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Attualità

Preference Shares e Ordinary Shares alla prova del carried interest

15 Ottobre 2024

Paolo Ronca, Counsel, Legance

Matteo Lamaro, Associate, Legance

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza la recente risposta ad interpello in tema di carried interest con cui l’Agenzia delle Entrate si è espressa per la prima volta in relazione ad un piano basato sul modello delle preference shares e ordinary shares, di derivazione anglosassone.


1. Premessa

Nella risposta 1° agosto 2024, n. 166 (“Risposta”), l’Agenzia delle Entrate si è espressa in merito alla qualificazione reddituale di un piano di carried interest ispirato ad un modello piuttosto diffuso in alcune giurisdizioni estere, e basato sulla coesistenza di preference shares, con rendimento antergato fisso, e ordinary shares, con remunerazione postergata ma potenzialmente più che proporzionale.

La Risposta desta talune perplessità nella parte in cui nega l’applicabilità della normativa sul carried interest (art. 60 del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, l’“Art. 60”) in ragione della presunta carenza del requisito della postergazione.

Tale chiarimento, da un lato, conferma le difficoltà interpretative derivanti dall’adattamento ai contesti societari di una disposizione chiaramente ispirata alle diverse logiche dei fondi di private equity e, dall’altro, testimonia il consolidarsi di posizioni restrittive da parte dell’Agenzia delle Entrate circa l’ambito applicativo del c.d. «safe-harbour».

2. I Requisiti dell’Art. 60

L’Art. 60 introduce, al rispetto di talune condizioni, una presunzione assoluta di qualificazione finanziaria dei redditi derivanti da azioni, quote o strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati (carried interest), indipendentemente dalla presenza di un eventuale collegamento con l’attività lavorativa prestata dal percettore.

Qualora l’emittente di tali azioni, quote o strumenti finanziari rafforzati sia una società, la qualificazione ex lege del carried interest come reddito finanziario (di capitale o diverso) è subordinata alla contestuale integrazione dei seguenti requisiti:

  1. il carried interest è percepito da dipendenti e/o amministratori (i) della società emittente le azioni, quote o strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati ovvero (ii) di soggetti ad essa legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo (il “Requisito Soggettivo”);
  2. i manager devono investire un importo almeno pari all’1% del valore economico del patrimonio netto della società emittente e l’investimento deve comportare un esborso monetario effettivo (il “Requisito dell’Investimento Minimo”);
  3. il carried interest deve maturare solo dopo che tutti i soci abbiano conseguito un ammontare pari al capitale investito maggiorato di un rendimento minimo predeterminato (c.d. hurdle rate) (il “Requisito della Postergazione”).
  4. i manager devono detenere le azioni, quote o strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati per un periodo non inferiore a cinque anni ovvero, se precedente al decorso del quinquennio, fino alla data in cui avviene il cambio di controllo (il “Requisito dell’Holding Period”).

L’assenza di uno dei suddetti requisiti non comporta l’automatica riqualificazione del carried interest come reddito di lavoro, ma rende necessario svolgere un’analisi volta a verificare caso per caso la sua natura.

3. La Risposta

La Risposta ha ad oggetto un piano di carried interest che prevedeva l’emissione delle seguenti categorie di azioni da parte di una società fiscalmente non residente in Italia:

  1. Preference Shares;
  2. Common Shares A”;
  3. Common Shares B” (insieme alle Common Shares A, “Common Shares).

Le Preference Shares e le Common Shares A (c.d. “Institutional Tranche”) erano state sottoscritte sia dall’investitore finanziario sia dai manager. Le Common Shares B erano state invece riservate ai manager[1].

L’ordine dei pagamenti in favore dei soci in caso di distribuzione da parte della società emittente (c.d. waterfall) risultava così articolato:

  1. restituzione del capitale investito ai titolari di Preference Shares;
  2. pagamento di un “Preference Dividend” in favore dei detentori di Preference Shares nella misura del 9% annuo[2];
  3. distribuzione dell’eventuale eccedenza (rispetto ai pagamenti di cui ai punti precedenti) per il 55% in favore dei titolari di Common Shares A e per il 45% in favore dei titolari di Common Shares B, fino a un importo massimo pari alla c.d. “Capital Return Thresold”;
  4. distribuzione dell’eventuale eccedenza rispetto alla Capital Return Thresold per l’85% in favore dei detentori di Common Shares A e per il 15% in favore dei titolari di Common Shares B.

Tenuto conto di quanto sopra, l’istante riteneva che:

  1. le Preference Shares e le Common Shares A fosseroequiparabili alle azioni ordinarie”, dal momento che “sono sottoscritte dai medesimi investitori nelle medesime proporzioni e pertanto [devono] considerarsi come unica categoria di azioni”; e
  2. le Common Shares B fossero “sostanzialmente equiparabili ad azioni con diritti patrimoniali rafforzati”, in virtù del rendimento postergato previsto dalla waterfall[3].

Su queste basi, l’istante chiedeva, in via principale, conferma che l’investimento effettuato nelle Common Shares B soddisfacesse i requisiti di cui all’Art. 60 o, in caso contrario e in subordine, che i relativi proventi si qualificassero in ogni caso come reddito di natura finanziaria.

Sotto il primo profilo, non accogliendo la soluzione interpretativa prospettata dal contribuente, l’Agenzia riteneva che:

  1. le Preference Shares e le Common Shares A non fossero equiparabili ad azioni ordinarie, tenuto conto che le seconde ricevono una remunerazione solo postergata ed eventuale rispetto alle prime[4]; e
  2. le Common Shares B non integrassero il Requisito della Postergazione, dal momento che attribuiscono il diritto a una remunerazione più che proporzionale prima che le Common Shares A abbiano conseguito il capitale più l’hurdle rate[5].

Ad avviso dell’Agenzia, dunque, la carenza del Requisito della Postergazione rendeva inapplicabile la presunzione di cui all’Art. 60 e, conseguentemente, la qualificazione fiscale del carried interest richiedeva un’analisi più generale delle caratteristiche specifiche del piano.

Sotto quest’ultimo profilo, l’Agenzia concludeva nel senso della qualificazione dei proventi derivanti dalle Common Shares B come redditi di natura finanziaria, valorizzando in particolare i seguenti aspetti: (i) la circostanza che la remunerazione del manager istante fosse in linea con il mercato, (ii) la congruità dell’ammontare investito in Common Shares B, (iii) la presenza di un meccanismo di vesting in virtù del quale l’istante acquisiva progressivamente le Common Shares B a titolo definitivo, a prescindere dall’eventuale interruzione del rapporto di lavoro e (iv) il fatto che la società emittente avesse il diritto di riacquistare le azioni unvested a fronte un corrispettivo pari al minore tra il costo di sottoscrizione e il valore di mercato (con conseguente esposizione al rischio di perdita del capitale investito da parte del manager).

4. Profili critici della Risposta: il Requisito della Postergazione nei piani con «prefs» e «ords»

I piani di carried interest basati sul modello in esame sollevano i seguenti dubbi interpretativi:

  1. se le ordinary(o common) shares si qualifichino come partecipazioni con diritti patrimoniali rafforzati ai sensi dell’Art. 60; e
  2. in relazione a quali categorie di partecipazioni debba essere verificato il Requisito della Postergazione, tenuto conto del fatto che tra i detentori di ordinary shares figurano generalmente anche soggetti diversi dai

Con riferimento al primo aspetto, sul quale l’Agenzia delle Entrate non si è espressa[6], si propende per una soluzione affermativa.

Infatti, la sussistenza di diritti patrimoniali rafforzati dovrebbe dipendere dal rendimento potenzialmente più che proporzionale delle partecipazioni, anziché dal nomen juris delle partecipazioni stesse (i.e., se “ordinarie”, “speciali”, “privilegiate” ecc.). Ebbene, nei piani in esame (ossia con caratteristiche similari al piano della Risposta), il rendimento più che proporzionale delle Common Shares deriva – nei fatti – dalla cascata dei pagamenti (waterfall): una volta ottenuto il capitale investito e il rendimento minimo predeterminato, i titolari di Preference Shares sono esclusi dalle distribuzioni dei proventi residui, che vengono integralmente destinati ai (soli) titolari di Common Shares.

In relazione al secondo profilo, l’Agenzia delle Entrate ha negato la sussistenza del Requisito della Postergazione in capo alle Common Shares B, focalizzandosi sulla circostanza che, in base alla waterfall, le stesse siano remunerate contestualmente alle Common Shares A e, dunque, senza che i titolari di queste ultime abbiano prioritariamente recuperato il capitale investito e ottenuto un rendimento minimo.

Tuttavia, ad avviso di chi scrive, le Common Shares – nella loro interezza – dovrebbero essere considerate a tutti gli effetti partecipazioni con diritti patrimoniali rafforzati. Ciò in quanto, alla luce degli economics del piano, le Common Shares «catturano» pro-quota tutti i proventi che residuano dopo la iniziale remunerazione delle Preference Shares e, pertanto, incorporano il diritto di ottenere (a seconda dei ritorni complessivi dell’investimento) un potenziale extra-rendimento, ossia un rendimento più che proporzionale rispetto alla relativa quota di partecipazione al capitale sociale. Nel caso di specie, ciò vale tanto per le Common Shares B, quanto per le Common Shares A, sebbene queste ultime risultino detenute, oltre che da manager, anche dall’investitore finanziario / sponsor dell’operazione.

Su queste basi, si ritiene che la sussistenza di un rendimento minimo andrebbe verificata avendo riguardo unicamente alle Preference Shares, ossia alle partecipazioni prive di diritti patrimoniali rafforzati, che, in ottica economica, «sopportano» il carried interest. Diversamente ragionando, ossia estendendo la verifica alle Common Shares (o Ordinary Shares), si finirebbe per richiedere l’ottenimento (o, per meglio dire, l’esplicitazione nello statuto della società emittente) di un rendimento minimo anche in relazione agli strumenti finanziari portatori di carried interest; conclusione che risulterebbe non in linea con la ratio stessa del Requisito della Postergazione[7].

Peraltro, il fatto che le partecipazioni con diritti patrimoniali rafforzati siano state sottoscritte anche da investitori diversi dai manager (come è il caso delle Common Shares A nel piano oggetto della Risposta) dovrebbe suffragare la qualificazione come redditi di natura finanziaria dei proventi derivanti dalle Common Shares (A e B) in capo ai manager, nell’ambito della valutazione effettuata al di fuori dell’Art. 60. E ciò in quanto la stessa Agenzia delle entrate, che pure non sembra aver valorizzato tale aspetto nella Risposta, ha chiarito come “l’eventuale detenzione di strumenti finanziari aventi le medesime caratteristiche da parte degli altri soci (al pari del management), può essere un indicatore della natura finanziaria del reddito in questione nella misura in cui riflette la remunerazione del rischio di perdita assunto con l’investimento[8].

5. Conclusioni

La Risposta conferma ulteriormente le difficoltà interpretative connesse all’applicazione dell’Art. 60 in contesti societari. Questa circostanza risulta tuttavia antitetica alla ratio ispiratrice della disposizione, che è stata introdotta proprio con lo scopo di garantire maggiore certezza del diritto in materia. In tale contesto, si rende dunque necessario investigare la natura reddituale del carried interest (anche) al di fuori del safe-harbour.

Per quanto attiene specificamente all’inapplicabilità del safe harbour in relazione ai piani di carried interest in esame, è auspicabile che l’Agenzia riconsideri la propria posizione. La questione riveste particolare rilevanza considerata la crescente diffusione di tali piani nel settore del private equity, soprattutto su impulso dei fondi di investimento esteri, che intendono comprensibilmente replicare sulle portfolio company italiane gli stessi termini economici adottati per allineare gli interessi del management delle portfolio company estere.

Nel frattempo, ai contribuenti non resterà che effettuare un’analisi caso per caso delle caratteristiche dell’investimento, attraverso una valutazione complessiva degli elementi in grado di influenzare la natura del reddito, se del caso attraverso la presentazione di una istanza di interpello.

 

[1] In particolare, il manager istante aveva investito in tutte le categorie di azioni elencate. L’istante rappresentava altresì che l’investimento complessivo dei manager risultava superiore all’1 per cento del valore economico della società emittente.

[2] La risposta non si sofferma sulla qualificazione fiscale (quali strumenti similari alle azioni o meno) delle Preference Shares. Come noto, infatti, secondo l’Agenzia delle Entrate, ai fini dell’assimilazione alle azioni, le partecipazioni nonché gli strumenti finanziari emessi da soggetti non residenti devono presentare le seguenti caratteristiche: a) la relativa remunerazione deve essere costituita esclusivamente da utili, ossia essere rappresentativa di una partecipazione ai risultati economici della società emittente; b) tale remunerazione deve essere totalmente indeducibile dal reddito della società emittente secondo le regole del Paese estero di residenza. La verifica del primo requisito potrebbe presentare talune criticità in relazione alla Preference Shares alla luce dei relativi diritti patrimoniali.

[3] Per l’istante, infatti, le Common Shares B ottengono un ritorno del capitale solo successivamente alla restituzione del capitale investito da parte degli investitori nelle “Preference Shares” (cui, come sopra indicato, vanno aggiunte, a questi fini, le “Common Shares A”) nonché dei dividendi preferenziali associati alle “Preference Shares””.

[4] Secondo l’Agenzia delle Entrate, le Preference Shares e le Common Shares A “in realtà, prevedono diversi diritti patrimoniali; in particolare, le ‘‘Common Shares A’’ ricevono una remunerazione postergata e solo eventuale rispetto a quanto previsto per le ‘‘Preference Shares’’ che sono remunerate prioritariamente rispetto alle altre categorie di azioni.

[5] Ciò sul presupposto che, al fine di beneficiare della presunzione di cui all’Art. 60, il carried interest debba maturare solo dopo che tutti i soci abbiano conseguito un ammontare pari al capitale investito maggiorato di un rendimento minimo.

[6] A ben vedere, un piano con caratteristiche analoghe era già stato sottoposto all’Agenzia delle entrate (cfr. risposta n. 565/2020). In tale occasione, dopo aver dedotto che “indirettamente ci troviamo in presenza di quote con diritti patrimoniali rafforzati”, l’istante non era stato in grado di dimostrare l’integrazione del Requisito dell’Investimento Minimo e riteneva altresì non soddisfatto il Requisito dell’Holding Period. Pertanto, in tale occasione, la risposta dell’Agenzia si era focalizzata sulla qualificazione del carried interest al di fuori dell’ambito applicativo dell’Art. 60.

[7] La relazione al disegno di legge di conversione del Decreto- legge (A.S. 2853) osserva che “i diritti patrimoniali ‘rafforzati’ sono di norma accompagnati da condizioni e clausole che garantiscono un certo ritorno minimo agli altri investitori ed un differimento nel tempo nella distribuzione degli utili a tali soggetti”.

[8] Circolare n. 25/E del 16 ottobre 2017.

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