Con la risposta n. 196/2024 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito all’imposizione fiscale applicabile agli interessi realizzati attraverso operazioni di peer-to-peer lending (P2P).
In particolare, il P2P lending è un sistema di prestiti tra privati, facilitato da piattaforme online che mettono in contatto diretto chi ha bisogno di un prestito con chi è disposto a finanziare, senza l’intermediazione di intermediari finanziari.
Dal punto di vista tributario, le operazioni di P2P sono disciplinate dall’art. 1, commi 43 e 44 della Legge di Bilancio 2018 (L. 205/2017), che considera i redditi derivanti da tali investimenti come “redditi di capitale” ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera d-bis), del TUIR, soggetti a una ritenuta alla fonte del 26% a titolo d’imposta.
Tuttavia, perché tale disciplina si applichi, occorre che il prestatore del denaro sia una persona fisica al di fuori dell’attività d’impresa e che la piattaforma sia gestita da un intermediario finanziario o istituto di pagamento autorizzato dalla Banca d’Italia, ai sensi degli articoli 106 o 114 del TUB.
Nel caso specifico, l’istante, un istituto di pagamento iscritto all’albo di cui all’art. 114-septies del TUB, aveva stipulato, in qualità di soggetto responsabile della gestione e della effettuazione delle ritenute fiscali, un contratto di co-gestione di una piattaforma P2P con un’altra società, operante come “gestore primario della piattaforma”.
Quest’ultima, incaricata di fornire a finanziatori e richiedenti i servizi propedeutici alla conclusione dei contratti di finanziamento, era però priva dei requisiti soggettivi previsti dall’art. 44, comma 1, lettera d-bis) del TUIR. Peraltro, il contratto prevedeva espressamente che la partecipazione dell’istante nella gestione fiscale fosse facoltativa e dipendente dalla volontà degli utenti.
Domandava l’istante se la propria qualifica di istituto di pagamento autorizzato fosse sufficiente a qualificare i proventi realizzati tramite la piattaforma come redditi di capitale di cui all’art. 44, comma 1, lettera d-bis) del TUIR, applicando la ritenuta d’imposta, ed esonerando i finanziatori da obblighi dichiarativi, nonostante il proprio ruolo di co-gestore responsabile della gestione e dell’effettuazione delle ritenute fiscali.
L’Agenzia delle Entrate ha risposto negativamente al quesito, concludendo che, nonostante l’istante fosse un istituto di pagamento autorizzato, la sua partecipazione alla piattaforma di peer-to-peer lending non è sufficiente per soddisfare i requisiti previsti dall’art. 44, comma 1, lettera d-bis), del TUIR.
Esaminato il contratto, l’Agenzia ha rilevato come il ruolo dell’istante nell’attività di gestione della piattaforma fosse eventuale e facoltativo, dipendendo dalla volontà degli utenti della piattaforma stessa, la quale rimaneva principalmente affidata a un soggetto privo delle necessarie autorizzazioni ai sensi del TUB.
Per questo motivo, l’Agenzia ha concluso che l’istante sia privo dei requisiti per qualificarsi come gestore ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera d-bis), del TUIR e che, di conseguenza, non potrà effettuare la ritenuta del 26% a titolo di imposta sui proventi erogati.
Come chiarito nella Risposta n. 689/2021, gli interessi corrisposti dalla piattaforma ai finanziatori rientrano comunque nella categoria dei redditi di capitale.
Tuttavia, ad essi troverà applicazione il regime di cui all’art. 26 comma 5 del DPR 600/1973, secondo cui il pagatore effettua una ritenuta alla fonte a titolo d’acconto, nella misura del 26%, che, come tale, non esaurisce gli oneri dichiarativi ai fini IRPEF posti in capo ai percipienti.