Il presente contributo analizza il tema della parità di tutela che deve essere garantita ex art. 11 Dlgs 36/2023 (nuovo Codice dei contratti pubblici) nelle procedura di gara per appalti pubblici tra il CCNL per i lavoratori indicato dalla stazione appaltante e quello indicato in offerta dall’operatore economico, alla luce della più recente giurisprudenza amministrativa.
1. La fattispecie
L’ordinanza del TAR Brescia 12 marzo 2024 n. 89 in commento riguarda una fattispecie nella quale l’aggiudicatario di un appalto pubblico era stato escluso dalla procedura di gara perché la stazione appaltante aveva ritenuto che il CCNL indicato in offerta non garantisse parità di tutele rispetto a quello indicato in gara dalla stazione appaltante e ciò quindi costituisse una violazione dell’art. 11 del Dlgs 36/2023.
Il TAR ha sospeso il provvedimento di esclusione rilevando che:
“(a) in base all’art. 11 commi 3 e 4 del Dlgs. n. 36/2023, il ribasso inserito nell’offerta non può essere ottenuto in danno dei lavoratori mediante l’applicazione di un CCNL che, essendo incoerente rispetto alle lavorazioni, comporti minori tutele economiche e normative;
(b) la suddetta norma determina certamente una limitazione della libertà di organizzazione aziendale, ma non può essere interpretata in senso eccessivamente restrittivo, in quanto occorre evitare di introdurre freni non necessari alla concorrenza e al principio di massima partecipazione. Si ritiene pertanto che un’impresa possa mantenere il proprio CCNL anche in una gara che in base alle ripartizioni della contrattazione collettiva si collocherebbe in un altro settore economico, purché, secondo una valutazione complessiva (giuridica ed economica), il trattamento dei lavoratori impiegati in tale gara non sia deteriore rispetto a quello dei CCNL individuati dalla stazione appaltante, e vi sia corrispondenza tra le mansioni del CCNL applicato e le lavorazioni oggetto dell’appalto;
(c) occorre precisare ulteriormente che non è necessaria la parità di retribuzione, in quanto tale condizione sarebbe equivalente all’imposizione di un CCNL unico. Gli stessi CCNL indicati nel disciplinare di gara contengono significative differenze di retribuzione, una volta raffrontati i livelli di inquadramento”.
In estrema sintesi, secondo il TAR Brescia, il CCNL indicato in offerta, ove differente da quello indicato dalla stazione appaltante, può anche essere relativo ad un settore economico diverso da quello interessato dalla gara ma a condizione che: (i) il trattamento complessivo dei lavoratori non sia deteriore, pur non essendo necessaria una perfetta parità di retribuzione; (ii) vi sia corrispondenza tra le mansioni del CCNL applicato e le lavorazioni oggetto dell’appalto.
Tale pronuncia del giudice amministrativo, che si appunta su profili di diritto del lavoro e di diritto amministrativo, è di stimolo per una riflessione multidisciplinare sull’interpretazione ed applicazione dell’art. 11 del Dlgs 36/2023 e, in particolare, sui criteri per la valutazione di equivalenza, dal punto di vista di tutela del lavoratore, tra il CCNL (o i CCNL ) indicati nella disciplina di gara e quello applicato dal singolo operatore economico che presenta offerta.
2. La normativa di riferimento.
2.1. La pronuncia del TAR Brescia di qui trattasi richiama l’art. 11, commi 3 e 4, del Dlgs 36/2023. In sintesi, l’art. 11[1] del Dlgs 36/2023: (i) al comma 1 stabilisce, come previsione generale, l’obbligo di applicare il contratto collettivo nazionale di lavoro in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni oggetto del contratto. (ii) al comma 2, per esigenze di certezza, prevede che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano già nel bando o nell’invito alla gara il contratto collettivo applicabile, in conformità a quanto previsto nel comma 1. (iii) al comma 3, ispirato alla tutela della libertà di iniziativa economica, consente comunque agli operatori economici di indicare nella propria offerta il differente contratto che essi applicano, purché però assicuri le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente. (iv) al comma 4 impone all’operatore economico di presentare prima dell’aggiudicazione o dell’affidamento un’ulteriore dichiarazione con la quale si impegna ad applicare il contratto collettivo indicato per tutta la durata del contratto ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele. (v) Il comma 5 stabilisce che le medesime tutele normative ed economiche siano assicurate anche ai lavoratori in subappalto. (vi) Il comma 6 disciplina l’intervento sostitutivo della stazione appaltante nel caso di inadempienze contributive o retributive dell’impresa affidataria o del subappaltatore, attualmente previsto dai commi 5 e 6 dell’articolo 30 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Appare evidente che l’interpretazione ed applicazione del predetto art. 11 deve essere costituzionalmente orientata e ciò porta a ritenere che la previsione di un rigido obbligo dell’appaltatore di applicazione del CCNL indicato dalla stazione appaltante sarebbe difficilmente compatibile con i principi costituzionali di cui agli artt 39 (libertà sindacale) e 41 (libertà d’iniziativa economica) della Costituzione[2].
Su tale specifico aspetto la relazione di accompagnamento al Dlgs 36/2023 sull’art. 11 in discorso rileva: “la previsione non pare in contrasto con l’art. 39 Cost. in quanto non è diretta a estendere ex lege ed erga omnes l’efficacia del contratto collettivo, ma si limita a indicare le condizioni contrattuali che l’aggiudicatario deve applicare al personale impiegato, qualora, sulla base di una propria e autonoma scelta imprenditoriale, intenda conseguire l’appalto pubblico, restando libero di applicare condizioni contrattuali diverse nello svolgimento dell’attività imprenditoriale diversa; e restando libero di accettare o non la clausola dell’appalto pubblico oggetto dell’aggiudicazione (accettando, quindi, anche l’esclusione dalla procedura)”.
Nella medesima Relazione si sottolinea altresì che detta previsione di legge è compatibile con la libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., atteso che la medesima “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”.
Risulta però necessario un equo bilanciamento tra la tutela del lavoratore e la tutela della concorrenza effettiva delle procedure di gara. Invero, non è revocabile in dubbio che l’indicazione del CCNL da parte della stazione appaltante è suscettibile di determinare un effetto anticoncorrenziale, riducendo il numero dei potenziali concorrenti alle sole imprese che applichino (o si impegnino ad applicare) detto CCNL.
Si aggiunge l’ulteriore difficoltà determinata dall’osservanza del principio comunitario di libera prestazione dei servizi e, in questa prospettiva, la necessità di evitare che l’individuazione del CCNL da parte della stazione appaltante si traduca in un ostacolo alla libertà di prestare servizi nel mercato unico europeo[3].
Tale equo bilanciamento è proprio quanto propone il TAR Brescia nella stringata, ma lucida motivazione dell’ordinanza in commento.
2.2. Fermo quanto precede, occorre altresì evidenziare, con specifico riferimento alla previsione di cui al comma 4 dell’art. 11 in discorso, che l’art. 1, comma 2, lett. h) della legge 21 giugno 2022, n. 78 (la legge delega sulla base della quale è stato poi adottato il Dlgs 36/2023) chiedeva al legislatore delegato di “garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore” individuati in relazione all’oggetto dell’appalto.
Rileva, inoltre, la previsione dell’art. 57 comma 1 del medesimo Dlgs 36/2023 secondo cui: “Per gli affidamenti dei contratti di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale (….) i bandi di gara, (….) , tenuto conto della tipologia di intervento, (….) devono contenere specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell’offerta, misure orientate tra l’altro a garantire (….) l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto o della concessione e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente, nonché a garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare”.
Merita menzione anche l’art. 102, comma 1, lett. b) sempre del Dlgs 36/2023 secondo cui “Nei bandi, negli avvisi e negli inviti le stazioni appaltanti, tenuto conto della prestazione oggetto del contratto, richiedono agli operatori economici di assumere i seguenti impegni: (…) b) garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto e alle prestazioni da eseguire, anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente, nonché garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare”.
Da ultimo, è utile anche richiamare l’art. 119, comma 7 del D.lgs 36/2023 e quindi l’obbligo dell’aggiudicatario di osservare – nella fase esecutiva del contratto – il trattamento previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona individuato ai sensi dell’ art. 11. Non si tratta, a ben vedere, di una ripetizione, perché tale previsione riconosce al lavoratore il diritto a vedersi garantito il trattamento stabilito dai contratti collettivi di cui all’art. 11. Tale previsione, a ben vedere, sostituisce, introducendo però significative modifiche, l’art. 105, co. 9, del D.lgs. n. 50/2016.
La struttura dell’art. 11 del nuovo Codice, in ultima analisi, rappresenta un compromesso normativo tra quanto previsto dal precedente Codice (art. 30, comma 4[4], d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) e quanto già disposto dall’art. 36 dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 1970), ad oggi ancora in vigore[5], secondo il quale “[…]nei capitolati di appalto attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l’obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona […]”.
Concepita come norma-incentivo ai fini dell’applicazione dei contratti collettivi – soprattutto nelle aree geografiche economicamente più depresse dell’Italia – a fronte della mancata attuazione dell’art. 39 Cost.[6], è stato pacificamente ritenuto che tale disposizione normativa attribuisce a ciascuno dei lavoratori un vero e proprio diritto soggettivo all’applicazione del trattamento minimo previsto dal contratto collettivo, senza che ciò comporti una diretta estensione della sua efficacia soggettiva. Il contratto collettivo assolve, invece, la funzione di parametro o termine di raffronto, nel senso di fornire una semplice indicazione del minimo livello normativo e retributivo da rispettare.
A livello comunitario, invece, la direttiva 2014/24/UE, all’art. 18, relativo ai “principi per l’aggiudicazione» degli appalti”, si limita a riconoscere agli Stati membri la facoltà di adottare “misure adeguate” per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto del lavoro stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell’allegato X.
3. La relazione illustrativa al Bando Tipo ANAC n. 1/2023
La relazione illustrativa al Bando Tipo Anac 1/2023 contiene utili indicazioni sulle modalità applicative del predetto art. 11[7].
Quanto alla parità delle tutele ivi si legge che il concorrente che dichiara di applicare un CCNL diverso da quello indicato dalla stazione appaltante deve dichiarare e dimostrare l’equivalenza di tutela tra i due CCNL ed al riguardo la stazione appaltante è tenuta a svolgere un subprocedimento, sulla falsariga del subprocedimento di verifica della congruità dell’offerta di cui all’art. 110 del Dlgs 36/2023.
L’ANAC evidenzia che, ai fini del predetto giudizio di equivalenza, le stazioni appaltanti possano trarre utili elementi di riferimento dalle indicazioni fornite dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la Circolare n. 2 del 28/7/2020, precisando che la valutazione deve necessariamente avere ad oggetto sia le tutele economiche che quelle normative in quanto complesso inscindibile.
Il giudizio di equivalenza deve partire dalla valutazione dell’equivalenza economica dei contratti, prendendo a riferimento le componenti fisse della retribuzione globale annua costituite dalle seguenti voci: retribuzione tabellare annuale; indennità di contingenza; Elemento Distinto della Retribuzione – EDR – a cui vanno sommate le eventuali mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima), nonché ulteriori indennità previste.
Quanto alla valutazione di equivalenza delle tutele normative devono invece essere presi a riferimento i parametri relativi a: (i) la disciplina concernente il lavoro supplementare e le clausole elastiche nel part-time; (ii) la disciplina del lavoro straordinario, con particolare riferimento ai suoi limiti massimi (con l’avvertenza che solo il CCNL leader – cioè il CCNL stipulato da organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale[8] – può individuare ore annuali di straordinario superiori alle 250. Lo stesso non possono fare i CCNL sottoscritti da soggetti privi del requisito della maggiore rappresentatività); (iii) la disciplina compensativa delle ex festività soppresse, che normalmente avviene attraverso il riconoscimento di permessi individuali; (iv) la durata del periodo di prova; (v) la durata del periodo di preavviso; (vi) durata del periodo di comporto in caso di malattia e infortunio, con particolare riferimento al riconoscimento di un’eventuale integrazione delle relative indennità; (vii) maternità ed eventuale riconoscimento di un’integrazione della relativa indennità per astensione obbligatoria e facoltativa; (viii) monte ore di permessi retribuiti; (ix) bilateralità; (x) previdenza integrativa; (xi) sanità integrativa.
Aggiunge l’ANAC che la stazione appaltante può ritenere sussistente l’equivalenza in caso di scostamenti marginali in un numero limitato di parametri.
4. La nota I.N.L. n. 687 del 19 aprile 2023.
Con la nota prot. n. 687 del 19 aprile 2023 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, sempre pronunciandosi sulle modalità di applicazione dell’art. 11 in discorso, ha affermato che i concorrenti devono necessariamente applicare il contratto collettivo stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.
Secondo l’I.N.L. l’operatore economico dovrebbe garantire, a pena di esclusione, il trattamento stabilito dal CCNL indicato nella disciplina di gara. Merita rilevare che in questa nota l’I.N.L. sembra affermare che perché la stazione possa svolgere una valutazione di equivalenza positiva sarebbe richiesta la sussistenza di una perfetta coincidenza, in termini di tutele, della disciplina economica e normativa tra i due CCNL oggetto di comparazione.
Il TAR Brescia con l’ordinanza in commento sembra invece proporre una lettura interpretativa dell’art. 11 in discorso meno restrittiva (in particolare laddove afferma che non deve esservi identità di trattamento economico).
In vigenza del D.lgs 50/2016, la giurisprudenza sul tema della individuazione da parte della stazione appaltante del contratto collettivo da applicarsi all’appalto (anche rispetto all’attività oggetto dell’appalto) sottolinea(va) che rientra nella discrezionalità della stazione appaltante stabilire i contenuti delle prestazioni da affidare mediante gara, ma non costituisce invece legittimo esercizio del potere discrezionale l’imposizione di un determinato CCNL[9]
Il D.lgs 36/2023 mediante la previsione di cui all’art. 11 sembra invece muoversi in una prospettiva differente che, parte dal principio di cui all’art. 1, comma 2, lettera h), n. 2, della legge delega, attribuisce all’indicazione del CCNL applicabile un effetto vincolante con margini di derogabilità abbastanza ristretti.
5. Art. 11 Dlgs 36/2023 ed affidamenti diretti
Alla luce di quanto si è andato sinora esponendo è evidente che l’interpretazione ed applicazione dell’art. 11 di cui qui trattasi non determina sempre risultati univoci ed è spesso foriera di dubbi.
Nell’ambito di tali dubbi si segnalano due quesiti interpretativi di recente posti al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti due quesiti (n. 2346 e n. 2338 del 26 febbraio 2024) e relativi all’applicabilità o meno dell’articolo 11 agli affidamenti diretti e dunque sulla necessità o meno che le Stazioni Appaltanti indichino, anche per gli affidamenti diretti, il CCNL applicabile.
Il dubbio interpretativo deriva dal contenuto letterale dell’articolo 1, che a1 comma 2, menzionando solo “bandi”, “inviti”, sembra limitare il proprio ambito oggettivo di applicabilità solo alle procedure di evidenza pubblica, come definita dall’art. 3, comma 1, lett. c) dell’Allegato I.1 al D.lgs. 36/2023. Ne deriverebbe che nel caso di affidamento diretto l’indicazione del CCNL non sarebbe applicabile.
Il MIT ha al riguardo affermato che l’articolo 11 trova applicazione anche agli affidamenti diretti degli appalti di valore inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.
Il ragionamento interpretativo del MIT si fonda sull’art. 48, comma 4, d.lgs. 36/2023 secondo cui “ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea si applicano, se non derogate dalla presente Parte, le disposizioni del codice”.
Tale previsione normativa stabilisce che ai contratti di valore inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria si applicano sia le regole semplificatorie previste dagli artt. 48-55 d.lgs. 36/2023 sia, per quanto non espressamente regolata, la disciplina ordinaria (prevista per gli appalti sopra-soglia) del d.lgs 36/2023.
In questa prospettiva ermeneutica, poiché l’art. 11 stabilisce un principio generale, il MIT ha ritenuto che il mero aspetto procedurale non possa giustificare un minor grado di tutela dei lavori impiegati negli appalti oggetto di affidamento diretto e quindi la disapplicazione del citato art. 11 per gli affidamenti diretti.
6. Conclusioni
Alla luce di quanto si è andato esponendo occorre quindi concludere che la parità di tutele indicata all’art. 11 del Dlgs 36/2023 deve essere garantita anche nel caso in cui l’aggiudicatario abbia indicato in offerta un CCNL diverso da quello individuato dalla stazione appaltante.
La stazione appaltante è quindi chiamata a svolgere una valutazione di equivalenza tra le tutele accordate dal CCNL indicato nel bando e quello applicato dall’aggiudicatario. La complessità di tale valutazione è piuttosto evidente ed è plausibile che tali valutazioni siano foriere di contenzioso.
Con l’ordinanza in commento il TAR Brescia ha provato a dare indicazioni per lo svolgimento di detta valutazione di equivalenza affermando che il CCNL indicato in offerta, ove differente da quello indicato dalla stazione appaltante, può anche essere relativo ad un settore economico diverso da quello interessato dalla gara ma a condizione che: (i) il trattamento complessivo dei lavoratori non sia deteriore, pur non essendo necessaria una perfetta parità di retribuzione; (ii) vi sia corrispondenza tra le mansioni del CCNL applicato e le lavorazioni oggetto dell’appalto.
Si può concludere rilevando che per realizzare in modo più semplice l’obiettivo dell’equo trattamento del lavoratore si sarebbe potuta utilizzare la formula dei trattamenti economico-normativi minimi e questo perchè il confronto tra tutele è piuttosto difficile.
Il fatto che tale confronto debba essere svolto, in contraddittorio, nell’ambito di un subprocedimento modellato sulla falsariga di quello per la verifica di anomalia dell’offerta dota il precetto dell’art. 11 di effettività ma apre, di certo, ad interpretazioni e applicazioni frutto del soggettivo apprezzamento della singola stazione appaltante e quindi non necessariamente ad una applicazione sempre uniforme.
[1] Per quanto qui interessa l’art. 11 del Dlgs 36/2023 prevede che:
“1. Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.
2. Nei bandi e negli inviti le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione, in conformità al comma 1.
3. Gli operatori economici possono indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.
4. Nei casi di cui al comma 3, prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione le stazioni appaltanti e gli enti concedenti acquisiscono la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele. In quest’ultimo caso, la dichiarazione è anche verificata con le modalità di cui all’articolo 110.
5. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano, in tutti i casi, che le medesime tutele normative ed economiche siano garantite ai lavoratori in subappalto.
6. In caso di inadempienza contributiva risultante dal documento unico di regolarità contributiva relativo a personale dipendente dell’affidatario o del subappaltatore o dei soggetti titolari di subappalti e cottimi, impiegato nell’esecuzione del contratto, la stazione appaltante trattiene dal certificato di pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza per il successivo versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi, compresa, nei lavori, la cassa edile. In ogni caso sull’importo netto progressivo delle prestazioni operata una ritenuta dello 0,50 per cento; le ritenute possono essere svincolate soltanto in sede di liquidazione finale, dopo l’approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità, previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva. In caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute al personale di cui al primo periodo, il responsabile unico del progetto invita per iscritto il soggetto inadempiente, ed in ogni caso l’affidatario, a provvedervi entro i successivi 15 quindici giorni. Ove non sia stata contestata formalmente e motivatamente la fondatezza della richiesta entro il termine di cui al terzo periodo, la stazione appaltante paga anche in corso d’opera direttamente ai lavoratori le retribuzioni arretrate, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’affidatario del contratto ovvero dalle somme dovute al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto”.
[2] In vigenza del Dlgs 50/2016 è stato rilevato che “l’applicazione di un determinato collettivo rientri nella libertà negoziale delle parti di modo che la legge di gara non può certamente vincolare con obbligo presidiato da sanzione espulsiva i concorrenti all’applicazione di un determinato contratto collettivo in luogo di un altro)” (Cons. Stato, Sez. V, 15.1.2024, n. 453).
[3] Le previsioni volte ad imporre l’applicazione di un determinato CCNL incontrano un limite ‘esterno’ nella direttiva 96/71/CE sul distacco transnazionale. Infatti, il considerando n. 98 della dir. 2014/24/UE si premura di precisare che «le condizioni di lavoro fondamentali disciplinate dalla direttiva 96/71/CE devono rimanere al livello stabilito dalla legislazione nazionale o da contratti collettivi applicati in conformità del diritto dell’Unione nel contesto di tale direttiva». Ne deriva che le materie su cui è possibile imporre all’operatore straniero la parità di trattamento dei lavoratori distaccati sono solo quelle di cui all’art. 3 della dir. 96 (almeno nel distacco infrannuale) e non abbracciano che una quota parte del ricco panorama regolativo del lavoro dello Stato ospitante e, pertanto, inducono a dubitare già a valle che si possa, per mezzo di una clausola sociale, imporre all’operatore straniero l’applicazione dell’intero trattamento economico-normativo di fonte legale o contrattuale dello Stato ospitante.
[4] L’art 30, comma 4, del Dlga 50/2016 prevede(va): “Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”.
[5] Si è escluso che l’art. 36 St. Lav. sia stato oggetto di abrogazione implicita in quanto le norme sopravvenute «sono rivolte a due destinatari diversi (…) e operano tramite due diversi meccanismi giuridici teoricamente contemporaneamente applicabili», sebbene, com’è ovvio, l’art. 36 St. Lav. abbia smarrito «ogni utilità pratica», I. Alvino, Appalti delle pubbliche amministrazioni e tutela dei lavoratori dipendenti da appaltatori e sub-appaltatori, in U. Carabelli, M.T. Carinci (a cura di), Il lavoro pubblico in Italia, Cacucci Editore, Bari, 2010, p. 282.
[6] F. Mancini, Sub art. 36, in Statuto dei diritti dei lavoratori, in A. Scialoja, G. Branca (a cura di), Commentario al Codice Civile, 1972, p. 542.
[7] In detta relazione, per quanto qui interessa, si legge: “Ai sensi dell’articolo 11, commi 3 e 4, del codice dei contratti pubblici, gli OE che applicano un diverso CCNL lo indicano nella loro offerta, purché detto contratto garantisca ai dipendenti le stesse tutele economiche e normative di quello indicato dalla stazione appaltante. In tali casi, prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione le stazioni appaltanti acquisiscono la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il CCNL indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele. In quest’ultimo caso, la dichiarazione è verificata dalla stazione appaltante con le modalità di cui all’articolo 110, sia per la parte economica che normativa. Ai sensi del comma 5, le stazioni appaltanti assicurano, in tutti i casi, che le medesime tutele normative ed economiche siano garantite ai lavoratori in subappalto. A tal fine, si raccomanda l’utilizzo del MoCOA che consente al committente di verificare il rispetto degli impegni assunti dagli appaltatori all’atto del conferimento dell’appalto in termini di manodopera regolarmente denunciata. Per garantire l’effettività degli impegni assunti, l’operatore economico si dovrebbe impegnare a dimostrare, in caso di aggiudicazione, il loro rispetto attraverso la messa a disposizione dei dati relativi al trattamento giuridico ed economico dei lavoratori addetti all’affidamento. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, mediante il Documento di Congruità Occupazione Appalto (DoCOA). Premesso che sono rari i casi in cui due contratti presentano esattamente lo stesso articolato, si ritiene che, la dichiarazione di equivalenza debba dimostrare che il diverso CCNL adottato, al di là del nomen iuris, garantisca tutele equiparabili. Al riguardo, si ritiene che le stazioni appaltanti possano trarre utili elementi di riferimento dalle indicazioni fornite dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la Circolare n. 2 del 28/7/2020. La valutazione deve necessariamente avere ad oggetto sia le tutele economiche che quelle normative in quanto complesso inscindibile. Si suggerisce di effettuare dapprima la valutazione dell’equivalenza economica dei contratti, prendendo a riferimento le componenti fisse della retribuzione globale annua costituite dalle seguenti voci: retribuzione tabellare annuale; indennità di contingenza; Elemento Distinto della Retribuzione – EDR – a cui vanno sommate le eventuali mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima), nonché ulteriori indennità previste. Quanto alla valutazione di equivalenza delle tutele normative sono presi a riferimento i parametri relativi a: – la disciplina concernente il lavoro supplementare e le clausole elastiche nel part-time; – la disciplina del lavoro straordinario, con particolare riferimento ai suoi limiti massimi, con l’avvertenza che solo il CCNL leader può individuare ore annuali di straordinario superiori alle 250. Lo stesso non possono fare i CCNL sottoscritti da soggetti privi del requisito della maggiore rappresentatività; – la disciplina compensativa delle ex festività soppresse, che normalmente avviene attraverso il riconoscimento di permessi individuali; – la durata del periodo di prova; – la durata del periodo di preavviso; – durata del periodo di comporto in caso di malattia e infortunio; – malattia e infortunio, con particolare riferimento al riconoscimento di un’eventuale integrazione delle relative indennità; – maternità ed eventuale riconoscimento di un’integrazione della relativa indennità per astensione obbligatoria e facoltativa; – monte ore di permessi retribuiti; – bilateralità; – previdenza integrativa; – sanità integrativa. La stazione appaltante può ritenere sussistente l’equivalenza in caso di scostamenti marginali in un numero limitato di parametri. Sul punto, si evidenzia che la richiamata Circolare dell’INL individua un primo elenco di nove istituti sui quali effettuare la verifica di equivalenza dei trattamenti normativi, ritenendo ammissibile lo scostamento limitato ad un solo parametro. Pertanto, considerato che l’elenco su proposto è più ampio, si può ritenere ammissibile, di regola, uno scostamento limitato a soli due parametri”.
[8] Merita precisare che l’individuazione delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale sconta la difficoltà che nel nostro ordinamento intersindacale, manca un sistema (legale) di misurazione della rappresentatività comparata. Sul tema si può richiamare. M. Marazza, Perimetri e rappresentanze sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, Labour&LawIssues, 2018, pp. 1 ss. R. De Luca Tamajo, Le criticità della rappresentatività sindacale “misurata”: quale perimetro?, Riv. it. dir. lav., 2020, I, pp. 377 ss.
[9] Sul punto si è affermato: “L’applicazione di un determinato contratto collettivo non può essere imposta dalla lex specialis alle imprese concorrenti quale requisito di partecipazione né la mancata applicazione di questo può essere a priori sanzionata dalla stazione appaltante con l’esclusione, sicché deve negarsi in radice che l’applicazione di un determinato contratto collettivo anziché di un altro possa determinare, in sé, l’inammissibilità dell’offerta; non rientra, quindi, nella discrezionalità dell’amministrazione appaltante la facoltà di imporre l’applicazione di un determinato contratto collettivo nazionale di lavoro, tanto più qualora una o più tipologie di contratti collettivi possano anche solo astrattamente adattarsi alle prestazioni oggetto del servizio da affidare” (TAR Piemonte, sez. I, 20 dicembre 2023, n. 1021). Nella stessa prospettiva, il Consiglio di Stato ha evidenziato che “Se è riconducibile alla discrezionalità della amministrazione appaltante fissare i contenuti dei servizi da affidare mediante gara, quale aspetto caratteristico del merito amministrativo e sebbene all’interno di queste scelte si collochi anche quella dei requisiti da richiedere per l’espletamento dei servizi oggetto di una gara, tuttavia non rientra nella discrezionalità dell’amministrazione appaltante anche quella di imporre o di esigere un determinato contratto collettivo nazionale di lavoro, tanto più qualora una o più tipologie di contratti collettivi possano anche solo astrattamente adattarsi alle prestazioni oggetto del servizio da affidare (v. Cons. Stato, V, 23 luglio 2018, n. 4443)” (Cons. Stato, sez. V, 10 dicembre 2020, n.7909).
Al tempo stesso, già nella vigenza del Codice previgente era chiara la ratio della richiesta di applicazione del corretto CCNL in quanto “La corretta applicazione dei contratti collettivi conformemente alle rispettive sfere di applicabilità costituisce condizione imprescindibile per il regolare funzionamento del mercato del lavoro e per il dispiegarsi di una leale concorrenza tra imprese”.