La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 720 del 15 aprile 2024 (Pres. Delle Vergini, Rel. Nannipieri), si è pronunciata sulla questione relativa agli effetti della manipolazione dell’Euribor sui contratti di finanziamento.
Sul tema, come noto, era intervenuta la terza sezione della Cassazione la quale, con ordinanza n. 34889/2023, aveva affermato il principio secondo cui, limitatamente al periodo per il quale si è accertata la manipolazione del tasso Euribor, doveva ritenersi affetta da nullità la previsione contrattuale che prevedesse la determinazione del tasso d’interesse in misura variabile con parametrizzazione al saggio Euribor, e questo anche se l’istituto mutuante non fosse rientrato tra quelli sanzionati per aver preso parte all’intesa manipolativa.
Secondo la Cassazione, in sostanza, doveva considerarsi prova privilegiata, a supporto della domanda volta alla declaratoria di nullità dei tassi “manipolati”, la decisione della Commissione UE, che aveva accertato il carattere anticoncorrenziale delle condotte manipolative, sanzionandole ai sensi dell’art. 101 TFUE.
Secondo tale orientamento di legittimità, infatti, richiamato dalla Corte d’Appello di Firenze – e dalle cui conclusione intende discostarsi – raggiunta dal divieto di cui all’art. 2 della L. n. 287/1990 (recante il divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza) vi è qualunque contratto o negozio a valle delle intese manipolative illecite, che costituisca quindi applicazione di quelle concluse a monte.
La Corte d’Appello, nel proprio percorso argomentativo, premette che nel caso di specie la banca mutuataria risultava del tutto estranea alle pratiche collusive accertate dalla Commissione (e ciò anche se il mutuo era stato erogato nel maggio 2007, e quindi nel periodo oggetto delle decisioni).
Essenziale, pertanto, per la Corte, era comprendere se quel contratto di mutuo poteva o meno considerarsi un contratto a valle dell’intesa illecita: a tal proposito, ritiene rilevante ripercorrere altre fattispecie concrete, nelle quali è stato ritenuto esservi un contratto “a valle” attuativo di intese anticoncorrenziali.
In particolare:
- in un caso i giudici di legittimità avevano ritenuto legittima una richiesta risarcitoria da parte di un consumatore in correlazione alla sottoscrizione di una polizza con compagnia assicurativa che era stata sanzionata con provvedimento della AGCOM perché ritenuta parte di una intesa diretta specificatamente a maggiorare i prezzi delle polizze in modo uniforme per tutto il mercato nazionale (vedi Cass. S.U. 04/02/2005, n.2207);
- in altro caso i giudici di legittimità avevano ritenuto la nullità di alcune clausole di un contratto di fideiussione riproducenti esattamente uno “schema” di tale negozio predisposto dalla associazione di categoria ABI oggetto di provvedimento della Banca di Italia, all’epoca avente funzioni di Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia bancaria (vedi Cass. Sez. Unite, 30/12/2021, n.41994).
In entrambi i casi i contratti “a valle” erano dunque direttamente attuativi della intesa sanzionata e miravano a far conseguire all’impresa (che era anche soggettivamente partecipe, direttamente o comunque tramite la propria associazione di categoria) proprio quei vantaggi indebiti ai quali mirava la condotta anticoncorrenziale (aumento dei premi in un caso; posizione deteriore del fideiussore nell’altro).
Nella fattispecie in esame, invece, la Corte rileva che:
- le pratiche collusive sanzionate avevano ad oggetto un mercato di prodotti finanziari del tutto distinto ed eterogeneo rispetto al contratto per cui è causa (mutuo ipotecario a tasso variabile)
- le pratiche collusive sanzionate non erano in alcun modo dirette a favorire le banche nell’erogazione dei mutui a tasso variabile, posto che gli operatori, in relazione al tentativo di influenzare il mercato di tali specifici prodotti finanziari, avevano, di volta in volta, “comunicato e/o ricevuto preferenze per un fixing invariato, basso o elevato di determinate scadenze dell’EURIBOR”, con un potenziale (ma non accertato) effetto di “manipolazione”, che poteva risolversi, a seconda dei casi, in un pregiudizio per la stessa banca mutuante ovvero per il mutuatario (entrambi del tutto estranei all’intesa ed entrambi teoricamente danneggiati ovvero avvantaggiati)
- non vi è prova di una effettiva alterazione del parametro a seguito di tali condotte
- il mutuo ipotecario non era in alcun modo in “collegamento funzionale con la volontà anti-competitiva a monte”.
Pertanto, conclude la Corte, ferma la “prova privilegiata” della condotta anticoncorrenziale quale accertata dalla Commissione, il contratto di mutuo ipotecario oggetto di causa in nessun caso può considerarsi attuativo o comunque obbiettivamente e finalisticamente collegato a tale condotta anticoncorrenziale, per due ordini di ragioni:
- la banca mutuante non aveva in alcun modo partecipato alla pratica collusiva, che aveva un ambito oggettivo del tutto distinto ed era diretta ad influenzare l’andamento di altri e diversi prodotti finanziari;
- non vi è alcun elemento concreto per ritenere che la banca si fosse in qualche modo (inconsapevolmente) giovata delle altrui pratiche collusive con pregiudizio della sua controparte contrattuale.
Il riferimento, quanto al tasso variabile, al parametro Euribor, non è dunque in collegamento esecutivo con l’accertata condotta anti-competitiva, né è diretto a realizzarne gli scopi illeciti e non vi è ragione alcuna per la sanzione di invalidità “derivata”.
In riforma della sentenza impugnata, pertanto, la Corte ha rigettato le domande avanzate dal mutuatario quanto alla nullità del contratto di mutuo per violazione delle disposizioni di cui alla L. 287/90.