La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 18903 del 10 luglio 2024 (Pres. Di Virgilio, Rel. Cavallino), ha rinviato alla Prima Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, l’annosa questione della qualificazione del c.d. “mutuo solutorio”.
Più precisamente, viene chiesto «se sia corretto ritenere che il ripianamento delle precedenti passività eseguito dalla banca autonomamente e immediatamente con operazione di giroconto … soddisfi il requisito della disponibilità giuridica della somma a favore del mutuatario, per cui il ripianamento delle passività abbia costituito una modalità di impiego dell’importo mutuato entrato nella disponibilità del mutuatario», nonché «in caso di risposta positiva, … se in tale ipotesi il contratto di mutuo possa costituire anche titolo esecutivo».
L’ordinanza in commento è stata pronunciata a seguito dell’ennesimo contenzioso che ha visto contrapposta la banca ai propri mutuatari, convenuti per il pagamento delle somme dovute e non pagate, con questi ultimi che hanno contestato che tali somme erano state solo apparentemente erogate, posto che le stesse non erano mai uscite dalle casse della banca ma utilizzate per il pagamento di debiti pregressi.
Contenzioso ricorrente che, finora, ha visto contrapporsi due orientamenti giurisprudenziali sulla qualificazione di questo genere di mutui.
Secondo l’orientamento maggioritario, «il cosiddetto “mutuo solutorio”, stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante, non è nullo – in quanto non contrario né alla legge, né all’ordine pubblico – e non può essere qualificato come una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente oppure quale pactum de non petendo in ragione della pretesa mancanza di un effettivo spostamento di denaro, poiché l’accredito in conto corrente delle somme erogate è sufficiente a integrare la datio rei giuridica propria del mutuo e il loro impiego per l’estinzione del debito già esistente purga il patrimonio del mutuatario di una posta negativa».
Ed infatti, sempre secondo l’orientamento citato, «il perfezionamento del contratto di mutuo, con la consequenziale nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità del mutuatario medesimo, non rilevando, a detto fine, che sia previsto l’obbligo di utilizzare quella somma a estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante» (in particolare, la Corte richiama le proprie precedenti pronunce nn. 16377/2023, 23149/2022, 37554/2021, 724/2021, 1945/1999 e 5193/1991).
L’orientamento minoritario, invece, ritiene che «l’utilizzo di somme da parte di un istituto di credito per ripianare la pregressa esposizione del correntista, con contestuale costituzione in favore della banca di una garanzia reale, costituisce un’operazione meramente contabile in dare e avere sul conto corrente, non inquadrabile nel mutuo ipotecario, il quale presuppone sempre l’avvenuta consegna del denaro dal mutuante al mutuatario; tale operazione determina di regola gli effetti del pactum de non petendo ad tempus, restando modificato soltanto il termine per l’adempimento, senza alcuna novazione dell’originaria obbligazione del correntista» (a riguardo la Corte richiama le proprie precedenti pronunce nn. 1517/2021, 20896/2019, 7740/2020).
La soluzione al dibattito appena richiamato, se così riterrà la Prima Presidente, spetterà alle Sezioni Unite.