La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 13561 del 16 maggio 2024 (Pres. Di Marzio, Rel. Fraulini), si è pronunciata circa la qualificazione quale patto parasociale di una scrittura privata fra soci, ove oggetto della pattuizione era la condizione di efficacia dell’uscita dalla società di uno dei soci stipulanti.
La Corte, preliminarmente, ricordando il proprio recente orientamento sul punto, ha stabilito che con l’espressione “patto parasociale” si intende un accordo contrattuale tra due o più soci (o tra soci e terzi) finalizzato a regolare il comportamento futuro da osservare durante la vita della società o nell’esercizio di specifici diritti derivanti dalle partecipazioni detenute.
Tali patti si distinguono dal contratto di società e dallo statuto della stessa, poiché rappresentano una convenzione complementare volta a tutelare più efficacemente gli interessi dei soci.
La validità dei patti parasociali è regolamentata dall’art. 2341-bis C.c., introdotto dalla Riforma del diritto societario del 2003, in base al quale i patti parasociali, per essere validi, non devono avere una durata superiore a cinque anni (salvo rinnovo); sono qualificabili come tali, inoltre, quelli che stabilizzano gli assetti proprietari o il governo della società attraverso:
- l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano.
- limitazioni al trasferimento delle azioni o delle partecipazioni in società controllanti.
- l’esercizio, anche congiunto, di un’influenza dominante sulla società.
Tali disposizioni implicano il riconoscimento esplicito del legislatore della meritevolezza e tutelabilità dei patti parasociali, purché non contrastino con i principi fondamentali dell’ordinamento in materia societaria.
Nel caso di specie, la Corte ha escluso che l’accordo oggetto di giudizio, stipulato tra soci di una società di persone, potesse essere qualificato come patto parasociale ai sensi dell’art. 2341-bis C.c., in quanto non rientrante nelle tipologie previste dalle lettere a), b) e c) della suddetta norma.
Tuttavia, possono esistere patti parasociali non conformi ai modelli tipizzati: ma per essere ritenuti patti parasociali, e dunque meritevoli di tutela giuridica analoga a quella riconosciuta espressamente ai patti indicati dall’art. 2341-bis C.c., occorre che il loro contenuto sia comunque finalizzato a regolare il comportamento che i soci intendono tenere all’interno della società nell’esercizio della funzione organica che essi svolgono per effetto della qualità rivestita.
Quindi, le obbligazioni contenute nel patto parasociale, cui certamente la società interessata è per definizione estranea, debbono tuttavia essere finalizzate a regolare il comportamento che i soci intendono vincolarsi a tenere nel momento in cui eserciteranno i poteri amministrativi loro spettanti all’interno dell’ente, per effetto dell’esercizio della relativa qualità.
Tale condizione è assolutamente necessaria per poter qualificare la pattuizione come patto parasociale, ma non sufficiente, poiché il contenuto dell’obbligo regolato dal patto, per esser parasociale, deve comunque essere riconducibile al perseguimento di quegli effetti di stabilizzazione della governance societaria cui si riferisce espressamente l’art. 2341-bis C.c., che ha tipizzato la “causa” dei patti stessi, enucleandone le finalità e, conseguentemente, definendo l’ambito della relativa meritevolezza dell’interesse perseguito ai sensi dell’art. 1322 C.c.
Pertanto, una pattuizione, come quella contenuta nella scrittura privata per cui è causa, con cui il socio uscente convenga con quello rimanente che la cessione della quota a un terzo è condizionata all’assunzione della garanzia da parte del cedente del pagamento pro quota di un mutuo precedentemente contratto nell’interesse della società, non ha nulla a che vedere con l’assetto dell’ente, né con l’esercizio dei diritti futuri spettanti ai soci all’interno della società.
Oggetto della pattuizione è infatti la condizione di efficacia dell’uscita dalla società di uno dei soci stipulanti: il ché, logicamente, secondo la Corte, esclude che con essa si sia potuto e voluto regolare le modalità di esercizio congiunto da parte dei soci sottoscrittori dei loro poteri all’interno della società; ciò che impedisce, sempre secondo la Corte, in modo assoluto che una siffatta pattuizione possa integrare un patto parasociale.