Con l’ordinanza n. 22700/2024, la Corte di Cassazione ha trattato il tema della detraibilità dell’IVA su spese relative al distacco di personale e ai servizi infragruppo.
Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate, con avviso di accertamento, aveva recuperato l’IVA indebitamente detratta da una società per l’anno 2007, riguardante spese per personale distaccato e per servizi resi da un’altra società del medesimo gruppo.
La società impugnava l’atto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che accoglieva parzialmente il ricorso.
L’Amministrazione finanziaria presentava appello e la Commissione Tributaria Regionale (“CTR”) riformava la sentenza di primo grado, confermando la legittimità dell’accertamento.
La Corte di Cassazione ha parzialmente accolto il ricorso del contribuente.
In primo luogo, ha rilevato come la CTR avesse ritenuto applicabile, per le prestazioni fatturate in relazione al distacco di personale, l’art. 8, comma 35, della L. 67/1988, considerando non imponibili le somme pagate, poiché prive di margine di guadagno e finalizzate al mero rimborso.
Secondo tale disposizione, infatti, “Non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.
Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che tale norma va disapplicata alla luce della sentenza della Corte di Giustizia UE (causa C-94/19 dell’11.03.2020), in quanto la prestazione di servizi (come definita dall’art. 2, punto 1, della sesta direttiva, corrispondente all’art. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972), deve ritenersi onerosa e, quindi, imponibile ai fini IVA, se esiste un nesso di corrispettività tra il servizio reso e la somma ricevuta, anche in assenza di lucro, indipendentemente dall’importo corrisposto.
La Suprema Corte ha quindi rimesso al giudice di rinvio il compito di verificare se il pagamento degli importi fatturati fosse condizione per il distacco del personale e se tali importi rappresentassero il corrispettivo del distacco.
In secondo luogo, riguardo alla ripartizione dei costi infragruppo, la Corte ha confermato un principio giurisprudenziale consolidato: l’onere della prova dell’esistenza e inerenza dei costi spetta alla società che li sostiene.
Per essere detraibili, i costi devono dimostrare un’utilità effettiva e documentata per la società del gruppo che riceve il servizio.
Non è sufficiente esibire il contratto di cost sharing, specie se privo di data certa, o le fatture, se queste non descrivono in modo dettagliato natura, quantità e qualità dei servizi.
In altri termini, è necessario verificare la sostanza economica dell’operazione e confrontarla con operazioni simili in condizioni di libero mercato.
Il contribuente deve fornire elementi per supportare la deducibilità dei costi sostenuti, inclusa l’utilità effettiva, anche in assenza di ricavi diretti, non essendo sufficiente che la spesa sia contabilizzata.
Sotto questo profilo, la Corte ha quindi confermato la decisione della CTR, secondo cui la società non ha dimostrato l’effettività e l’inerenza dei costi infragruppo, avendo presentato solo un contratto generico e fatture prive di dettagliata descrizione, non sufficienti a comprovare sia la deducibilità dei costi che per la detraibilità dell’IVA.