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Attualità

Le addizionali alle accise sull’energia elettrica dopo la CGUE

23 Maggio 2024

Paola Desideri Zanardelli, AndPartners Tax and Law Firm

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema delle addizionali alle accise per energia elettrica, oggetto di numerosi giudizi pendenti o ancora non azionati, successivamente all’emissione della sentenza della Corte di Giustizia Europea dell’11 aprile 2024, nella causa C‑316/22 e della sentenza della Corte d’Appello di Milano del 16 aprile 2024.


La Corte di Giustizia Europea, in data 11 aprile 2024, si è pronunciata sull’efficacia orizzontale delle Direttive comunitarie in materia di addizionali alle accise sull’energia elettrica a seguito del rinvio operato dal Tribunale di Como con ordinanza del 28 aprile 2022.

La Corte di Giustizia Europea, nella causa C‑316/22, ha ritenuto che un giudice nazionale non possa disapplicare, in una controversia tra privati (qual è quella tra fornitore e utente), una norma nazionale che istituiva un’imposta indiretta (contraria a una direttiva non correttamente trasposta), salvo che il diritto interno disponga diversamente o che l’ente nei confronti del quale venga fatta valere la contrarietà di detta imposta sia soggetto all’autorità o al controllo dello Stato o disponga di poteri esorbitanti rispetto a quelli risultanti dalle norme applicabili ai rapporti tra privati.

Tale pronuncia richiede alcune considerazioni anche alla luce della decisione della Corte d’Appello di Milano del 16 aprile 2024, come esposto in seguito.

Sulla vicenda processuale

Il giudizio trae origine dalla tardiva abrogazione da parte dello Stato Italiano dell’art. 6 del DL 28 novembre 1988, n. 511, in quanto contrario ai principi stabiliti dalla Direttiva 2008/118/CE, e dall’interpretazione data alla vicenda dalla Corte di Cassazione con una seria di sentenze, dal 2019 in poi (Cass. n. 15198/2019, n. 27099/2019, n. 27101/2019 e n. 29980/2019).

In particolare, lo Stato Italiano – subita una procedura di infrazione da parte della Commissione di Giustizia Europea con le lettere dell’1.12.2011 e del 20.03.2012, che ha ritenuto l’addizionale all’accisa sull’energia elettrica (di cui al citato art. 6 del D.L. n. 511/1988) in contrasto con la Direttiva 2008/118/CE– ha abrogato l’addizionale a decorrere dall’anno 2012 (con i Decreti legislativi n. 23/2011 e n. 68/2011, nelle Regioni a statuto ordinario, e con D.L. n. 16/2012 anche nelle Regioni a statuto speciale), e dunque in evidente ritardo rispetto al recepimento della suddetta direttiva avvenuta con D.lgs. 48/2010.

La presente vicenda si inserisce, quindi, nel quadro normativo e giurisprudenziale sopra riportato, sulla base del quale è emerso, in gran parte dei contenziosi seriali, che le addizionali provinciali pagate dal consumatore al fornitore vadano disapplicate in virtù dell’interpretazione del diritto unionale, di applicazione necessaria e immediata da parte dei Giudici nazionali.

I giudici di legittimità, preso atto del contenuto della sentenza interpretativa della Corte di Giustizia CGUE 25 luglio 2018, causa C-103/17, secondo cui le somme sarebbero state imposte in ragione di una norma nazionale che andava disapplicata per contrasto con l’art. 1, p. 2 della direttiva 2008/118/CE, hanno ritenuto che ogni consumatore finale che ha versato le addizionali, ovviamente perché addebitate alla stessa dal proprio fornitore di energia elettrica, negli anni 2010 e 2011, può chiederne il rimborso poiché si tratta di somme indebitamente corrisposte, nel rispetto del termine di prescrizione decennale.

Sono risultati rilevanti due rapporti giuridici:

  • uno tra il fornitore e l’amministrazione finanziaria;
  •  l’altro tra il fornitore e l’utente finale.

La Corte di Cassazione ha, inoltre, ritenuto che l’utente finale possa chiedere il rimborso all’Amministrazione finanziaria unicamente nel caso in cui l’azione giudiziaria nei confronti del fornitore si rilevasse oltremodo gravosa.

In particolare, i giudici di legittimità, estrapolando un principio generale dell’ordinamento comunitario, giungono alla conclusione “soltanto se il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene in questione sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie (come nel caso di fallimento del venditore: CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, cit.; conf., CGUE 31 maggio 2018, cause C- 660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 66)” (Cass. n. 27099/2019).

La gravità è individuata dalla Suprema Corte nella situazione soggettiva in cui si trovi il fornitore e non nella circostanza che l’indebito consegua alla contrarietà della norma interna alla direttiva.

In altri termini, la direttiva si rivela di per sé gravosa ogni qualvolta la sua applicazione diretta crei obblighi aggiuntivi in capo a un singolo.

Sui procedimenti pendenti

Al fine di comprendere l’impatto processuale che ha avuto la pronuncia della Corte di Giustizia Europea, occorre premettere che nel diritto italiano non vi è alcuna normativa espressa che permetta al giudice nazionale di applicare una direttiva con efficacia diretta, sostituendola alla norma interna in un giudizio tra privati, a meno che il giudizio sia instaurato con lo Stato o organi della sua amministrazione o suoi delegati.

L’impianto normativo italiano delineato dalla giurisprudenza di legittimità trova nell’articolo 14, quarto comma, del D.Lgs. n. 504/1995 (cd. “TUA”) l’approdo per il recupero delle accise da parte del soggetto inciso e che ha applicato sul cliente il principio della rivalsa.

Il quadro risponde all’esigenza di tutela del fornitore qualora venga, per cause inerenti al rapporto di somministrazione, accertato il diritto del cliente alla restituzione delle somme.

Tuttavia, nel caso delle addizionali alle accise il meccanismo utilizzato non conviene con quanto deciso dalla norma, poiché l’illegittimità del versamento non deriva dal malfunzionamento del contratto per responsabilità di uno dei contraenti ma da una non corretta trasposizione della direttiva da parte dello Stato membro.

La Cassazione ha utilizzato la “consecutio azione civile – azione tributaria”, come se la prima fase non fosse eventuale ma obbligata, tanto che l’istanza di rimborso viene definita un posterius dell’azione civile.

In questa situazione occorre evitare che lo Stato membro interessato ottenga di fatto un beneficio dalla violazione del diritto dell’Unione.

E’ evidente che creare un processo ad hoc per far accertare non dovuta una accisa contraria ad una direttiva europea per permettere poi al soggetto fornitore di chiederne a sua volta, come soggetto inciso, il rimborso allo Stato, potrebbe rientrare tra quelle circostanze che per la CGUE entrano a far parte dei casi in cui il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, entrando a far parte di quei casi in cui “l’azione (dell’Utente finale) esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa”.

Dunque, in sintesi, l’obbligo per l’utente finale di esperire un’azione di indebito oggettivo nei confronti del fornitore viene giustificato dai giudici dal loro rapporto civilistico collegato, in virtù della rivalsa, al rapporto tributario, in cui opera il principio dell’effetto diretto, essendo un rapporto orizzontale.

La strada percorribile indicata anche dalla Prima Presidente della Corte di Cassazione (RGN 7959/2023 del 10 maggio 2023) è un’azione risarcitoria per mancato recepimento di una direttiva, che intende ristorare i danni per omessa o tardiva trasposizione della stessa non auto-esecutiva da parte del legislatore italiano nel termine prescritto dalla legge italiana. Tale obbligazione rientra nello schema della responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato (quest’ultima di natura indennitaria, nel senso che la direttiva imponeva un obbligo di introdurre l’indennizzo).

Si tratta, quindi, di un’obbligazione derivante da un illecito costituito dal comportamento omissivo dello Stato anche sul piano dell’ordinamento interno, che la inquadra nella figura della responsabilità “contrattuale”, dettandone conseguentemente modalità e termini, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., bensì da un illecito ex contractu e cioè dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente.

Questa sarebbe stata l’indicazione che la Corte di Cassazione avrebbe dovuto dare per garantire l’effettività della direttiva.

Sulla prescrizione dell’azione risarcitoria

I giudici europei non si sono limitati a parlare di applicabilità orizzontale e verticale delle direttive comunitarie, ma hanno posto l’accento sull’impossibilità di un rimborso diretto delle addizionali da parte dell’Agenzia delle Dogane al cliente finale, avendo quest’ultimo operato, in applicazione degli articoli 53 e 56 TUA, la trasposizione del versamento dell’imposta, che è stata effettuata di fatto dal fornitore.

Leggendo la sentenza della CGUE sembra quasi di vedere lo stupore dei giudici unionali di fronte ad un meccanismo tanto complesso quale è quello delineato dall’art. 14 comma 4 TUA, che non permette al cliente finale di vedere velocemente rimborsato il proprio diritto, e che riversa su un soggetto terzo, il fornitore, la responsabilità dello Stato, il quale resta in tal modo di fatto estraneo alla vicenda.

Ed ecco la risposta al secondo quesito, nella decisione dell’11 aprile 2024, che statuisce che il principio di effettività non viene garantito da una normativa nazionale che non consente al consumatore finale di chiedere direttamente allo stato membro la restituzione dell’onere economico supplementare sopportato a causa della rivalsa da parte del fornitore.

Tale principio sembra far sorgere in capo al cliente finale un diritto che, non potendo essere di rimborso diretto nei confronti dell’Agenzia delle Dogane, per la carenza normativa sopra descritta, potrà quanto meno essere risarcitorio nei confronti dello Stato.

È principio civilistico noto, quello secondo cui i diritti risarcitori hanno una prescrizione, nel caso di specie decennale, la quale deve essere interrotta su istanza di parte. Occorrerà perciò capire nel caso che qui interessa da quando decorra la prescrizione e se sia stata interrotta adeguatamente.

In ordine alla decorrenza, appare attendibile rifarsi alla data di entrata in vigore della Direttiva (ai sensi degli artt. 46, 47 e 48 della Direttiva 2008/118/CE il 1° aprile 2010, ma tale dato è oscillante nella giurisprudenza di merito che fa decorrere il diritto risarcitorio dal 1° gennaio 2010).

La problematica sorge in merito alla sua interruzione. Infatti, appare verosimile che, salvo pochi lungimiranti, la maggior parte dei clienti finali non abbiano mai interrotto i termini prescrizionali nei confronti dello Stato, essendo stati, in buona fede, dirottati verso il fornitore.

In tal senso, anche coloro che avevano richiesto il rimborso all’Agenzia delle Dogane, per intenderci le cause che poi giunsero alla Cassazione nel 2019, non potranno ritenersi “salvi” dalla prescrizione, in quanto il soggetto nei cui confronti era stata effettuata la messa in mora non era la Presidenza del Consiglio dei Ministri, quale organo legislativo dello Stato, e oggetto della richiesta era il rimborso delle addizionali versate e non il risarcimento del danno per l’omessa trasposizione della Direttiva.

Conclusivamente, al momento, qualora i giudici italiani si conformassero ai dettami della CGUE e, dunque, rigettassero le domande di rimborso presentate dagli Utenti finali, questi ultimi non potrebbero ottenere allo Stato alcun risarcimento per avvenuta prescrizione del diritto, qualora non fossero stati a suo tempo previdenti, interrompendo i termini di prescrizione nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Come di consueto i Tribunali italiani si esprimeranno con una certa diversità tra loro e forse qualcuno attenderà la sentenza in argomento della Corte Costituzionale per chiarirsi le idee. Ma tutti?!

Sulla decisione della Corte di Appello di Milano del 16 aprile 2024 post CGUE

La sentenza che ha ultimamente accolto l’appello dell’Utente finale, al quale era stata in primo grado rigettata la domanda, intende motivare il PQM travisando sia la direttiva, sia la normativa italiana applicata per garantire l’effettività della disposizione europea:

  • i punti da cui il ragionamento ha la sua esplicitazione sono in ogni caso non coerenti con le conclusioni;
  • le sentenze della Cassazione, a cui la Corte dichiara di adeguarsi sono della sezione tributaria e relative ad un giudizio nel quale l’Utente chiedeva, con la forma dell’istanza, il rimborso dell’addizionale all’Agenzia delle Dogane, quindi di fatto, ad una delegata dello Stato; qui è evidente che colui che ricorreva non era legittimato ad agire, in quanto non era colui che aveva a suo tempo riversato all’Agenzia le accise;
  • pertanto, la Cassazione ricostruiva il percorso che la norma tributaria italiana poteva garantire affinché l’Utente finale potesse ottenere la somma versata illegittimamente al Fornitore, attraverso una causa civile di indebito oggettivo, e come il Fornitore che versava in restituzione potesse, a sua volta, ottenere il rimborso tributario formulando entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna civile con l’istanza di rimborso all’Agenzia delle Dogane.

Conclusione che apparentemente confermava l’importanza, nell’attuazione dei “principi” europei, della funzione interpretativa quale strumento ottimale al servizio della tutela della primazia della norma europea.

Ma in questo caso l’effetto diretto verticale della direttiva, che riscontriamo tra il Fornitore e l’Agenzia delle Dogane, quale delegata dello Stato, non può rinvenirsi tra il Fornitore e l’Utente in quanto soggetti privati. Come tra l’altro chiaramente espresso proprio dalla CGUE con la sentenza dell’11 aprile 2024.

La sentenza della Corte di Appello risolve tale criticità, interpretando l’art. 56 TUA e attribuendo alla “rivalsa” (cioè alla possibilità del fornitore di rivalersi sull’Utente finale addebitandogli sulla fattura di somministrazione il valore economico dell’imposta come poi lui la verserà nelle casse dello Stato) valore di “collegamento” tra il rapporto tributario e il rapporto civilistico, pur ritenendoli “distinti e separati”…

E’ proprio tale diritto di rivalsa, a dire della Corte di Appello di Milano, che trasforma il rapporto civilistico tra privati alla stregua del rapporto tributaristico, dunque con un effetto verticale “incidentale” che permette la disapplicazione della direttiva medesima in un rapporto tra privati e giustifica l’accoglimento della domanda.

Inoltre, le sentenze riportate dalla CGUE alle quali fanno richiami giurisprudenziali (C- 553/13 e C-103/17) sono entrambe relative al rapporto tra l’Utente e lo Stato o ente ad esso collegato, quindi non configurabili come giurisprudenza ad adiuvandum.

L’unica certezza è quella che questa Storia continuerà e noi non avremo tempo per annoiarci, malgrado la serialità dei processi….ogni giorno è giorno nuovo.

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