Con ordinanza n. 18731 del 9 luglio 2024, la Prima Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Cristiano, Rel. Terrusi) ha ribadito il proprio orientamento in ordine all’interpretazione dell’art. 101, ult. co., l. fall. (per il fallimento) e dell’art. 89 TUB (per la liquidazione coatta amministrativa) con riguardo tanto alla necessaria dimostrazione della non imputabilità del ritardo, quanto all’individuazione del termine ragionevole per l’insinuazione con domande ultratardive al passivo.
Nello specifico, a fronte del ricorso presentato dal creditore dell’istituto bancario avverso la dichiarata inammissibilità della domanda ultratardiva, la Suprema Corte ha chiarito il principio, valevole per il fallimento ma estendibile per identità di ratio anche alla liquidazione coatta amministrativa, per cui il disposto dell’ultimo comma dell’art. 101 legge fall. “va interpretato nel senso che il creditore è chiamato non solo a dimostrare la causa esterna impeditiva della tempestiva o infrannuale sua attivazione, ma anche la causa esterna, uguale o diversa dalla prima, che abbia cagionato l’inerzia tra il momento della cessazione del fattore impediente e il compimento dell’atto, dovendo escludersi che, venuto meno l’impedimento, la richiesta di ammissione al passivo possa comunque essere presentata entro lo stesso termine (dodici mesi) del quale sia stata allegata l’impossibilità di osservanza, essendo necessaria l’attivazione del creditore in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del procedimento“.
Al fondo di tale orientamento, ha precisato la Corte, vi è “la considerazione basica per cui non è possibile, in casi del genere, indicare in astratto quale sia il tempo necessario alla presentazione di un’istanza di ammissione; cosa che di contro implica che si debba svolgere sempre un apprezzamento in concreto, in base (certo) alle peculiarità del caso singolo, ma pure sempre ispirato al principio che il ritardo, se c’è, è colpevole“.