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Attualità

Composizione Negoziata: quali limiti alla sospensione e revoca degli affidamenti bancari?

21 Maggio 2024

Daniela Andreatta, Special Counsel, Orrick

Anna Arlati, Orrick

Il presente contributo analizza i limiti previsti dal Codice della crisi e dell’insolvenza con riferimento alla sospensione e revoca degli affidamenti bancari in caso di accesso alla composizione negoziata della crisi


1. Premessa. Criticità nella Composizione negoziata della crisi.

Attraverso lo strumento della composizione negoziata della crisi (o “CNC”) il legislatore ha dato attuazione ai propositi europei in materia di ristrutturazione preventiva già previsti all’interno della Direttiva (UE) 2019/1023, c.d. Direttiva Insolvency.

Come è noto, la composizione negoziata della crisi è un percorso – o come qualcuno la ha definita un “procedimento”, uno “strumento”, un “percorso di mediazione” o una “turbotrattavia[1] – diverso da una procedura concorsuale finalizzato ad agevolare le trattative con i creditori per consentire all’impresa di superare la crisi o l’insolvenza.

Il percorso è accessibile, infatti, sia alle imprese in crisi o insolventi e quindi alle imprese che hanno difficoltà finanziarie conclamate, sia alle imprese che si trovano nelle cosiddette situazioni di precrisi e quindi che ancora non le hanno ma le prevedono.

Per consentire il successo dello strumento e superare gli atteggiamenti poco collaborativi delle parti il legislatore ha imposto doveri di correttezza e buona fede al debitore e ai creditori (articoli 4 e 16 CCII) a cui ha aggiunto specifici obblighi per banche e intermediari finanziari (inclusi i loro mandanti e i cessionari dei loro crediti, di seguito collettivamente “Banche”) e precisamente l’obbligo di partecipare alle trattative in modo attivo e informato, confrontandosi con l’imprenditore, riscontrando le proposte e motivando eventuali dissensi (articolo 16, comma 5, CCII).

Ebbene, nonostante lo spirito di collaborazione impresso dal Codice della Crisi alle trattative, l’accesso ad una CNC e/o il ricorso a misure protettive è motivo ad oggi di atteggiamenti difensivi dei creditori, incluso il ceto bancario/finanziario, finalizzati a limitare la rispettiva esposizione verso l’impresa.

Tali atteggiamenti ovviamente concorrono all’insuccesso del risanamento (o a volte lo determinano).

Vediamo cosa prevede il CCII e se tali atteggiamenti difensivi sono appropriati.

2. Gli articoli 16 comma 5 e 18 comma 5 del Codice della Crisi: analisi comparata delle norme.

Consapevole dei possibili comportamenti opportunistici dei creditori, il legislatore ha dettato due articoli per impedirne azioni atte a turbare il percorso di risanamento e precisamente l’articolo 16 e l’articolo 18[2], il primo dei quali specificatamente rivolto alle Banche.

Gli articoli in questione si possono scomporre in due parti: una prima parte con cui vengono vietate certe iniziative dei creditori (siano essi o meno Banche) e una seconda parte con cui si introducono eccezioni alle condotte vietate.

2.1 Le condotte vietate

Partendo dall’esame delle condotte vietate, gli articoli utilizzano espressioni poco puntuali quando descrivono le condotte vietate ricorrendo ad espressioni quali “revoca” e “sospensione” di “affidamenti” (articolo 16) e “rifiutare l’adempimento”, “anticipare la scadenza” e “modificare in danno dell’imprenditore” i contratti pendenti (articolo 18).

Posto che il legislatore non può che essersi riferito ad istituti giuridici esistenti, le espressioni devono intendersi richiamare i rimedi civilistici (includendo in tale espressione ai fini della presente esposizione anche i rimedi previsti dal TUB a favore delle Banche) riservati ai creditori di fronte ad inadempimenti o possibili inadempimenti del debitore, il cui esercizio costituisce il possibile ostacolo al successo del progetto di risanamento. E quindi:

  • il termine “revoca degli affidamenti” deve intendersi riferito ai rimedi del recesso e della risoluzione (delle aperture di credito e dei finanziamenti ove con il termine “affidamenti” si intenda ricomprendere anche quest’ultimi) e quindi al recesso ex articolo 1845 c.c. (a scadenza o per giusta causa) o alla risoluzione ex articolo 1453 c.c.;
  • l’espressione “sospensione” degli affidamenti è ragionevolmente da riferirsi alla sospensione dell’adempimento di un contratto pendente (e quindi alla sospensione di utilizzo di un’apertura di credito o di un finanziamento) prevista all’articolo 1461 c.c.;
  • il termine “rifiutare l’adempimento” non può che ricondursi al rimedio dell’eccezione di inadempimento di cui all’articolo 1460 c.c. ove letteralmente il legislatore menziona il rifiuto di adempimento;
  • l’espressione “anticipare la scadenza” va ragionevolmente assimilata al rimedio della decadenza dal beneficio del termine di cui all’articolo 1186 c.c. con la conseguente esigibilità immediata dell’intero debito; e infine
  • il termine “modifiche in danno dell’imprenditore” è ragionevolmente riferito al diritto di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali anche in danno alla clientela, diritto attribuito dall’articolo 118 TUB alle Banche.

Le condotte vietate, così come sopra ricostruite, non sono vietate in modo assoluto dalle disposizioni in commento bensì solo al verificarsi di certe circostanze e precisamente (1) l’accesso del debitore alla CNC (articolo 16 CCII) e/o (2) l’attivazione di misure protettive in presenza del mancato pagamento di crediti anteriori all’accesso alla CNC (articolo 18 CCII) con la precisazione che la condizione sub (1) vale solo per le Banche mentre la condizione sub (2) si applica invece a tutti i creditori.

Rimangono quindi estranee al divieto quelle condotte di “auto-tutela” dei creditori consentite dai rispettivi regolamenti contrattuali che non trovano causa nell’accesso del debitore alla CNC (ove si tratti di creditori-Banche) o a misure protettive in presenza di insoluti.

Riassumendo quindi, la prima parte delle disposizioni in commento vieta ai creditori l’esercizio (dei più usuali) rimedi contrattuali al verificarsi di certe limitate circostanze.

2.2 Le eccezioni alle condotte vietate

Passando alla seconda parte degli articoli, essa introduce alcune eccezioni alle condotte vietate che divergono a seconda che si tratti di creditori-Banche o creditori diversi dalle Banche. Limitando l’esposizione che segue alle Banche, si tratta di:

  • un’eccezione al divieto di “sospensione di adempimento” in caso di ricorso a misure protettive (articolo 18, comma 5, CCII); e
  • un’eccezione al divieto di “sospensione” o “revoca” degli affidamenti in caso di accesso alla CNC (articolo 16, comma 5, CCII).

Secondo gli articoli in commento la prima eccezione opera senza bisogno che ricorra alcuna causa diversa dalla richiesta di misure protettive da parte del debitore mentre la seconda opera solo ove la “sospensione” o “revoca” (altrimenti vietate) siano consentite dalla “disciplina di vigilanza prudenziale”.

A questo punto analizziamo le “condotte-eccezione” consentite dal legislatore alle Banche e vediamo se le eccezioni siano applicabili.

2.2.1 L’eccezione al divieto di “sospensione di adempimento”

Partendo dalla “sospensione di adempimento” (articolo 18, comma 5, CCII), il legislatore si è limitato a tale espressione che desta molte perplessità sulla natura dell’istituto a cui essa fa riferimento: stando alla lettera della previsione, i tratti dell’istituto sono i seguenti: (i) la sospensione di adempimento di contratti pendenti, (ii) il diritto di azionarlo unilateralmente ad opera della Banca-creditrice e (iii) la mancanza di un limite di durata (l’articolo si riferisce all’arco temporale intercorrente tra la pubblicazione dell’istanza di nomina dell’esperto e la conferma delle misure protettive da parte del tribunale ma non è chiaro se si tratti della “finestra” entro la quale la Banca può esercitare il diritto oppure il periodo di durata della sospensione).

Il riferimento alla “sospensione di adempimento” lascerebbe intendere che si tratti del rimedio previsto all’articolo 1461 c.c. già descritto sopra; tuttavia, il rimedio civilistico è esercitabile solo in presenza di un mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore che metta in pericolo il conseguimento della controprestazione; e peraltro un mutamento che la giurisprudenza[3] ha chiarito dovere coincidere con una crisi irreversibile e non con una tensione finanziaria temporanea.

Che non si tratti del rimedio civilistico risulta anche dalle altre due caratteristiche sopra citate, ossia la sua natura unilaterale e senza limiti temporali: la sospensione ex articolo 1461 c.c. deve trovare giustificazione nel pericolo anzidetto e la sua durata è limitata al perdurare del pericolo stesso (o alla consegna di una garanzia); la “sospensione” in questione invece può essere disposta unilateralmente dalla Banca senza bisogno di causa alcuna che non sia il ricorso alle misure protettive e può durare per un periodo di tempo apparentemente indefinito.

Si tratta evidentemente di un istituto diverso dal rimedio civilistico e quindi si deve concludere che il legislatore dettando l’articolo 18, comma 5, CCII abbia (involontariamente?) creato un nuovo istituto: l’istituto della sospensione di adempimento unilaterale ed infinita.

La domanda a questo punto è se un tale nuovo istituto sia legittimo e compatibile con la normativa dettata dal CCII. La risposta è palesemente negativa: l’esercizio unilaterale di un diritto che possa arrecare un severo pregiudizio alla controparte in assenza di una causa[4] è in evidente violazione del principio del neminem leadere; allo stesso modo un tale istituto contrasta palesemente con lo spirito del CCII (e di tutta la normativa concorsuale europea) che intende favorire i progetti di risanamento del debitore a tutela di tutti gli stakeholders.

Allora forse la ricostruzione qui proposta dell’articolo 18, comma 5, seconda parte, quale nuovo istituto non è corretta e la verità è che il legislatore ha semplicemente inteso riferirsi per quanto maldestramente al rimedio ex articolo 1461 c.c. il quale però porta con sé tutto il suo bagaglio in termini di disciplina e di interpretazione giurisprudenziale: quindi un rimedio che potrà essere attivato solo ove consti un pericolo di conseguire la controprestazione dettato da una crisi irreversibile. Ma se è così, difficilmente il semplice ricorso alle misure protettive consente di attivare tale rimedio perché il ricorso alla CNC e alle misure protettive è consentito solo in presenza di risanamento fattibile e quindi di una crisi reversibile.

Quanto poi al riferimento temporale contenuto nell’articolo 18, comma 5, seconda parte, CCII, volendo darvi un senso legittimo si può ritenere che esso esprima la durata massima della possibile “sospensione dell’adempimento” e non la finestra entro la quale tale “sospensione” debba essere esercitata: se da un canto una tale interpretazione consente di salvare il senso della previsione, dall’altra ne azzera pressochè la portata perché non si vede quale sia il beneficio per la Banca di sospendere per esempio l’utilizzo delle linee a breve solo per poche settimane (con il rischio peraltro di pregiudicare seriamente il risanamento).

Riassumendo sull’articolo 18, comma 5, seconda parte, CCII, si deve concludere che la previsione non allarga il raggio di azione delle Banche e non introduce nulla a cui le stesse non avessero già accesso, ossia il rimedio ex articolo 1461 c.c. che tuttavia non è azionabile in una CNC per i motivi sopra esposti; a ciò si aggiunge che, se anche fosse azionabile, per effetto dell’articolo in commento lo sarebbe solo per un arco di tempo limitatissimo che lo rende inutile.

2.2.2 L’eccezione al divieto di “sospensione” o “revoca” degli affidamenti in caso di accesso alla CNC

Passiamo ora all’altra eccezione prevista dall’articolo 16, comma 5, seconda parte, CCII ossia l’eccezione al divieto di “sospensione” o “revoca” degli affidamenti in caso di accesso alla CNC a cui – come anticipato sopra – le Banche possono ricorrere ove lo preveda la “disciplina di vigilanza prudenziale”.

Nel prevedere tale eccezione sembra che il legislatore non abbia tenuto conto dell’effettiva portata della disciplina di vigilanza prudenziale. Infatti, come anche osservato da autorevole dottrina[5], nessuna delle disposizioni dettate in tema di vigilanza detta alcuna regola in tema di gestione dei contratti bancari pendenti e meno che mai impone alle Banche di revocare o sospendere gli affidamenti bancari in essere; al più essa richiede che si proceda alla classificazione del credito quale credito “deteriorato”[6] all’aggravarsi del rischio di recupero e al conseguente accantonamento contabile.

Ciò significa che l’eccezione in parola non è attivabile, non potendo le Banche trovare nella normativa di settore alcuna “ragione” che giustifichi la “decisione assunta” come richiesto dall’articolo 16, comma 5, seconda parte, CCII.

A ciò si aggiunge che, anche volendo provare a dare un senso alla previsione e ritenere che essa intenda riferirsi alle ipotesi di classificazione del credito quale “deteriorato”, l’accesso alla CNC secondo la disciplina di vigilanza non costituisce causa di tale classificazione e quindi nuovamente l’eccezione in questione non trova applicazione.

3. Riflessioni conclusive

La verità in conclusione è che le eccezioni previste nella seconda parte degli articoli 16, comma 5 e 18, comma 5 CCII non hanno derogato ai divieti introdotti nella prima parte degli stessi articoli e non hanno quindi ampliato il raggio d’azione delle Banche in sede di CNC e di misure protettive.

La libertà di azione delle Banche in tali contesti rimane rappresentata dall’attivazione dei rimedi civilistici che non siano espressamente vietati dagli articoli anzidetti.

E quindi in caso di accesso alla CNC le Banche saranno libere di:

  • revocare alla scadenza gli affidamenti a tempo determinato e revocare gli affidamenti a tempo indeterminato (a revoca) al ricorrere di una giusta causa[7] ai sensi dell’articolo 1845 c.c.;
  • risolvere i finanziamenti (ove si ritengano rientrare nell’espressione “affidamenti”) a fronte di una condotta inadempiente del debitore ai sensi dell’articolo 1453 c.c.;
  • sospendere l’utilizzo degli affidamenti ex articolo 1460 c.c. e/o revocare gli affidamenti ai sensi dell’articolo 1845 c.c. in caso di inadempimento del debitore successivo all’accesso alla CNC;
  • sospendere l’utilizzo degli affidamenti ex articolo 1460 c.c. o revocare gli affidamenti ai sensi dell’articolo 1845 c.c. in caso di inadempimento del debitore anteriore all’accesso alla CNC salvo che il debitore ricorra alle misure protettive;
  • sospendere l’utilizzo degli affidamenti ex articolo 1461 c.c. qualora nel corso della CNC emerga l’irreversibilità della crisi;
  • fare decadere il debitore dal beneficio del termine ex articolo 1186 c.c. ove ne ricorrano le cause;
  • modificare unilateralmente i contenuti dei contratti pendenti ex articolo 118 TUB, ove in essi previsto e sempre che ne ricorrano le condizioni.

In caso di accesso sia alla CNC che alle misure protettive le Banche saranno libere di:

  1. revocare alla scadenza gli affidamenti a tempo determinato e revocare gli affidamenti a tempo indeterminato (a revoca) al ricorrere di una giusta causa diversa da un inadempimento anteriore al ricorso alle misure protettive ai sensi dell’articolo 1845 c.c.;
  2. risolvere i contratti di finanziamento ai sensi dell’articolo 1453 c.c. a fronte di una condotta inadempiente del debitore diversa da un mancato pagamento ante misure protettive;
  3. sospendere l’utilizzo degli affidamenti ex articolo 1460 c.c. e/o revocare gli affidamenti ai sensi dell’articolo 1845 c.c. in caso di inadempimento del debitore successivo all’accesso alla CNC e alle misure protettive;
  4. sospendere l’utilizzo degli affidamenti ex articolo 1461 c.c. qualora nel corso della CNC, pendenti le misure protettive, emerga l’irreversibilità della crisi;
  5. fare decadere il debitore dal beneficio del termine ex articolo 1186 c.c. ove ne ricorrano le cause purché diverse da un mancato pagamento ante misure protettive;
  6. modificare unilateralmente i contenuti dei contratti pendenti ex articolo 118 TUB, ove in essi previsto e sempre che ne ricorrano le condizioni purché diverse da un mancato pagamento ante misure protettive.

Iniziative di tutela delle Banche diverse da quelle sopra citate non paiono consentite ad una attenta lettura degli articoli 16, comma 5 e 18, comma 5 CCII.

 

[1] L’accostamento dell’istituto della composizione negoziata al termine “turbo-trattativa” è da ricondurre alle riflessioni svolte da N. Abriani, Fiducia in un istituto ancora più efficace dopo il Codice della Crisi, in Il Sole-24ore,19 novembre 2022.

[2] Sull’applicabilità dell’articolo 18, co. 5, CCII alle Banche si veda Trib. Padova, Ord. 25 settembre 2023 in Dirittodellacrisi.it.

[3] Cfr. Cass. sez. II, Sentenza n. 7060 del 15 maggio 2002, in Dejure.it.

[4] Perché tali non sono le misure protettive a detta della prima parte dell’articolo 18.

[5] Cfr. S. Bonfatti, La disciplina e gli effetti della prosecuzione dei contratti pendenti nella composizione negoziata della crisi d’impresa, in dirittodellacrisi.it, 29 marzo 2023.

[6] Cfr. Reg. (UE) n. 1126/2008 della Commissione, il quale adotta, inter alia, il principio contabile internazionale IFRS 9. Tale ultimo consente di distinguere i crediti in base ad una valutazione dell’eventuale incremento del rischio di credito dal momento dell’erogazione. In virtù di tale principio è “deteriorato” (non performing) il credito che ha subito un deterioramento a fronte di eventi che hanno inciso negativamente sui flussi di cassa futuri; tali eventi sono: ripetuti inadempimenti del debitore, la cessazione dei pagamenti, l’intervenuta insolvenza del debitore o l’accesso dello stesso a procedure concorsuali. Ne consegue che non è deteriorato il credito dell’imprenditore per il solo fatto dell’accesso alla CNC.

[7] Sul concetto di giusta causa cfr. Cass. Sez. I, Ordinanza n. 14185 del 5 maggio 2022 in Onelegale.it per cui sussiste giusta causa nel caso recesso della banca dal rapporto di apertura di credito a seguito della notifica dell’avviso ex articolo 498 c.p.c. relativo a un pignoramento immobiliare sui beni del debitore; infatti, già l’incapacità del debitore di saldare una somma modesta può integrare i presupposti della giusta causa di recesso senza necessità che il debitore sia in stato di insolvenza.

Oppure, Trib. Massa, Sentenza 1124 del 6 dicembre 2016 in Onelegale.it per cui integra giusta causa di recesso ex articolo 1845 c.c. la costante involuzione ingravescente dell’esposizione debitoria del correntista unita al ricevimento da parte di quest’ultimo di molteplici protesti di assegni e cambiali.

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