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Approfondimenti

Esecuzione fondiaria ex art. 41 TUB e liquidazione concorsuale

Esigenze di coordinamento, interferenze e possibili soluzioni

3 Ottobre 2024

Bruno Fondacaro, Partner, Advant Nctm

Emanuele Marzano, Associate, Advant Nctm

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema del rapporto tra esecuzione fondiaria ex art. 41 TUB e liquidazione concorsuale, laddove entrambe pendenti, soffermandosi sulle soluzioni elaborate da dottrina e giurisprudenza, anche alla luce del regime introdotto dal Codice della crisi di impresa.


1. Il privilegio fondiario ex art. 41, co. 2, TUB e il Codice della Crisi

Il presente contributo si pone l’obiettivo di esaminare, senza pretese di esaustività, le interferenze tra la pendenza, contestuale, dell’esecuzione individuale promossa o proseguita dal creditore fondiario ai sensi dell’art. 41, co. 2, d.lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (TUB) e la liquidazione concorsuale, approfondendo, sul punto, le soluzioni elaborate da dottrina e giurisprudenza, anche alla luce delle novità introdotte, in un recente passato, dalla riforma della crisi d’impresa. E infatti, nell’ottica di potenziare la neonata procedura di liquidazione giudiziale, l’art. 7, co. 4, lett. a) della l. 19 ottobre 2017 n. 155Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza») prevede il progressivo abbandono delle esecuzioni speciali e dei privilegi processuali, incluso quello fondiario, nei successivi due anni decorrenti dall’emissione dei provvedimenti attuativi della riforma.

Essendo ormai trascorsi oltre due anni dall’introduzione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (c.c.i.) con il d.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 e s.m.i., senza che vi stata un’espressa abrogazione del privilegio ex art. 41, co. 2, TUB, ci si è chiesti se tale norma fosse “sopravvissuta”, trovando applicazione anche nell’ambito della nuova disciplina di liquidazione giudiziale, o se, invece, fosse stata oggetto di tacita abrogazione.

Di recente, seppure in via incidentale e dando atto dell’esistenza di un minoritario orientamento contrario [1], la Suprema Corte ha concluso per la “sopravvivenza” dell’art. 41, co. 2, TUB, ritenendo conforme alla lettera della legge, «l’interpretazione che ammette l’operatività del privilegio fondiario anche nella liquidazione giudiziale» [2].

Gli elementi su cui la Suprema Corte ha fondato il proprio orientamento sono essenzialmente due: (i) primo, il fatto che l’art. 150 c.c.i., nel disporre il divieto di azioni esecutive e cautelari su beni compresi nella procedura, ricalca, con alcuni adeguamenti terminologici, il pregresso art. 51 l. fall., facendo dunque salva ogni «diversa disposizione di legge»; (ii) secondo, il fatto che l’art. 349 c.c.i. preveda la sostituzione, nelle disposizioni vigenti, della parola «fallimento», contenuta nell’art. 41, co. 2, TUB, con «liquidazione giudiziale».

Di fronte al chiarimento offerto del più recente orientamento della Suprema Corte, che ha dunque ritenuto applicabile l’art. 41, co. 2, TUB anche alla liquidazione giudiziale, emerge il rinnovato interesse degli operatori per le soluzioni elaborate da giurisprudenza e dottrina in merito alle interferenze tra l’esecuzione proposta dal creditore fondiario e la necessità di procedere alla liquidazione dei medesimi beni in ambito concorsuale.

Prima di esaminare tali soluzioni, volendo fornire una sintetica panoramica di ordine generale, si ricorda che l’art. 41, co. 2, TUB – il quale consente l’avvio o la prosecuzione dell’azione esecutiva avente a oggetto i beni ipotecati a garanzia del credito fondiario, nonostante l’intervenuto fallimento del debitore – costituisce una disposizione speciale, che deroga parzialmente alla regola generale del concorso dei creditori. Come noto detto concorso è assicurato sia sul piano sostanziale (cfr. art. 2741 c.c.) che formale, con il già menzionato divieto per i creditori di iniziare e proseguire azioni esecutive sui beni facenti parte del patrimonio del fallito, prescritto dall’art. 150 c.c.i., fatta salva la «diversa disposizione di legge».

Dal punto di vista definitorio l’art. 38 TUB identifica il credito fondiario come quello «avente per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili». Con la precisazione che, ai fini della qualificazione come credito fondiario, non è ostativa un’ipoteca di grado inferiore al primo, dato che tale eventualità è disciplinata dall’art. 2, co. 2 della delibera del CICR del 22 aprile 1995 emanata ai sensi dell’art. 38, co. 2, TUB [3].

Un’ulteriore precisazione, essenziale a comprendere l’esigenza di coordinamento tra esecuzione individuale ex art. 41, co. 2, TUB e liquidazione concorsuale, riguarda il connotato strettamente processuale del privilegio che quest’ultima disposizione accorda al creditore fondiario. L’art. 41, co. 2, TUB «non si traduce in una causa di prelazione ulteriore rispetto al privilegio ipotecario connesso alla nascita del mutuo fondiario» [4] e tale privilegio alla riscossione «non esclude il concorrente diritto degli organi del fallimento di procedere alla liquidazione dello stesso bene, in quanto incluso nella massa attiva» [5].

In altre parole, il privilegio ex art. 41, co. 2, TUB, avendo appunto natura meramente processuale, non ha l’effetto di sottrarre il bene immobile gravato da ipoteca dall’attivo fallimentare. L’esecuzione forzata individuale avviata o proseguita ai sensi di tale disposizione è compatibile, dunque, con la liquidazione dello stesso bene in sede concorsuale [6]. Ora, se le due procedure sono destinate a coesistere, assume fondamentale importanza l’individuazione di meccanismi di collegamento tra le varie fasi e strumenti di reazione a eventuali aspetti patologici.

Prima di entrare nel merito di tali meccanismi, a conclusione delle considerazioni generali sin qui svolte, è opportuno sottolineare che la “coesistenza” dell’esecuzione forzata ex art. 41, co. 2, TUB, in passato valida per il fallimento e ora per la liquidazione giudiziale, non può essere estesa in maniera indiscriminata, tuttavia, alle altre procedure concorsuali.

Tale coesistenza è stata infatti tradizionalmente esclusa con il concordato preventivo [7], che è destinato a prevalere rispetto al privilegio del creditore fondiario, mentre, in passato, era ammessa per la liquidazione coatta amministrativa, secondo un orientamento piuttosto risalente della Suprema Corte, che trova tuttavia seguito limitato in alcune recenti pronunce dei giudici di merito [8]. Quanto agli istituti introdotti dal Codice della Crisi, merita di essere menzionato, infine, il contrasto interpretativo che ha riguardato l’applicazione dell’art. 41, co. 2, TUB alla liquidazione controllata ex artt. 268 ss. c.c.i. [9], contrasto che, di recente, è stato risolto in senso positivo dalla giurisprudenza di legittimità [10].

2. L’avvio dell’esecuzione fondiaria: legittimazione passiva e obblighi di custodia

Un primo dubbio interpretativo che si pone innanzi al creditore fondiario che, avvalendosi del privilegio processuale ex art. 41, co. 2, TUB, intenda avviare o proseguire la procedura esecutiva immobiliare a seguito dell’intervenuto fallimento (o meglio, dell’intervenuta liquidazione giudiziale) del debitore, attiene all’individuazione del soggetto legittimato passivamente a subire l’esecuzione.

Come è facile comprendere, si tratta di un aspetto non meramente teorico, ma con importanti risvolti pratici, dato che si tratta di individuare essenzialmente il soggetto cui destinare gli atti introduttivi dell’esecuzione fondiaria (ovvero la sua riassunzione, nel caso in cui la liquidazione giudiziale sia sopravenuta) anche ai fini della regolare instaurazione del contraddittorio.

In linea generale l’art. 143 c.c.i., che per quanto di interesse ha lasciato inalterato il vecchio testo dell’art. 43 l. fall., nella parte in cui prevede che «nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore», attribuisce a quest’ultimo la legittimazione sostitutiva del debitore sottoposto a liquidazione giudiziale [11].

Secondo un risalente orientamento elaborato dalla Suprema Corte, con riferimento all’art. 43 l. fall., da tale ultima norma non discende la legittimazione passiva del curatore rispetto all’esecuzione avviata dal creditore fondiario ex art. 41, co. 2, TUB, che dovrà essere avviata o proseguita dunque nei confronti del debitore [12]. Con successive e recenti pronunce, la Suprema Corte ha modificato la portata di tale orientamento, ammettendo, ad esempio, la legittimazione del curatore a proporre l’opposizione ex art. 615 c.p.c. all’esecuzione fondiaria, nonché l’esecuzione agli atti esecutivi [13].

In considerazione di tale ultimo orientamento e della regola generale della sostituzione processuale del fallito a opera del curatore oggi prevista dall’art. 147 c.c.i., si è soliti parlare di «legittimazione concorrente» tra curatore e fallito [14]. Sarebbe opportuno, pertanto, per il creditore fondiario destinare gli atti dell’esecuzione ex art. 41, co. 2, TUB, sia al debitore fallito che al curatore, così da limitare il rischio di esporsi a eccezioni di carenza di legittimazione passiva.

Desta invece meno preoccupazione il dubbio interpretativo riguardante la custodia dell’immobile, nella fase antecedente le operazioni di liquidazione, dato che se, da un lato, la giurisprudenza ammette la nomina del custode da parte del giudice dell’esecuzione [15], dall’altro lato, risulta che, laddove questi non sia stato ancora nominato, la custodia spetti comunque al curatore, in forza dei generali doveri di amministrazione del patrimonio del fallito previsti oggi dall’art. 128 c.c.i., già art. 31 l. fall. [16].

3. La liquidazione dell’immobile: l’imprescindibile coordinamento tra esecuzione fondiaria e liquidazione giudiziale

Se in una fase preliminare è dunque possibile che esecuzione fondiaria e liquidazione giudiziale, aventi a oggetto il medesimo bene immobile, proseguano “in parallelo”, non vi è dubbio che, nella successiva fase di liquidazione coattiva, esse debbano necessariamente convergere.

Lo stesso bene immobile – per il quale pende l’esecuzione individuale ex art. 41, co. 2, TUB, non per questo sottratto alla massa attiva della liquidazione giudiziale – non potrebbe infatti essere alienato coattivamente a terzi in entrambe le procedure. Basti considerare che, in caso contrario, oltre al rischio di contravvenire al principio di unicità delle procedure esecutive (o meglio di liquidazione coattiva) che si ricava dagli artt. 524 e 561 c.p.c., potrebbero essere acquisiti diritti tra loro incompatibili dai diversi soggetti aggiudicatari nelle due procedure.

Per quanto tale conflitto potrebbe essere risolto, in linea di principio, con il ricorso alle norme sulla trascrizione, una delle due vendite esecutive verrebbe necessariamente privata di effetti e si genererebbe così un conseguente inutile dispendio di attività processuale.

Affinché ciò non accada occorre quindi stabilire, ex ante, un criterio di coordinamento che consenta di definire in quale delle due procedure, esecuzione individuale ex art. 41, co. 2, TUB o liquidazione giudiziale, debba procedersi alla vendita coattiva dell’immobile. A tale esigenza si è rivelata particolarmente sensibile la giurisprudenza di legittimità che, nel silenzio normativo, fin dall’epoca più risalente e senza particolari ripensamenti, ha risolto il conflitto tra procedure, in fase di vendita, sulla base di un criterio temporale. E infatti, secondo la Suprema Corte, in caso di coesistenza tra esecuzione fondiaria e liquidazione, queste «devono coordinarsi tra loro e, per tale aspetto, concernente l’individuazione del giudice cui spetta di vendere, il coordinamento è operante sulla base del criterio temporale, e dunque in considerazione dall’anteriorità del provvedimento che dispone la vendita» [17]. Per mera completezza va comunque segnalato il fatto come, nonostante l’orientamento univoco espresso dalla giurisprudenza di legittimità, il criterio temporale, come strumento di coordinamento tra esecuzione fondiaria e liquidazione concorsuale, non abbia trovato il consenso unanime della dottrina, dato che, secondo alcuni autori, ai sensi dell’art. 41, co. 2, TUB «il legislatore ha conferito espressamente al creditore fondiario il potere di procedere in via esecutiva in pendenza di fallimento, dovrebbe pertanto coerentemente escludersi la possibilità per gli organi concorsuali di procedere alla liquidazione del medesimo bene già sottoposto a pignoramento dal creditore fondiario, laddove questi intenda proseguire l’esecuzione individuale» [18].

Ciò detto, anche ritendo ormai pacifica l’applicazione del criterio “temporale” adottato dalla giurisprudenza, gli interrogativi certo non mancano.

Un primo interrogativo riguarda l’individuazione dell’atto, al quale occorre fare riferimento, ai fini della corretta applicazione del criterio “temporale”, nell’ambito dell’esecuzione fondiaria e/o della procedura di liquidazione giudiziale

Ci si è chiesti, ad esempio, se il criterio temporale dovesse essere applicato tenendo comunque in considerazione le norme in materia di litispendenza [19], metodo che avrebbe portato a ritroso il confronto temporale fino all’atto di pignoramento e/o alla sentenza dichiarativa di fallimento. Tralasciando i profili strettamente teorici, tale aspetto è stato chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, laddove ha precisato che, ai fini della vendita coattiva, debba essere preferita la procedura nella quale sia stato emesso, per primo, il «provvedimento che dispone la vendita». Tale provvedimento può essere individuato: (i) per l’esecuzione fondiaria, nell’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione ex art. 569, co. 3, c.p.c.; mentre (ii) per la liquidazione giudiziale, considerata la natura di «atto di pianificazione e di indirizzo» del programma di liquidazione e la sua inidoneità a incidere su posizioni soggettive [20], nel decreto con il quale il giudice delegato autorizza i singoli atti di vendita ai sensi dell’art. 213, co. 7, c.c.i., già art. 104ter, co. 9, l. fall. [21].

Altro interrogativo attiene inoltre all’ammissibilità di eccezioni al criterio di coordinamento temporale – individuato, come detto dalla Suprema Corte in via interpretativa e in assenza di espressa disposizione – tra vendita esecutiva e fallimentare. In particolare, ci si è chiesti se il diritto del creditore fondiario alla vendita dell’immobile ipotecato nell’esecuzione individuale possa essere destinato a prevalere, per quanto la vendita dello stesso bene sia già stato disposta in sede fallimentare.

Alcuni elementi a favore dell’ammissibilità di eccezioni sono rinvenibili dall’iter argomentativo impiegato dalla Suprema Corte nelle prime pronunce in cui è stata affermata l’applicazione del criterio temporale [22], percorso logico dato poi per sottinteso nelle pronunce successive. A ben vedere è anzitutto la stessa Corte, infatti, a limitare l’applicazione del criterio temporale alla «mancanza di altro specifico interesse degli Istituti di credito fondiario a preferire la procedura esecutiva individuale». Non solo, nella stessa pronuncia la Corte chiarisce la ratio che ha portato ad affermare il dato temporale come criterio di scelta per la vendita in una delle due procedure, che è quella di «privilegiare quella che presenti maggiore speditezza in termini di liquidazione del bene».

Qualora il creditore fondiario dimostri l’esistenza di uno specifico interesse alla vendita nell’esecuzione individuale, oppure la vendita concorsuale non garantisca la maggiore celerità nella liquidazione del bene, l’esecuzione individuale dovrebbe essere preferita dunque anche nel caso in cui la vendita in sede fallimentare sia già stata disposta.

Il contrario interesse del creditore fondiario può derivare, ad esempio, dalle modalità in cui, di regola, viene disposta la liquidazione dell’attivo fallimentare, che impongono di preferire la vendita in blocco «dell’intero complesso aziendale» (art. 214 c.c.i. già art. 105 l. fall.). Potrebbe succedere, infatti, come avvenuto nel caso concreto da cui trae spunto questo contributo, che all’interno del complesso aziendali, siano compresi beni poco appetibili oltre l’immobile ipotecato, i quali se stimati in misura sensibilmente superiore ai corretti valori di mercato, scoraggerebbero la partecipazione di potenziali aggiudicatari alla vendita competitiva dell’intero complesso aziendale, con conseguente allungamento dei tempi di liquidazione.

In questa ipotesi, dovrebbe essere quindi riconosciuto il diritto del creditore fondiario a che la vendita dell’immobile ipotecato avvenga nell’esecuzione individuale, promossa e proseguita ex art. 41, co. 2, TUB, anche laddove la vendita dello stesso bene sia già stata disposta nella liquidazione giudiziale.

Non resta quindi da chiedersi quale possa essere lo strumento processuale con cui il creditore fondiario possa far valere questo diritto nei confronti degli organi della procedura, soprattutto nel caso (da considerarsi la regola, visto il disposto dell’art. 216, co. 3, c.c.i.) in cui la vendita concorsuale non segua il codice di rito e non siano quindi a disposizione del creditore fondiario le opposizioni esecutive.

Ai sensi dell’art. 217, co. 1, c.c.i. (già art. 108 l. fall.) il creditore fondiario potrebbe fare istanza di sospensione delle operazioni di vendita, sollecitando il vaglio da parte del giudice delegato dei profili riguardanti il contrapposto interesse alla vendita dell’immobile ipotecato nell’esecuzione individuale e la sollecita liquidazione del bene stesso [23].

In alternativa il creditore fondiario potrebbe proporre reclamo ex art. 133 c.c.i. (già art. 36 l. fall.) avverso l’avviso di vendita, essendo quest’ultimo un atto del curatore e non essendo ciò precluso dalla mancata impugnazione del programma di liquidazione [24]. Su quest’ultimo strumento processuale, oltre a ricordare il ristretto termine di otto giorni dalla conoscenza dall’atto che si vuole reclamare, occorre tenere in considerazione che il testo dello stesso art. 133 c.c.i., rimasto inalterato rispetto alla l. fall., prevede che gli atti del curatore possano essere reclamati avanti dal giudice delegato solo per «violazione di legge». È essenziale chiarire, quindi, il significato di quest’ultima locuzione, dato che da essa dipende l’ampiezza delle censure che possono essere sottoposte al giudice delegato ai sensi dell’art. 133 c.c.i. rispetto agli atti del curatore.

Secondo un primo e più risalente orientamento, in sede di reclamo sarebbe precluso al giudice delegato un sindacato di merito rispetto alle scelte gestorie del curatore, limitando il reclamo alla «violazione di legge» il legislatore avrebbe inteso garantire l’autonomia di tale ultimo organo della procedura [25]. Per altro e più recente orientamento, il controllo del giudice delegato è esteso anche al merito gestorio degli atti del curatore, dato che, in caso di accoglimento del reclamo, l’intervento del giudice è direttamente sostitutivo dell’atto del curatore; le stesse considerazioni valgono in caso di accoglimento del reclamo contro gli atti omissivi del curatore, in questa ipotesi il curatore è tenuto a ottemperare alle prescrizioni del giudice delegato, che avranno inevitabilmente contenuto gestorio [26].

Ulteriore argomento a sostegno di tale secondo orientamento è l’obbligo di diligenza del curatore prescritto dall’art. 136 c.c.i. (già art. 38 l. fall.). Quest’ultima disposizione consentirebbe il sindacato del giudice delegato in merito alla a correttezza gestoria degli atti del curatore, pur rimanendo entro i limiti della verifica di eventuali violazioni di legge, costituite appunto dall’aver contravvenuto agli obblighi di diligenza posti a carico del curatore [27].

In conclusione, laddove si ritenga che i profili riguardanti l’interesse del creditore fondiario alla vendita separata dell’immobile ipotecato in sede esecutiva e alla speditezza delle attività di liquidazione attengano al merito gestorio degli atti del curatore, essi potrebbero comunque addotti come motivi di reclamo ex art. 133 c.c.i. contro l’avviso di vendita, contestando la violazione da parte del curatore degli obblighi di diligenza a suo carico ex art. 136 c.c.i.

4. La fase di distribuzione del ricavato

Nella fase che segue la vendita coattiva dell’immobile ipotecato, ossia la distribuzione della somma ricavata, il privilegio ex art. 41, co. 2, TUB rivela tutta la sua natura strettamente processuale. Dal punto di vista sostanziale, il creditore fondiario non è dispensato a partecipare al procedimento di verifica del credito e dell’esistenza e delle cause legittime di prelazione che si svolge in concorso nella liquidazione giudiziale.

Così prevede espressamente l’art. 151, co. 3, c.c.i. (già art. 52 l. fall.) nella parte in cui precisa che le disposizioni relative all’accertamento dei crediti (Titolo V e art. 151, co. 2, c.c.i.) si applicano anche ai creditori (come quello fondiario) che sono esentati dal divieto di promuovere e continuare le azioni esecutive e cautelari nei confronti del debitore sottoposto a liquidazione giudiziale. In armonia è l’ultimo periodo dell’art. 41, co. 2, TUB, il quale prevede che la parte del ricavato della vendita eccedente quanto risulta dovuto al creditore fondiario in sede di riparto deve essere attribuita al fallimento.

In questo contesto, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato il principio del carattere provvisorio della distribuzione effettuata in favore del creditore fondiario nell’esecuzione individuale, precisando che è «onere dell’istituto, che intende rendere definitiva quell’assegnazione, insinuarsi allo stato passivo “in modo tale da consentire la graduazione dei crediti cui è finalizzata la procedura concorsuale» [28].

In tempi più recenti, il ruolo preminente dell’accertamento del credito in sede concorsuale e stato esteso ulteriormente, dato che, secondo il più recente orientamento della Suprema Corte, non solo l’insinuazione al passivo del creditore fondiario è presupposto per il suo diritto a trattenere quanto ricevuto in via provvisoria nell’esecuzione individuale, ma è altresì presupposto per la stessa distribuzione provvisoria [29].

Si tenga presente, infine, che, sempre ai fini della distribuzione, sulla base dei sopra enunciati principi, la partecipazione del creditore fondiario all’accertamento concorsuale dei crediti è necessitata, si assiste in genere (se non originariamente evocato) all’intervento del curatore nell’esecuzione fondiaria ex art. 41, co. 2, TUB. Le finalità dell’intervento del curatore sono essenzialmente due: la prima rinvenibile dall’ultimo paragrafo dell’art. 41, co. 2 TUB, ottenere quanto eventualmente residui dalla vendita esecutiva una volta soddisfatto in via provvisoria il creditore fondiario e la seconda, far valere sul ricavato della vendita esecutiva i crediti destinati a prevalere sull’ipoteca del creditore fondiario, come quelli in prededuzione o assistiti da privilegio speciale sull’immobile ex artt. ss. 2770 c.c., tra cui meritano di essere menzionati, per la loro usuale incidenza, i crediti per imposte indirette, tra cui l’IMU [30].

 

[1] Per la tesi dell’inapplicabilità alla liquidazione giudiziale dell’art. 41, co. 2, TUB, si veda in giurisprudenza di merito Trib. Ancona, 22 giugno 2023, in Il Caso.

[2] Cass. 19 agosto 2024, n. 22914.

[3] Si vedano in termini: Trib. Agrigento, 20 giugno 2016, in Ex Parte Creditoris; Trib. Perugia, 31 gennaio 2020, in One Legale.

[4] S. Passafiume, Il credito fondiario fra esecuzione e fallimento, In Executivis – La rivista telematica dell’esecuzione forzata, 2019, 2.

[5] Cass. 30 gennaio 1985, n. 582, in Giust. civ. Mass., 1985, 1; Cass., 28 gennaio 1993, n. 1025; emesse entrambe con riferimento alla pregressa disciplina del credito fondiario (R.D. 6 luglio 1905, n. 646). Orientamento tradizionale che è stato confermato anche a seguito dell’emanazione del TUB, sul punto si veda ad esempio Cass. 8 settembre 2011, n. 18436. In dottrina si vedano ad esempio L. Abete, Creditore fondiario ed ufficio fallimentare: le reciproche prerogative, il relativo rapporto e le correlate conseguenze, in Fallimento, 2012, 326 ss.; G.B. Nardecchia, Accertamento, quantificazione e graduazione del credito fondiario: l’intervento del curatore nell’esecuzione individuale, in Il Fallimento, 12, 2018, 1394.

[6] Così espressamente Cass., 28 gennaio 1993, n. 1025.

[7] Si vedano sul punto, seppur riferite alla disciplina previgente al c.c.i. e al TUB: Cass. 7 dicembre 1999, n. 13667; Cass. 19 marzo 1998, n. 2922; Cass. 7 novembre 1991, n. 11879. In termini si vedano anche in giurisprudenza di merito Trib. Avellino, 8 maggio 2018; Trib. Rimini, 11 aprile 2017, in De Jure.

[8] In senso favorevole si veda Cass. 7 giugno 1988, n. 3847; in senso contrario si vedano invece ad esempio: Trib. Macerata, 14 marzo 2019, in De Jure; Trib. Siena, 14 aprile 2020, in Ex Parte Creditoris.

[9] Per la compatibilità dell’art. 41, co. 2, TUB alla liquidazione controllata si vedano in giurisprudenza: Trib. Brescia, 12 aprile 2023, in Il Caso; Trib. Larino, 17 ottobre 2023, in De Jure. In senso contrario si vedano invece sempre in giurisprudenza: Trib. Modena, 3 marzo 2023; Trib. Treviso, 28 novembre 2022, entrambe in Il Caso. Sempre in senso contrario e per una più ampia critica all’attualità del privilegio ex art. 41, co. 2, TUB si veda: M. Attanasio, Il privilegio fondiario e il Codice della Crisi, in Diritto della Crisi, 2023.

[10] Cass. 19 agosto 2024, n. 22914.

[11] In dottrina con riferimento al vecchio testo dell’art. 43 l. fall. si veda ad esempio S. Passafiume, Il credito fondiario fra esecuzione e fallimento, cit., 3.

[12] Si vedano Cass. 11 marzo 1987 n. 2352; Cass. 3 giugno 1996 n. 5081.

[13] Cass. 19.8.2003, n. 12115; Cass. 2 ottobre 2003 n. 14675; Cass. 17 giugno 2021 n. 17441. In giurisprudenza di merito si veda anche Trib. Monza, 1° maggio 2018, in De Jure.

[14] S. Passafiume, Il credito fondiario fra esecuzione e fallimento, cit., 3; E. Bruschetta, Legittimazione del curatore nell’esecuzione di credito fondiario, in Il Fallimento, 2004, p. 1320.

[15] Cass. 2 giugno 1994, n. 5352.

[16] Cass. 8 maggio 2009, n. 10599. In giurisprudenza di merito si veda anche di recente Trib. Imperia, 4 aprile 2022, in De Jure.

[17] In questi termini si sono espresse in un arco temporale di oltre trent’anni, sia nella vigenza del TUB che dalla precedente legge sul credito fondiario: Cass. 20 aprile 2022, n. 12673; Cass. 4 marzo 2015 n. 4399; Cass. 8 settembre 2011 n. 18436; Cass. 28 gennaio 1993, n. 1025; Cass. 30 gennaio 1985, n. 582, in Giust. civ. Mass., 1985, 1.

[18] S. Passafiume, Il credito fondiario fra esecuzione e fallimento, cit., 5.

[19] C M. Tardivo, Il finanziamento fondiario nella nuova legge bancaria: aspetti processuali nell’art. 41, in Studi in onore di L. Montesano, 1997, p. 791.

[20] Cass. 6 settembre 2019, n. 22383; Cass. 1° luglio 2022, n. 21007.

[21] S. Passafiume, Il credito fondiario fra esecuzione e fallimento, cit., 5.

[22] Cass. 28 gennaio 1993, n. 1025.

[23] Secondo la giurisprudenza di legittimità infatti l’art. 108 l. fall. (trasposto nell’art. 217 c.c.i.) attribuisce «un generale potere per il giudice delegato di sospendere le operazioni di vendita in presenza di gravi e giustificati motivi» esercitabile laddove il curatore, cui è attributo il potere di compiere le operazioni di vendita, non si ottenga al «rispetto di regole minime di correttezza e trasparenza» (Cass., 10 ottobre 2023, n. 28365). In senso favorevole all’atipicità dei «gravi e fondati motivi» che giustificano la sospensione delle operazioni di vendita da parte del giudice delegato si veda di recente F. Rolfi, Procedure competitive: trasparenza, ordine pubblico economico e poteri del giudice delegato, Il Fallimento, 3, 2024, 331. Per il generalizzato potere del giudice delegato a sospendere le operazioni di vendita «per ogni vizio di legittimità che lo inficia», seppure con riferimento alla disciplina anteriore alla riforma ex d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5 si veda anche Cass. 2 giugno 1999, n. 5341. Per un più restrittivo orientamento secondo cui i «gravi e fondati motivi» atterrebbero alla «violazione delle norme imperative e di ordine pubblico economico» si veda ad esempio Cass. 7 novembre 2023, n. 30917.

[24] Stante il suo contenuto di pianificazione e indirizzo, il programma di liquidazione è inidoneo al giudicato: Cass. 6 settembre 2019, n. 22383.

[25] Si veda sul punto, fra tutti, l’efficace riepilogo di V. Iorio, Reclamo contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori – Commento sub art. 36 l. fall., in Commentario alla Legge Fallimentare, a cura di A. Caiafa, 2017, 211.

[26] A. Castagnola, Il giudice delegato e le declamazioni del legislatore, in Riv. dir. proc., 2015, 1, 69.

[27] In questo senso si vedano in giurisprudenza di merito Trib. Monza, 11 aprile 2012, in De Jure; Trib. Milano, 5 maggio 2016, in Crisi d’Impresa, 2016.

[28] Cass. 13 dicembre 2017, n.29972; Cass. 30 marzo 2015, n. 6377; Cass. 11 ottobre 2012, n. 17368; Cass. 4 settembre 2009, n.19217; Cass. 28 maggio 2008, n. 13996; Cass., SS.UU., 17 dicembre 2004, n. 23572.

[29] «Per ottenere l’attribuzione (in via provvisoria, salvi i definitivi accertamenti operati nel prosieguo della procedura fallimentare) delle somme ricavate dalla vendita, il creditore fondiario dovrà documentare al giudice dell’esecuzione di avere sottoposto positivamente il proprio credito alla verifica del passivo in sede fallimentare, cioè di aver proposto l’istanza di ammissione al passivo del fallimento e di avere ottenuto un provvedi- mento favorevole dagli organi della procedura (anche se non ancora divenuto definitivo)» Cass. 28 settembre 2018, n. 23482.

[30] G.B. NARDECCHIA, Accertamento, quantificazione e graduazione del credito fondiario: l’intervento del curatore nell’esecuzione individuale, cit., 1399.

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