioni sul mercato immesse a nome delle loro banchein modo collusivo; poiché la condotta delle banche partecipanti risulta “nel complesso designata a ridurre anticipatamente il fattore d’incertezza che sarebbe altrimenti stato presente nel mercato circa il comportamento futuro degli altri competitor […] falsando la loro rivalità sul mercato e permettendone la collusione”.

Pertanto, stante la sussistenza dei presupposti applicativi dell’art. 101 TFUE, vale a dire – per quanto più rileva ai fini del presente scritto – (i) la natura d’impresa degli operatori coinvolti (i c.d. undertakings nel diritto dell’Unione Europea, cioè più propriamente “enti economici”); (ii) la sussistenza di un accordo o di una pratica concertata lesiva della concorrenza sul mercato unico; (iii) l’assenza di cause giustificative e di necessità e proporzionalità delle misure restrittive, la Commissione ha ritenuto che le condotte manipolative tenute dalle banche coinvolte fossero frutto di un’intesa, come tale nulla.

Dopo la decisione del 2013, il 7 dicembre 2016 la Commissione ha inflitto ulteriori sanzioni, per i medesimi fatti, anche a Crédit Agricole, HSBC e JPMorgan Chase.

2. La giurisprudenza successiva alla decisione della Commissione Europea e l’ordinanza n. 34889/2023 della Corte di Cassazione

A seguito della decisione assunta dalla Commissione Europea, è sorto l’interrogativo se quanto accertato dalla stessa potesse applicarsi o meno a tutti i mutui ancorati all’Euribor stipulati tra il 29 settembre 2005 ed il 30 maggio 2008, rilevando che il tasso in questione fosse, “a valle”, frutto di un accordo “a monte” derivante da un’intesa vietata ai sensi della legge n. 287 del 1990, c.d. legge antitrust.

Per quanto riguarda la normativa italiana, è infatti l’art. 2 della predetta legge a prevedere, in ossequio ai Trattati, che le intese restrittive della concorrenza – e, dunque, vietate – siano nulle ad ogni effetto.

In realtà, anche in ragione del fatto che non vi è mai stata unanimità di vedute nel rispondere al quesito (tanto da parte dei giuristi, quanto dagli osservatori del mercato bancario), la decisione europea ha avuto scarso impatto sui contenziosi bancari. Tant’è vero che, solo sei giorni prima rispetto alla nota ordinanza n. 34889, la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza del 6 ottobre 2023, n. 1494, ha precisato che: “quanto all’asserita nullità “a valle” conseguente alla invalidità “a monte” della sua determinazione in quanto effettuata in violazione della normativa antitrust, deve osservarsi la inconferenza della prospettazione, atteso che non vi è prova del coinvolgimento della concedente (nel giudizio di merito, un istituto bancario, n.d.r.) alla intesa concorrenziale. L’interferenza tra le regole di mercato e la disciplina della nullità negoziale può essere in astratto sostenuta soltanto laddove si dimostri un collegamento esogeno e funzionale tra le intese restrittive della concorrenza a monte ed il contratto concluso a valle tra l’operatore qualificato, vincolato dall’intesa stessa, ed il terzo estraneo ad essa. In ogni caso, la nullità del contratto a valle non può affatto darsi per scontata, ma presuppone che si dia prova: a) dell’esistenza dell’intesa restrittiva; b) dell’illiceità della stessa mediante allegazione dell’accertamento, in sede amministrativa, dell’intesa anticoncorrenziale; c) della connessione tra questa ed il contratto a valle. Non sussistendo alcuno di questi elementi, non può in alcun modo ritenersi che il mero riferimento all’Euribor costituisca indice di nullità del tasso pattuito[6].

In termini coerenti con la pronuncia sopra richiamata si è posta anche la Corte di Appello di Milano, con la sentenza dell’8 marzo 2022, n. 775, secondo cui: “se è vero che gli istituti di credito che contribuiscono alla determinazione dell’Euribor possono influenzarne l’ammontare (come accertato dalla Commissione), ciò non basta a dimostrare l’esistenza di accordi tra le banche interessate dirette ad influenzare la determinazione del tasso, così da potersi affermare (come l’appellante postula) l’illiceità dell’intero meccanismo. Una intesa illecita tra gli istituti di credito può determinare violazione dell’art. 101 del Trattato UE in materia di concorrenza solo a condizione che sia provata l’esistenza di una intesa manipolativa di cui sia parte l’istituto bancario contraente del contratto di cui si assume la nullità. Si tratta di presupposti inesistenti nel caso in esame, ove la Concedente non è un istituto bancario partecipante al panel per la determinazione dei tassi e, come tale, risulta assolutamente estranea a possibili condotte illecite del tipo di quelle accertate dalla Commissione UE nel 2013”.

Avverso la predetta sentenza è stato poi depositato ricorso per Cassazione, deciso proprio con l’ordinanza n. 34889. Con tale provvedimento, la Cassazione ha accolto il ricorso, statuendo che “qualsiasi forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque forma essa venga posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 2 della legge antitrust […] a prescindere dal fatto che all’ intesa illecita avesse o meno partecipato [la banca concedente] giacché raggiunto dal divieto di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 2 è qualunque contratto o negozio a valle che costituisca applicazione delle intese illecite concluse a monte”. In altri termini, la Suprema Corte pare aver ribaltato la sentenza della Corte di Appello di Milano nella misura in cui quest’ultima aveva ritenuto che la mera partecipazione di più banche per la determinazione del tasso Euribor non implicasse, di per sé, la sussistenza di un’intesa vietata dall’art. 2 della legge n. 287/1990 e che, in ogni caso, assumesse valore decisivo il fatto che la banca convenuta non avesse partecipato all’intesa manipolativa.

In ragione di quanto sopra, alla decisione della Commissione Europea deve addirittura essere riconosciuto – ad avviso della Corte – valore di prova privilegiata dell’accordo manipolativo della concorrenza, a prescindere dal fatto che all’intesa illecita abbia o meno partecipato la banca convenuta.

3. I contratti stipulati “a valle” delle intese restrittive

Il dibattito aperto dalla pronuncia n. 34889 della Corte di Cassazione muove da un dato pacifico: esso riguarda la sorte dei contratti di mutuo o, in generale, di finanziamento a tasso variabile riferiti all’andamento del tasso Euribor stipulati con la clientela dalle banche italiane che, come visto, non hanno preso parte all’intesa per la manipolazione del tasso.

3.1 Nullità

L’ordinanza appena richiamata recepisce la tesi sostenuta da una parte minoritaria della dottrina, la quale ha affermato, con decisione, la nullità dei contratti stipulati “a valle” delle intese restrittive. Siffatta azione di nullità presupporrebbe, ovviamente, la legittimazione passiva dell’istituto di credito contraente, di norma riconosciuta laddove la banca convenuta abbia concorso all’intesa restrittiva.

Viceversa, non è chiaro – ad oggi – se l’azione di nullità possa essere esperita anche nei confronti delle banche che, come quelle italiane, non abbiano partecipato a tale manipolazione, in virtù del semplice riferimento al tasso Euribor manipolato nel periodo di riferimento.

3.1.1 Collegamento “funzionale” e Cass., Sez. Un., n. 41994/2021.

Secondo una prima tesi, alla fattispecie in commento andrebbero applicate le medesime conclusioni che hanno condotto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza del 30 dicembre 2021, n. 41994, ad affermare la nullità delle clausole che, nei contratti di fideiussione stipulati a valle, riproducono lo schema predisposto dall’ABI, già censurato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato perché qualificato al pari di un’intesa vietata.

In particolare, secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, l’art. 2 legge n. 287/1990 vieta il risultato concreto della distorsione della concorrenza e non semplicemente l’intesa distorsiva della concorrenza: il divieto, pertanto, non potrebbe che estendersi all’intera situazione posta in essere, comprensiva degli accordi attuativi con la clientela. Di fronte ad un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, infatti, è l’acquirente finale del prodotto offerto dal mercato a veder eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra i prodotti in concorrenza: il c.d. contratto “a valle” costituirebbe, pertanto, lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti. Il cliente, subendo un danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione “a monte”, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui all’art. 33 legge n. 287/1990.

Ricorrerebbe, allora, un collegamento funzionale, che può prescindere dal collegamento negoziale, quando l’atto a valle ha una propria causa illecita o diventa esso stesso strumento di attuazione dell’intesa anticoncorrenziale: al contratto “a valle”, in sintesi, non può attribuirsi rilievo giuridico diverso da quello della intesa che va a strutturare. In quest’ottica, si tratterebbe di una nullità per violazione dell’ordine pubblico, ulteriore e speciale rispetto alle nullità previste dal Codice civile o dalle leggi speciali. Una simile “specialità” dipenderebbe dal fatto che detta nullità presenta una portata molto più ampia, poiché idonea ad incidere su atti che presentano una struttura giuridica differente tra loro. Peraltro, tale nullità riguarderebbe parti del contratto diverse rispetto a quelle del contratto a monte.

Secondo la Corte di Cassazione sarebbe l’espressione “ad ogni effetto” dell’art. 2 cit. che permetterebbe di far riverberare la nullità (parziale) del contratto a monte sul contratto “a valle”. In tale prospettiva, l’intesa vietata obbligherebbe gli aderenti a tenere determinati comportamenti, che esplicherebbero i loro effetti, da ultimo, proprio con i contratti “a valle”, ciò in quanto la nullità anticoncorrenziale è una nullità di protezione e, pertanto, non potrebbe che esplicare i propri effetti direttamente sul cliente, ossia sul soggetto che la norma è deputata a tutelare.

Alla luce di quanto sopra è evidente che, nel delineato contesto, il già citato art. 2 della legge antitrust, unitamente al richiamato art. 101 TFUE, gioca un ruolo chiave, rendendo nulle le condizioni contrattuali che incorporano i tassi manipolati, indipendentemente dall’intenzione o dalla partecipazione alla manipolazione da parte delle banche coinvolte.

3.1.2 L’insussistenza dell’alea razionale

Altra parte della dottrina ha sostenuto la nullità dei contratti in questione prendendo le mosse dai principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza del 12 maggio 2020, n. 8770. In particolare, riportandosi alla tesi elaborata dalla Corte d’Appello di Milano nella sentenza del 18 settembre 2013, est. Carla Romana Raineri, la Corte ha affermato la liceità dei contratti derivati c.d. “swap” solo in presenza di una precisa misurabilità e determinazione dell’oggetto contrattuale che consenta al cliente di valutare razionalmente l’alea connessa al contratto.

La causa tipizzante del contratto derivato, infatti, è la creazione di una reciproca alea consapevole e razionale definita contrattualmente, parametrata e misurabile: quest’ultima, dunque, è elemento essenziale del contratto e parametro di valutazione della causa.

I contratti in questione, allora, sarebbero nulli per assenza di causa ex art. 1418, comma 2, cod. civ. (o, comunque, parzialmente nulli ai sensi dell’art. 1419 cod. civ.), considerando che la manipolazione del tasso Euribor varrebbe automaticamente ad escludere l’alea ontologicamente richiesta dalle pattuizioni in commento.

3.1.3 Le conseguenze della nullità: l’azione di ripetizione dell’indebito e il problema del tasso sostitutivo

Affermata la nullità dei contratti “a valle”, occorre dunque interrogarsi sulle conseguenze di tale impostazione.

L’azione di nullità non pone particolari questioni: è imprescrittibile e legittimato attivo è chiunque abbia subìto un danno dall’intesa restrittiva. Con riferimento, tuttavia, alla conseguente azione di ripetizione, soggetta al termine decennale di prescrizione ai sensi dell’art. 2946 cod. civ.[7] si rende necessario individuare il dies a quo.

La Corte di Giustizia ha ritenuto contraria al principio di effettività, in tema di clausole lesive degli interessi dei consumatori, la tesi che faceva coincidere il dies a quo con il momento della stipula del contratto, osservando che, invece, è necessario riferirsi al momento – non di agevole individuazione – in cui il cliente ha saputo o avrebbe dovuto sapere della nullità del contratto. In proposito, si è fatto riferimento al momento della pubblicazione della sintesi della decisione della Commissione Europea (nel caso di specie il 30 giugno 2017) o, al massimo, al momento della pubblicazione integrale di detta decisione. Sul punto, tuttavia, sono state avanzate alcune perplessità circa il fatto che dalla pubblicazione sul sito internet della Commissione possa presuntivamente desumersi la conoscibilità generale della decisione, alla stregua di quanto avverrebbe per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Né, d’altro canto, potrebbe fondatamente sostenersi che il termine decorra solo a seguito della declaratoria di nullità, così rendendo l’azione di ripetizione, di fatto, imprescrittibile, al pari di quella di nullità.

Oltretutto, altrettanto controverso è anche l’oggetto dell’azione di ripetizione, consistente nella differenza tra quanto corrisposto in applicazione del tasso Euribor manipolato e quanto risulterebbe dovuto in applicazione del tasso sostitutivo. Con riferimento a quest’ultimo parametro, infatti, sono state espresse due opinioni distinte:

  1. una prima tesi fa riferimento al tasso dei buoni ordinari del tesoro annuali indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze di cui all’art. 117 T.U.B, ritenendo quest’ultima la norma speciale dedicata alla disciplina dei contratti bancari;
  2. una seconda tesi, invece, sostiene che nel calcolo della somma indebitamente versata dal cliente dovrebbe aversi riguardo al tasso legale di cui all’art. 1284, comma 3, cod. civ. nel periodo considerato, posto che l’art. 117, comma 7, T.U.B. – prevedendo una struttura equitativa – avrebbe l’inaccettabile effetto di ridurre gli effetti della trasparenza[8].

In ogni caso, muovendo dal presupposto, già accennato, che la manipolazione dell’Euribor non è avvenuta con l’obiettivo e, soprattutto, il risultato di tenere il tasso necessariamente alto, il cliente ben potrebbe non aver subìto necessariamente un danno.

3.1.4 La nullità dei contratti “a valle” nella giurisprudenza di merito successiva alla pronuncia della Corte di Cassazione

Anche parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto di condividere la tesi della nullità dei contratti “a valle”, sulla scia di quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza del dicembre 2023.

Ad esempio, la Corte di Appello di Cagliari, Sez. distaccata di Sassari, nella sentenza del 18 gennaio 2024, n. 41, ha ritenuto che “la nullità dell’intesa antitrust a monte – recepita per determinare il tasso nel contratto a valle – comporta la nullità per violazione di norma imperative ex art. 1418 c.c. della convenzione di interessi e la conseguente applicazione del tasso legale in luogo del tasso contrattuale parametrato all’Euribor” (enfasi aggiunta). Secondo la Corte di Appello sarda, infatti, l’art. 1418 cod. civ. ha concepito un sistema aperto, alla stregua del quale deve ritenersi violativo di norme imperative qualsiasi assetto contrattuale che si ponga in contrasto con precetti inderogabili, quale è certamente la disciplina posta a tutela della libera concorrenza[9].

Anche la Corte di Appello di Trieste, nell’ordinanza del 24 gennaio 2024, ha ritenuto necessario – anche alla luce dell’ordinanza n. 34889/2023 della Suprema Corte – disporre la CTU al fine di ricalcolare l’intero piano finanziario di rimborso, peraltro chiedendo al consulente di fornire una duplice prospettazione: l’una applicando i soli interessi al tasso legale ex artt. 1346 e 1284, 1° e 3° comma, cod. civ., l’altra applicando il tasso sostitutivo di cui all’art. 117, 7° comma, T.U.B.

Inoltre, come riportato da due contributi pubblicati su “Il Sole 24 Ore – Plus 24”, anche il Giudice dott.ssa Viola Nobili, della VI Sezione civile del Tribunale di Milano, all’udienza del 10 gennaio 2024, ha invitatole parti ad individuare una conciliazione basata sull’eliminazione degli interessi relativi al periodo di violazione della normativa antitrust accertata dalla commissione europea”.

3.2 La tesi che esclude la nullità dei contratti “a valle”

L’orientamento maggioritario, in realtà, esclude che si possa ricorrere al rimedio demolitorio, come invece parrebbe (ma il condizionale è d’obbligo) aver sostenuto la Corte di Cassazione; il tutto sulla base di molteplici argomentazioni.

3.2.1 Carenza di legittimazione passiva

Innanzitutto, si è escluso che possa ritenersi nullo il contratto stipulato dall’istituto di credito che non abbia partecipato direttamente all’intesa restrittiva.

Secondo tale tesi anche all’azione di nullità dovrebbe applicarsi la disciplina contenuta nella dir. 2014/104/UE, relativa alle norme che regolano le azioni risarcitorie, ai sensi del diritto nazionale, per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione Europea; poi trasposta nell’ordinamento italiano con il d.lgs. del 19 gennaio 2017 n. 3. In base a tale normativa, infatti, la legittimazione passiva per il danno causato da una violazione del diritto della concorrenza (art. 1 d.lgs. 3/2017) è attribuita esclusivamente all’autore della violazione, i.e. l’impresa o l’associazione di imprese che ha commesso la violazione del diritto della concorrenza (art. 2 comma 1, lett. a) (Trib. Torino 29 gennaio 2024).

3.2.2 Il contratto di credito parametrato all’Euribor non costituisce lo “sbocco” dell’intesa vietata

Anche a prescindere dalla questione della legittimazione, si è poi escluso che tali contratti costituiscano effettivamente lo “sbocco”, ovverosia il prodotto, dell’intesa anticoncorrenziale.

Sul punto, la più importante pronuncia successiva all’ordinanza in commento è quella del Tribunale di Torino del 29 gennaio 2024, rel. dott. Enrico Astuni. Segnatamente, il Tribunale di merito – che pure dà atto della recentissima sentenza della Corte di legittimità e di quella delle Sezioni Unite in materia di fideiussioni omnibus – ha osservato che, nel caso di specie, lo scopo illecito delle banche è consistito nel miglioramento dei propri flussi reddituali in relazione alle “posizioni di negoziazione/esposizioni assunte”, come osservato dalla Decisione della Commissione Europea. Il Tribunale, osservando che la medesima Commissione ha escluso che sia esistito un uniforme interesse del ceto bancario a mantenere necessariamente alto il tasso Euribor, ha provveduto a tratteggiare una duplice differenza con il precedente riguardante lo schema di fideiussione omnibus raccomandato dall’ABI alla generalità delle banche aderenti e da queste adottate: i) da un lato, infatti, è mancato l’intervento di un ente esponenziale degli interessi dell’intero ceto bancario; ii) dall’altro lato, è mancata altresì una posizione comune all’intero ceto bancario nei confronti della clientela.

In considerazione delle predette differenze e adottando gli stessi criteri ermeneutici dettati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 41994/2021 la conclusione a cui si dovrebbe giungere è quella di escludere che possa essere qualificato come contratto “a valle” qualsiasi contratto di credito in corso di esecuzione negli anni tra il 2005 e il 2008 parametrato all’Euribor, a prescindere dall’accertamento – ritenuto dal Tribunale comunque decisivo – dell’adesione dell’impresa bancaria all’intesa per la manipolazione del prezzo. Alcun nesso “funzionale”, sostanzialmente, potrebbe essere affermato in materia.

D’altro canto, resta pur sempre dubbio, a parere di alcuni, in base a quale disposizione normativa le Sezioni Unite abbiano dichiarato la nullità dei contratti “a valle”: a tal fine, infatti, non sarebbe sufficiente il richiamo alla disposizione di cui all’art. 2 legge n. 287/1990, secondo cui “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”, che sembra riferirsi esclusivamente, appunto, alle intese “tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante” e non, dunque, ai contratti “a valle”.

3.2.3 La liceità della causa e dell’oggetto, la determinatezza dell’oggetto e il collegamento “negoziale”

Sotto un ulteriore profilo, si è pure escluso che la nullità dei contratti stipulati con i clienti possano ritenersi nulli per illiceità della causa o dell’oggetto. Da un lato, infatti, è evidente che il contratto non ha in sé alcuna funzione illecita che giustifichi una declaratoria di nullità della causa; dall’altro lato, poi, neppure potrebbe ritenersi che i suddetti contratti abbiano in sé un elemento di disvalore che giustificherebbe la declaratoria di nullità.

Inoltre, neppure potrebbe predicarsi la nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto, stante che la relatio al parametro Euribor soddisfa i requisiti di legge, posto che il cliente può conoscere l’evoluzione del tasso, trattandosi di un dato conosciuto, conoscibile e pubblicizzato (sul punto, si veda: Trib. Catania 11 luglio 2018).

Né, infine, potrebbe parlarsi di nullità derivata conseguente ad un collegamento negoziale, non essendo ravvisabili i requisiti soggettivi e oggettivi di detta fattispecie.

3.2.4 Non è configurabile una nullità temporizzata o sopravvenuta

La tesi della nullità è stata altresì ritenuta infondata in quanto essa si sostanzierebbe in una inammissibile nullità c.d. “temporizzata” (con conseguente paralisi delle clausole nel periodo di riferimento, pur sostenuta in dottrina), ossia relativa al solo periodo intercorrente tra il 2005 e il 2008, laddove il contratto di finanziamento – come nella maggior parte dei casi – sia stato stipulato anteriormente. Al contrario, come noto, la nullità è un vizio che attiene al sinallagma genetico del rapporto e, come tale, non potrebbe essere determinata da eventi sopravvenuti.

Del resto, in linea con quanto sopra, anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno recisamente negato l’esistenza della categoria dell’invalidità sopravvenuta, escludendo che “il superamento del tasso soglia di usura al tempo del pagamento da parte del tasso convenzionale inferiore a tale soglia al momento della pattuizione comporti la nullità o l’inefficacia della corrispondente clausola contrattuale o comunque l’illiceità pretesa del pagamento del creditore” (nello stesso senso, con specifico riferimento al tasso Euribor, Trib. Catania 11 luglio 2018, secondo cui “per configurare una tale nullità, occorrerebbe che il tasso fosse già alterato al momento della sottoscrizione del contratto”).

4. Rimedi alternativi

4.1 Annullabilità

Escluso il ricorso al rimedio demolitorio occorre ora soffermarsi su quelli alternativi.

Secondo una prima tesi, antitetica rispetto a quella che predica la nullità, i contratti in questione sarebbero annullabili ai sensi dell’art. 1439, 2° comma, cod. civ., ovverosia in virtù della norma che dispone l’annullabilità del contratto anche nell’ipotesi in cui i raggiri siano stati posti in essere da un terzo (i.e. le banche cartelliste) ed essi fossero stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio.

Tuttavia, anche tale tesi implica un duplice ordine di problematiche, di non poco conto:

  1. in primo luogo, è tutt’altro che pacifico che possa parlarsi di “dolo determinante” e non di “dolo incidente”. Del resto, proprio mutuando il ragionamento che ha condotto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione a ritenere soltanto parziale la nullità dei contratti di fideiussione omnibus riproducenti lo schema ABI, risultato dubbio se, in assenza dei raggiri dei terzi, il cliente non avrebbe comunque inteso stipulare il contratto in questione; sicché, dovrebbe allora discutersi, più propriamente, di “dolo incidente”, con conseguente risarcibilità del danno differenziale secondo le regole della responsabilità precontrattuale di cui all’art. 1337 cod. civ.;
  2. in secondo luogo, in tema di prova, appare quantomeno ardua la dimostrazione della conoscenza da parte della banca contraente della manipolazione censurata a livello europeo, soprattutto nei casi in cui il contratto sia stato stipulato in un periodo anteriore al 2005.

Il tutto senza considerare un’ulteriore difficoltà, comune a quella già trattata in materia di nullità, che riguarderebbe l’individuazione del dies a quo del decorso del termine prescrizionale dell’azione di annullamento. Meno problematica sarebbe, invece, l’individuazione del dies a quo del decorso del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione, il quale decorrerebbe dal passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento, che ha pacificamente carattere costitutivo.

4.1.1 Reductio ad aequitatem/arbitraggio

Tra le tesi che escludono che possa dichiararsi la nullità dei contratti “a valle” stipulati dagli intermediari che non hanno partecipato all’intesa restrittiva della concorrenza, una delle più suggestive è quella che fa riferimento alla fattispecie di cui all’art. 1349 cod. civ.

In tale prospettiva, il riferimento al parametro Euribor dovrebbe correttamente essere inteso come la scelta dei contraenti di rimettere ad un arbitratore collettivo (il panel delle Banche) la scelta dell’indice a cui legare il tasso del finanziamento. Trattandosi, ovviamente, di un arbitraggio di un bonus vir, la determinazione “manifestamente iniqua” – quale certamente sarebbe quella conseguente all’intesa restrittiva della concorrenza – potrebbe essere sostituita da quella del giudice. In tal modo, la previsione legale supplirebbe alla diffidenza verso il rewriting giudiziale dei contratti.

4.1.2 Risarcimento del danno

L’azione risarcitoria ex artt. 2043 o 1218 cod. civ. è stata ritenuta esperibile sia in alternativa che in aggiunta rispetto all’azione di nullità.

A carico del danneggiato spetterebbe la prova dell’intesa restrittiva e dell’avvenuta partecipazione dell’intermediario o del consapevole approfittamento della banca. Si tratterebbe, in ogni caso, di responsabilità extracontrattuale laddove il cliente agisca nei confronti delle banche partecipanti al cartello e di responsabilità contrattuale laddove questi agisca nei confronti dell’istituto di credito con il quale ha contratto il finanziamento, dimostrandone la partecipazione o l’approfittamento.

D’altro canto, anche la medesima CGUE, nel 2014, con riferimento ai c.d. umbrella effects, ha affermato che, in caso di una manipolazione di prezzo, se le imprese estranee si allineano al prezzo manipolato, i clienti hanno azione anche nei confronti dei cartellisti, laddove le caratteristiche del mercato siano tali da rendere prevedibile per il cartellista l’adesione di terzi al parametro.

Il Tribunale di Catania, nella sentenza dell’11 giugno 2018 citata, escludendo che possa dichiararsi la nullità del finanziamento per indeterminatezza del tasso, ha osservato che la questione dovrebbe porsi in termini di inadempimento contrattuale: la responsabilità di una banca, che tendesse ad alterare l’andamento del tasso con accordi di cartello vietati dalle norme europee, si porrebbe in termini di violazione degli obblighi di protezione e buona fede. Altrettanto, dunque, dovrebbe sostenersi con riferimento alla banca che, pur non avendo partecipato attivamente all’intesa vietata, ne abbia dolosamente approfittato. La questione – come evidente – si sposterebbe sulla probatio diabolica del dolo della banca finanziatrice.

Il danno corrisponderebbe al lucro cessante (da dimostrare) e al danno emergente, corrispondente al c.d. sovrapprezzo (ai sensi dell’art. 2, lett. r, d.lgs. n. 3/2017), ossia alla differenza tra quanto pagato e quello che sarebbe stato determinato nel mercato se l’Euribor non avesse subìto una manipolazione. Con le difficoltà del giudizio controfattuale, il sovrapprezzo dovrà essere determinato dal CTU.

Si tratterebbe, in ultima istanza, di ribadire ancora una volta la distinzione tra regole di comportamento e regole di validità, come affermata da Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724, rel. Rordorf, secondo cui è certamente in atto un fenomeno di trascinamento di regole di comportamento in regole di validità, ma una cosa è una tendenza, altra è un’acquisizione. La violazione di regole di validità dà luogo ai rimedi eliminatori, mentre la violazione di regole di comportamento può dar vita al risarcimento del danno.

Con riferimento al dies a quo del termine quinquennale di prescrizione, è applicabile la norma speciale di cui all’art. 8 d.lgs. n. 3/2017, secondo cui “il termine di prescrizione non inizia a decorrere prima che la violazione del diritto della concorrenza sia cessata e prima che l’attore sia a conoscenza o si possa ragionevolmente presumere che sia a conoscenza” della condotta, del fatto e dell’autore della violazione, riproponendosi di fatto i medesimi dubbi già espressi in tema di decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di nullità.

5. La difesa dell’istituto di credito e il ricorso alla class action

Alla luce di quanto sopra, l’istituto di credito (che non ha partecipato al cartello) potrebbe sostenere:

  • quanto all’azione di nullità: i) la mancata adesione all’intesa manipolativa; ii) l’inesistenza del collegamento funzionale tra l’intesa manipolativa e il contratto stipulato con il cliente; iii) l’esistenza dell’alea razionale e bilaterale, data l’inconsapevolezza dell’accordo manipolativo anche da parte della banca convenuta;
  • quanto all’azione di annullamento, l’inconsapevolezza del dolo del terzo;
  • quanto all’impugnazione ex 1349 cod. civ.: i) l’inconsistenza della ricostruzione della relatio al tasso Euribor quale arbitraggio collettivo e, comunque, ii) che la determinazione non sia stata “manifestamente iniqua”, posto che l’accordo delle Banche non ha comportato necessariamente un innalzamento del tasso Euribor;
  • quanto all’azione risarcitoria ex 1218 cod. civ.: i) la carenza di legittimazione passiva; ii) l’insussistenza dell’elemento soggettivo dell’approfittamento.

In aggiunta, è da escludersi che banche e finanziarie italiane corrano il serio rischio di essere coinvolte in eventuali class action, posto che simili azioni parrebbero difettare degli imprescindibili requisiti per essere promosse. Ci si riferisce, in primis, all’ambito applicativo: la manipolazione dell’Euribor, come visto, risale al periodo 2005-2008 ed è quindi antecedente rispetto all’entrata in vigore nel nostro ordinamento dell’istituto dell’azione collettiva che, peraltro, risulta applicabile solo con riferimento agli illeciti compiuti successivamente al 15 agosto 2009.

In ogni caso, anche a voler considerare come condotta illecita non tanto la manipolazione, a livello europeo, del parametro Euribor, quanto il rifiuto attuale delle banche di rimborsare gli interessi versati in forza di una clausola eventualmente nulla, sussisterebbero ugualmente dubbi in merito all’ammissibilità di un’azione di classe. Tale azione, infatti, ben potrebbe difettare dell’unico requisito espressamente previsto dal Legislatore per la formazione di una classe, ovverosia l’omogeneità dei diritti lesi; requisito che consente di far valere in giudizio diritti di più individui che risultano suscettibili di una trattazione “cumulativa” per quanto riguarda il titolo della pretesa, la condotta contestata, nonché i criteri di quantificazione del danno, a fronte di un’attività istruttoria che, per tale ragione, deve essere il più possibile uniforme per tutti i membri della classe. Viceversa, gli eventuali contenziosi bancari promossi da una classe di clienti che ha stipulato contratti di finanziamento legati all’Euribor nel periodo tra il 2005 e il 2008 richiederebbero analisi contabili ad hoc per ogni singolo aderente: un’attività istruttoria che potrebbe creare margini di personalizzazione della quantificazione del danno che mal si conciliano con le tipiche esigenze dell’azione di classe e, più nello specifico, di una quantificazione del danno il più possibile standardizzabile.

6. Conclusioni

Come evidente, le conclusioni a cui sono giunte le Sezioni Unite nella sentenza n. 41994/2021 sulla sussistenza del collegamento “funzionale tra l’intesa restrittiva e i contratti “a valle” non possono dirsi unanimemente trasponibili al caso dei contratti di finanziamento legati al tasso Euribor.

A prescindere dalla tesi alla quale si ritiene di aderire, la sensazione è che l’obiter della Corte di Cassazione del 2023 non sia stato adeguatamente soppesato e giustificato; sicché occorre attendere innanzitutto la decisione della Corte d’Appello di Milano, a cui la sezione della Suprema Corte ha fatto rinvio, nonché la successiva giurisprudenza per conoscere l’indirizzo che verrà assunto.

In un simile contesto, peraltro, appare ragionevole anche invocare l’intervento delle Sezioni Unite per risolvere la questione, come recentemente suggerito dalla Procura Generale dopo l’udienza pubblica dello scorso 27 marzo 2024.

Una presa di posizione, quella della Procura Generale, che si fonda – in estrema sintesi – sulla circostanza che la decisione della Commissione richiamata dall’ordinanza n. 34889 non chiarisce, innanzitutto, se le pratiche anticoncorrenziali abbiano avuto un concreto effetto sulla determinazione del valore dell’Euribor.

Ora bisognerà attendere per sapere se la Prima sezione accoglierà le osservazioni espresse dalla Procura generale e, dunque, se la questione verrà assegnata alle Sezioni Unite.

Del resto, come visto, la giurisprudenza di merito che ha affrontato più specificamente il tema e la dottrina maggioritaria sono giunte a conclusioni antitetiche, anche nel rispetto dei principi espressi dalla Corte nel 2021.

Ciò che certamente può osservarsi è che l’esistenza di un collegamento “funzionale”, quale è quello individuato dalle Sezioni Unite nel caso delle fideiussioni ABI, necessita di un’adeguata valutazione del nesso tra l’intesa vietata ed il contratto “a valle”, tanto più ove si consideri il conio giurisprudenziale dell’istituto e l’insussistenza dei requisiti per ritenere sussistente un collegamento “negoziale” e la conseguente nullità derivata.

 

[1] Secondo una stima riportata da “Il Sole 24 Ore”, nell’articolo “Euribor manipolato. Prime decisioni a Trieste e Olbia: ricalcolo al tasso di legge”, il rischio di contenzioso tra clienti e banche potrebbe comportare per quest’ultime un’esposizione tra i 13.5 e i 16 miliardi di euro.

[2] Il tasso di interesse, in un contratto bancario, costituisce esattamente il prezzo di vendita del prodotto (i.e. il denaro).

[3] I tassi Euribor sono inter alia, riflessi nel pricing degli EIRD, ovverosia gli strumenti finanziari commerciati globalmente da corporazioni, istituzioni finanziarie, hedge funds ed altri ancora per amministrare il tasso di rischio della propria esposizione (“hedging”, sia per debitori sia per gli investitori) o per scopi speculativi. Gli EIRD base più comuni sono: (i) forward rate agreement, (ii) interest rate swaps (iii) interest rate options e (iv) interest rate futures. Gli EIRD possono essere commerciati “al bancone” “over the counter” (“OTC”) o, nel caso di futures, o tramite scambi.

[4] Al punto 4.1 della decisione vengono descritte dettagliatamente le condotte delle banche coinvolte che, attraverso i rispettivi dipendenti:

  1. comunicavano e/o ricevevano preferenze per un “settaggio” a valore costante, basso o alto di certi valori Euribor;
  2. si scambiavano informazioni dettagliate non di dominio pubblico/disponibili sulle posizioni commerciali o sulle intenzioni per futuri invii di dati per l’Euribor di certi valori di almeno una delle proprie banche;
  3. esploravano la possibilità di allineare le proprie posizioni commerciali EIRD sulla base delle informazioni ottenute per (a) o (b);
  4. esploravano la possibilità di allineare almeno uno degli invii futuri di dati delle proprie banche per l’Euribor sulla base di informazioni ottenute attraverso (a) o (b);
  5. si rivolgevano all’incaricato dell’invio dei dati Euribor della propria banca per chiedere un invio di dati all’agente calcolatore dell’EBF che seguissero una certa direzione o un livello specifico;
  6. che avrebbe riferito, o riferiva la risposta dell’incaricato prima del momento dell’invio giornaliero dei dati all’agente calcolatore o, nei casi in cui il trader ne aveva già discusso con l’incaricato, comunicava le informazioni ricevute all’altro trader;
  7. che avrebbe riferito, o riferiva la risposta dell’incaricato prima del momento dell’invio giornaliero dei dati all’agente calcolatore o, nei casi in cui il trader ne aveva già discusso con l’incaricato, comunicava le informazioni ricevute all’altro trader.

[5] Nonché in virtù dell’art. 53 dell’AGREEMENT ON THE EUROPEAN ECONOMIC AREA che risulta, in ogni caso, modellato sull’art. 101 TFUE.

[6] Nello stesso senso, anche: Trib. Imperia 6 ottobre 2023, n. 634 in DeJure; App. Taranto 17 aprile 2023, n. 157 in DeJure.

[7] Poiché, come noto, la giurisprudenza ha chiarito che «La rateizzazione in più versamenti periodici dell’unico debito nascente da un mutuo bancario non ne determina il frazionamento in distinti rapporti obbligatori, neanche con riferimento agli interessi previsti nel piano di ammortamento, che del finanziamento costituiscono il corrispettivo (…), sicché deve escludersi, per tali tipologie di interessi, l’applicabilità dell’art. 2948, n. 4 c.c. sulla prescrizione quinquennale degli adempimenti periodici di singole obbligazioni autonome ed indipendenti», così Cass., 8 agosto 2013, n. 18951.

[8] Tale tesi è stata sostenuta anche in giurisprudenza: cfr., ad es., App. Cagliari 8 settembre 2022.

[9] Nel medesimo senso si è espressa, nuovamente, la stessa Corte di Appello di Cagliari anche nella sentenza n. 52/2024.

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