La Corte di Giustizia, con sentenza del 29 luglio 2024, resa nella causa C‑623/22 (Pres. Prechal, Rel Passer), ha confermato la validità di diverse disposizioni della Direttiva UE sullo scambio di informazioni transfrontaliero a fini fiscali.
La Direttiva 2011/16/EU ha istituito infatti un sistema di cooperazione tra le autorità fiscali nazionali degli Stati membri e stabilito le norme e le procedure da applicare nello scambio di informazioni a fini fiscali.
In particolare, prevede che tutti gli intermediari e, in loro assenza, i contribuenti coinvolti in accordi fiscali transfrontalieri che possono portare all’elusione e all’evasione fiscale, debbano segnalarli alle autorità fiscali competenti.
La Corte ritiene, preliminarmente, che il fatto che la Direttiva non limiti l’obbligo di dichiarazione al solo ambito delle imposte sulle società, non incide sulla validità di tale Direttiva alla luce dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione, nonché degli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali.
Inoltre, il grado di precisione e di chiarezza della terminologia utilizzata nelle disposizioni della Direttiva, non mette in discussione la validità della stessa alla luce dei principi di certezza del diritto e di legalità in materia penale; del resto, l’ingerenza nella vita privata dell’intermediario e del contribuente interessato, che l’obbligo di comunicazione comporta, è definito in modo sufficientemente preciso, tenuto conto delle informazioni che tale segnalazione deve contenere.
La Corte valuta poi l’estensione applicativa della precedente giurisprudenza in materia analoga, ovvero la sentenza dell’8 dicembre 2022, ove aveva affermato che l’obbligo di comunicazione imposto a un avvocato, esente dall’obbligo di segnalazione in virtù del segreto professionale, di notificare ad altri intermediari coinvolti nel concordato fiscale i propri obblighi di notifica, violava tale obbligo.
Tuttavia, la Corte chiarisce che tale sentenza si applica solo nei confronti degli avvocati: la riservatezza del rapporto tra un avvocato e il suo cliente gode di una tutela molto specifica, che si ricollega alla particolare posizione occupata dall’avvocato nell’organizzazione giudiziaria degli Stati membri e al compito fondamentale affidatogli.
Infine, per quanto riguarda la questione di stabilire se l’ingerenza nel diritto alla protezione della vita privata che comporta l’obbligo di comunicazione non sia sproporzionata né smisurata rispetto all’obiettivo di interesse generale perseguito, la Corte rileva che, sebbene tale ingerenza non sia certamente trascurabile, la lotta contro la pianificazione fiscale aggressiva e la prevenzione dei rischi di elusione e di evasione fiscali costituiscono obiettivi importanti, dal cui perseguimento dipendono non solo la protezione della base imponibile e quindi delle entrate fiscali degli Stati membri e la creazione di un ambiente fiscale equo nel mercato interno, ma anche la salvaguardia della ripartizione equilibrata del potere impositivo degli Stati membri e della riscossione efficace dell’imposta, che la Corte ha dichiarato costituire obiettivi legittimi.
In tali circostanze, il fatto che l’obbligo di comunicazione possa, se del caso, applicarsi a meccanismi transfrontalieri legali, non consente di ritenere che detto obbligo sia sproporzionato, né nei confronti del contribuente che beneficia del meccanismo in questione né dell’intermediario che l’ha elaborato.
Questo il principio espresso dalla Corte sulla validità delle diposizioni della Direttiva sullo scambio di informazioni transfrontaliero a fini fiscali:
1) Dall’esame dell’aspetto su cui verte la prima questione pregiudiziale non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità della direttiva 2011/16/UE del Consiglio, del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva 77/799/CEE, come modificata dalla direttiva (UE) 2018/822 del Consiglio, del 25 maggio 2018, alla luce dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché degli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
2) Dall’esame degli aspetti su cui vertono le questioni pregiudiziali seconda e terza non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità della direttiva 2011/16, come modificata dalla direttiva 2018/822, alla luce del principio di certezza del diritto, del principio di legalità in materia penale sancito all’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali e del diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 7 di tale Carta.
3) L’invalidità dell’articolo 8 bis ter, paragrafo 5, della direttiva 2011/16 come modificata dalla direttiva 2018/822, alla luce dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, pronunciata dalla Corte nella sentenza dell’8 dicembre 2022, Orde van Vlaamse Balies e a. (C‑694/20, EU:C:2022:963), vale soltanto nei confronti delle persone che esercitano le loro attività professionali con uno dei titoli professionali menzionati all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica.
4) Dall’esame degli aspetti su cui verte la quinta questione pregiudiziale non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità della direttiva 2011/16, come modificata dalla direttiva 2018/822, alla luce del diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali.