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Attualità

Retail Investment Strategy, la strada è ancora lunga

15 Maggio 2024

Francesco Mocci, Partner, Zitiello Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza lo stato dell’arte della Retail Investment Strategy, alla luce della mancata approvazione da parte del Parlamento europeo lo scorso 23 aprile 2024 del testo della proposta di direttiva omnibus di modifica della MiFID 2, IDD, UCITS, AIFMD e Solvency II.


1. L’iter legislativo

Deludendo le attese degli addetti ai lavori, il 23 aprile 2024 il Parlamento europeo, riunito in assemblea plenaria, non ha approvato in prima lettura il testo della proposta di direttiva omnibus, nel contesto della Retail Investment Strategy, destinato a modificare la direttiva 2014/65/UE sui mercati degli strumenti finanziari (MiFID 2); la direttiva 2016/65/UE sull’intermediazione assicurativa (IDD); le direttive 2009/65/UE (UCITS) e 2011/61 (AIFMD) sui fondi comuni di investimento e la direttiva 2009/138 sulla vigilanza prudenziale delle compagnie di assicurazione (Solvency II).

L’assemblea, avvalendosi della procedura prevista dall’art. 71 del proprio regolamento, ha infatti rinviato ogni decisione e preferito avviare negoziati interistituzionali con la Commissione e con il Consiglio, in modo da arrivare a un testo condiviso da sottoporre al voto (c.d. procedura di “trilogo”).

Alla luce di questi sviluppi, non è facile fare oggi previsioni sulla conclusione dell’iter legislativo.

A giugno 2024 sono in programma le elezioni europee, che potrebbero portare impronosticabili cambiamenti nelle posizioni del Parlamento. Il Consiglio, per la sua composizione, risente ovviamente delle politiche dei singoli Stati membri.

È difficile immaginare che si arrivi alla pubblicazione della direttiva prima del 2025: le istituzioni europee devono infatti trovare una posizione comune, componendo i contrasti tra le varie componenti finora emersi, e pronunciarsi sullo stesso testo.

2. Le diverse versioni finora circolarizzate: differenze tra le proposte di Commissione ed ECON

Esistono allo stato attuale due diverse versioni della bozza di direttiva omnibus: quella proposta dalla Commissione il 24 maggio 2023, contenente significative novità rispetto alle regole vigenti, e quella del parere dell’ECON (Committee on Economic and Monetary Affairs) al Parlamento 2 aprile 2024, che in qualche modo ha cercato di addolcire le rivoluzionarie proposte iniziali.

Il provvedimento, quando vedrà finalmente la luce, modificherà profondamente i mercati finanziari latamente intesi, nel contesto della Retail Investment Strategy con la quale l’Unione Europea intende rafforzare la tutela degli investitori al dettaglio.

Sono tanti i temi su cui è incentrata la proposta della Commissione e sui quali l’ECON ha assunto una posizione differente, in modo più o meno marcato. Senza pretesa di esaustività, indicheremo sinteticamente i punti più rilevanti.

2.1. Gli incentivi e la consulenza in materia di investimenti

A seguito di un intenso dibattito sull’opportunità di bandire la pratica dei rebates commissionali, sull’esempio delle decisioni prese in Gran Bretagna e Paesi Bassi, la Commissione aveva adottato un approccio cauto e differenziato, riservandosi di rivedere la propria posizione dopo tre anni dall’entrata in vigore.

In particolare, nella versione primigenia della direttiva:

  • si stabiliva il divieto di percezione di incentivi dalle società prodotto con riferimento alla prestazione dei servizi di gestione di portafoglio e di consulenza indipendente, nonché per la prestazione di servizi esecutivi (ricezione e trasmissione di ordini ed esecuzione di ordini) non accompagnata dalla consulenza in materia di investimenti. Era però introdotta un’eccezione (e quindi gli incentivi sarebbero stati leciti) in caso di servizi esecutivi associati a un impegno di collocamento assunto verso l’emittente di prodotti diversi dai PRIIPS;
  • si permetteva la percezione degli inducements in caso di abbinamento dei servizi esecutivi e consulenza non indipendente, purché gli incentivi non compromettessero il rispetto dell’obbligo di agire in modo onesto, imparziale e professionaleper servire al meglio gli interessi dei clienti” (c.d. “criterio del best interest”). Per soddisfare tale criterio, che avrebbe dovuto sostituire gli attuali quality enhancement test e no detriment test previsti da MiFID 2 e IDD, gli intermediari avrebbero dovuto prestare una consulenza di più alto valore aggiunto, valutando una gamma adeguata di strumenti finanziari, raccomandando gli strumenti finanziari, tra quelli adeguati per il cliente, più efficienti in termini di costi con caratteristiche simili e raccomandando, tra quelli adeguati, uno o più prodotti privi delle caratteristiche supplementari non funzionali al conseguimento degli obiettivi di investimento del cliente.

La proposta della Commissione, che pure si era tenuta lontana dalle richieste più radicali avanzate da alcuni suoi esponenti, non ha convinto appieno una parte del mercato, che ha insistito per soluzioni più morbide e meno impattanti sulle prassi consolidatesi. Di queste richieste è sembrato farsi latore l’ECON, che ha apportato alcune modifiche rispetto al testo iniziale.

Nella nuova formulazione, resta il divieto di percezione degli incentivi per la gestione patrimoniale e la consulenza indipendente, mentre per i servizi esecutivi il quadro si fa più sfumato: sono assenti, infatti, formule univoche di divieto come nella proposta della Commissione.

Tuttavia, la legittimità della percezione di incentivi connessi alla prestazione di tali servizi appare molto difficile anche nell’assetto proposto dall’ECON. La ricezione di rebates non deve infatti andare contro il dovere dell’intermediario di agire nel migliore interesse del cliente: è il criterio del best interest, che il Considerando 6 disegna ancora come erede del quality enhancement test e del no detriment test, il cui superamento è oggi necessario sotto la MiFID 2 e la IDD perché gli incentivi siano legittimi.

Del best interest non viene offerta in verità una definizione generale, ad eccezione di quanto previsto nell’articolo 24, paragrafo 1a della MiFID 2 e nell’art. 29b della IDD, dedicati alla consulenza in materia di investimenti.

A questo proposito, l’ECON è intervenuto con decisione, eliminando il discusso obbligo di offerta di prodotti privi di caratteristiche supplementari non richieste dal cliente e, soprattutto, ridefinendo il concetto di prodotto più efficiente, da preferirsi nelle raccomandazioni di investimento. Infatti, se la Commissione insisteva sul costo, tanto da ridurre nei fatti l’efficienza al minor prezzo, l’ECON parla più propriamente di qualità-prezzo, chiedendo agli intermediari di valutare l’efficienza su una base allargata di indicatori, tra cui anche, ma non solo, il costo dei prodotti.

Insomma, emerge complessivamente un quadro solo lievemente meno rigido di quello immaginato dalla Commissione: da un lato, si ribadisce il divieto di ricevere incentivi per i servizi di gestione patrimoniale e consulenza indipendente; dall’altro lato, si apre alla possibilità di percepirli per i servizi esecutivi, purché non pregiudichino l’obbligo di assicurare il best interest del cliente. Tale circostanza si verifica con certezza solo se si associa ai servizi esecutivi la consulenza su una gamma significativa di prodotti, con la raccomandazione finale che deve cadere sul prodotto, all’interno di tale gamma, più efficiente e non necessariamente meno caro.

2.2. La product governance e il value for money

Vero caposaldo della proposta della Commissione era limitare il costo, ritenuto troppo alto, dei prodotti finanziari nell’Unione. Meglio, si sosteneva che il costo non riflettesse sufficienti contenuti per l’investitore al dettaglio e che occorresse riequilibrare il valore del prodotto rispetto al prezzo speso: il value for money, appunto.

Per raggiungere l’obiettivo, nella proposta del 24 maggio 2023 si insisteva in modo incisivo sui requisiti di product governance, imponendo ai manufacturer di condurre profonde analisi del profilo di costo dei prodotti, con particolare riferimento ai PRIIPS, e di verificare se i costi e oneri associati a tali prodotti fossero “giustificati e proporzionati, avuto riguardo alle loro caratteristiche, agli obiettivi perseguiti, al rendimento offerto. Per assicurare la piena applicazione del principio, si interveniva anche sulla disciplina dei fondi comuni di investimento (OICVM e FIA), con l’introduzione di un rigoroso processo di determinazione dei prezzi nelle direttive UCITS e AIFMD. Questo per evitare il ripetersi delle difficoltà applicative sorte a seguito dell’entrata in vigore della MiFID 2, le cui regole in materia di product governance non si rivolgevano ai gestori di fondi.

Compiti analoghi venivano affidati dalla Commissione ai distributori, gravati dell’onere di accertare la corrispondenza tra i costi dei prodotti e gli obiettivi e bisogni del mercato di riferimento.

La novità che aveva però creato un certo sgomento nel mercato era stata l’imposizione di una sorta di calmiere sui prezzi dei prodotti finanziari. Si prevedeva infatti la pubblicazione, a cura dell’ESMA (e dell’EIOPA per gli i prodotti d’investimento assicurativi), di benchmark di costo e rendimento per categorie di prodotti con caratteristiche simili, elaborati sulla scorta delle rendicontazioni degli intermediari alle Autorità di vigilanza. Qualora dal confronto con il parametro di riferimento fosse emerso che il prodotto si discostasse (in eccesso, naturalmente) dal benchmark, il produttore avrebbe dovuto effettuare “prove supplementari” e “ulteriori valutazioni” per stabilire se i costi e gli oneri fossero comunque giustificati e proporzionati.

Se fosse infine risultato impossibile dimostrare la giustificazione e la proporzionalità dei costi e degli oneri, l’intermediario non avrebbe dovuto approvare il prodotto, immetterlo sul mercato e distribuirlo.

Nella versione suggerita dall’ECON è invece sposata un’impostazione diversa.

I produttori (e i distributori) dovranno, nel nuovo quadro, condurre un’analisi comparativa dei costi dei prodotti confezionati (e venduti) dai competitor, sulla base dei criteri dettati dall’ESMA (o dall’EIOPA) con proprie linee guida.

I benchmark rimangono ma cambiano natura: non sono più strumenti messi a disposizione degli intermediari per parametrare i costi dei propri prodotti, ma tools di vigilanza per le Autorità, non pubblicamente disponibili.

Nella propria attività di controllo dei mercati, le Autorità competenti dovranno infatti verificare se i prodotti si discostino dai benchmark e, nel caso, chiedere delucidazioni a produttori e distributori. Se le risposte mancano, non sono soddisfacenti o se l’intermediario non asseconda le richieste del regolatore, questi può spingersi fino a chiedere il ritiro del prodotto dal mercato.

Viene quindi abbandonato, nella proposta dell’ECON, il tentativo di limitare d’imperio i prezzi, decisamente inusuale in un’economia di mercato, per quanto fortemente regolamentata.

2.3. Adeguatezza e appropriatezza

La Commissione era intervenuta in modo significativo sulle valutazioni di adeguatezza e appropriatezza.

Nella proposta del 24 maggio 2023 era infatti previsto che gli intermediari avrebbero dovuto tener conto, nell’effettuazione del suitability test, anche della diversificazione del portafoglio, raccogliendo informazioni circa la composizione dei portafogli dei clienti detenuti anche presso imprese concorrenti.

Inoltre, il giudizio di appropriatezza veniva avvicinato notevolmente a quello di adeguatezza: si prescriveva infatti di inserire, tra gli elementi da considerare, la capacità del cliente di sostenere perdite e la tolleranza al rischio, accanto alla conoscenza ed esperienza in materia di investimenti. Si stabiliva anche una sorta di ritorno al passato, al regime pre-MiFID, imponendo agli intermediari di procedere all’esecuzione degli ordini su operazioni inappropriate dei clienti solo dopo l’esplicita richiesta scritta di costoro: sostanzialmente, l’“autorizzazione a procedere” che nel 2004 era stata rimossa.

L’ECON ha confermato solo parzialmente l’impianto della Commissione.

Da un lato, nel nuovo testo è presente ancora l’obbligo di chiedere informazioni sulla composizione dei portafogli detenuti dal cliente ai fini del giudizio di adeguatezza, ma viene opportunamente precisato che ci si possa limitare a tener conto dei dati forniti dal cliente: del resto, mancano agli intermediari poteri di indagine o strumenti di controllo per poter verificare la completezza e la veridicità di quanto riferito dalle proprie controparti.

Dall’altro lato, il test di appropriatezza torna ad essere quello che conosciamo oggi: viene effettuato con riguardo alla conoscenza ed esperienza del cliente in materia di investimenti, senza l’allargamento a elementi tipici del test di adeguatezza come suggerito dalla Commissione. È stata invece accolta la proposta di ottenere l’assenso del cliente per poter procedere all’esecuzione di un’operazione inappropriata.

2.4. Pratiche di marketing e finfluencer

La Commissione aveva rilevato che il comportamento e le abitudini di investimento degli investitori al dettaglio è sempre più influenzato dalle nuove tecniche utilizzate dagli intermediari per pubblicizzare i propri prodotti, per esempio con il ricorso agli influencer e ai social media.

Partendo da queste riflessioni, nella proposta del 24 maggio 2023 si imponevano presidi a livello organizzativo, onerando gli intermediari di dotarsi di una politica in materia di comunicazioni e pratiche di marketing, elaborata tenendo conto del mercato di riferimento e corredata di un adeguato sistema di controlli interni e reportistiche agli organi apicali.

La Commissione aveva anche modellato con precisione le modalità di confezionamento delle comunicazioni di marketing, imponendo la chiara individuazione della società-prodotto, dei rischi e dei benefici attesi dall’investimento, presentati in modo chiaro ed equilibrato.

La figura degli influencer finanziari, i c.d. “finfluencer, rimaneva sullo sfondo.

L’ECON, confermando per il resto l’impostazione della Commissione, dedica invece una serie di regole espressamente destinate ai rapporti con i finfluencer, di cui si riconosce per un verso l’utilità per la promozione dell’educazione finanziaria a un’ampia platea di soggetti interessati e, per altro verso, la pericolosità a cagione della grande vulnerabilità delle generazioni più giovani.

Del resto, sul tema si è recentemente espressa anche l’ESMA, nella sua comunicazione denominata “Social media sentiment: Influence on EU equity prices” del 3 aprile 2024.

Si impone quindi agli intermediari che si avvalgano di tali soggetti di concludere con loro un accordo scritto che precisi la natura e lo scopo delle attività affidate, di tenere a disposizione delle Autorità di vigilanza i contatti dei finfluencer utilizzati e di vigilare sul rispetto da parte di costoro delle regole generali in tema di comunicazioni e pratiche di marketing.

2.5. La revisione della direttiva

La Commissione si proponeva, decorsi tre anni dall’entrata in vigore della direttiva omnibus, di stendere una relazione sull’efficacia delle misure adottate in tema di incentivi, dopo essersi consultata con ESMA ed EIOPA. Se necessario, la relazione avrebbe contenuto proposte più stringenti, fino ad arrivare (prospettiva assai temuta dal mercato) al ban degli inducements.

L’ECON ha modificato sostanzialmente la clausola di revisione, sul piano dell’oggetto e sul piano temporale.

Sotto il primo profilo, la relazione della Commissione avrà ad oggetto non soltanto la disciplina degli incentivi, ma anche altri aspetti, come i presidi di product governance, la protezione dei consumatori, l’educazione finanziaria.

Sotto il secondo profilo, le valutazioni verranno effettuate cinque anni dopo l’adozione dei provvedimenti in materia di product governance delegati alla Commissione.

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