Il presente contributo analizza i princìpi e le regole emanate in questo 2024 dalle Autorità di Vigilanza europee (ESMA, EBA ed EIOPA) di contrasto al fenomeno del greenwashing.
Il primo semestre del 2024 si segnala per l’intervento delle Autorità di Vigilanza europee (ESMA, EBA ed EIOPA) sul tema del greenwashing.
I riferimenti, in particolare, sono (i) al Final Report, Greenwashing monitoring and supervision (EBA); (ii) al Final Report, Guidelines on funds’ name using ESG or sustainability-related terms (ESMA) e (iii) all’Opinion on sustainability claims and greenwashing in the insurance and pensions sectors (EIOPA) [1].
I provvedimenti si inseriscono nell’alveo della Direttiva (UE) 2024/825 che ha introdotto le “asserzioni in materia di sostenibilità” nelle regole di tutela dei consumatori per i prodotti (non finanziari) dichiarati sostenibili.
Prima di illustrare, in sintesi, i princìpi e le regole poste dalle Autorità di Vigilanza vale svolgere qualche considerazione di segno generale.
1. Ruolo di sistemazione e promozione del mercato
In primo luogo va evidenziato come, nell’ambito delle regole di condotta degli intermediari descritti dalla normativa europea e, più precisamente, per quanto riguarda l’obbligo di fornire informazioni agli investitori in modo equo, chiaro e non fuorviante [2], le Autorità di Vigilanza abbiano svolto un’importante ruolo di sistemazione della materia cercando di rendere coerente e più facilmente applicabile il corpo normativo in materia di sostenibilità che, a giudizio unanime, ha avuto un’evoluzione ipertrofica e non sistematica.
In questa prospettiva, il lavoro svolto dalle Autorità di Vigilanza con la formulazione di linee guida e buone pratiche è riuscito a colmare quei gap di incertezza normativa generatosi nel sistema, contribuendo, anche in parte, alla riduzione dei costi di compliance.
Un ulteriore aspetto distintivo della vicenda che dimostra, forse per la prima volta, una chiara volontà “politica” di rendere effettivo ed efficiente il mercato della finanza sostenibile si rinviene in quattro “elementi fondanti” delle linee guida di ESMA, EBA ed EIOPA.
Il primo di questi è un forte passaggio da un momento di autonomia, con una regolamentazione incentrata sugli obblighi di informativa al mercato senza significativi divieti per gli operatori [3], ad un momento di eteronomia con l’imposizione di regole e divieti specifici.
In questo senso, come si vedrà nel proseguo, le linee guida ESMA iniziano a imporre dei divieti agli operatori anche sulla denominazione dei fondi e dei prodotti finanziari.
Il secondo elemento risiede nella richiesta che le Autorità di Vigilanza fanno sull’ambiziosità degli obiettivi che gli intermediari devono perseguire. Il riferimento, già proprio degli SDG Standard for Enterprises, non è di poco momento per due ordini di ragioni.
In primo luogo, la consapevolezza che l’assenza di obiettivi ambiziosi porta gli intermediari ad un approccio passivo al tema della sostenibilità: elemento in sé contraddittorio con la stessa necessità di generare addizionalità nel mercato.
In secondo luogo, il rischio sempre maggiore di un contenzioso legale per informativa fuorviante al mercato da parte delle NGOs e di cittadini, i cui primi casi stanno maturando nel mercato europeo [4].
Nella stessa prospettiva, il terzo elemento di particolare segno è il concetto di usability ossia di concreta applicazione della normativa e del superamento delle maggiori criticità applicative che, ad oggi, gli operatori incontrano. In questa materia, il principale fattore critico viene riconosciuto, a ragione, nel sistema di data governace e della misurazione dell’impatto.
A quasi dieci anni dalla dichiarazione dell’Agenda ONU 2030, il tema di una misurazione uniforme dell’impatto resta aperto e l’approccio seguito dal Regolamento Tassonomia e dal SFDR non ha portato ai risulti attesi.
Sebbene la CSRD e gli standard EFRAG dovrebbero riuscire a colmare, in parte, tale gap restano concreti problemi di allineamento tra le politiche di sostenibilità del mondo finanziario e quello industriale.
La prospettiva di ampliare, infine, il set di dati necessari per l’elaborazione dei propri report ha reso molto complicata l’implementazione dei modelli di reporting per gli operatori finanziari: soprattutto per quelli di minori dimensioni e di quelli con target imprese non soggette alla CSRD.
L’ultimo elemento di novità, infine, è nel preciso riferimento che le Autorità di Vigilanza formulano circa la relazione tra finanza ed economia reale (real world).
Si tratta di un aspetto non secondario e sicuramente in controtendenza rispetto alla linea politica finora perseguita dalle istituzioni europee che, per il tipo di produzione normativa sopra abbozzata, hanno creato un maggior gap tra il mondo della finanza sostenibile e le possibilità di accesso alla finanza da parte delle imprese minori.
La stessa vicinanza all’economia reale, correttamente, nel pensiero delle Autorità di Vigilanza si muove anche nella direzione della mitigazione di un rischio reputazionale legale in presenza di iniziative che in concreto non abbiano un significativo impatto sull’ambiente e sulle comunità.
Premessi questi brevi cenni introduttivi, dei tre interventi regolamentari sopra descritti si tratterà nel seguito esponendo in sintesi le principali novità per poi concludere con qualche indicazione operativa e di metodo.
2. Linee Guida ESMA in materia di nomenclatura dei fondi.
Il 14 maggio 2024, l’ESMA ha pubblicato le Guidelines on funds’ names using ESG or sustainability-related terms.
Tali linee guida sono applicabili a tutti i gestori di organismi di investimento collettivo soggetti sia alla disciplina AIFM che UCITS e anche in relazione agli OICR che hanno chiuso il periodo di sottoscrizione.
Al fine di evitare il rischio di greenwashing, le linee guida dettano regole specifiche per poter utilizzare termini connessi ai fattori ESG e alla sostenibilità nella denominazione degli OICR stessi.
Gli OICR presi in considerazione dall’ESMA sono quelli che utilizzano nella loro denominazione i seguenti termini: (i) “Transizione” e termini correlati come “transitorio”, “migliorare”, “progredire“, “evoluzione”, “trasformazione” o “net zero”; (ii) “Ambientale” e termini correlati come “verde”, “green“, “clima”, “ESG”, “SRI”; (iii) “Sociale” e termini correlati come “uguaglianza”; (iv) “Governance” e termini correlati come “controversia”; (v) “Impact” e termini correlati come “d’impatto“, “impacting” o “impactful” o (vi) “Sostenibilità” e termini correlati come “sostenibile”.
La regola generale indicata dall’ESMA – applicabile a tutte le categorie di nomi sopra riportati – prevede l’obbligo per i gestori di garantire che una soglia di investimenti dell’80% sia allineata con la strategia di investimento in materia di “sostenibilità” indicata nell’informativa al pubblico. In particolare, è prevista una soglia minima dell’80% legata alla percentuale di investimenti utilizzati per soddisfare le caratteristiche ambientali o sociali o gli obiettivi di investimento sostenibile, in conformità con gli elementi vincolanti della strategia di investimento che devono essere resi noti negli Allegati II e III del Regolamento Delegato (UE) 2022/2018 (informativa pre-contrattuale OICR ex artt. 8 e 9 SFDR).
Oltre a questa regola generale sono previsti ulteriori requisiti connessi, in prevalenza, al rispetto o meno delle soglie ambientali legate all’Accordo di Parigi.
Nel dettaglio gli OICR che utilizzano nel loro nome i termini (i) “Transizione”; (ii) “Sociale” o (iii) “Governance” (o termini correlati) devono, oltre a rispettare la soglia del 80% sopra indicata, non effettuare investimenti in società di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettere da a) a c) del Regolamento Delegato (UE) 2020/1818 (ossia: società coinvolte in attività riguardanti armi controverse; società attive nella coltivazione e nella produzione di tabacco; società per le quali gli amministratori di indici di riferimento hanno constatato violazioni dei princìpi del patto mondiale delle Nazioni Unite o delle linee guida dell’OCSE destinate alle imprese multinazionali).
Gli OICR che utilizzano nel loro nome i termini (i) “Ambientale” o (ii) “Impact” (o termini correlati) devono, oltre a rispettare la soglia del 80% sopra indicata, non effettuare investimenti in società di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettere da a) a g) del Regolamento Delegato (UE) 2020/1818 (ossia, oltre alle società precedentemente indicate: società che ottengono l’1 % o più dei ricavi dalla prospezione, estrazione, distribuzione o raffinazione di carbon fossile e lignite; società che ottengono il 10 % o più dei ricavi dalla prospezione, estrazione, distribuzione o raffinazione di oli combustibili; società che ottengono il 50 % o più dei ricavi dalla prospezione, estrazione, produzione o distribuzione di gas combustibili; società che ottengono il 50 % o più dei ricavi dalla produzione di energia elettrica con un’intensità dei gas a effetto serra superiore a 100 g CO2e/kWh).
Gli OICR che utilizzano nel loro nome i termini “Sostenibilità” (o termini correlati) devono, oltre a rispettare la soglia del 80% sopra indicata:
- non effettuare investimenti in società di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettere da a) a g) del Regolamento Delegato (UE) 2020/1818 (cfr. supra);
- impegnarsi a investire in modo significativo negli investimenti sostenibili di cui all’articolo 2, 17) del SFDR [5].
3. Linee Guida EBA in materia di greenwashing
Passando, poi, ad una breve sintesi delle linee guida EBA, queste investono gli intermediari sia a livello di entità che di prodotto e di servizio.
La vigilanza ha anche cura di produrre una definizione di greenwashing come una “pratica dove comunicati, dichiarazioni, azioni o affermazioni legate alla sostenibilità non riflettono in modo chiaro ed equo il sottostante profilo di sostenibilità della società, di un prodotto finanziario o di un servizio finanziario. Questa pratica può essere fuorviante per consumatori, investitori o altri operatori finanziari”. Dopo aver chiarito la visione della vigilanza sull’attuale e prospettiva esposizione al rischio di greenwashing del mercato e sullo stato della legislazione vigente, passa ad enucleare alcune buone pratiche che gli intermediari dovrebbero seguire del quale appresso si darà cenno.
4. I princìpi EBA in materia di sostenibilità
4.1 Informazioni bilanciate e dimostrabili,
La prima aspettativa è che ogni comunicazione in materia di sostenibilità sia bilanciata e “dimostrata” (substained), in modo da essere chiara, equa e non fuorviante.
Soprattutto in tema di dimostrabilità delle asserzioni in materia di sostenibilità, si richiede che (a) queste possano essere provate sulla base di dati affidabili e verificabili e che, se tali affermazioni sono verificabili solo in presenza di determinate assunzioni, anche le assunzioni vadano esplicitate e (b) per specifiche asserzioni, tra le quali quelle legate all’economia reale, sia possibile dimostrare la misurazione dell’impatto descritto.
4.2 …accurate e complessive,
Ulteriormente, viene richiesto che le informazioni siano accurate e in grado di rappresentare in modo equo il complessivo profilo di business della società o del prodotto.
Il portato di questo principio comporta che, oltre a non omettere informazioni importanti, gli intermediari, sia a livello di prodotto che di entità, debbano comunicare in modo proporzionale e tenendo conto del complessivo agire dell’intermediario e/o del prodotto( non dando, quindi, enfasi esclusiva dei profili sostenibili del prodotto).
Questa regola, impone di dare atto, a livello di società, di tutte le attività che l’intermediario pone in essere e, a livello di prodotto, chiarire gli aspetti che riducono i termini di impatto rispetto alla comunicazione data sulla sostenibilità del prodotto.
4.3 …aggiornate,
L’EBA richiede anche ogni asserzione in materia di sostenibilità, sia a livello di entità che di prodotto, sia aggiornata e comunicata al mercato e ai consumatori, questo anche qualora l’aggiornamento riguardi gli obiettivi e le strategie generali dell’intermediario.
4.4 …comprensibili.
Infine, a livello di principio, si richiede che le asserzioni in materia di sostenibilità siano chiare e presentate in modo da poter essere comprese ai soggetti destinatari di tale comunicazione.
Il punto, per vero poco esplicitato, è di particolare complessità applicativa per due ordini di ragioni.
Il primo: per le comunicazioni di marketing (es. quelle pubblicitarie), lo spazio della comunicazione e lo spirito stesso, difficilmente possono raggiungere quel grado di indipendenza e completezza richiesto dagli altri princìpi.
Il secondo: nelle comunicazioni istituzionali, l’attuale framework normativo e, in particolar modo, la sua evoluzione, ovvero la revisione attesa di testi molto importanti (es. SFRD) e il loro completamento (es. CSRD) non è detto che rendano comprensibili le informazioni che dovranno essere fornite anche agli stakeholders maggiormente sofisticati.
5. Regole in materia di governance
Con riguardo alle regole interne, l’EBA richiede che il rischio di greenwashing sia adeguatamente presidiato nello sviluppo e nell’implementazione delle strategie ESG e incluso nelle strategie di controllo del rischio e di compliance ESG.
Un focus particolare viene poi posto sulle comunicazioni in materia di sostenibilità, richiedendosi la definizione di processi per la revisione dei prodotti, delle comunicazioni di marketing e pubblicitarie e per l’adempimento degli obblighi di disclosure, nonché diretti alla formazione del personale e l’implementazione di processi di due diligence diretti a ridurre il rischio di comunicazioni potenzialmente fuorvianti.
In questo quadro viene riconosciuta un’importanza centrale alla funzione di compliance non soltanto per il suo ruolo di garante dell’adattamento alle nuove normative in materia ESG ma anche per la sua capacità di prestare consulenza alle linee di business sui rischi di greenwashing.
Ulteriori buone pratiche, oltre alla formazione e al coinvolgimento anche della funzione di internal audit, sono individuate nell’applicazione di codici di condotta e politiche di remunerazione, nonché in una gestione olistica dei nuovi prodotti che tenga anche conto dei risultati di comitati dedicati al tema della sostenibilità e alla valutazione su basi scientifiche delle decisioni metodologiche utilizzate ai fini della dimostrazione dell’impatto di un determinato prodotto.
5.1 Data Governance
Il tema della gestione dei dati è quello che attualmente maggiormente preoccupa le Autorità di Vigilanza sia per la non completa attuazione degli standard EFRAG sia per la difficoltà per gli intermediari di reperire dati da soggetti non tenuti alla CSRD.
In questa prospettiva, si ribadisce l’importanza di mantenere un sistema interno con risorse dedicate a verificare che i dati utilizzati da eventuali provider terzi siano aggiornati, affidabili e sufficientemente robusti, implementando anche processi di due diligence sulle asserzioni in materia di sostenibilità prodotte dell’intermediario.
5.2 Verifiche esterne
Un aspetto particolarmente importante posto dalle Autorità di Vigilanza (in particolare dall’EBA) risiede nella necessità che gli intermediari si dotino di sistemi di verifica esterna sia sul proprio reporting in materia di sostenibilità sia a livello di prodotto con riguardo alla verifica dell’allocazione dei proventi dei prodotti. Il punto sviluppa quanto già stabilito sia con il regolamento relativo ai EuGB che con la CSRD e i relativi standard EFRAG.
Infatti, per le Autorità di Vigilanza – seppur non sia possibile azzerare i rischi di greenwashing attraverso le verifiche esterne – queste sono comunque in grado di mitigarli, garantendo la corretta implementazione delle best practices in materia ESG e dimostrando un serio impegno verso la trasparenza.
In particolare, le verifiche esterne possono essere utilizzate sia a livello di prodotto (per es. ex ante per valutare i criteri di ammissibilità (eligibility) del prodotto, la rilevanza e l’ambizione dei KPIs ESG selezionati e le strategie di sostenibilità generali, mentre ex post per valutare l’allocazione e le performance del prodotto connesse alle questioni di sostenibilità), sia a livello di entità rendendo maggiormente credibili gli impegni ESG dell’intermediario.
6. Pratiche per mitigare il rischio di greenwashing a livello di entità
Definiti, quindi, i princìpi nel proprio Final Report l’EBA dedica ampio spazio alle pratiche per mitigare il rischio di greenwashing sia a livello di entità che di prodotto (cfr. par. 7).
6.1 Net zero
A livello entity distingue innanzitutto tra “net zero targets” e “green or sustainable finance targets”. Per l’EBA, infatti, le istituzioni finanziarie che si sono impegnate a perseguire sul lungo termine obiettivi di azzeramento delle proprie emissioni dovrebbero operare una pianificazione credibile che comprenda obiettivi intermedi, basata su rigorosi modelli scientificamente fondati e regolarmente aggiornati impegnandosi a comunicare periodicamente il grado di allineamento con i suddetti obiettivi e le cause di eventuali disallineamenti.
In particolare, si richiede che i piani di transizione usino dati scientificamente provati e scenari aggiornati verso gli obiettivi net-zero sul portafoglio di crediti tali da dimostrare l’allineamento dell’istituto con la traiettoria a zero emissioni, anche considerando tutte le fonti rilevanti di emissioni di gas serra, come le esposizioni fuori bilancio [6] e le emissioni agevolate legate alle attività di finanziamento.
Tale metodologia operativa – sottolinea l’EBA – non può prescindere da pratiche aziendali interne e solidi processi di monitoraggio e di rendicontazione adeguati ai net target zero.
Ciò che, quindi, l’EBA vuole evitare è che le istituzione finanziarie mettano in pratica una sorta di moral hazard fondato sull’assunto che l’attenzione dei regolatori e degli investitori verso le questioni di sostenibilità decresca nei prossimi anni, cercando vantaggi di breve termine attraverso la fissazione di obiettivi del tutto irrealistici per poi confidare di non subire impatti negativi quando i suddetti obiettivi non verranno raggiunti.
6.2 Green or sustaianable targets
Passando, invece, ai green or sustainable finance targets, l’EBA suggerisce di fornire informazioni chiare in particolare sotto il profilo (i) dei criteri utilizzati per definire le attività verdi o sostenibili; (ii) della distinzione tra il finanziamento di attività già qualificate come verdi in base alla tassonomia dell’UE e altri progetti, come quelli considerati ammissibili per la transizione energetica; (iii) della percentuale degli attivi interessata dagli obiettivi finanziari; e (iv) della misura in cui le attività di capital market, derivati o la consulenza in materia di M&A sono presi in considerazione dall’obiettivo, tenendo sempre presente l’interesse primario dell’investitore a comprendere gli impatti sull’economia reale.
6.3 Lobbying
Viene poi sottolineata la possibilità che rischi di greenwashing derivino “dalla percezione di incoerenza tra le dichiarazioni di sostenibilità e l’attività di lobbying o l’appartenenza ad associazioni”, con il conseguente consiglio di eseguire controlli per valutarne la coerenza.
6.4 Risk management
Infine, viene dato risalto all’importanza del risk management per mitigare i rischi derivanti dal greenwashing tramite la strutturazione di presidi e procedure interne per individuare, valutare e misure i potenziali impatti negativi [7], non solo nell’ambito della gestione dei rischi di condotta, operativi e reputazionali, ma anche in quello dei rischi di liquidità e di finanziamento (come nel caso di riduzione della liquidità per funding withdrawal).
7. Pratiche per mitigare il rischio di greenwashing a livello di prodotto
Per quanto riguarda le pratiche a livello di prodotto, queste per l’EBA costituiscono un’attuazione delle pratiche a livello di entità e una corretta applicazione di queste ultime potrebbe garantire che “le affermazioni relative alla sostenibilità di prodotti e servizi siano corrette, chiare e non fuorvianti, e siano coerenti con le caratteristiche di sostenibilità del prodotto o del servizio”.
7.1 Product governance
Con riguardo ai processi interni di product governance questi, per quanto riguarda i prodotti e i servizi classificati come “sostenibili”, dovrebbero basarsi sull’utilizzo di definizioni e criteri basati su standard internazionali ed europei quando possibile (ad esempio EuGB) o essere chiari e trasparenti riguardo ad altri criteri e definizioni utilizzati, in maniera tale da garantire uniformità applicativa ed evitare rischi di greenwashing connessi all’utilizzo di standard considerati non adeguati dal mercato. In questo senso, in particolare, si raccomanda di valutare se gli standard di mercato siano coerenti con il livello di ambizione e rigore richiesto dal nuovo framework regolamentare.
7.2 Sustainability-Linked Loans
Passando alla trattazione di particolari categorie di prodotti, l’EBA si focalizza (i) sui sustainability-linked loans; e (ii) sui depositi/conti di risparmio green. Com’è noto i sustainability-linked loans sono strumenti il cui costo è variabile in base al raggiungimento da parte del mutuatario di pre-determinati obiettivi di sostenibilità, senza tuttavia alcun vincolo su specifiche destinazioni d’uso.
Tale tipologia di prestiti, come già sottolineato da Autorità di Vigilanza extracomunitarie [8], iniziano ad essere visti dal mercato come strumenti caratterizzati da alto rischio di greenwashing per via di “incentivi deboli, potenziali conflitti di interesse e obiettivi di sostenibilità di scarsa ambizione” [9].
Sul punto l’EBA suggerisce di prestare la massima attenzione di applicare controlli e rigore sufficienti nella progettazione di tali prodotti e nell’engagement con i mutuatari focalizzandosi su alcuni fattori quali (i) il livello di ambizione e materialità degli obiettivi di sostenibilità; (ii) la loro coerenza con la strategia di sostenibilità del mutuatario e (iii) il grado di trasparenza e di verifica esterna degli elementi di sostenibilità del prestito e/o del raggiungimento degli obiettivi, anche conformandosi ai contenuti della Raccomandazione (UE) 2023/1425 della Commissione [10].
7.3 Depositi verdi
Per quanto riguarda, invece, i depositi/conti di risparmio green, gli istituti dovrebbero definire un quadro chiaro per la destinazione dei fondi acquisiti dai suddetti depositi al finanziamento di progetti o attività che contribuiscono alla sostenibilità ambientale e fornire ai titolari informazioni sufficienti e granulari sull’allocazione dei loro fondi.
8. Conclusioni
Passando a tratteggiare delle conclusioni alle linee guida delle Autorità di Vigilanza sopra descritte, gli elementi di maggiore interesse nella strutturazione del prossimo mercato possono così sintetizzarsi.
In primo luogo, è prevedibile un crescente ruolo di supplenza delle Autorità di Vigilanza non solo nella sistemazione organica della materia, ma anche nell’accompagnamento degli operatori verso soluzioni condivise dal mercato.
L’auspico, in questo ambito, è che l’attività di dialogo con il mercato finora intrapresa dalle Autorità continui senza sacrificare le peculiarità e l’innovazione di alcune strategie.
Ulteriormente, emerge sempre più il ruolo centrare che la compliance legale riveste nel settore della sostenibilità e la necessaria validazione da parte di questa di quasi tutti i momenti della vita dell’intermediario (dai processi interni al prodotto). Questo dato, tuttavia, si accompagna all’importanza che, per la prima volta, viene data all’ambiziosità delle strategie in materia di sostenibilità e al loro legame con l’economia reale.
Il quadro, quindi, imporrà alle funzioni di compliance un nuovo ruolo (più coraggioso), diretto non solo a interpretare il presente, ma a catalizzare e rendere possibili le future scelte di business degli intermediari.
Un ultimo aspetto, che per vero lascia perplessi gli autori, è la nuova “graduazione” dei livelli di sostenibilità descritti dalle Linee Guida ESMA.
Come visto al par. 2, nel pensiero di questa Autorità di Vigilanza, i requisiti più stringenti vengono posti a carico dei fondi che utilizzano la parola “Sostenibile” (o termini correlati), mentre, minori requisiti sono richiesti ai fondi che (i) usano la denominazione di “Impact” o “Ambientale” (o termini correlati) e (ii), in tono ancora minore, usano denominazioni legate ai concetti di “Transizione”, “Sociale” o “Governance” (o termini correlati).
Tale strutturazione del mercato sembra eccessivamente legata all’esigenza di prevenire i fenomeni di greenwashing sebbene la tradizionale letteratura economica in materia abbia, da sempre, individuato nella sostenibilità il genus di mercato che, nello specifico, individua delle strategie di impact investing, ambientali, sociali etc.
[1] Final Report, Greenwashing monitoring and supervision (EBA): https://www.eba.europa.eu/sites/default/files/2024-05/a12e5087-8fd2-451f-8005-6d45dc838ffd/Report%20on%20greenwashing%20monitoring%20and%20supervision.pdf
Final Report, Guidelines on funds’ name using ESG or sustainability-related terms (ESMA): https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/2024-05/ESMA34-472-440_Final_Report_Guidelines_on_funds_names.pdf
Opinion on sustainability claims and greenwashing in the insurance and pensions sectors (EIOPA): https://www.eiopa.europa.eu/document/download/0214c6aa-d3dc-4444-97e3-2088ff995eba_en?filename=Opinion%20on%20sustainability%20claims%20and%20greenwashing%20in%20the%20insurance%20and%20pensions%20sectors_PHI%20signature.pdf
[2] Articolo 12 Direttiva AIFM: “gli Stati membri assicurano che in ogni momento i GEFIA agiscano onestamente, con la competenza, la cura, la diligenza e la correttezza dovute nell’esercizio delle loro attività […]”.
Articolo 14 Direttiva UCITS: “ciascuno Stato membro redige le regole di condotta che le società di gestione in esso autorizzate devono osservare in ogni momento. Tali norme devono attuare almeno i principi di cui al presente paragrafo. Tali principi obbligano la società di gestione ad agire, nell’esercizio della propria attività, in modo leale e corretto, nell’interesse degli OICVM che gestisce e dell’integrità del mercato […]”.
[3] L’unico, minimale, il principio del do no significant harm (cit. art. 17 del Regolamento Tassonomia).
[4] Cit. par. 3.3.2 del Final Report, Greenwashing monitoring and supervision (EBA).
[5] Ai sensi dell’ articolo 2, 17) del SFDR un “investimento sostenibile” è “un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, misurato, ad esempio, mediante indicatori chiave di efficienza delle risorse concernenti l’impiego di energia, l’impiego di energie rinnovabili, l’utilizzo di materie prime e di risorse idriche e l’uso del suolo, la produzione di rifiuti, le emissioni di gas a effetto serra nonché l’impatto sulla biodiversità e l’economia circolare o un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale, in particolare un investimento che contribuisce alla lotta contro la disuguaglianza, o che promuove la coesione sociale, l’integrazione sociale e le relazioni industriali, o un investimento in capitale umano o in comunità economicamente o socialmente svantaggiate a condizione che tali investimenti non arrechino un danno significativo a nessuno di tali obiettivi e che le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance, in particolare per quanto riguarda strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali”.
[6] Si pensi, a tal proposito, alla possibilità di utilizzare le cartolarizzazioni come strumento per “ripulire” i bilanci da esposizioni verso settori brown (v. sul punto Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza n. 809, A First Analysis on the Green Securitizations in Italy, p. 8 ss.
[7] Si arriva a suggerire di considerare i rischi derivanti da greenwashing come “come parte integrante degli stress test o di altri tipi di analisi previsionali”.
[8] Sul punto v. la Financial Conduct Authority del Regno Unito, Review of the Sustainability-Linked Loans (SLL) Market.
[9] Financial Conduct Authority, Review of the Sustainability-Linked Loans (SLL) Market, p. 1.
[10] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32023H1425