La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 1581, pubblicata il 09 settembre 2024, si è pronunciata sulla tematica della nullità dei contratti derivati conclusi da enti locali.
La Corte ricorda preliminarmente che, in tema di derivati degli Enti locali soggetti al D.M. n. 389/2003 il contratto derivato che prevede uno scambio di flussi non limitato agli interessi ma esteso al capitale è estraneo alla tipologia plain vanilla consentita dal citato D.M., trattandosi di un contratto di finanziamento atipico.
Come ricordato nella circolare MEF del 27.5.2004 il motivo per cui il legislatore consente agli Enti pubblici la stipula di derivati è il contenimento dell’esposizione dell’Ente ai rischi finanziari conseguenti al rialzo dei tassi di interesse e quindi il contenimento del costo dell’indebitamento: tali finalità non possano essere raggiunte laddove il debito precedente è costituito esclusivamente da mutui a tasso fisso, che non generano alcun rischio.
Le disposizioni di cui all’art. 3 del citato D.M. sono deroghe (sicuramente estese, ma pur sempre disposizioni eccezionali) al divieto per gli Enti pubblici di stipulare derivati: è quindi metodologicamente erronea la considerazione secondo cui il citato decreto e la circolare non contengono un divieto espresso all’utilizzo di una componente basis swap, in quanto si dovrebbero semmai ricercare le norme (assenti nel caso di specie) che consentono siffatta tipologia contrattuale.
Per la Corte, inoltre, la clausola contenuta in un contratto quadro relativo ad operazioni di swap OTC che disponga, per il caso di risoluzione da inadempimento del contratto derivato, che la parte inadempiente è tenuta a corrispondere all’altra “quell’importo che la controparte dimostri di avere speso per stipulare uno o più contratti, che, sulla base di quotazioni di mercato scelte a propria discrezione, sostituiscono integralmente (..) il contratto risolto” ovvero “in alternativa un importo pari al 4% in ragione d’anno per la vita residua del contratto risolto” non è determinativa del mark to market giacché le quotazioni di mercato rilevanti sono solo quelle scelte dall’intermediario “a propria discrezione” e l’applicazione della seconda ipotesi, a prescindere dalla possibilità di rimediare in via interpretativa alla mancata esplicitazione della base di calcolo della percentuale rilevata, è pur sempre rimessa alla scelta della parte non inadempiente.
Peraltro, a prescindere dalla genericità del criterio, la sua alternatività rispetto al primo, espressamente riferito al costo di sostituzione o mark to market, rende evidente che la clausola è irrilevante ai fini dell’accertamento degli elementi ritenuti essenziali nella pronuncia della Cass. civ. Sez. Un. n. 8770/2020, trattandosi piuttosto di una clausola penale.
Prosegue la Corte ricordando che, in tema di derivati OTC, la curva forward concerne l’andamento dei tassi di interesse del debito originario sulla base di una proiezione futura dell’andamento del valore dei tassi medesimi, e dunque non riguarda direttamente l’IRS, costituendo soltanto uno dei tanti elementi utilizzati per elaborare una valutazione probabilistica degli esiti del contratto derivato alla luce delle pattuizioni e dei molteplici scenari analizzati.
Ai sensi dell’art. 21 TUF l’intermediario finanziario è tenuto a garantire la trasparenza dell’investimento e, quindi, ad esplicitare tutti i costi e le commissioni oltre che l’eventuale valore negativo del derivato ab origine: nella negoziazione di un derivato OTC la mancata indicazione del MTM (mark to market) costituisce violazione del dovere di correttezza e trasparenza previsto dall’art. 21 TUF, sicché, laddove per ipotesi venisse rigettata la domanda di nullità, dovrebbe comunque pronunciarsi la risoluzione (ed il risarcimento del danno equivalente agli esborsi sostenuti in dipendenza degli swap), e le conseguenze in ordine ai rapporti di dare/avere tra le parti sarebbero le medesime.
In uno swap OTC dichiarare i parametri e le barriere del contratto non è infatti informazione sufficiente per poter affermare di avere dichiarato anche le relative commissioni, che sono rimaste implicite nelle condizioni contrattuali.
Peraltro, qualora la banca non abbia comunicato né il clean price né il MTM, al momento della stipula del contratto, è chiaro che le commissioni non sono state esplicitate: infatti dichiarare i flussi certi del contratto non è informazione sufficiente per poter affermare di aver esplicitato anche le relative commissioni, che sono rimaste occulte nelle condizioni contrattuali.
In conclusione, secondo la Corte, il contratto di swap OTC che ha l’effetto di sostituire un piano di ammortamento del debito sottostante a tasso fisso e a rate decrescenti, con un altro a rate crescenti (seppure a valore attuale costante secondo la curva dei tassi spot disponibile alla stipula) non può essere considerato un’operazione di copertura secondo alcun criterio: infatti, il debito sottostante non presenta alcun rischio in quanto indicizzato a un tasso fisso; inoltre, la struttura proposta aumenta la duration del piano di rientro, esponendo quindi il sottoscrittore a un rischio di volatilità del valore del contratto al variare del tasso di attualizzazione.