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Le nuove sfumature della vulnerabilità derivanti dallo sviluppo di prodotti finanziari sostenibili

9 Ottobre 2024

Giulia Biagioni, Dottoranda di ricerca, Università degli studi di Firenze, Centro Nazionale di Ricerca Pnrr Mobility

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: L’articolo approfondisce il tema delle forme di vulnerabilità emergenti connesse allo sviluppo del settore green finance, derivanti dalla scarsa conoscenza sia delle regole che governano il mercato finanziario che del concetto di sostenibilità ad esso applicabile. Delimitato il campo di indagine ed evidenziati i nuovi profili di fragilità del cliente retail, il contributo ricostruisce il quadro giuridico di riferimento nella cornice del diritto europeo, con particolare focus sui gap informativi ancora presenti e sull’opacità del concetto ESG, mettendo infine in luce il contributo che gli strumenti divulgativi offrono onde permettere anche all’investitore svantaggiato di effettuare consapevolmente investimenti finanziari sostenibili.

ABSTRACT: The article explores the new forms of vulnerability associated with the growth of the green finance sector, arising from a lack of understanding of both the regulations governing the financial market and the concept of sustainability applicable to it. Having defined the scope of the investigation and identified the emerging vulnerabilities of retail clients, the contribution reconstructs the legal framework within the context of European law, with a particular focus on the persisting information gaps and the opacity of the ESG concept. It then highlights the role of disclosure tools in enabling even disadvantaged investors to make informed, sustainable financial investments.


1. La multidimensionalità del concetto di vulnerabilità negli investimenti finanziari e la pluralità dei livelli di indagine del fenomeno.

La multidimensionalità del concetto di vulnerabilità nell’ambito dei prodotti finanziari ed i diversi livelli di indagine da cui può essere approcciato il problema che il presente contributo si propone di affrontare impongono innanzi tutto di ben delimitarne l’effettivo campo di ricerca.

In primo luogo, come è noto, alla più classica definizione di vulnerabilità, quale condizione coincidente con le categorie di individui di cui al libro I del codice civile[1], già progressivamente ampliata nel corso del tempo[2], si è recentemente affiancata una concezione maggiormente «funzionale» del concetto, che descrive la fragilità alla luce della condizione di debolezza originatasi non in senso assoluto, ma rispetto al singolo contesto di azione preso in esame[3].

Così sembra attualmente condivisa l’appartenenza alla predetta categoria delle «vittime» del c.d. digital divide[4], degli individui con precarietà lavorativa o del tutto privi di occupazione, delle persone con difficoltà di adattamento linguistico e culturale e financo di coloro che si trovino ad affrontare una crisi familiare[5].

Come accennato, amplia ulteriormente la rilevanza del concetto della fragilità nell’ambito dei prodotti finanziari il possibile approccio del tema da diversi livelli di indagine, atteso che il connubio tra i due elementi può riguardare, oltre che il noto problema del c.d. unbanking e del rischio di pratiche discriminatorie da esso derivanti[6], sia la condizione di debolezza in cui può venire a versare il singolo intermediario finanziario[7] sia la ben più ricorrente condizione di fragilità del cliente retail, il quale può trovarsi in una posizione di svantaggio alla luce di molteplici fattori: si pensi difatti alla vulnerabilità forse più «tradizionale», avente ad oggetto la comprensibilità del testo della proposta di investimento, la propria capacità di risparmio, l’effettiva esposizione al rischio assunto, e ciò, si voglia per l’eccessivo tecnicismo del linguaggio bancario si voglia per l’insufficiente livello di alfabetizzazione finanziaria dell’individuo.

Si pensi, ancora, alla fragilità che si potrebbe definire di tipo «strutturale» avente ad oggetto la fruibilità dei supporti su cui il testo contrattuale è incorporato, che può, inter alia, riguardare i soggetti affetti da disabilità visive, neurologiche et similia.

Alle predette problematiche occorre, inoltre, aggiungere quella che può forse configurarsi come una nuova sfumatura di vulnerabilità nell’accesso ai servizi e ai prodotti di investimento derivanti dal perseguimento congiunto degli obiettivi di transizione digitale ed ecosostenibile posti dalla politica unionale[8] e dalle conseguenze che le stesse hanno prodotto, a cascata, sulla regolamentazione delle politiche di accesso e di gestione degli strumenti di credito[9].

In tal senso, ed è questo il tema che si cercherà di approfondire nel presente contributo, la fragilità dell’investitore ben può tradursi anche nella difficoltà di comprendere nuovi concetti, quali, ad esempio, gli ESG factor, la tassonomia avente ad oggetto i prodotto dark, light e grey green e, più in generale, la capacità di orientarsi consapevolmente nel settore finanziario, profili di vulnerabilità che spesso si aggiungeranno alle già conclamate difficoltà del cliente retail, finendo, come si vedrà, per esporre sia l’individuo che il mercato finanziario ad una variegata serie di rischi.

2. Le sfumature di vulnerabilità negli investimenti finanziari sostenibili.

Il progressivo sviluppo del concetto di green finance[10] e, più nel dettaglio, di prodotti finanziari sostenibili, può dirsi foriero di nuove sfumature di vulnerabilità per il singolo investitore innanzi tutto nella misura in cui l’approcciarsi a tale segmento del mercato impone di possedere conoscenze stratificate e spiccatamente tecniche.

Difatti, il soggetto, al fine di effettuare una scelta di investimento consapevole, oltre a dover comprendere le singole caratteristiche del prodotto proposto come ESG compliant[11], deve disporre, già ex ante, di un buon livello di conoscenza sia del variegato concetto di  «sostenibilità» sia dei fondamenti del funzionamento del mercato finanziario, aspetti che, come è noto, per quanto sovente di pubblico dominio, sono caratterizzati da un alto livello di complessità.

La problematica, peraltro, appare idonea ad assumere una dimensione ancora più ampia ove si consideri che spesso, come accennato, tali deficit conoscitivi ed informativi si innestano su specifici profili di vulnerabilità individuale preesistenti, quali l’avanzato stato di età del consumatore, il basso livello di istruzione, la scarsa disponibilità di risorse in grado di aumentare la propensione verso investimenti a lungo termine e la presenza di un gap di alfabetizzazione tecnologica[12].

Pertanto, il singolo investitore, a maggior ragione se privo di una «letteratura»[13] di base sui temi in questione, si troverà, probabilmente, nella condizione di doversi orientare tra una variegata gamma di prodotti e di dover poi compiere una scelta senza avere contezza delle effettive caratteristiche degli asset in merito ai profili di sostenibilità o, peggio, risulterà convinto di aver effettuato un investimento in grado di perseguire i criteri ESG che in realtà non potrà definirsi tale, esponendosi, quindi anche a vere e proprie pratiche di greenwashing[14].

Peraltro, il cliente rischia di non poter fare pieno affidamento nemmeno sulle informazioni che gli vengono fornite durante il colloquio con il proprio consulente finanziario, atteso che, a ben vedere, spesso nemmeno l’operatore professionale è nella condizione di garantire che il prodotto di investimento proposto sia davvero conforme ai criteri green pubblicizzati e ciò, come si vedrà, anche a causa della difficoltà di fornire un’adeguata normativa al settore in esame.

Ciò, da un lato, apre alla possibilità di configurare la condotta dell’impresa che offra i prodotti de quibus quale pratica commerciale scorretta, ancora in una sorta di «terra di mezzo» tra il configurarsi dell’elemento soggettivo del dolo e la violazione di norme poste in tema di buona fede ed obbligo di esaustiva informazione precontrattuale a danno del singolo investitore[15], con conseguente diritto al risarcimento del danno patito per aver fatto affidamento sulla bontà delle informazioni pubblicizzate circa la sostenibilità del prodotto, anche finanziario.

Dall’altro, tuttavia, espone il cliente anche ad una serie di conseguenze di tipo prettamente economico strettamente collegate alle caratteristiche del mercato finanziario ecosostenibile[16], id est il rischio di maggior volatilità dello stesso, il più basso rendimento del prodotto nel breve periodo e la sua più difficile riallocazione sul mercato, a seguito della perdita di credibilità da parte dell’impresa in merito al raggiungimento degli obiettivi ESG.

Peraltro, a ben vedere, la condizione di fragilità dell’investitore per quanto concerne la conoscenza dei profili di sostenibilità dei prodotti finanziari non si limita esclusivamente a produrre un pericolo di trattamento discriminatorio della clientela, valore indubbiamente preminente sia dell’ordinamento nazionale che europeo[17], ma rischia di compromettere anche il funzionamento del mercato finanziario medesimo[18].

Difatti, la mole di possibili investitori che presentano tali tipologie di fragilità o, in ogni caso, una scarsa sensibilità verso i temi di sostenibilità, è indubbiamente in crescita e la loro emarginazione rischia inibire lo sviluppo del settore green finance, nella misura in cui si determina una perdita del potenziale economico del mercato[19] ed un’inefficienza generalizzata del settore, non in grado di svolgere la propria attività nel tessuto sociale in modo capillare.

In questo contesto un ruolo preminente al fine dello sviluppo di investimenti green dovrebbe essere giocato dall’attività di divulgazione ed informazione condotta sia dagli istituti che dai singoli intermediari finanziari e ciò sia perché il dovere di informazione costituisce un valido strumento dai costi contenuti sia perché il consulente finanziario costituisce spesso il punto di riferimento del cliente retail.

Ci si domanda, allora, se gli obblighi informativi posti in capo agli intermediari finanziari proprio per quanto concerne i profili di sostenibilità dei prodotti offerti siano davvero in grado di porre l’individuo, e segnatamente la persona già vulnerabile o che possa versare in una condizione di fragilità proprio – o solo – in merito a tali ulteriori profili di rilevanza dell’investimento, nella condizione di comprendere la portata delle proprie scelte e quali siano le possibili iniziative volte a ridurre tale gap.

3. I deficit informativi connessi al progressivo sviluppo di un quadro giuridico nell’ambito della green finance.

Come accennato, parte del problema connesso allo sviluppo di nuovi profili di fragilità derivanti dall’approccio ai prodotti finanziari sostenibili deriva dalle difficoltà di predisporre un quadro normativo esaustivo, ma allo stesso tempo flessibile, del settore green finance, segmento di mercato ancora piuttosto giovane.

In tal senso le regole poste dal legislatore dell’Unione si intrecciano tra loro e tentano, attraverso la propria complementarità, di perseguire obiettivi comuni, quali l’incremento della trasparenza e dell’efficienza del mercato, la tutela dei singoli investitori e, non in ultimo, la sviluppo di criteri di sostenibilità dei prodotti commerciabili.

Tale minuzioso lavoro ha preso le mosse, in primo luogo, dall’adozione di una normativa specifica di settore, di cui il Sustainable Financial Disclosure Regulation[20] rappresenta il principale tassello, nella misura in cui si occupa di elaborare in via embrionale i parametri volti a distinguere i singoli tipi di asset presenti nel mercato finanziario in base al criterio della sostenibilità, tradizionalmente suddivisi in dark green, light green e grey green financial products[21].

La normativa di riferimento di primo livello è poi integrata dal successivo Taxonomy Regulation[22], il quale partecipa al difficile sforzo definitorio affrontato dal legislatore dell’Unione, concentrando tuttavia l’attenzione sul solo fattore Environmental dell’acronimo ESG[23].

Anche la direttiva nota come MiFID II[24], successivamente modificata ed integrata[25], contribuisce allo sviluppo del settore dei prodotti finanziari sostenibili nella misura in cui, grazie ad un approccio trasversale, incide sul concetto di Product Oversight Governance e determina le modalità di comunicazione degli elementi informativi da parte dei singoli intermediari finanziari nei confronti dei clienti.

Peraltro, nella sua dimensione più «verde», tale direttiva pone altresì l’obbligo di sottoporre gli investitori ad un’attività di profilazione oltre che per quanto concerne la capacità di risparmio ed il profilo di rischio del soggetto, anche in merito all’interesse manifestato nei confronti dei criteri di sostenibilità dell’investimento, attraverso la predisposizione di appositi questionari.

In estrema sintesi, può dirsi che le norme di riferimento del settore green finance, grazie ad un approccio che individua nel dovere di disclosure uno strumento di fondamentale importanza per lo sviluppo di scelte consapevoli, delineano effettivamente un insieme di obblighi di informazione posti in capo al singolo intermediario, anche per quanto concerne i profili di sostenibilità dei prodotti proposti, che prima facie potrebbero considerarsi adeguati ed idonei anche a ridurre il gap informativo che riguarda i caratteri di sostenibilità dei singoli investimenti proposti.

Tuttavia, tale attività, nella casistica concreta può assumere profili di complessità, a fortiori ove si osservi la sua efficacia proprio dal punto di vista dell’accrescimento della consapevolezza sugli aspetti della sostenibilità nel singolo investitore.

Difatti, la difficoltà nel perseguimento di tale obiettivo, unita all’esigenza di circoscrivere i doveri informativi posti in capo agli intermediari, onde evitare di oberare i medesimi ma allo stesso tempo di rendere l’attività di disclosure efficace, da un punto di vista qualitativo, quantitativo e prettamente formale, ha recentemente sollecitato l’intervento in materia dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA)[26].

Orbene, come chiarito da ESMA, il singolo intermediario è chiamato, in primis a supportare il cliente nel comprendere il concetto di “preferenze di sostenibilità”[27] e ad illustrare la differenza sussistente tra prodotti provvisti e non provvisti di tali caratteristiche in modo chiaro e senza ricorrere ad un linguaggio eccessivamente tecnico.

Ancora, l’Autorità ha precisato che l’intermediario è chiamato a raccogliere informazioni in merito alle preferenze del singolo cliente per quanto concerne i diversi tipi di prodotti finanziari sostenibili, oltre che la misura in cui desideri effettuare investimenti in tali prodotti e, non in ultimo, ad individuare tra i vari asset adeguati alle conoscenze e alle esperienze del singolo, alla sua situazione finanziaria e agli obiettivi posti, quelli che soddisfino le preferenze in materia di sostenibilità manifestate[28].

Per quanto l’intervento dell’Autorità abbia indubbiamente contribuito a chiarire quale sia l’oggetto del dovere informativo del singolo intermediario per quanto concerne il profilo della sostenibilità del prodotto finanziario, non si può fare a meno di notare come nell’adempimento dell’obbligo de quo un primo profilo di incertezza sia già costituito dalla portata e dall’interazione dei concetti di Environmental, Social e Governance di cui all’acronimo ESG medesimo[29].

Innanzi tutto i tre obiettivi di sostenibilità presentano una certa opacità per quanto attiene alla loro portata semantica, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti riconducibili al concetto “Social”, tanto da aver indotto, sul tema, l’intervento della Piattaforma sulla finanza sostenibile, che ha elaborato appositi criteri di tassonomia per una più chiara individuazione dei target di riferimento, attualmente riassumibili nel perseguimento della tutela dei diritti umani, nella creazione di comunità sostenibili e nello sviluppo di condizioni di lavoro maggiormente dignitose[30].

Inoltre, i fattori ESG possono assumere una declinazione ed una perseguibilità differente a seconda dello specifico settore imprenditoriale preso in esame, atteso che l’attività di impresa svolta dal singolo operatore commerciale è in grado di approcciarsi ai medesimi – o soltanto ad alcuni di essi – in maniera differente[31].

Anche tale aspetto impatta, indubbiamente, sul prodotto che è poi reso oggetto di investimento, atteso che la necessaria attività di comparazione tra i diversi asset proposti dovrebbe esser condotta alla luce della concreta perseguibilità degli obiettivi di sostenibilità e della loro capacità di impattare in modo positivo sui target di riferimento.

Ancora, il consulente finanziario, oltre a dover informare il cliente in merito agli aspetti sopra menzionati, curandosi di illustrare quali siano i singoli criteri che l’investimento proposto contribuisce a raggiungere e come l’impresa abbia declinato i medesimi alla luce della propria attività, dovrebbe altresì fornire informazioni su come il profilo della sostenibilità impatti sul prodotto finanziario medesimo, enucleando in un linguaggio chiaro e comprensibile le differenze sussistenti tra gli investimenti di cui all’art. 6, all’art. 8 e all’art. 9 del citato SFDR e della normativa di secondo livello ad esso riferibile.

Ciò si traduce nella legittima aspettativa del cliente di riuscire a comprendere i margini e le tempistiche di rendimento del titolo, anche rispetto a diversi strumenti che invece non tengano conto dei criteri ESG, ed il grado di appetibilità del medesimo in ipotesi di eventuale futura rinegoziazione o riallocazione sul mercato.

Tale aspettativa tuttavia attualmente sembrerebbe in parte disattesa[32], sia a causa del deficit informativo di cui può dirsi responsabile l’intermediario finanziario sia in quanto spesso lo stesso professionista non versa nella condizione di poter fornire al cliente una descrizione realistica dei prodotti.

Ciò deriva, in primo luogo dall’assenza di regole condivise in merito alla valutazione della conformità dell’attività della singola impresa ai parametri ESG.

Attualmente, difatti, la conformità dell’investimento ai criteri Environmental, Social and Governance è attribuita attraverso rating di agenzie specializzate in grado di esprimere un giudizio sintetico del prodotto grazie all’analisi delle pratiche di disclosure non finanziaria pubblicate dalle singole imprese ovvero ottenute aliunde, da fonti più o meno affidabili, quali questionari, notizie di dominio pubblico e banche dati specifiche, aventi ad oggetto le modalità attraverso cui il singolo operatore del settore economico, che poi si propone sul mercato finanziario, si impegna a realizzare gli obiettivi di sostenibilità prospettati. Tuttavia, tale valutazione sembrerebbe condotta seguendo impostazioni, di processo e di attribuzione del risultato, non condivise tra le singole agenzie di rating[33].

Ciò, allora, rischia di porre l’investitore nella condizione di non riuscire a comparare i prodotti sul mercato, anche per quanto concerne l’accennata distinzione tra light e dark green product, e, quindi, di effettuare una scelta che, in ultima analisi, possa dirsi davvero consapevole, probabilmente nemmeno quando il singolo individuo possieda un background conoscitivo sufficiente in merito al funzionamento dei mercati, al concetto di sostenibilità e agli strumenti di green finance.

In realtà, la sussistenza di tali problematiche e l’impatto che le stesse hanno, oltre che sul tema della maggior consapevolezza degli investimenti, anche sullo sviluppo del mercato finanziario sostenibile stesso, sembra essere ben nota.

Da un lato, il legislatore dell’Unione, a seguito della pubblicazione del Final Report on Regulatory Technical Standard elaborati dalle Autorità di vigilanza al fine di aumentare l’informativa precontrattuale nei confronti della clientela del settore finanziario[34], sta già portando avanti un’importante attività volta ad ampliare e ad adeguare l’elenco dei Principal Adverse Impact di cui all’SFDR, di modo da imporre agli operatori economici una descrizione maggiormente dettagliata dei possibili effetti negativi prodotti dalle singole decisioni di investimento del cliente proprio sui fattori della sostenibilità.

Dall’altro, prospetta la revisione del medesimo Regolamento SFD, come da proposta avanzata in sede di stesura del citato Final Report sugli RTS, al fine di arricchire gli obblighi di informazione rivolti al cliente in merito al rispetto dell’ulteriore principio del Do Not Significantly Harm, che ispira il regolamento de quo.

Ancora, sembra farsi strada l’idea di ripensare le norme volte a regolamentare i prodotti di investimento multi-option, tendenzialmente più esposti ad un rischio di opacità quando combinati con i fattori ESG, e di introdurre criteri di calcolo armonizzato del livello di sostenibilità degli investimenti, soprattutto per quanto concerne l’impatto sociale dei predetti che, come accennato, rappresenta ad oggi ancora un concetto difficilmente intellegibile.

Il legislatore dell’Unione prospetta altresì l’adozione di una nuova direttiva[35], MiFID III, che possa contribuire a porre la sostenibilità al centro del settore finanziario, si auspica introducendo criteri ancor più stringenti per quanto concerne la classificazione degli investimenti, ad integrazione del complementare dovere di trasparenza del settore imprenditoriale.

4. Possibili strumenti a tutela delle varie forme di vulnerabilità: il ruolo dell’informazione retail.

Fermo restando che l’individuazione dei rimedi in grado di ridurre la condizione di vulnerabilità in cui può venire a versare il cliente privo di un’adeguata conoscenza sia del settore finanziario che del concetto di sostenibilità ad esso applicabile, non può prescindere dal rafforzamento sia del dovere di trasparenza che del principio di accountability che informano le politiche unionali e che mirano a tutelare ogni investitore[36], resta da chiedersi se vi sia spazio per la creazione di nuove categorie di soggetti vulnerabili anche nel settore green finance e, in ogni caso, attraverso quali strumenti consentire anche a chi versi in una condizione di svantaggio di poter contribuire allo sviluppo di un mercato finanziario maggiormente sostenibile.

Come accennato in premessa, tradizionalmente i problemi connessi alle fragilità degli individui sono stati spesso affrontati attraverso un processo di «categorizzazione» accompagnato dalla previsione di particolari strumenti di tutela.

Si pensi alla protezione offerta in ambito contrattuale ai soggetti con ridotta capacità di agire, alla successiva tutela riconosciuta alla generale figura del consumatore, ma anche alle più recenti normative, adottate anche in ambito finanziario, ove individuati chiaramente determinati profili di criticità, quali forme di disabilità o, da ultimo, diagnosi di patologie particolarmente rilevanti, si è cercato di porre i soggetti in questione nella condizione di agire in una dimensione di parità rispetto agli altri[37].

Tuttavia, quando si affrontano i profili di fragilità derivanti dalla sensibilizzazione e dall’accesso alle informazioni in tema di sostenibilità, occorre comunque chiedersi se quella appena prospettata possa rappresentare la soluzione più idonea a ridurre i deficit informativi e ad aumentare la consapevolezza degli investitori.

I rischi derivanti da una scarsa conoscenza dell’ampio tema della sostenibilità dei prodotti finanziari possono colpire una così diversificata tipologia di soggetti che, anche in questa sede, si è volutamente approcciato il problema riferendosi a possibili nuove sfumature di vulnerabilità, al fine di sottolineare come tale condizione, a differenza di quanto accade in altri ambiti, non possa dirsi strettamente legata alle caratteristiche del singolo individuo ma nemmeno al settore in cui lo stesso opera, atteso che le medesime problematiche inerenti al connubio mercato-sostenibilità ben potrebbero riscontrarsi anche ove si volesse prendere in esame il diverso comparto della vendita di beni materiali.

Del pari, incide sul tema anche la percezione del singolo investitore, il quale talvolta ritiene di disporre di sufficienti informazioni sul tema, circostanza che lo induce a non svolgere alcuna ulteriore attività di ricerca, quando una valutazione sulla sua conoscenza effettiva potrebbe mostrare un quadro ben diverso.

Di conseguenza, proprio alla luce della non immediata percepibilità della fragilità nel settore green finance, da un lato risulterebbe difficile dare continuamente origine a categorie protette sempre nuove, in quanto ciò imporrebbe di tracciare un perimetro netto e di distinguere in maniera chiara chi manifesti tale necessità e chi invece non abbia diritto ad una forma di attenzione rafforzata, individuando già a monte idonei strumenti di protezione in grado di ridurre il ga

Tali difficoltà suggeriscono allora l’opportunità di effettuare anche un cambio di prospettiva, che ponga il focus della riflessione non solo sulla vulnerabilità del soggetto quale categoria generale, ma anche sui singoli profili di fragilità di volta in volta riscontrabili e sulle difficoltà connesse all’affrontare un tema complesso quale è quello proprio della sostenibilità, in questo specifico caso declinato alla luce degli strumenti di investimento.

Tale approccio, sebbene in settori in parte differenti da quello in esame, è stato in parte già fatto proprio da alcune comunità locali situate nel territorio dell’Unione Europea, le quali si sono fatte carico di prospettare le soluzioni complementari di cui al report intitolato Study to identify initiatives to provide local advice to consumers[38].

Lo studio, pur prendendo quale target di riferimento il consumatore, pone il focus sull’esigenza di fornire strumenti di supporto differenti a seconda delle singole esigenze manifestate dal cliente e, dunque, dei singoli profili di fragilità della persona, sull’importanza della vicinanza spaziale delle soluzioni proposte e sul ruolo centrale giocato dal supporto umano nella gestione delle varie attività che coinvolgono i soggetti che versino in maggiore difficoltà o che, semplicemente, ne facciano richiesta.

Applicando il medesimo approccio retail al settore green finance e considerando che i gruppi di individui meno propensi ad effettuare investimenti sostenibili sono costituiti da persone a basso reddito, anziani e stranieri[39], si dovrebbe allora forse agire al fine di ridurre il divario informativo, ma anche l’emarginazione culturale, tecnologica e linguistica che li caratterizza, elaborando soluzioni volte in primis alla comprensione del concetto stesso di sostenibilità e del suo impatto sul prodotto finanziario proposto.

Ancora, volendo tenere di conto sia della necessità di intervenire attraverso normative vincolanti sia di alcuni tratti comuni delle persone che possono esser classificate quali vulnerabili nel settore in esame, può forse considerarsi l’opportunità di valutare l’adeguatezza degli strumenti pratici attraverso cui attualmente viene valutata la sensibilità e la conoscenza nei confronti dei profili green dei prodotti finanziari.

L’esame del questionario MiFID alla luce del parametro valutativo del dovere di informazione sui concetti di sostenibilità degli investimenti mostra come la valutazione della consapevolezza del cliente e della sua propensione ad effettuare investimenti ESG compliant si fondi spesso su un numero molto contenuto di quesiti, i quali non sono tendenzialmente preceduti da alcuna spiegazione né in merito al loro significato né in merito alle modalità di attuazione o considerazione degli stessi da parte del singolo istituto di credito, salva la libera iniziativa del singolo consulente.

A ben vedere, in realtà, i questionari non sono nemmeno volti a comprendere se il cliente abbia davvero ex ante una qualche conoscenza del contenuto di tali elementi, aspetto che viene automaticamente ritenuto sussistente[40].

Ciò deriva, probabilmente, da quanto disposto dal regolamento SFD, il quale impone di indicare altrove, id est sul sito web dell’istituto creditizio, una chiara descrizione delle caratteristiche dei prodotti, delle informazioni in merito alla metodologia utilizzata per valutarne, misurarne e monitorarne l’impatto in termini di sostenibilità, al fine di evitare che gli intermediari siano gravati da un eccessivo carico informativo nei confronti del cliente.

Resta tuttavia evidente che tale rinvio possa ritenersi non del tutto efficace al fine di incrementare la consapevolezza dei clienti retail, soprattutto ove si considerino i profili di fragilità di coloro che risultano maggiormente restii ad effettuare tali tipologie di investimenti, costituiti dalle barriere di accesso alle informazioni, che, sovente, li inducono a prediligere canali divulgativi più immediati e facilmente accessibili, quali i social media, con tutti i rischi che ne derivano in tema di veridicità dei dati ivi riportati.

Ancora, i quesiti posti in tema di sostenibilità degli investimenti si caratterizzano molto spesso per un «effetto domino» ove il primo è in grado di influenzare le risposte fornite a quelli successivi, aprendo al rischio di una standardizzazione degli esiti del questionario, anche alla luce della natura spesso «comportamentale» del settore finanziario[41] che coinvolge sia il cliente che il consulente e che può indurre anche ad esiti non del tutto corretti, che possono avere un impatto rilevante sui soggetti più fragili.

In questo senso, allora, può forse farsi strada l’idea di ripensare, oltre che alla portata del profilo della sostenibilità all’interno dei questionari, anche della loro formulazione, predisponendo domande di maggior dettaglio, del tutto autonome e tese, da un lato a valutare la sua effettiva conoscenza e sensibilità verso i finanziamenti green e, dall’altro, di porre il consumatore medesimo nella condizione di doversi necessariamente approcciare anche a tematiche di tale tipologia.

In conclusione, dunque, l’indagine brevemente condotta in questa sede sul tema delle nuove sfumature di vulnerabilità derivanti dallo sviluppo di prodotti finanziari sostenibili sembra evidenziare importanti sfide in termini di obiettivi da raggiungere, oltre che per quanto concerne gli aspetti più strettamente normativi, anche per gli operatori del mercato.

Tali obiettivi dovranno tra l’altro necessariamente basarsi su una informazione e comunicazione verso gli investitori retail più efficace circa l’accuratezza e l’affidabilità dei dati sulla sostenibilità, la trasparenza sulle caratteristiche dei prodotti sostenibili, anche di tipo statistico, inerenti alla gestione dei rischi e dei costi, con particolare attenzione nei confronti di tutti quei soggetti che presentino già ex ante profili di vulnerabilità individuale in grado di incidere sulle proprie scelte di investimento.

 

[1] A. SCOTTI, Soggetti vulnerabili e problemi di accesso al mercato bancario e finanziario, in EJPLT, 1, 2023, 71 ss…

[2] Si pensi alle categorie dei soggetti in avanzato stato di età, ai minori e ai portatori di determinate patologie fisiche che tuttavia non incidono sulla loro capacità di agire. Rientrano in tale genus anche gli ex malati oncologici, attualmente oggetto di apposita protezione, anche in ambito bancario e finanziario, grazie alla legge del 7 dicembre 2023 n. 193. Sul tema si veda M. MEZZANOTTE, Brevi note in tema di diritto ad essere dimenticato: il caso del diritto all’oblio oncologico, in Consulta online, 2023, II, 486 ss..

[3] H. W. Micklitz, Il consumatore: mercatizzato, frammentato, costituzionalizzato, in Riv. trim. dir e proc civ, 2016, n. 3 – 2016, 859 e ss; Corrias, E. Piras (a cura di), I soggetti vulnerabili nell’economia, nel diritto e nelle istituzioni, I-II, Napoli, 2021.

[4] S. VANTIN, Digital divide. Discriminazione e vulnerabilità nell’epoca della rete globale, Milano, Wolters Kluwer CEDAM. 2021, 233 ss..

[5] G. BERTI DE MARINIS, La vulnerabilità nei mercati regolamentati, in Corrias (a cura di), I soggetti vulnerabili nella disciplina comune e nei mercati regolamentati, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2022, 96.

[6] S. SILVIOTTI, Gli effetti dell’esclusione finanziaria e l’esigenza di una finanza alternativa: alcune riflessioni sul microcredito, in Riv. dott. comm., 2010, 365.

[7] Cfr. Banca D’Italia, Disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari, circolare del 3 aprile 2015 n. 288.

[8] Sul tema si veda l’adozione del EU Next Generation Plan e del Green Deal and Horizon Europe Programme.

[9] In ambito comunitario ciò ha indotto la Commissione Europea ad adottare, nell’anno 2018, il Piano di Azione per la Finanza sostenibile, in cui vengono delineate la strategia e le misure da adottare per la realizzazione di un sistema finanziario in grado di promuovere uno sviluppo autenticamente sostenibile sotto il profilo economico, sociale e ambientale.

[10] Sul tema, ex multis, si vedano R. BERROU, DESSERTINE, M. MIGLIORELLI, The Rise of Green Finance in Europe, Palgrave Studies in Impact Finance. Palgrave Macmillan, Cham, 2019; G. DESALEGN, A. TANGL, Enhancing Green Finance for Inclusive Green Growth: A Systematic Approach, in Sustainability, 2022, 14(12):7416; N. NAIFAR, A. ELSAYED, Green Finance Instruments, FinTech and Investment strategies: sustainable portfolio management in the Post-Covid Era, Springer International Publishing, Imprint, Springer, 2023.

[11]Trattasi dell’acronimo di Environmental, Sustainability and Governance, sigla coniata già nel 2005, al fine promuovere la consapevolezza dei limiti legati allo sfruttamento dell’ambiente, alla migliore gestione delle risorse e alle declinazioni concrete del principio di sostenibilità. Tuttavia, negli ultimi anni, anche grazie alla sottoscrizione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i 17 obiettivi SDGs (Sustainable Development Goals) delle Nazioni Unite e dell’Accordo di Parigi, la comunità internazionale si è assunta una serie più ampia, ma anche più concreta di impegni in questo senso. Si veda più nel dettaglio la definizione Forum per la Finanza Sostenibile (FFS), del settembre 2014, secondo cui “l’Investimento Sostenibile e Responsabile (SRI) mira a creare valore per l’investitore e per la società nel suo complesso attraverso una strategia d’investimento orientata al medio – lungo periodo che, nella valutazione di imprese e istituzioni (emittenti), integra l’analisi finanziaria con quella ambientale, sociale e di buon governo”. In dottrina si veda A. DEL GIUDICE, La finanza sostenibile. Strategie, mercato e investitori istituzionali, Torino, 2019, 8. Il concetto deriva a sua volta dall’acronimo SRI, Sustainable and Responsible Investiment, con cui si intende “Ogni tipo di processo di investimento che combini gli obiettivi finanziari di un investitore con l’attenzione alle questioni ambientali, sociali e di governo societario”. Sul tema si veda D. DAL MASO, G. FIORENTINI (a cura di), Creare valore a lungo termine, Milano, 2013.

[12] Come evidenziato dall’’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) nell’anno 2020 “La digitalizzazione di prodotti e servizi finanziari contribuisce ad aumentare la complessità delle scelte finanziarie e può configurare nuovi rischi, come l’esclusione finanziaria digitale, le frodi online o le violazioni dei dati personali. Il basso livello di alfabetizzazione finanziaria digitale configura in tale contesto un nuovo profilo di vulnerabilità che i policy maker devono individuare e monitorare al fine di porre in atto misure correttive a protezione del consumatore finanziario”.

[13] M. FILIPPINI, M. LEIPOOLD, T. WEKHOF, Sustainable finance literacy and the determinants of sustainable investing, in Journal of Banking and Finance, Volume 163, 2024, 1 ss..

[14] A. DAVOLA, Informativa in materia di prodotti finanziari sostenibili, tutela dell’investitore e contrasto al greenwashing: le criticità dell’assetto europeo tra norme primarie e disciplina di dettaglio, in Rivista di diritto bancario, 2022, 513 e ss.; V. A. MOONEY, Greenwashing in finance: Europe’s push to police ESG investing, 2021, in https://www.ft.com/content/74888921-368d-42e1-91cdc3c8ce64a05e.

[15] Cfr. Direttiva (UE) 2024/825 del 28 febbraio sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde (c.d. Direttiva Empowering Consumers for the Green Transition). In dottrina, A. TROISI, La comunicazione ambientale: il greenwashing dietro la sostenibilità, in Analisi Giuridica dell’Economia, 1/2022, 353 ss..

[16] “La metà degli investitori italiani è d’accordo (molto o abbastanza) che i prodotti di investimento sostenibili siano più adatti per orizzonti temporali di mediolungo periodo ossia, ritiene che tali forme di investimento necessitino di essere mantenute tra gli assets investiti per un periodo di tempo prolungato per consentire il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità prefissati. Rispetto alle altre caratteristiche, appena il 21% degli intervistati è d’accordo (molto o abbastanza) che siano più profittevoli, il 23% che siano associati a minori costi e solo il 24% che siano meno rischiosi degli investimenti tradizionali”. Cfr. Cfr. Consob, Report on financial investments of Italian households, 2024, reperibile al seguente link: f6025c22-1683-e191-ea3f-5e1f8acb8e99 (consob.it), 148.

[17] L’inclusività, oltre ad essere uno dei principali obiettivi dei nuovi piano di intervento dell’Unione, costituisce una declinazione del concetto di «utilità sociale», a cui fanno espresso riferimento sia l’art. 41 cost. sia l’art. 3 del TUE., su cui si veda T. Martines, Diritto costituzionale, Milano, 2011, 136; A. Baldassarre, Iniziativa economica privata, in Enc. dir, XXI, 1971, 187; S. Mazzamuto, Libertà contrattuale e utilità sociale, in Eur. dir. priv., 2011, 18.

[18] Cfr. D. COSTA, M. GENTILE, N. LINCIANO, Interesse verso gli investimenti sostenibili. Un esercizio di caratterizzazione degli investitori italiani sulla base delle indagini CONSOB, 3 novembre 2022, risorsa reperibile presso 6b7beb4d-28a4-5f9b-d0d8-36989a4e40b8 (consob.it), ultima consultazione agosto 2024.

[19] Secondo Consob rimane elevata la quota di intervistati che dichiara di non possedere questo tipo di asset (72%). Cfr. Consob, Report cit., 13.

[20] Cfr. Regolamento EU 2019/2088 relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, noto anche come SFDR, che impone tutta una serie di obblighi informativi per i partecipanti ai mercati finanziari nonché per gli intermediari per quanto concerne la sostenibilità dei prodotti offerti.

[21] Di cui, rispettivamente, agli articoli 8, 9 e 6.

[22] Regolamento (UE) 2020/852 che integra SFDR e disciplina le regole e i criteri tecnici per l’identificazione delle attività economiche ecosostenibili ai fini della disclosure delle imprese secondo i KPI previsti dalla normativa attuativa. L. SCHEITZA, T. BUSCH, SFDR Article 9: is it all about impact?, in Finance research letters, 2024-04, Vol. 62, 105179; D. BUSCH,G. FERRARINI, A.VAN DEN HURK, The European Commission’s Sustainable Finance Action Plan and Other International Initiatives, in EUSFiL Research Working Paper Series, 2020, 3, 8.

[23] Gli obiettivi ambientali definiti dalla Tassonomia sono: mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai cambiamenti climatici, uso sostenibile e alla protezione delle acque e delle risorse marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione e alla riduzione dell’inquinamento, protezione e al ripristino della biodiversità e degli ecosistemi. L’articolo 3 del Regolamento Tassonomia considera sostenibile un’attività economica quando questa, simultaneamente: contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più degli obiettivi ambientali; non arreca un danno significativo a nessuno degli stessi “tenuto conto del ciclo di vita dei prodotti e dei servizi forniti da un’attività economica, compresi gli elementi di prova provenienti dalle valutazioni esistenti del ciclo di vita”.

[24] Direttiva 2014/65/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE.

[25] In esito alle risultanze di una consultazione in materia sono stati adottati alcuni emendamenti a sei Regolamenti delegati delle Direttive MiFID II, IDD, UCITS, AIFM e Solvency II.

[26] Cfr. Orientamenti in materia di adeguatezza, pubblicati dall’ESMA il 23 settembre 2022, reperibili al seguente link: ESMA35-43-3172_Guidelines_on_certain_aspects_of_the_MiFID_II_suitability_requirements_IT.pdf (europa.eu).

[27] Tuttavia i dati raccolti da Consob nel corso dei primi mesi del 2024 mostrano come solo il 26% circa degli investitori retail che seguono i consigli di un consulente ricorda che siano state chieste loro informazioni circa le proprie preferenze di sostenibilità. Cfr. Consob, Report cit., 119.

[28] V. COLAERT, Integrating Sustainable Finance into the MiFID II and IDD Investor Protection Frameworks, novembre 2020, 3.

[29] In linea di massima, il fattore Environmental valuta l’impatto sull’ambiente e sul clima, come il livello di emissioni di CO2 rilasciate (carbon footprint), l’efficienza energetica, lo smaltimento dei rifiuti, l’utilizzo delle risorse naturali, sia direttamente dall’organizzazione, sia lungo tutta la sua catena di valore, etc. Include anche la comprensione del rischio ambientale e del rischio normativo correlato. Il fattore Social prende in considerazione le modalità con cui un’organizzazione tratta il capitale umano e, in generale, la società. Il focus di valutazione si sposta 20 sulla capacità di creare valore per tutti gli stakeholders, non solo gli azionisti. Tale pillar include le politiche di equità di genere, di inclusione, di tutela per le minoranze, le relazioni con le comunità globali e locali, il rispetto dei diritti umani, le relazioni con i dipendenti, la sicurezza del posto di lavoro, etc. Il fattore Governance esamina il controllo aziendale, come l’impresa viene guidata nelle sue relazioni interne ed esterne. Lato interno, si focalizza sulle politiche di gestione del governo societario, sulla composizione del Consiglio di Amministrazione sulla contabilità aziendale, le strategie finanziarie. Lato esterno si analizza la trasparenza fiscale, le pratiche anticoncorrenziali e i rapporti in toto che l’impresa intrattiene con il legislatore.

[30] Cfr. Final Report on Social Taxonomy, febbraio 2022, consultabile al link: Final Report on Social Taxonomy (europa.eu).

[31] Si pensi, ad esempio, al diverso grado di disponibilità di tecnologie presenti nei vari settori finanziari, alla pressione degli stakeholder sui singoli settori e ai modelli di business adottati.

[32] “Alla domanda su che cosa impedisce agli investitori retail di effettuare scelte di investimento sostenibili, gli intervistati hanno citato nel 42% dei casi il fatto di non saperne abbastanza, seguito dalla mancanza di dati sui rendimenti passati (37% delle segnalazioni), dall’offerta limitata di prodotti con caratteristiche ESG (19% dei casi) e dalla preferenza verso prodotti finanziari tradizionali, segnalata dal 16% degli intervistati”. Cfr. Consob, Report già citato, 153.

[33] E. Escrig-Olmedo, M.A. Fernández-Izquierdo, I. Ferrero-Ferrero, J.M. Rivera-Lirio, M.J. Muñoz-Torres, Rating the Raters: Evaluating how ESG Rating Agencies Integrate Sustainability Principles, in Sustainability 2019, 11, 915 ss..

[34] Il documento del dicembre 2023 è reperibile al seguente link: JC 2023 55 – Final Report SFDR Delegated Regulation amending RTS (europa.eu)

[35] Cfr. Report on the proposal for a directive of the European Parliament and of the Council amending Directive 2014/65/EU on markets in financial instruments (COM(2021)0726 – C9-0438/2021 – 2021/0384(COD).

[36] Tale pratica, per quanto concerne i parametri di sostenibilità e le difficoltà connesse alla loro delimitazione semantica e alla loro effettiva applicazione, nell’attesa dell’adozione di ulteriori normative vincolanti, anche nella realizzazione di database pubblici, in grado di raccogliere le informazioni in merito alle performance delle singole imprese in merito al perseguimento di obiettivi ESG, strumenti utili sia al fine di arricchire il contenuto dei concetti di Environmental, Social and Governance, sia al fine di elaborare parametri oggettivi di valutazione della conformità da parte delle imprese che poi si collocano sul mercato finanziario.

[37]Direttiva UE 2019/882 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 sui requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi. In ambito nazionale si veda anche la legge n. 193 del 7 dicembre 2023 recante Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche.

[38] Trattasi del report elaborato nel 2022 dalla Commissione Europea al fine di individuare soluzioni concrete onde fornire un supporto ai consumatori vulnerabili.

[39] Cfr. D. COSTA, M. GENTILE, N. LINCIANO, Interesse verso gli investimenti sostenibili. Un esercizio di caratterizzazione degli investitori italiani sulla base delle indagini CONSOB, 3 novembre 2022, cit..

[40] Il primo quesito che viene difatti posto al cliente si articola come segue “Ferma restando l’esigenza che i suoi investimenti siano coerenti ed adeguati rispetto al suo Profilo Finanziario, vorrebbe che, a parità di altre condizioni, si desse preferenza, quando possibile, a prodotti finanziari e servizi di investimento che tengano in considerazione i fattori di sostenibilità, vale a dire aspetti di natura ambientale (E), sociale (S), di buona governance (G)?”.

[41] Cfr. ESMA, Orientamenti su alcuni aspetti dei requisiti di adeguatezza della MiFID II, 2018. Risorsa reperibile al seguente link esma35-43-1163_guidelines_on_certain_aspects_of_mifid_ii_suitability_requirements_it.pdf (europa.eu).

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