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Giurisprudenza

Tassazione delle restituzioni di riserve di capitale eccedenti il costo della partecipazione

25 Marzo 2021

Matteo Mancini, Avvocato

Cassazione Civile, Sez. V, 9 febbraio 2021, n. 3098 – Pres. Cirillo, Rel. Federici

L’art. 47, comma 5 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”) esclude dal novero degli utili, tra le altre, le somme ed i beni ricevuti a titolo di ripartizione di riserve di capitale da parte dei soci di soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (“IRES”).

Non avendo natura di utile, tali somme ricevute dal socio riducono, peraltro, il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote da questo possedute, come confermato dal predetto art. 47, il quale, nello stabilire tale principio generale della tassazione dei redditi, non si preoccupa, tuttavia, di disciplinare il caso in cui la restituzione di riserve di capitale avvenga in misura eccedente rispetto al predetto costo fiscalmente riconosciuto.

Con particolare riferimento alla qualificazione della natura fiscale di tale eccedenza come (a) restituzione di conferimenti piuttosto che (b) distribuzione di utili, nonché sulle relative conseguenze circa il corretto regime di tassazione applicabile, si è reso necessario un intervento della Corte di Cassazione, la quale, con l’ordinanza in commento, ha recentemente avuto modo di pronunciarsi sul tema.

La vicenda in oggetto traeva origine dall’emissione, nei confronti di un contribuente, di un provvedimento di accertamento di maggior reddito imponibile, derivante da talune somme da questi ricevute a titolo di “distribuzione di riserve di capitale” in qualità di socio di una S.r.l.

Il citato reddito, qualificato come utile, era assoggettato a tassazione in misura integrale.

In particolare, tali riserve erano state costituite sulla base di versamenti eseguiti da parte di soci che, successivamente, avevano ceduto le rispettive quote al contribuente, senza pretendere, al momento di tale trasferimento, la restituzione delle somme conferite, incrementando implicitamente in tal modo il patrimonio netto della società partecipata.

Impugnato tale atto impositivo, il contribuente risultava, tuttavia, soccombente sia in primo che in secondo grado, decidendo dunque di far valere le proprie ragioni ricorrendo in Cassazione avverso la sentenza della competente Commissione tributaria regionale (“CTR”).

Nell’ambito di tale impugnazione, nel richiedere la cassazione della predetta sentenza d’appello, il ricorrente ha censurato l’operato dei giudici di appello sulla base di una duplice motivazione.

In specie, in primo luogo è stata lamentata la violazione del predetto art. 47, comma 5, il cui dato testuale sarebbe – ad avviso del ricorrente – di per sé sufficiente ad escludere la natura reddituale delle somme oggetto di erogazione, non assumendo, peraltro, alcuna rilevanza la circostanza – sottolineata, invece, dalla CTR – secondo cui l’esclusione dall’imponibile dei predetti importi troverebbe giustificazione nelle sole ipotesi in cui la restituzione sia operata nei confronti dei medesimi soggetti che abbiano posto in essere il conferimento; ciò in ragione del fatto che l’avvenuta rinuncia al credito generatosi da tale versamento qualificherebbe la successiva restituzione come “sprovvista di rilevanza reddituale” in quanto le somme in oggetto assumerebbero la natura di “parte esclusiva del capitale e del patrimonio societario”.

In secondo luogo, il ricorrente censurava la violazione del predetto art. 47, comma 1, (nonché, più in generale, dell’art. 53 Cost.) per aver, i giudici della CTR, riconosciuto legittima la ripresa a tassazione delle predette somme erogate nella misura del loro intero ammontare anziché del solo 40 per cento.

Su tale aspetto, è bene rammentareche il menzionato art. 47, comma 1, vigente ratione temporis, e, in specie, nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dalla Legge 27 dicembre 2017, n. 205, prevedeva il concorso degli utili alla formazione del reddito imponibile complessivo del percipiente con una parziale esclusione calcolata su base percentuale, via via modificatasi nel corso degli anni, che nel periodo d’imposta di interesse era pari al 60 per cento.

La Suprema Corte ha rigettato entrambe le doglianze del ricorrente, osservando preliminarmente, con riguardo al primo motivo di ricorso, come la ratio dell’esclusione da imponibile disciplinata dal predetto art. 47, comma 5 sia essenzialmente da ricercarsi nella volontà del Legislatore di non assoggettare a tassazione le restituzioni dei conferimenti, non avendo tali somme natura di utile e incidendo, conseguentemente, sul costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o delle quote possedute, che sarà corrispettivamente ridotto.

Ebbene, ragionandoa contrariis, nel caso in cui l’operazione di ripartizione e restituzione preveda che la somma (o il valore dei beni) superi il costo fiscale delle partecipazioni, tale eccedenza – secondo i giudici ermellini – è da ricondursi all’alveo degli utili e, come tale, è oggetto di conseguente tassazione.

In questo senso, le osservazioni della Cassazione trovano, peraltro, fonte di ispirazione in alcune posizioni di prassi contenute, in particolare, nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate 16 giugno 2004 n. 26 (cfr. § 3.1)e nella Circolare Assonime 14 luglio 2004 n. 32 (cfr. § 5.3), le quali, in senso univoco fra loro, hanno avuto modo di fugare ogni dubbio, rispetto alle ondivaghe posizioni precedenti, circa la natura di utile – e non di redditi diversi – da attribuirsi alle somme percepite, in quanto elementi costitutivi di reddito “derivante dall’impiego di capitale” piuttosto che generato da eventi realizzativi della partecipazione posseduta.

Posto quanto sopra, la Suprema Corte ha quindi affrontato il secondo motivo di ricorso, rilevando, in particolare, come l’esclusione parziale disciplinata dal predetto art. 47, comma 1 vigente ratione temporis, perseguisse la specifica finalità di eliminazione della doppia imposizione economica che veniva a prodursi a seguito dell’imponibilità delle stesse somme in capo prima alla società e successivamente al socio.

Su queste basi, il collegio ha rigettato il ricorso specificando come, non avendo le somme percepite (a differenza degli utili “ordinari”) scontato l’IRES, la relativa differenza debba conseguentemente concorrere integralmente alla formazione del reddito imponibile del percipiente.

 


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