La Corte di Cassazione, Sezione Terza penale, con sentenza n. 34996 del 15 maggio 2024 (Pres. Ramacci, Rel. Aceto), si è pronunciata sulla legittimazione del socio ad impugnare il sequestro preventivo dei beni della società.
La Corte, nella sentenza in commento, afferma il seguente principio di diritto:
l’autonomia patrimoniale delle società di persone esclude che il socio possa, in quanto tale, agire in giudizio per la restituzione dei beni che appartengono alla società della quale non abbia la legale rappresentanza.
La Corte ricorda infatti che certamente nelle società in nome collettivo la legale rappresentanza spetta a ciascun socio se non è diversamente pattuito (artt. 2257, 2266, 2293 C.c.) ma, nel caso di specie, è il ricorrente stesso ad aver escluso in modo espresso di essere il legale rappresentante della società.
La Corte, prima di analizzare il caso specifico relativo alle società di persone, approfondisce in prima battuta il tema della legittimazione processuale e sostanziale ad impugnare in generale i provvedimenti di sequestro/confisca, e, in seconda battuta, nello specifico, dei provvedimenti ablativi che colpiscano le società.
La legittimazione ad impugnare, afferma preliminarmente la Corte, attribuita all’imputato/persona sottoposta alle indagini dall’art. 322, c. 1, C.p.p., deve essere coniugata con il principio secondo il quale per proporre impugnazione è necessario avervi interesse, ai sensi dell’art. 568, c. 4, C.p.p.
L’interesse ad impugnare, come precisato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto, deve essere concreto ed attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l’impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente.
La specificazione di cui al comma quarto dello stesso art. 568 C.p.p., secondo cui per impugnare occorre avervi interesse, rende chiara per la Corte l’intenzione del legislatore di distinguere la legittimazione a proporre impugnazione, dall’interesse ad impugnare: l’impugnazione è lo strumento processuale per ottenere un risultato concreto che può essere utilizzato solo da chi è legittimato a servirsene; sicché l’impugnazione è inammissibile quando è proposta da chi non è legittimato o, pur essendolo, non vi abbia interesse.
Nel caso di specie, il ricorrente non è proprietario dei beni in sequestro dei quali non potrebbe mai essere disposta la restituzione in suo favore: egli perciò, ancorché persona sottoposta alle indagini (quindi astrattamente legittimato a proporre impugnazione), persegue un interesse di mero fatto, che rende privo di concretezza e attualità l’interesse a proporre sia il riesame, che l’odierno ricorso.
La giurisprudenza aveva già precisato sul punto che il singolo socio non è legittimato ad impugnare i provvedimenti in materia di sequestro preventivo di beni di proprietà di una società, attesa la carenza di un interesse concreto ed attuale, non vantando egli un diritto alla restituzione della cosa o di parte della somma equivalente al valore delle quote di sua proprietà, quale effetto immediato e diretto del dissequestro (Sez. 2, n. 29663 del 04/04/2019).
La Corte, dopo aver posto tali principi in premessa, valuta la loro applicazione alle società di persone prive di personalità giuridica.
Per la Corte, le società di persone, pur non avendo personalità giuridica ma soltanto autonomia patrimoniale, costituiscono un autonomo soggetto di diritto, che può essere centro di interessi e d’imputazione di situazioni sostanziali e processuali distinte da quelle riferibili ai singoli soci, i quali, pertanto, non sono legittimati ad agire in proprio per gli interessi della società stessa.
A prescindere dal titolo dell’acquisto, i beni costituenti patrimonio della società in nome collettivo sono di proprietà della società e, anche se si tratta di beni conferiti a titolo di godimento, il socio proprietario non può farne uso per scopi estranei a quelli societari (art. 2256 C.c.).
Come chiarito da giurisprudenza più risalente, il capitale sociale traduce in cifra precisa (suscettibile di norma di variazione nella sua entità giuridica e contabile solo a seguito di modifica nelle forme legali dell’atto che lo abbia determinato) l’ammontare complessivo degli apporti dei soci all’atto della costituzione, mentre il patrimonio sociale invece è formato dal complesso dei diritti ed obblighi, dai rapporti giuridici attivi e passivi che, nel corso della gestione, vengano man mano ad accentrarsi nella società ed è pertanto soggetto alle fluttuazioni e trasformazioni determinate dalle esigenze e dagli effetti della realtà economica; identifica in sostanza il complesso dei beni dei quali, in quel momento specifico, la società è titolare.
I beni costituenti il patrimonio sociale appartengono alla società e non al singolo socio, il quale non può dunque chiederne la restituzione o rivendicarne la proprietà.
Nel caso in esame, oggetto di sequestro sono i beni aziendali e, dunque, il patrimonio sociale della società: il socio, pertanto, che non sia anche legale rappresentante della società di persone, non è legittimato a chiederne la restituzione, non potendo egli far valere in giudizio situazioni soggettive che non gli appartengono.
Sicuramente residuerebbe la possibilità che egli vanti su taluni beni diritti suoi propri che, in base al titolo della loro attribuzione alla società, gli consentano di ottenerne la restituzione immediata, ma la Corte sottolinea che tale circostanza non è stata mai dedotta, nemmeno in sede di merito.