Con ordinanza del 25 settembre 2023, n. 27266, la Corte di Cassazione (Pres. Magda, Rel. Dongiacomo) è tornata sul tema della revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario affluite su un conto scoperto.
Ha evidenziato, in particolare, che per poter escludere la dichiarazione di inefficacia, in quanto dipendenti da operazioni bilanciate, “è necessario il venir meno della funzione solutoria delle stesse, in virtù di accordi intercorsi tra il solvens e l’accipiens” che caratterizzino la rimessa come una provvista per un’operazione speculare a debito, piuttosto che come operazione di rientro.
La Corte ha affrontato anche il tema della prova dell’esistenza dei predetti accordi, stabilendo che, ove essa non derivi da un atto scritto, “può anche essere desunta de facta concludentia, purchè la specularità tra le operazioni ne evidenzi con certezza lo stesso collegamento negoziale”, ribadendo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato.
Inoltre, ha precisato che detti accordi debbano destinare le rimesse a costituire prossime operazioni di pagamenti o prelievi in favore di terzi o del cliente stesso, “in modo tale da poter negare che la banca abbia beneficiato dell’operazione sia prima, all’atto della rimessa, sia dopo, all’atto del suo impiego”.
La pronuncia ha affrontato anche il tema dei pagamenti effettuati alla banca da parte del correntista, richiamando il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale “le rimesse annotate sui conti anticipi non hanno usualmente (salvo cioè che il rapporto non sia del tutto autonomo) natura solutoria e non sono revocabili, costituendo tali conti una mera evidenza contabile dei finanziamenti per anticipazioni su crediti concessi dalla banca al cliente”.
Nel caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso presentato dalla banca, così confermando la pronuncia d’appello che ha dichiarato inefficaci le rimesse solutorie affluite nell’anno anteriore alla sentenza, su un conto corrente intrattenuto dalla società in bonis presso i suoi sportelli.