Il presente contributo fornisce una panoramica generale sullo stato della discussione tra le Istituzioni europee in ordine all’adozione del c.d. Retail Investment Package, soffermandosi sulle novità della posizione espressa a giugno dal Consiglio dell’Unione Europea con particolare riguardo ai temi della product governance, value for money e inducements.
Lo scorso 12 giugno 2024 l’iter legislativo del “Retail Investment Package” si è arricchito di un nuovo importante tassello. Il Consiglio dell’Unione Europea ha, infatti, pubblicato la propria posizione [1] sui due atti normativi che compongono tale pacchetto di riforme, ossia: (i) la c.d. Direttiva Omnibus [2], che si propone di modificare contemporaneamente la direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (Direttiva 2014/65/UE, “MiFID II”), la direttiva sulla distribuzione assicurativa (Direttiva 2016/97/UE, “IDD”), la direttiva sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (Direttiva 2009/65/CE, “UCITS”), la direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi (Direttiva 2011/61/UE, “AIFMD”) e la direttiva sull’accesso e l’esercizio dell’attività di assicurazione e riassicurazione (Direttiva 2009/138/CE, “Solvency II”) e (ii) la proposta di un regolamento[3], che modifica il Regolamento (UE) n. 1286/2014 relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (c.d. “Regolamento PRIIPs”).
La posizione del Consiglio Europeo ha fatto seguito alla posizione espressa lo scorso 22 aprile 2024 dal Parlamento Europeo sulle medesime proposte legislative [4] e all’avvio – come ormai d’uso nell’ambito delle procedure legislative in presenza di posizioni divergenti da parte delle istituzioni europee – del “trilogo”, ossia dei negoziati interistituzionali volti a raggiungere un accordo provvisorio e, quindi, ai testi definitivi. L’iter dovrebbe essere completato entro la fine dell’anno.
Nelle more dei negoziati, le posizioni delle istituzioni europee appaiono ad oggi contrastanti.
Nel presente contributo viene proposta una panoramica generale del percorso legislativo ad oggi e delle differenze che emergono dalla lettura dei diversi testi approvati dalla Commissione UE, dal Parlamento UE e dal Consiglio UE, con una focalizzazione sui temi oggetto di maggior discussione, ossia la Product Governance e il Value for Money, da un lato, e gli Inducements, dall’altro lato.
1. Il Ratail Investement Package – Background
Come noto, la proposta legislativa in oggetto rientra nella c.d. “Retail Investment Strategy”, ossia nel progetto di creazione dell’Unione dei mercati dei capitali [5], che annovera tra gli obiettivi principali quello di permettere ai consumatori di fruire in modo pieno delle diverse possibilità di investimento offerte dai mercati dei capitali.
Tale progetto nasce dalla constatazione che l’attuale livello di partecipazione ai mercati dei capitali dell‘Unione Europea da parte degli investitori al dettaglio è estremamente contenuto, nonostante agli stessi sia riferibile uno stock di risparmio significativo [6]. A tal riguardo, è stato evidenziato che gli investitori al dettaglio: (i) hanno difficoltà ad accedere ad informazioni pertinenti, comparabili e facilmente comprensibili per effettuare scelte di investimento informate; (ii) rischiano sempre più di essere indebitamente influenzati dal marketing sui social media e su altri canali di comunicazione. A ciò si aggiunga che, dalle analisi di mercato, è emerso che: (i) la consulenza finanziaria non sempre persegue il best interest degli investitori al dettaglio; (ii) alcuni prodotti d’investimento non sempre offrono un buon rapporto qualità-prezzo (cd Value for Money) [7].
Il Retail Investment Package ha lo scopo di superare le suddette criticità, ponendo gli interessi dei consumatori al centro dei relativi investimenti. In particolare, si propone di colmare le carenze presenti nel framework normativo al fine di aumentare il livello di fiducia degli investitori al dettaglio e, dunque, creare le condizioni necessarie per favorire una maggiore partecipazione ai mercati dei capitali dell’Unione Europea.
L’interdisciplinarietà di tale pacchetto rispecchia la volontà del legislatore comunitario di garantire il medesimo livello di protezione degli investitori al dettaglio, indipendentemente dal prodotto di investimento scelto e dal canale distributivo utilizzato, attraverso una maggiore uniformità di obiettivi perseguiti e di strumenti utilizzati per raggiungerli. In particolare, il Retail Investment Package contiene una serie di misure volte a:
- migliorare il modo in cui vengono fornite agli investitori al dettaglio le informazioni sui prodotti e servizi di investimento, aumentando la trasparenza e la comparabilità dei costi attraverso l’uso di una terminologia standard;
- fornire ai clienti al dettaglio, con cadenza annuale, un quadro chiaro e completo delle performance degli investimenti del loro portafoglio;
- risolvere le problematiche connesse al pagamento o al percepimento di incentivi, imponendo il divieto di inducement per le vendite “execution-only“ e assicurando che la consulenza finanziaria sia fornita nel miglior interesse del cliente;
- proteggere gli investitori al dettaglio dalle comunicazioni di marketing scorrette;
- offrire programmi di educazione finanziaria ai cittadini, per consentire ai consumatori di prendere decisioni finanziarie consapevoli e informate;
- ridurre i costi e gli oneri dei prodotti e dei servizi offerti, migliorando le modalità di accesso ai prodotti e servizi finanziari per i clienti al dettaglio;
- rafforzare la cooperazione nella vigilanza tra le autorità nazionali competenti e le autorità di vigilanza europee.
2. Product governance, Value for Money e Benchmark
Un tema centrale del Retail Investment Package riguarda la disciplina del “Value for Money”, ossia il rapporto tra il prezzo del prodotto e benefici che l’utilizzatore trae dallo stesso. Ricordiamo che la Commissione Europea ha rilevato, tra le principali criticità che ostacolano la fiducia e la partecipazione degli investitori al dettaglio al mercato dei capitali, la presenza di prodotti finanziari e assicurativi con scarso rapporto qualità-prezzo, in taluni casi caratterizzati da costi tanto elevati da erodere qualsiasi beneficio a favore del cliente.
L’importanza delle disposizioni in materia di “Value for Money” risiede nel fatto che tale concetto, importato dalla scienza economica [8], assume formalmente una veste giudica, obbligando i manufacturer di prodotti finanziari a curarsi che il rapporto tra il valore di un prodotto messo sul mercato ed il relativo costo sia “corretto”, anziché lasciare tale valutazione – centrale nella selezione di un qualsiasi prodotto – esclusivamente all’investitore.
Prima del Retail Investment Package, la “regolamentazione” del Value for Money aveva interessato soltanto l’ambito assicurativo. Il Value for Money è stato utilizzato per la prima volta dall’EIOPA [9] – e conseguentemente dalle autorità di vigilanza nazionali del settore assicurativo – quale criterio e strumento interpretativo degli obblighi di product governance previsti dalla IDD in capo alle imprese assicurative, nel documento “Supervisory Statement on assessment of Value for Money of unit-linked insurance products under product oversight and governance” del 30 novembre 2021. In particolare, l’EIOPA ha evidenziato che il Value for Money – sebbene non espressamente citato nella IDD – deve intendersi sotteso all’art. 25 IDD [10], il quale dispone che il prodotto debba rimanere, per tutta la sua vita, coerente con le esigenze, gli obiettivi e le caratteristiche del mercato di riferimento. Tenuto conto che nessun investitore può aver interesse ad acquistare un prodotto che abbia costi superiori ai benefici, le imprese assicurative devono garantire che i relativi prodotti che abbiano un Value for Money positivo.
È interessante notare come gli studi e le prassi di vigilanza sviluppate nel settore assicurativo siano state tenute in ampia considerazione nell’ambito dei lavori preparatori e nelle diverse posizioni della Commissione UE, del Parlamento UE e del Consiglio UE.
Si rileva, anzitutto, come – così come avvenuto in ambito assicurativo – anche nell’ambito del Retail Investment Package, ciascuna istituzione europea sia orientata verso l’elaborazione di criteri uniformi e oggettivi per la determinazione del Value for Money dei prodotti finanziari e assicurativi. In tal senso, si rileva come sia nella Proposta di Direttiva Omnibus, sia nella posizione del Parlamento, così come in quella del Consiglio UE, siano previste disposizioni volte a regolare il processo di “product testing” attraverso la previsione di un’analisi “interna”, volta verificare che i costi siano giustificati e proporzionati al prodotto (“pricing process”), ed un’analisi “esterna”, volta a verificare che i medesimi siano allineati ai costi e oneri di altri prodotti simili presenti sul mercato.
A ben vedere, le tre posizioni si differenziano per le modalità attraverso le quali effettuare tali analisi.
Nella Proposta di Direttiva presentata dalla Commissione UE, è previsto (art. 16-bis MIFID e art. 25 IDD) che le imprese di investimento e le imprese assicurative produttrici di PRIIPS debbano confrontare gli esiti del “pricing process” con i parametri di riferimento (c.d. “Benchmarks”) che dovranno essere elaborati dall’ESMA e dell’EIOPA rispettivamente per i prodotti finanziari e per i prodotti di investimento assicurativi. In particolare, è previsto che (i) qualora i costi e le performance del prodotto si discostino dai Benchmarks relativi a prodotti simili presenti sul mercato, i produttori debbano effettuare ulteriori valutazioni per verificare se i costi e gli oneri risultino comunque proporzionati e giustificati; (ii) ove tali ulteriori valutazioni portino ad esiti negativi, i produttori non potranno approvare il prodotto. Specifici obblighi di pricing process e di confronto con i Benchmarks elaborati dall’ESMA sono inoltre previsti in capo ai gestori di OICR in relazione, rispettivamente, agli UCITS e ai FIA dai medesimi gestiti e commercializzati. La Commissione UE pone, quindi, in capo all’ESMA e all’EIOPA l’onere di elaborare e mettere a disposizione del pubblico dei parametri di riferimento comuni per gli strumenti finanziari e i prodotti di investimento assicurativi che presentano livelli simili di performance, rischio, strategia, obiettivi o altre caratteristiche analoghe, al fine di supportare i produttori (imprese di investimento, imprese assicurative, società di gestione e GEFIA) – sia nella fase di realizzazione del prodotto, sia in quella di distribuzione – nell’effettuare una valutazione comparativa dei costi e delle performance dei PRIIPs e nel determinare, quindi, il Value for Money dei relativi prodotti. A tal fine, i produttori dovranno trasmettere alle rispettive autorità di vigilanza nazionali tutte le informazioni sul prodotto finanziario o assicurativo nonché sul processo di approvazione dello stesso, affinché le medesime le trasmettano all’ESMA o all’EIOPA per l’elaborazione dei Benchmark.
La posizione del Parlamento in relazione alla product governance e al Value for Money si discosta da quella dalla Commissione sostanzialmente in relazione all’ “analisi esterna” che i produttori sono tenuti a svolgere per valutare la coerenza dei costi e dei rendimenti dei propri prodotti rispetto a quelli presenti sul mercato. Secondo il Parlamento UE, infatti, la pubblicazione di Benchmark da parte delle autorità di vigilanza rischia comportare un livellamento dei prezzi dei prodotti finanziari e assicurativi, ledendo in tal modo la concorrenza. Nel considerando 13 (aa) il Parlamento precisa che “i parametri di riferimento non dovrebbero in alcun modo portare a una regolamentazione dei prezzi, ma dovrebbero consentire una migliore supervisione dei prodotti sul mercato, con l’obiettivo di identificare i potenziali outlier e garantire la rettifica a beneficio dei clienti”. Nell’ottica del Parlamento UE, quindi, i Benchmark devono costituire esclusivamente uno strumento di vigilanza per le autorità nazionali.
Nello specifico nel testo approvato dal Parlamento viene proposta l’introduzione dell’articolo 69 bis MIFID e dell’articolo 12 (a) IDD attraverso i quali si riconosce alle autorità di vigilanza nazionali competenti il potere di avvalersi di tali Benchmark per (i) identificare prodotti presenti sul mercato con valori “anomali” e (ii) svolgere ulteriori indagini ed esercitare, ove possibile, i propri poteri di product intervention (tra cui, correggere l’approccio utilizzato nello svolgimento dei test di prodotto o, in casi estremi, ordinare il ritiro del prodotto dal mercato). Ove necessario, le autorità di vigilanza nazionali potranno condividere i Benchmark relativi ad uno specifico prodotto con le imprese interessate alle ispezioni di vigilanza al fine di consentire loro di fornire adeguate spiegazioni sugli scostamenti riscontrati rispetto ai parametri di riferimento.
Il testo validato dal Parlamento introduce rispetto a quello della Commissione, l’obbligo per i produttori e distributori di PRIIPs di effettuare una valutazione “inter pares” (“peer-group”), ossia un’analisi comparativa dei costi e dei rendimenti storici del prodotto rispetto a quelli di un gruppo di prodotti omologhi presenti sul mercato. I produttori e i distributori devono a tal fine definire – fornendo specifica motivazione scritta – il “gruppo di omologhi”, ossia di prodotti competitor, con i quali comparare i propri prodotti. Nella Proposta di Modifica della Direttiva presentata dal Parlamento, viene dato mandato all’ESMA e all’EIOPA di elaborare degli orientamenti sul processo e sui criteri che le imprese devono adottare per effettuare l’analisi inter pares. Sono inoltre previsti obblighi informativi rispetto alle autorità di vigilanza nazionali in merito ai costi e gli oneri dei PRIIPS destinati alla clientela al dettaglio, inclusi – se del caso – i costi di distribuzione incorporati nello strumento finanziario e i costi relativi alla consulenza. Tali informazioni devono essere trasmesse nel rispetto di norme tecniche di regolamentazione che dovranno essere emanate dalla Commissione, sulla base di progetti elaborati dall’ESMA e dall’EIOPA.
Il Consiglio UE ha adottato una posizione intermedia rispetto a quelle della Commissione UE e del Parlamento UE in tema di product governance e di Value for Money: pur introducendo alcuni elementi di innovazione rispetto alle posizioni delle altre istituzioni europee, il Consiglio UE, da un lato, recepisce la proposta del Parlamento di prevedere l’obbligo a carico dei produttori e distributori di PRIIPs di effettuare una valutazione “inter pares” tra i costi e i rendimenti dei propri prodotti con quelli di un gruppo omogeneo di prodotti presenti sul mercato e, dall’altro lato, recepisce la proposta della Commissione di rendere pubblici i Benchmark di vigilanza.
Con riferimento alla valutazione “inter pares”, la posizione del Consiglio specifica che: (i) tale analisi comparativa dovrà avvenire tra prodotti che abbiano le medesime caratteristiche in termini di tipologia di prodotto, livello di rischio, strategia, obiettivi, RHP e caratteristiche ESG; (ii) la comparazione dovrà essere svolta sulla base di criteri prestabiliti – che saranno oggetto di regolamentazione tecnica di attuazione da parte della Commissione Europea – e di informazioni pubbliche (ad esempio, informazioni pubblicate nei KID-PRIIPS); (iii) in caso di esito negativo, ossia qualora il prodotto dovesse scostarsi significativamente dalla media dei prodotti competitor, i produttori e i distributori saranno tenuti ad effettuare (così come previsto in relazione ai Benchmark di vigilanza nel testo della Direttiva Omnibus proposto dalla Commissione ed anche dal Parlamento) ulteriori analisi e test, assumendo – ove necessario – le azioni più opportune per assicurare che il prodotto abbia un adeguato Value for Money; in particolare, i distributori potranno fare affidamento sul Value for Money Assessment effettuato dal produttore del PRIIP se quest’ultimo ha considerato nell’ambito di tale analisi anche i costi e gli oneri della distribuzione.
Con riferimento, invece, ai Benchmark di vigilanza, il Consiglio UE, pur ribadendo – come sostenuto dal Parlamento – la necessità che i Benchmark elaborati dall’ESMA e dall’EIOPA costituiscano uno strumento di vigilanza per le autorità nazionali (al fine di individuare la presenza sul mercato di prodotti privi o con scarso Value for Money nonché valutare che il “Value for Money Assessment Process” sia stato condotto in conformità alle disposizioni normative), prevede che i medesimi possano essere resi pubblici anche al fine di agevolare la valutazione inter-pares. In particolare, gli Stati Membri potranno prevedere a livello di normativa nazionale la possibilità per i produttori e i distributori di optare – ai fini della valutazione del Value for Money – per la comparazione dei costi e delle performance dei prodotti che intendono emettere o distribuire con i Benchmark di vigilanza, anziché attraverso la valutazione “inter pares”. Il testo validato dal Consiglio UE prevede che l’ESMA e l’EIOPA raccolgano – attraverso le autorità di vigilanza nazionali – i dati relativi ai costi e oneri e alle performance dei prodotti finanziari e assicurativi, al fine di elaborare i Benchmark di vigilanza e di mettere a disposizione dei produttori e distributori di prodotti finanziari e assicurativi informazioni utili ai fini delle valutazioni “inter pares”. Sembrerebbe che tali dati saranno accessibili da parte dei produttori e dei distributori a pagamento, previo pagamento di una fee.
Nonostante le differenze sopra illustrate, è evidente l’orientamento comune delle tre istituzioni europee di prevedere criteri e metodologie volte ad assicurare una determinazione oggettiva e comune del Value for Money in tutti gli Stati Membri. La finalità è di evitare che la soggettività che, altrimenti, caratterizzerebbe la valutazione e ponderazione di elementi quantitativi (es. il prezzo e le performance del prodotto) e qualitativi (es. la consulenza prestata prima e dopo la sottoscrizione dello strumento finanziario o del contratto assicurativo, le caratteristiche ESG del prodotto, i servizi digitali accessori offerti al cliente etc.) nella determinazione del Value for Money porti a risultati divergenti e non confrontabili, rendendo difficile e scarsamente efficace la vigilanza sul rispetto dell’obbligo di assicurare ai clienti un corretto rapporto costi-benefici.
È, inoltre, chiaro il cambio di approccio: alla valutazione del rapporto costi-benefici da parte del cliente in fase di selezione dei prodotti, si aggiunge l’obbligo dei produttori di strumenti finanziari e assicurativi di assicurare un Value for Money corretto, che si colloca a monte dell’avvio della commercializzazione del prodotto, ossia nella fase di definizione delle caratteristiche del prodotto stesso. Tale obbligo, imposto a chi dispone delle informazioni, degli strumenti e delle competenze per poter valutare le caratteristiche dei prodotti che intendono commercializzare, in un’ottica “customer-centric” (contrapposta a quella “profit-centric”), è finalizzato a tutelare l’investitore retail, che si presuppone non abbia sufficienti conoscenze finanziarie per una valutazione autonoma [11].
Dai testi fino ad ora proposti dalle tre istituzioni europee, emerge inoltre chiaramente come, rispetto alla volontà di utilizzare la “comparazione” – attraverso Benchmark elaborati dalle autorità di vigilanza e/o con altri prodotti presenti sul mercato – quale strumento di valutazione del Value for Money e di controllo sullo stesso da parte delle autorità nazionali, vi sia la consapevolezza del rischio che tale approccio abbia ripercussioni negative sulla concorrenza, livellando i prezzi dei prodotti e limitando l’innovazione [12]. Nei negoziati in corso dovranno essere individuate soluzioni che possano bilanciare al meglio l’esigenza di immettere sul mercato prodotti che generino un valore positivo per il cliente, da un lato, e la tutela della concorrenza e del libero mercato, dall’altro lato.
3. Incentivi
Il tema indubbiamente più discusso nell’ambito del Retail Investment Package è quello degli incentivi.
Ricordiamo, infatti, come la disciplina degli inducements prevista nella Proposta di Direttiva Omnibus della Commissione Europea sia frutto di un compromesso tra la possibilità di vietare, in tutto o in parte (in particolare con riguardo, ai servizi di ricezione e trasmissione di ordini e di esecuzione di ordini per conto del cliente in ambito finanziario e al servizio di vendita senza consulenza in ambito assicurativo), il percepimento da parte dei distributori di prodotti finanziari e assicurativi di incentivi pagati da soggetti diversi dai clienti, ovvero di mantenere l’impostazione attuale, applicando comunque condizioni più restrittive (i.e. il superamento dell’ “enhancement test” ([13]) in ambito finanziario o del “no detriment test” [14] in ambito assicurativo).
Tenuto conto che il mercato non è ancora maturo per affrontare un divieto totale agli incentivi [15], la Commissione UE ha deciso di non proporre un divieto totale, ma piuttosto un approccio graduale volto ad affrontare l’annoso conflitto di interessi tra intermediario e cliente, attraverso tre misure mirate, ossia: (i) il divieto di pagamento di incentivi per la prestazione di servizi investimento di ricezione e trasmissione di ordini o esecuzione di ordini per conto del cliente in ambito finanziario ovvero di vendita senza consulenza in ambito assicurativo; (ii) il rafforzamento del principio del “best interest” del cliente applicato sia nella MiFID che nella IDD e (iii) una migliore informativa al cliente in merito al pagamento degli incentivi.
Nella proposta di direttiva della Commissione Europea, la disciplina previgente sugli inducements viene quasi integralmente sostituita con la previsione, anche in questo caso, di una disciplina comune alla prestazione di servizi di investimento (distributivi e non) e alla distribuzione di prodotti di investimento assicurativi (ossia nell’ambito della MIFID II e della IDD).
Con riferimento alla MIFID II, la Proposta di Direttiva Omnibus presentata dalla Commissione conferma il divieto di percepire incentivi in relazione ai servizi di gestione di portafogli e di consulenza in materia di investimenti su base indipendente ed introduce il divieto stesso anche per i servizi di ricezione e trasmissione di ordini e di esecuzione di ordini a clienti al dettaglio o per loro conto. Tuttavia, nell’ambito di tali ultimi servizi sono previste due esenzioni: la prima esenzione opera quando tali servizi vengano resi in abbinamento alla consulenza in materia di investimenti su base non indipendente, in quanto si ritiene che, in tal caso, gli inducements siano giustificati dal più elevato livello del servizio che viene reso al cliente, appunto in ragione della consulenza resa. La seconda esenzione, invece, opera in relazione ai servizi che l’impresa di investimento presta a favore di emittenti, ossia, i servizi di cui all’Allegato 1 A MIFID II, n. 6) – “Assunzione a fermo di strumenti finanziari e/o collocamento di strumenti finanziari sulla base di un impegno irrevocabile” – e n. 7) “Collocamento di strumenti finanziari senza impegno irrevocabile”. In particolare, le imprese di investimento potranno percepire dalle case-prodotto degli incentivi solo se – oltre ad aver sottoscritto con le stesse un accordo di assunzione a fermo o collocamento – presteranno ai clienti il servizio di ricezione e trasmissione di ordini, ovvero il servizio di esecuzione di ordini in relazione agli strumenti finanziari che si sono impegnate a collocare o sottoscrivere. Quest’ultima eccezione (che non si applica agli strumenti finanziari che si qualificano come PRIIPS) pare correlata e conseguente all’orientamento della Commissione UE [16], che individua l’attività di collocamento nella sola promozione e distribuzione di prodotti finanziari su incarico e nell’interesse dell’emittente; il che la rende di non immediata comprensione in ordinamenti, come l’Italia, nei quali il servizio di collocamento – come da consolidata interpretazione della Consob [17]– include tutte le fasi dell’attività distributiva che, partendo dalla promozione e distribuzione del prodotto finanziario per conto dell’emittente, si concludono con l’esecuzione dell’ordine per conto del cliente. Si pensi, in particolare, al collocamento di quote o azioni di OICR, caratterizzato dalla promozione e commercializzazione di tali prodotti da parte dell’impresa di investimento, su incarico delle società prodotto, che include la raccolta delle richieste di sottoscrizione degli investitori, la relativa trasmissione alle società prodotto stesse e, infine, l’esecuzione degli ordini dei clienti. Come detto, rispetto ad un simile inquadramento del servizio di collocamento, l’eccezione al divieto di incentivi (ossia la loro ammissibilità) prevista con riguardo al caso in cui, in abbinamento al servizio di collocamento, vengano prestati i servizi di ricezione e trasmissione di ordini o di esecuzione per conto dei clienti risulta di difficile comprensione ed applicazione. La difficoltà interpretativa risulterebbe superata laddove – come peraltro sarebbe di per sé opportuno – fossero uniformate a livello comunitario le definizioni ed interpretazioni dei servizi di investimento.
Sono in ogni caso ammessi benefici non monetari a favore delle imprese di investimento di valore complessivo inferiore a 100 Euro l’anno o di entità e natura tali da non poter essere considerati pregiudizievoli del dovere delle stesse di agire nel migliore interesse del cliente, purché il cliente abbia ricevuto una comunicazione chiara.
Con riferimento all’ambito della IDD, la proposta di modifica della Commissione UE è volta ad allineare la normativa comunitaria sulla distribuzione di prodotti assicurativi all’approccio caratterizzante la MIFID II: è previsto il divieto di percepire incentivi in caso di prestazione del servizio di consulenza su base indipendente [18], mentre sono considerati legittimi gli incentivi pagati e percepiti dai distributori assicurativi solo nel caso di vendite di IBIPs abbinate alla consulenza su base non indipendente.
La volontà del legislatore comunitario di uniformare la disciplina europea nel settore finanziario e assicurativo emerge in particolare dalla sostituzione del quality enhancement test previsto nell’ambito della MiFID II e del not detriment test previsto dalla IDD con il test del c.d. best interest del cliente ai fini dell’ammissibilità degli incentivi. L’introduzione di tale criterio risponde alla necessità di associare alla mera intermediazione assicurativa una consulenza che possa garantire un valore aggiunto per la clientela, quale elemento che possa giustificare gli inducements. Al fine di comprovare che il servizio di consulenza è prestato nel “miglior interesse del cliente”, gli intermediari assicurativi saranno tenuti a (i) fornire consulenza in base alla valutazione di una gamma adeguata di prodotti; (ii) raccomandare i prodotti più efficienti in termini di costi, tra quelli ritenuti idonei e che presentano caratteristiche simili; (iii) raccomandare, tra la gamma di prodotti ritenuti idonei, uno o più prodotti privi di caratteristiche supplementari che non sono funzionali al conseguimento degli obiettivi del cliente e che comportano costi aggiuntivi, affinché agli investitori al dettaglio siano prospettate anche opzioni alternative ed eventualmente più economiche.
Sul tema degli inducements la posizione del Parlamento UE non è chiara e pare contraddittoria con gli obiettivi di maggiore severità che sono indicati nei considerando della proposta di Direttiva Omnibus [19]. Fermo restando, infatti, il divieto di percepire incentivi nell’ambito della prestazione della gestione di portafogli e della consulenza su base non indipendente, il Parlamento ha eliminato del tutto dal testo della Proposta di Direttiva Omnibus il divieto di percepire incentivi nell’ambito della prestazione del servizio di ricezione e trasmissione di ordini e del servizio di esecuzione di ordini per conto del cliente [20] (art.24 bis MIFID II nel teso di Direttiva Omnibus proposto dalla Commissione UE) e nell’ambito della distribuzione assicurativa senza consulenza (art. 29 bis IDD nel testo proposto dalla Commissione), limitandosi a prevedere in tali casi obblighi di disclosure sulle remunerazioni percepite da terzi. La totale eliminazione del divieto di percepimento di incentivi, senza la previsione di alcun test di ammissibilità (il “best interest test”, infatti, è previsto solo nell’ambito della prestazione del servizio di consulenza non indipendente – sia finanziaria, sia assicurativa – mentre i riferimenti all’enhancement test [21] e al no detriment test [22] risultano eliminati anche nel testo approvato dal Parlamento), sembrerebbe ammettere il percepimento di incentivi senza limitazione alcuna. Tale approccio sembrerebbe incoerente con il Considerando 3, che esprime l’esigenza di un approccio maggiormente restrittivo rispetto al passato. Per spiegare questa possibile incoerenza, si potrebbe provare ad ipotizzare che – quale tecnica redazionale della norma – il Parlamento abbia voluto trattare esclusivamente l’ipotesi della consulenza non indipendente al fine di esprimere che l’intermediario possa percepire incentivi soltanto in tale ipotesi e al ricorrere di talune condizioni, sottintendendo la non ammissibilità degli stessi, in relazione ad altri servizi. Una simile interpretazione, tuttavia, appare poco convincente poiché – da un punto di vista di tecnica legislativa – ove il Parlamento avesse inteso introdurre un divieto, lo avrebbe dovuto esprimere chiaramente, definendone il perimetro.
Con riferimento alla prestazione del servizio di consulenza non indipendente, il Parlamento è intervenuto sulla formulazione della previsione sul best interest test, prevedendo che le imprese di investimento, cosi come gli intermediari assicurativi, debbano rispettare determinati obblighi previsti in modo speculare sia nell’art. 24 (1 bis) Mifid II che nell’art. 29 ter di IDD: (i) informare il cliente della gamma di strumenti finanziari o, a seconda dei casi, prodotti di investimento assicurativi (o opzioni di investimento sottostanti) valutati dall’impresa di investimento o dall’intermediario assicurativo e fornire consulenza in base alla valutazione di una gamma adeguata di strumenti finanziari o prodotti di investimento assicurativi idonei alle esigenze del cliente e “adattando la gamma di strumenti finanziari al modello aziendale dell’impresa di investimento” [23]; (ii) raccomandare i prodotti (o per i prodotti di investimento assicurativi, le opzioni di investimento sottostanti) più efficienti tra quelli ritenuti idonei al cliente, che presentano caratteristiche simili, tenendo conto del loro rendimento, del livello di rischio, degli elementi qualitativi, dei costi, degli oneri e, ove si raccomandi un prodotto equivalente con costi più elevati, giustificare tale scelta con motivazioni oggettive e tenere traccia di tale giustificazione; (iii) non anteporre gli interessi finanziari, o di altro tipo, dell’impresa di investimento a quelli del cliente. Si osserva come quest’ultimo criterio di valutazione del best interest test sostituisca l’obbligo, previsto nel testo della Commissione, di raccomandare, tra gli strumenti ritenuti idonei, anche strumenti finanziari privi di caratteristiche supplementari. Con specifico riferimento ai prodotti di investimento assicurativi è previsto inoltre l’obbligo di raccomandare prodotti con copertura assicurativa coerente con le richieste e le esigenze assicurative del cliente.
Il Parlamento aggiunge, inoltre, l’obbligo di astensione dal fornire consulenze o formulare raccomandazioni se nessuno degli strumenti proposti risulti “nel miglior interesse” del cliente.
Con riferimento alla posizione del Consiglio UE, si osserva, anzitutto, come anche tale istituzione, al pari di quanto risulta dalla posizione del Parlamento, abbia eliminato la proposta formulata dalla Commissione di vietare il percepimento di incentivi in caso di prestazione di servizi di ricezione e trasmissione di ordini e di esecuzione di ordini per conto del cliente (o nel caso della distribuzione assicurativa, in caso di vendita senza consulenza). Tuttavia, il Consiglio UE – a differenza del Parlamento UE – introduce sia in ambito MIFID II, che in ambito IDD dei principi generali (c,d. “Overarching Principles”) che le imprese di investimento e i distributori assicurativi devono rispettare quando prestano qualsiasi servizio di intermediazione finanziaria o distribuzione assicurativa (quindi, anche in caso di servizi di ricezione e trasmissione di ordini e di esecuzione di ordini per conto del cliente in ambito MIFID II o di vendita senza consulenza in ambito IDD). Tali principi devono essere recepiti anche nelle policy e procedure aziendali.
Con riferimento alla prestazione di servizi diversi dalla gestione di portagli e dalla consulenza indipendente, finanziaria e assicurativa, per i quali non sussiste un divieto di percepimento di incentivi, il Consiglio prevede che – sia nell’ambito finanziario, sia in quello assicurativo – le imprese devono assicurare il pagamento di incentivi non pregiudichi il rispetto dell’obbligo dell’impresa di investimento o dell’intermediario assicurativo di agire in modo “onesto”, “equo” e “professionale” nel rispetto del “miglior interesse” del cliente [24]. Al fine di consentire agli operatori di valutare la conformità della propria condotta rispetto a tali obblighi normativi, il testo della Direttiva Omnibus proposto dal Consiglio UE prevede una serie di criteri da prendere in considerazione per valutare l’ammissibilità degli incentivi. È interessante notare come tra i criteri indicati per valutare l’ammissibilità degli incentivi nell’ambito della prestazione di servizi di investimento via sia anche la condizione che l’incentivo sia “finalizzato a migliorare la qualità del servizio offerto al cliente”, mentre nell’ambito dei criteri di ammissibilità degli incentivi per la distribuzione di prodotti assicurativi non vi è alcun richiamo al “no detriment test”, ossia alla condizione che l’incentivo non rechi pregiudizio al cliente.
Con riferimento alla prestazione del servizio di consulenza non indipendente, anche nel testo del Consiglio – così come nei testi proposti dalla Commissione UE e dal Parlamento, è previsto che per dimostrare di agire nel miglior interesse del cliente – e, quindi, per poter percepire incentivi da terzi – gli intermediari finanziari e assicurativi debbano rispettare determinati requisiti, che sono sostanzialmente speculari in ambito finanziario e assicurativo, ossia: (i) fornire consulenza sulla base di una valutazione di un’adeguata gamma di strumenti finanziari o, a seconda dei casi, di prodotti di investimento assicurativi identificati come idonei per il cliente, sufficientemente diversificati per tipologia, caratteristiche, attività di investimento sottostanti per garantire che gli obiettivi e le esigenze di investimento del cliente siano raggiunti (con riferimento ai prodotti di investimento assicurativi è previsto che tale requisito possa essere soddisfatto anche offrendo un unico prodotto con una gamma adeguata di attività di investimento sottostanti); (ii) raccomandare gli strumenti finanziari o, a seconda dei casi, i prodotti di investimento assicurativi (o, se del caso le attività di investimento sottostanti) più efficienti in termini di costi tra gli strumenti finanziari / i prodotti di investimento assicurativi identificati come adatti per il cliente e che offrono caratteristiche simili [25]; (iii) con riferimento solo ai prodotti di investimento assicurativi, raccomandare prodotti la cui copertura assicurativa sia coerente con le esigenze e le richieste del cliente.
Relativamente al “best interest test” si osserva come nel testo di Direttiva Omnibus proposto dal Consiglio, sia stato eliminato – rispetto a quello proposto dal Parlamento – il requisito di non anteporre gli interessi finanziari o di altro tipo dell’impresa di investimento o dell’impresa assicurativa rispetto a quelli del cliente.
Infine, il testo proposto dal Consiglio prevede che nei casi di prestazione di servizi esecutivi (ossia, di ricezione e trasmissione di ordini o esecuzione di ordini di investimento ovvero di vendita senza consulenza di prodotti assicurativi) senza consulenza, attraverso canali digitali e utilizzando strumenti di filtraggio per consentite ai clienti retail di selezionare gli strumenti finanziari o, a seconda dei casi, i prodotti assicurativi sulla base di vari criteri, le imprese di investimento e gli intermediari assicurativi debbano prevede delle opzioni di filtraggio che consentano ai clienti retail di individuare i prodotti per i quali i medesimi non pagano o ricevono incentivi. Ove l’impresa o l’intermediario assicurativo non dovessero offrire tali prodotti, dovranno specificarlo in modo evidente nel meccanismo di filtraggio.
In sintesi, pur partendo da un intento (apparentemente) comune di restringere le maglie alla possibilità per le imprese di investimento e i distributori assicurativi di ricevere in pagamento incentivi da parte di soggetti diversi dai clienti, al fine di risolvere – o quantomeno mitigare – gli effetti negativi dei conflitti di interesse tra intermediario e cliente, la Commissione UE, il Parlamento UE e il Consiglio UE manifestano posizioni piuttosto lontane l’una dalle altre, sia in relazione al perimetro dei servizi di investimento e della tipologia di distribuzione assicurativa che sarà oggetto di restrizioni – o addirittura del divieto – alla possibilità di percepire incentivi da terzi, sia in relazione alle modalità attraverso le quali attuare tali restrizioni.
Ad oggi, gli unici punti di incontro (seppur con marginali differenze) tra le posizioni delle tre Istituzioni in relazione agli inducements sembrano essere (i) la sostituzione del criterio del “best interest” test rispetto all’ “enhancement” test o il “no detriment” test in relazione alla possibilità per gli intermediari finanziari e assicurativi di percepire degli incentivi da parte di soggetti diversi dai clienti e (ii) il divieto di incentivi nell’ambito della prestazione del servizio di gestione di portafogli e della consulenza (finanziaria e assicurativa) non indipendente, peraltro già previsto dalla normativa europea vigente. Non è chiaro, invece, se e quali saranno le ulteriori restrizioni volte a risolvere il tema dei conflitti di interesse coerentemente con l’esigenza manifestata al sopra richiamato Considerando 3. Appare, infatti, evidente come le tre Istituzioni europee, pur condividendo l’obiettivo di neutralizzare i conflitti tra gli interessi degli intermediari e quelli dei clienti derivanti dagli inducement, stiano riscontrando difficoltà nell’individuare una soluzione che non sia pregiudizievole per il mercato, attualmente caratterizzato da modelli di business significativamente basati sugli incentivi corrisposti dalle case-prodotto ai distributori. La stessa Commissione UE nella Relazione introduttiva alla Proposta di Direttiva Omnibus ha rilevato che “La valutazione d’impatto conclude che il divieto totale a livello dell’UE sia la misura più efficace per eliminare o ridurre sensibilmente i potenziali conflitti di interessi, in quanto agirebbe su un’importante fonte di pregiudizio per i consumatori. Tuttavia, un divieto immediato e totale degli incentivi comporterebbe impatti significativi e improvvisi sui sistemi di distribuzione esistenti, con conseguenze difficili da prevedere.”
La discussione, pertanto, è ancora aperta e ad oggi non è possibile fare previsioni su quale sarà la soluzione finale.
[1] La “Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2009/65/CE, 2009/138/CE, 2011/61/UE, 2014/65/UE e (UE) 2016/97 per quanto riguarda le norme dell’Unione a tutela degli investitori al dettaglio” nel testo approvato dal Consiglio UE è consultabile al seguente link Retail investment package: Council agrees on its position – Consilium (europa.eu)
[2] La “Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2009/65/CE, 2009/138/CE, 2011/61/UE, 2014/65/UE e (UE) 2016/97 per quanto riguarda le norme dell’Unione a tutela degli investitori al dettaglio” nel testo approvato dalla Commissione UE è disponibile al seguente linkEUR-Lex – 52023PC0279 – EN – EUR-Lex (europa.eu).
[3] La “Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e Del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 286/2014 per quanto riguarda l’ammodernamento del documento contenente le informazioni chiave” nel testo approvato dalla Commissione UE è disponibile al seguente link EUR-Lex – 52023PC0278 – EN – EUR-Lex (europa.eu).
[4] Il testo della Proposta di Direttiva Omnibus approvato dal Parlamento il 22 aprile 2024 è consultabile al seguente link REPORT on the proposal for a directive of the European Parliament and of the Council amending Directives (EU) 2009/65/EC, 2009/138/EC, 2011/61/EU, 2014/65/EU and (EU) 2016/97 as regards the Union retail investor protection rules | A9-0162/2024 | European Parliament (europa.eu), mentre
[5] “Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali”, 30 settembre 2015, COM(2015) 468 final e “Un’Unione dei mercati dei capitali per le persone e le imprese: nuovo piano di azione”, 24 settembre 2020, COM(2020) 590 final.
[6] Nel 2021 solamente il 17% del patrimonio delle famiglie dell’UE era detenuto in titoli finanziari (come azioni o obbligazioni), percentuale ben al di sotto delle famiglie statunitensi (Eurostat).
[7] Tra i dati a supporto di tali conclusioni:
- gli investitori al dettaglio pagano circa il 40% in più commissioni rispetto agli investitori istituzionali, ad esempio, i fondi pensione (relazione dell’ESMA su costi e performance);
- il 45% dei cittadini europei non è convinto che la consulenza ricevuta dagli intermediari finanziari nell’ambito degli investimenti sia stata fornita nel loro interesse (Eurobarometro 2023).
[8] In economia il Value for Money misura la percezione, da parte del cliente, del valore di un prodotto o servizio in termini di rapporto tra benefici e costi ad esso connessi. In tale valutazione, il cliente, per sua natura soggettiva, può prendere in considerazione elementi sia quantitativi, sia qualitativi
[9] Il tema del Value for Money è stato discusso e trattato dall’EIOPA in diverse occasioni. Un primo accenno al concetto di Value for Money si rinviene nel “online survey in preparation of the call for advice from the European Commission on the delegated acts under the Insurance Distribution Directive” (disponibile al seguente link: https://www.eiopa.europa.eu/consultations/survey-preparation-call-advice-ec-delegated-acts-under-idd_en?prefLang=it), con il quale l’EIOPA nel gennaio 2015 – in previsione di un “call for advise” da parte della Commissione Europea su determinati requisiti regolamentari previsti dalla IDD, tra cui la product governance – ha inteso sondare l’opinione dei diversi stakeholders del mercato assicurativo in merito, inter alia, alla possibilità di richiedere ai produttori di garantire che i prodotti assicurativi abbiano un “prezzo equo” (“fairly priced”) e offrano un “valore aggiunto” ai clienti (“added value”). Altri cenni al Value for Money si trovano implicitamente nel documento “EIOPA’s approach to the supervision of product oversight and governance” del 8 ottobre 2020 (disponibile al seguente link: EIOPA’s approach to the supervision of product oversight and governance – European Union (europa.eu)), in cui l’Autorità di Vigilanza Europea ha precisato che, nell’ambito delle attività di vigilanza sui processi di product governance delle imprese produttrici, uno dei principali punti di attenzione consiste nel c.d. “fairness test”, ossia, nell’adozione di processi per i test sul prodotto che siano concepiti secondo logiche “consumer-centric” e abbiano ad oggetto – non più solo la profittabilità del prodotto per l’impresa ma anche e soprattutto – la verifica della “correttezza” del prodotto per il target market (“fairness of a product”), ossia che il prodotto sia “cost-efficient” (efficiente in termine di costi), utile (“useful”) e comprensibile (“comprehensible”). Successivamente, preso atto che il Value for Money è un concetto sotteso all’art. 25 IDD, l’EIOPA ha inteso favorire delle prassi di vigilanza convergenti e uniformi pubblicando: (i) in data 30 novembre 2021 il “Supervisory Statement on assessment of Value for Money of unit-linked insurance products under product oversight and governance” (disponibile al seguente link Supervisory statement on assessment of value for money of unit-linked insurance products under product oversight and governance – European Union (europa.eu)) e (ii) in data 31 ottobre 2022 l’EIOPA il documento “Methodology to assess Value for Money in the unit-linked market” (disponibile al seguente link Methodology to assess value for money in the unit-linked market – European Union (europa.eu)). Infine, l’EIOPA in data 15 dicembre 2023 ha posto in pubblica consultazione il “consultation paper on Methodology on Value for Money Benchmarks” (disponibile al seguente link Consultation on the Methodology on Value for Money Benchmarks – European Union (europa.eu))
[10] Cfr. par. 2.4 del Supervisory Statement : “The analysis of the responses to the public consultation showed that it is widely understood that aspects related to Value for Money are already embedded in the IDD, albeit implicitly. In particular, Article 25 of the IDD and the POG Delegated Regulation require manufacturers to test whether products are aligned with the target market’s needs, objectives and characteristics.
[11] I dati sull’educazione finanziaria evidenziano, infatti, una scarsa conoscenza dei prodotti e dei servizi di investimento e assicurativi sia in Europa sia nello specifico in Italia. Il “Report on financial investments of Italian households” pubblicato da Consob nel 2022 evidenzia che “le conoscenze finanziarie non sono ancora sufficientemente diffuse né rispetto ai concetti di base (ad esempio, la nozione di diversificazione degli investimenti è compresa solo dal 50% degli intervistati) né rispetto agli strumenti finanziari (la quota di risposte corrette a domande su conto corrente, azioni, obbligazioni e fondi comuni di investimento rimane al di sotto del 60%) né rispetto alle dimensioni del rischio finanziario (in particolare, la percentuale di intervistati che ha familiarità con le nozioni di rischio di credito, di mercato e di liquidità oscilla tra il 20% e il 49%)”
[12] Il Considerando 13(aa) della Proposta di Direttiva Omnibus approvata dal Parlamento UE specifica che “Benchmarks should not, in any way, lead to a price regulation but should allow for better supervision of the products on the market, with the aim to identify potential outliers and ensure the rectification for the benefit of customers and clients” mentre il il Considerando 13(a) della Proposta di Direttiva Omnibus approvata dal Consiglio UE chiarisce che “Neither the peer-group comparisons nor the Union supervisory benchmarks should amount to price regulation. The development of Union supervisory benchmarks and the comparison with other products should not lead to a standardisation of products or limit innovation in the market”
[13] Attualmente sussiste già un divieto per le imprese di investimento di pagare e percepire incentivi con riferimento ai servizi di gestione di portafogli e di consulenza su base indipendente. Al di fuori di tale perimetro è prevista la possibilità per le imprese di investimento di corrispondere ovvero ricevere e trattenere incentivi a condizione che agiscano in modo onesto, equo e professionale nel migliore interesse del cliente e che superino il quality enhancement test (ossia migliorino la qualità del servizio offerto al cliente). Pertanto, da tale previsione emerge che i compensi, le commissioni o i benefici non monetari, per poter essere valutati legittimi, devono essere ritenuti dall’intermediario come concepiti per migliorare la qualità del servizio reso al cliente.
[14] Nell’ambito assicurativo, invece, con riferimento alla distribuzione di IBIPs, la IDD prevede (al posto dello svolgimento del quality enhancement test) un diverso tipo di valutazione, ossia il cd non detriment test: le imprese assicurative devono verificare che gli incentivi non determinino alcuna ripercussione negativa sulla qualità del relativo servizio prestato al cliente (fermo restando l’obbligo di agire in modo onesto, equo e professionale nel migliore interesse del cliente).
[15] Nella Relazione introduttiva alla Proposta di Direttiva Omnibus prestata dalla Commissione UE si legge “La valutazione d’impatto conclude che il divieto totale a livello dell’UE sia la misura più efficace per eliminare o ridurre sensibilmente i potenziali conflitti di interessi, in quanto agirebbe su un’importante fonte di pregiudizio per i consumatori. Tuttavia un divieto immediato e totale degli incentivi comporterebbe impatti significativi e improvvisi sui sistemi di distribuzione esistenti, con conseguenze difficili da prevedere. Un divieto parziale, d’altro canto, avrebbe un impatto minore sui sistemi di distribuzione esistenti, pur apportando benefici agli investitori al dettaglio”
[16] Si veda il documento “Directive 2004/39/EC of the European Parliament and of the Council of 21 April 2004 on markets in financial instruments amending Council Directives 85/611/EEC and 93/6/EEC and Directive 2000/12/EC of the European Parliament and of the Council and repealing Council Directive 93/22/EEC” disponibile al seguente link Q&As published by the Commission on MiFID Directive 2004/39/EC (europa.eu), nel quale la Commissione UE, con riguardo all’inquadramento dell’attività di distribuzione di fondi, precisa che “the service provided to the client by the investment firm normally constitutes the provision of the services of reception and transmission or execution of orders as per Annex I, Section A para (1) of the MiFID. In this scenario, which involves the sale of units in an open-ended collective investment scheme where shares are continually being issued to satisfy the demand by new investors, the investment firm does not provide the service of underwriting and/or placing issues in respect of the issuer”.
[17] Nel definire il servizio di collocamento la Consob, nella Comunicazione n. DIN/DSR/CLE/0049126 dell’11 giugno 2014 (d6113907-4346-4ed4-28be-ce03f756636a (consob.it)), precisa che “Innanzitutto, sussiste uno specifico accordo, fra l’emittente ed il soggetto che immette le richieste di acquisto dei titoli da classare, che ha per oggetto la distribuzione degli stessi. Siffatto accordo, in linea con la costante lettura della Consob e della dottrina, costituisce uno degli elementi che caratterizzano il servizio di collocamento. In secondo luogo, in tal caso, in virtù dell’accordo stretto fra le parti, l’emittente conferisce all’intermediario l’incarico di allocare presso il pubblico degli investitori i titoli emittendi. Questo incarico comprende l’autorizzazione dell’intermediario a sottoporre agli investitori, per conto dello stesso emittente, la documentazione contrattuale per l’acquisto dei titoli da emettere. In tale ipotesi, l’acquisto dei titoli non consegue ad un ordine del cliente alla cui esecuzione l’intermediario deve provvedere, ma deriva, piuttosto dalla “adesione” – al di là della veste formale in concreto rivestita – dell’investitore all’offerta fatta dall’intermediario” e che “Così delineato il collocamento, risulta evidente la distanza che separa detto servizio da quello, di esecuzione ordini, reso dall’intermediario che, come previsto nello schema operativo tratteggiato dalla Procedura, si limiti ad immettere nel mercato di negoziazione gli ordini di acquisto della clientela. Nel servizio di esecuzione, invero, l’intermediario non rivolge (né ha potere di rivolgere) agli investitori alcuna offerta di contratto per conto dell’emittente. Pertanto, la richiesta dell’investitore all’intermediario di acquistare il titolo offerto non costituisce adesione ad un’offerta da quest’ultimo formulata (proposta che, nella specie, manca del tutto), bensì configura esattamente un ordine che l’intermediario ha il dovere di eseguire”. Per ulteriori approfondimenti cfr. anche le altre Comunicazioni Consob ivi richiamate: Comunicazioni Consob n. DIN/1079230 del 19 ottobre 2001 (d721d631-459f-3142-ed7a-fcb7a5da0df4 (consob.it)), Comunicazione Consob n. DIN/1049452 del 21 giugno2001 (d1365de2-b134-09c1-43fe-14749a6812d6 (consob.it)), Comunicazione Consob n. DAL/97006042 del 9 luglio 1997 (4f6fadd6-3125-bf8d-2d79-7735b899af1e (consob.it))
[18] Vale la pena osservare come il concetto di “consulenza su base indipendente” sia introdotto per la prima volta in ambito assicurativo, al fine di rendere la classificazione dei servizi prestati nell’ambito della distribuzione assicurativa omogenea rispetto a quella utilizzata da Mifid II nell’ambito dell’intermediazione finanziaria. L’art. 30, par 5ter della Proposta Direttiva Omnibus approvato dalla Commissione UE definisce la consulenza su base indipendente come segue: 5 ter. “Quando l’intermediario assicurativo o l’impresa di assicurazione che distribuisce prodotti di investimento assicurativi dichiara al cliente che la consulenza è fornita su base indipendente, gli Stati membri impongono all’intermediario o all’impresa di: (a) analizzare un numero sufficientemente ampio di prodotti assicurativi disponibili sul mercato che siano sufficientemente diversificati quanto a tipologia e fornitore, così che gli obiettivi del cliente possano essere adeguatamente soddisfatti e che la gamma presentata non si limiti ai prodotti assicurativi emessi o forniti da soggetti che hanno stretti legami con l’intermediario assicurativo o l’impresa di assicurazione; (b) non accettare né trattenere onorari, commissioni o altri benefici pecuniari o extrapecuniari corrisposti o forniti per la prestazione del servizio ai clienti da terzi o da persona che agisce per conto di terzi”
[19] Nel Considerando 3 si legge “Third party payments, such as fees, commissions or any monetary or non-monetary benefits paid to or received by investment firms and insurance undertakings and intermediaries by or from persons other than the client or customer, also termed as ‘inducements’, play a significant role in the distribution of retail investment products in the Union. The existing rules designed to manage conflicts of interests in Directives 2014/65/EU and (EU) 2016/97, including restrictions on and transparency around the payments of inducements, have not proven sufficiently effective in mitigating consumer detriment and have led to different levels of retail investor protection across product segments and distribution channels. It is therefore necessary to further strengthen the investor protection framework to ensure that retail clients’ best interests are protected uniformly across the Union. It is appropriate to introduce rules that better frame the current advice environment by ensuring that financial intermediaries provide more transparent, understandable and tailored advice to clients and consumers. This should ensure that clients and consumers are being offered products suitable to their needs and that they better understand the advice they receive.” (N.d.r. il grassetto evidenzia le modifiche apportate nel testo della Proposta di Direttiva Omnibus approvato dal Parlamento UE rispetto al testo della stessa Proposta di Direttiva Omnibus presentato dalla Commissione UE).
([20]) Nella proposta di Direttiva Omnibus approvata dal Parlamento è stato del tutto eliminato il Considerando 4 presente nel testo dalla Proposta di Direttiva Omnibus approvata dalla Commissione UE che prevede quanto segue: “Al fine di scongiurare la possibilità che il pagamento e il ricevimento di incentivi per vendite senza consulenza rechino pregiudizio ai consumatori, è opportuno vietare il pagamento e il ricevimento di incentivi in tali circostanze. Nel caso della direttiva 2014/65/UE, il divieto riguarderebbe l’esecuzione o la ricezione e trasmissione di ordini; nel caso della direttiva (UE) 2016/97, le vendite senza consulenza. Per non limitare la capacità degli emittenti di reperire fondi, è opportuno non applicare il divieto ai pagamenti collegati a servizi di sottoscrizione e collocamento prestati a un emittente, laddove l’impresa di investimento presti anche un servizio di esecuzione o ricezione e trasmissione di ordini a un investitore finale. Peraltro la consulenza in materia di investimenti è spesso associata alla prestazione di un servizio di esecuzione o ricezione e trasmissione di ordini. Dato che il servizio principale è la consulenza in materia di investimenti, in tali casi il divieto non dovrebbe applicarsi al servizio di esecuzione o ricezione e trasmissione di ordini collegato a una o più operazioni del cliente per cui è prestata la consulenza. Dovrebbero essere consentiti, se dichiarati chiaramente, i piccoli benefici extrapecuniari che non superano 100 EUR, o che, per entità e natura, non possono essere considerati pregiudizievoli del dovere di agire nel migliore interesse dell’investitore al dettaglio”.
[21] L’art. 1 (12) (i) della Proposta di Direttiva Omnibus nel testo approvato dal Parlamento prevede la soppressione dell’art. 24 par. 9 MIFID II.
[22] Nel testo della Proposta di Direttiva Omnibus approvato dal Parlamento, l’art. 29 IDD viene interamente sostituito da un nuovo art. 29 relativo all’ “informazione del cliente e dell’assicurato” e viene introdotto un nuovo art. 29 bis IDD che non prevede una disposizione simile all’attuale art. 29, par. 4, (a) IDD che delega la Commissione UE ad adottare atti delegati volti a precisare “i criteri per valutare se gli incentivi corrisposti o percepiti da un intermediario assicurativo o da un’impresa di assicurazione abbiano ripercussioni negative sulla qualità del pertinente servizio al cliente”.
[23] L’inciso è ripreso letteralmente dall’art. 24, par. 1bis MIFID II, nel testo della Proposta di Direttiva Omnibus approvata dal Parlamento. Specularmente lo stesso testo prevede l’introduzione nell’art. 29 ter, par. 1 bis, lett. a) IDD, del seguente inciso “la gamma di prodotti di investimento assicurativi riflette il modello aziendale dell’impresa di assicurazioni o dell’intermediario assicurativo”. Fermo restando che tali incisi meriterebbero chiarimenti, il riferimento al “modello aziendale” potrebbe riferirsi, ad esempio, all’ipotesi di impresa di investimento o di intermediario assicurativo che, per modello di business, distribuisca – e presti consulenza non indipendente con riguardo a – esclusivamente prodotti “captive”, nella quale la gamma di prodotti valutati ai fini della consulenza è condizionata dal modello di business.
[24] Art.24 bis MIFID e art. 29 (b) IDD, nel testo di Direttiva Omnibus proposto dal Consiglio UE
[25] La valutazione dell’efficienza in termini di costi tiene costo dei costi e degli oneri associati a tali prodotti nonché di altri fattori degli strumenti finanziari rilevanti per il cliente, quali le performance e il rendimento atteso, ossia di fatto il Value for Money.