Il presente contributo analizza la nozione ed il ruolo degli amministratori “indipendenti” negli intermediari vigilati.
[ * ] 1. Premessa
Nel settore degli intermediari vigilati il ruolo dell’amministratore indipendente è automaticamente accostato, come peraltro nel resto dell’ordinamento (ad esempio con riferimento alle società quotate), a quello dell’amministratore non esecutivo. Secondo la dottrina[1], l’amministratore indipendente, in altri termini, non potrebbe che essere non esecutivo. Non solo, v’è di più: secondo un più recente orientamento (v. infra) se l’intermediario, circostanza invero frequente soprattutto presso gli intermediari vigilati di contenute dimensioni, riconosce ad un amministratore indipendente la responsabilità, in virtù di una delega, di una funzione di controllo di secondo (funzione di conformità, di gestione del rischio, in ambito antiriciclaggio) o di terzo livello questi allora perde per ciò solo i requisiti di indipendenza.
Ebbene, entrambe le affermazioni, che peraltro, come si vedrà trovano oggi conforto in esplicite previsioni di vigilanza[2], a modesto parere di chi scrive, non tengono adeguatamente separati i requisiti, per così dire, soggettivi, per poter qualificare un amministratore come indipendente rispetto al “gruppo di comando” della società di capitali con quelli, oggettivi, per poter qualificare un amministratore come più o meno operativo all’interno della società e, ancora esecutivo o non esecutivo. Vi sarebbero, al contrario, ragioni sostanziali che propendono per una differenziazione delle due figure e, addirittura, per la possibilità di immaginare (non solo amministratori indipendenti non esecutivi ma anche) un amministratore indipendente con prerogative esecutive.
Spesso i consiglieri indipendenti di intermediari sono chiamati dalla stessa disciplina di vigilanza a valutare nel merito e approvare, con il loro voto decisivo ed in luogo degli amministratori non indipendenti, operazioni di finanziamento, contratti di esternalizzazione, acquisti di mobili ed immobili: si pensi, ad esempio, alla disciplina delle operazioni con parti correlate[3] e, più generale, ai presidi normalmente immaginati dagli intermediari per gestire operazioni in conflitto, in relazione alle quali si chiede ad un comitato di amministratori indipendenti di esprimere “un parere preventivo e motivato sull’interesse della società al compimento dell’operazione nonché sulla convenienza” della stessa[4]. Occorre infatti ricordare che, diversamente dalla disciplina di diritto comune, l’art. 6, comma 2 novies del d.lgs 58/98 impone ai consiglieri in conflitto di intermediari di astenersi dal votare nelle situazioni di conflitto di interessi; sovente, poi, le operazioni poste in essere con il voto decisivo degli amministratori indipendenti sono operazioni anche straordinarie e di impatto assolutamente significativo per l’intermediario.
Analogamente, nelle prassi operative degli intermediari, gli amministratori indipendenti sono chiamati in misura crescente a sindacare e approvare nel merito politiche di remunerazione, a svolgere il ruolo di responsabili in ambito “ESG”, ad esaminare piani delle funzioni di controllo, a coordinare e supervisionare le funzioni di controllo. In molti casi anzi, proprio l’attribuzione di funzioni di controllo a consiglieri appare in linea con le aspettative della Banca d’Italia che auspicano un’assenza di subordinazione gerarchica delle funzioni di controllo rispetto alla linea esecutiva che si realizza al suo massimo livello nella individuazione di un responsabile o un referente di una funzione di controllo in Consiglio di Amministrazione tra gli amministratori indipendenti. Si pensi anche alla best practices di individuare in consiglio un responsabile ESG.
Ancora, il consigliere indipendente assume un ruolo operativo e decisorio attivo nel mercato della società di gestione del risparmio che operano nel settore dei fondi comuni di investimento alternativi riservati allorquando il Consiglio di amministrazione è chiamato, ad esempio, ad: (i) approvare investimenti per conto degli OICR in gestione che sono stati o saranno a loro volta oggetto di investimento a titolo personale dei key man o degli azionisti della SGR; (ii) chiedere consulenze a supporto dell’investment team a società “vicine” ai soci di riferimento della SGR; (iii) scegliere investimenti che sono stati a diverso titolo segnalati da anchor investor degli OICR in gestione[5].
Orbene, in tutti questi casi il ruolo dei consiglieri indipendenti può essere proprio visto come avente carattere operativo/esecutivo, mentre, come si vedrà, sia la disciplina di vigilanza sia la dottrina maggioritaria riconoscono un ruolo necessariamente non esecutivo a tali consiglieri, con ciò non rammentando la ratio, la funzione e l’origine dell’istituto dell’amministratore indipendente.
L’evoluzione normativa è poi giunta al punto, come si è detto, che anche le deleghe all’amministratore indipendente relative alla responsabilità di funzioni di controllo dell’intermediario (compliance, audit, risk management), dunque concernenti in sostanza l’effettuazione di controlli, cc.dd. di secondo e di terzo livello, sulla gestione esecutiva dell’intermediario, e che perciò sino a qualche anno or sono erano ritenute dalla prevalente letteratura “nelle corde” di tale ruolo, farebbero per ciò solo venir meno il carattere indipendente e il ruolo non esecutivo del consigliere in questione.
Tale automatismo, ovvero il fatto che il consigliere indipendente che riceva responsabilità anche in merito a funzioni di controllo divenga necessariamente consigliere esecutivo necessariamente non indipendente viene peraltro confermato e ancor più esplicitato anche nel recente provvedimento organizzazione in ambito antiriciclaggio su cui si veda infra. Se gli amministratori indipendenti non possono avere né funzioni esecutive né deleghe non esecutive relative al controllo dell’intermediario, a quale ruolo sono chiamati? E, ancora, se un amministratore può deliberare operazioni con parti correlate ai sensi della disciplina di vigilanza restando indipendente perché allora egli perde questo requisito se viene nominato esponente in ambito antiriciclaggio?
2. Sulla nozione di amministratore indipendente nell’ordinamento positivo
Anche se non esiste nel nostro ordinamento una disciplina univoca e sistematica di amministratore indipendente[6], si individuano diverse definizioni di tale istituto[7]. Un richiamo è presente, come noto, all’art. 2409-septiesdecies c.c., comma secondo, del Codice Civile, laddove si impone ad un terzo dei componenti il Consiglio di Amministrazione delle società per azioni che adottano il sistema di governance monistico di avere i requisiti di indipendenza previsti per i sindaci dall’art. 2399 del c.c.[8].
Un altro richiamo ai requisiti del consigliere indipendente è contenuto nell’art. 147-ter, quarto comma, del d.lgs. 58/98, in relazione al Consiglio di Amministrazione delle società per azioni quotate composto da più di sette membri; anche in questo caso vengono imposti per alcuni consiglieri i requisiti previsti per i componenti del Collegio sindacale, in questo caso dall’art. 148 del d.lgs. 58/98. A parziale integrazione di tale previsione, il Codice di autodisciplina delle società quotate introduce requisiti più puntuali affinché i consiglieri possano dirsi indipendenti. Anche in questo caso, rinviando per il dettaglio alla norma in esame, si tratta di requisiti “soggettivi” ovvero volti a verificare l’assenza di legami sostanziali tra l’amministratore in questione e il “gruppo azionario di comando” della società; ciò in quanto questi legami potrebbero impedire un libero convincimento del consigliere.
In ambito bancario, la nozione di amministratore indipendente fornita in materia di operazioni con parti correlate dalla Circolare della Banca d’Italia n. 285 appare invero ribadire la connotazione soggettiva del consigliere indipendente: è considerato consigliere indipendente “l’amministratore, il consigliere di gestione o di sorveglianza che non sia controparte o soggetto collegato ovvero abbia interessi nell’operazione ai sensi dell’art. 2391 c.c., in possesso del requisito di indipendenza previsto dalla normativa di attuazione dell’art. 26 TUB”[9].
Nemmeno il regolamento della Banca d’Italia del 5 dicembre 2019 imponeva che i consiglieri indipendenti fossero non esecutivi e anzi una disposizione, ancora vigente, pare fornire indicazioni più in linea con il requisito esclusivamente “soggettivo” del consigliere indipendente: gli amministratori indipendenti “vigilano con autonomia di giudizio sulla gestione sociale, contribuendo ad assicurare che essa sia svolta nell’interesse della società e in modo coerente con gli obiettivi di sana e prudente gestione. I consiglieri indipendenti possiedono professionalità e autorevolezza tali da assicurare un elevato livello di dialettica interna all’organo di appartenenza e da apportare un contributo di rilievo alla formazione della volontà del medesimo”. Questa previsione, anzi, pare incentivare il coinvolgimento attivo-operativo del consigliere indipendente.
A bene vedere nemmeno il già citato codice di autodisciplina delle società quotate arrivava ad imporre un tale vincolo: l’art. 3 del codice recita (tuttora) infatti che “un numero adeguato di amministratori non esecutivi sono indipendenti, nel senso che non intrattengono, né hanno di recente intrattenuto, neppure indirettamente, con l’emittente o con soggetti legati all’emittente, relazioni tali da condizionarne attualmente l’autonomia di giudizio”. La norma in questione imponeva dunque che vi fosse un numero minimo di amministratori non esecutivi indipendenti ma non qualificava espressamente, come invece fa il già citato decreto ministeriale, tutti gli amministratori indipendenti necessariamente come non esecutivi, con la conseguenza che era ancora possibile, ad avviso di chi scrive, immaginare che un amministratore indipendente potesse essere esecutivo e, soprattutto, che un amministratore indipendente non perdesse tale connotato per il fatto di ricevere una delega in materia di funzioni di controllo dell’intermediario.
Dunque, sia il Codice Civile, sia le disposizioni della Banca d’Italia sino a qui esaminate sembrano concentrare i requisiti del consigliere indipendente su quelle caratteristiche “soggettive” che impongono, in sintesi, l’assenza di legami significativi con “il gruppo di comando della società” e non paiono, invece, salvo per l’accenno contenuto nel codice di autodisciplina, circoscrivere le attività che il consigliere può svolgere in seno all’organo di gestione e supervisione strategica dell’intermediario. Alcune di queste norme sembrano piuttosto incoraggiare e riconoscere, come visto, l’attribuzione a questi amministratori di ruoli operativi, anche ma non soltanto riferiti alle funzioni di controllo dell’intermediario.
È invece la più recente definizione normativa di amministratore indipendente che è stata positivizzata nell’ordinamento bancario e degli intermediari finanziari che introduce, peraltro parzialmente in linea con un risalente orientamento della Consob[10], in capo al consigliere indipendente requisiti non più soltanto “soggettivi” ma anche appunto “oggettivo-funzionali”, relativi cioè all’attività che egli andrà a svolgere presso l’intermediario: il carattere necessariamente non operativo-esecutivo del suo mandato, nemmeno in ambito controlli interni. Si legge infatti nel d.m. n. 169/2020 che “si considera indipendente il consigliere non esecutivo [“enfasi aggiunta”] [..]”. Ebbene, tale previsione, letta in combinato disposto con la circolare n. 285 che dispone che sono componenti esecutivi del consiglio inter alia “i consiglieri che sono membri del comitato esecutivo, o sono destinatari di deleghe o svolgono, anche di mero fatto, funzioni attinenti alla gestione dell’impresa”, produce proprio l’effetto di estromettere appunto il consigliere indipendente da mansioni operative.
In maniera ancor più netta il Provvedimento della Banca d’Italia recante Modifiche alle “Disposizioni della Banca d’Italia in materia di organizzazione, procedure e controlli interni per finalità antiriciclaggio” afferma che l’amministratore che assume la delega, il ruolo di esponente antiriciclaggio diviene consigliere esecutivo (“ferma restando la responsabilità collettiva degli organi aziendali, i destinatari nominano un componente dell’organo di amministrazione quale esponente responsabile per l’antiriciclaggio. L’incarico ha natura esecutiva”)[11].
La conseguenza delle norme appena citate è che, restando nell’ordinamento bancario, ad esempio, l’esponente esperto in ambito antiriciclaggio o con delega che consegue all’assunzione di una responsabilità di una o più funzioni di controllo, che, ai sensi di altre disposizioni di vigilanza, si considera consigliere esecutivo diviene sic et simpliciter non indipendente sulla base della sopra riportata equiparazione normativa contenuta nel decreto ministeriale.
3. Conclusioni.
Si è detto che mentre il requisito “soggettivo” del consigliere indipendente – che, diversamente declinato, può individuarsi nell’assenza di legami rispetto al “gruppo di comando” della società – si rinviene in tutte le succitate nozioni dell’istituto nel nostro ordinamento, il requisito “funzionale” o “oggettivo” della non operatività/esecutività del suo incarico si incontra esclusivamente nelle due norme sopra citate; le altre norme dell’ordinamento bancario, al contrario, attribuiscono un ruolo operativo ai consiglieri indipendenti, specie con riguardo al possibile loro coinvolgimento nell’ambito dei controlli interni. Si veda il già citato caso, per menzionarne uno tra tutti, del loro ruolo attivo, operativo ed esecutivo, nelle delibere consiliari in cui un consigliere versi in situazioni di conflitto di interessi.
Una conferma dell’esclusività del requisito “soggettivo” sopra individuato perché un amministratore si possa qualificare come indipendente può rinvenirsi anche se si guarda alla genesi dell’istituto. L’esigenza di ricorrere ad amministratori indipendenti nasce e si consolida nel mondo anglosassone[12] e raggiunge il suo apice nel “Serbanes-Oxley Act” con la richiesta, addirittura, che il consiglio di amministrazione delle cc.dd. public company debba essere composto interamente da amministratori indipendenti[13]. Condivisa l’impraticabilità di una trasposizione “secca” di questa disposizione, peraltro criticata anche nell’ordinamento anglosassone, nel nostro ordinamento[14] occorre comunque quantomeno rilevare che il consigliere indipendente non nasce per non essere operativo, anzi: il consigliere indipendente avrebbe dovuto piuttosto attivamente “mettere al riparo” le decisioni societarie dal rischio che le stesse venissero assunte nell’interesse, non della società stessa, ma del gruppo di appartenenza.
Ed, in effetti, in linea con le opinioni qui evidenziate si colloca un interessante dottrina, invero antecedente alle disposizioni sopra citate e che giunge a conclusioni ancor più “dirompenti” sull’assenza di limiti alla funzione e al ruolo dell’amministratore indipendenteche fa presente che “l’eventuale affidamento di incarichi esecutivi sembrerebbe essere, nel nostro ordinamento, astrattamente compatibile con l’indipendenza degli amministratori: lo svolgimento di un’attività operativa, infatti, non potrebbe portare, di per sé, ad un’alterazione di quella (particolare) autonomia di giudizio che a costoro si richiede. Su aspetti differenti, in altre parole, si gioca la partita dell’indipendenza degli amministratori in Italia. È necessario, d’altra parte, rilevare che gli indipendenti sono pur sempre ordinari consiglieri di amministrazione e in quanto tali risultano dotati di tutte le prerogative e dei doveri tipici di questo ufficio. Alle competenze più propriamente amministrative si sommano, tuttavia, quelle relative al monitoraggio dell’attività degli esecutivi, sì che nel bilanciamento fra tali diverse “anime” deve rintracciarsi un equilibrio proporzionato idoneo a garantire un’armonica fusione fra le due funzioni”[15].
Del resto, l’esigenza, più volte sottolineata dalla più attenta dottrina e anche dalla Banca d’Italia nelle disposizioni di vigilanza[16], di una crescente dialettica in Consiglio di Amministrazione e della necessità di una valutazione critica delle proposte degli amministratori emanazione della maggioranza non può che presuppore, tra le altre cose, un crescente coinvolgimento attivo degli amministratori indipendenti. Proprio questo ruolo attivo viene richiesto in effetti agli amministratori indipendenti dalla Circolare n. 285 della Banca d’Italia, ove si chiarisce che “essi devono possedere professionalità e autorevolezza tali da assicurare un elevato livello di dialettica interna all’organo di appartenenza e da apportare un contributo di rilievo alla formazione della volontà del medesimo”. Questa disposizione, frutto di una pregevole riflessione sistematica del regolatore sulla corporate governance ideale degli intermediari e poi trasfusa nella Circolare n. 285, come si nota, pone l’accento, come qui si è fatto, sui requisiti “soggettivi” dell’amministratore indipendente senza però in alcun modo limitare le funzioni che tale amministratore può essere chiamato a svolgere in seno al Consiglio ed anzi auspicando il coinvolgimento degli amministratori indipendenti anche nell’ambito delle funzioni di controllo interno degli intermediari. A bene vedere, anzi, si legge nelle già citate disposizioni quanto segue: “d’altronde, se, da un lato, una volta ammessi membri non esecutivi, l’eventuale caratteristica di indipendenza di alcuni di questi potrebbe apportare una ulteriore qualificazione alla loro attività, dall’altro non si può certo escludere che, nella prassi, l’operatività del consiglio di gestione coinvolga funzioni di controllo che meglio possono essere presidiate da amministratori indipendenti” [enfasi aggiunta]”. Orbene, essendo allora auspicabile che l’amministratore indipendente venga coinvolto (almeno) nella supervisione delle funzioni di controllo interno di secondo e terzo livello, nel caso degli intermediari minori non bancari potendo assumere anche la responsabilità di tali funzioni anche in ambito antiriciclaggio, ciò appare non coerente con le citate disposizioni in ambito antiriciclaggio e requisiti di idoneità degli esponenti aziendali che finiscono per escludere, per effetto del combinato disposto di norme già citate (l’amministratore indipendente deve essere non esecutivo insieme alla norma che dispone la natura esecutiva dell’amministratore nominato esponente in ambito antiriciclaggio come pure dell’amministratore cui viene attribuita la responsabilità della funzione di conformità alle norme, gestione del rischio o revisione interna) che tali amministratori restino indipendenti.
In conclusione, prescindendo da considerazioni circa l’effettiva volontà del regulator di produrre gli effetti sopra citati, la disciplina di vigilanza potrebbe, in una prospettiva de jure condendo, per le ragioni sistematiche e di coerenza sopra evidenziate, esplicitamente contemplare la possibilità che il consigliere indipendente possa ben essere destinatario quantomeno di deleghe relative alle funzioni di controllo senza che ciò comprometta la sua possibilità di restare indipendente. Ciò in linea con l’esigenza di arricchire e rafforzare il contraddittorio in seno al Consiglio di Amministrazione, anche al fine di contenere il ruolo, talvolta egemone, dell’Amministratore delegato ovvero del Comitato esecutivo in seno al Consiglio.
* Si ringraziano gli avvocati Teresa Mattioli e Debora Motta per il supporto e per la lettura critica del presente articolo.
[1] Si vedano sul punto i riferimenti esposti infra contenuti nel d.m. 169/2020 e, in parte, nel codice di autodisciplina delle società quotate su cui si tornerà infra. La dottrina sugli amministratori indipendenti è consistente, anche se pochi risultano interrogarsi sul tema che qui occupa e molti si concentrano piuttosto sui requisiti soggettivi di tale consigliere; si rinvia a P. Manzoni, Gli amministratori indipendenti nel nuovo codice di autodisciplina, Giur. Comm., fasc.2, 2022, pag. 227; A. Pisani-Massamormile, Appunti sugli amministratori indipendenti, Rivista del diritto societario, 2008, 2, 247 e ss.; Reboa, Il monitoring board e gli amministratori indipendenti, in Giurisprudenza Commerciale, 2010, I, 662 ss; A.M. Luciano, Amministratori indipendenti ed incarichi esecutivi, in Rivista del diritto societario, vol. 2, 2012; Assonime, Report on Corporate Governance in Italy: the implementation of the Italian Corporate Governance Code (2020), dicembre 2020, 14 s; la dottrina è in effetti sostanzialmente unanime nel ritenere, anche prima dell’entrata in vigore del decreto ministeriale sui requisiti di professionalità e onorabilità degli esponenti di banche del 2020, su cui infra, nel riconoscere un ruolo esclusivamente non esecutivo ai consiglieri indipendenti. Sul punto v. Ferrarini-Filippelli, Independent directors and controlling shareholders around the world, in ECGI Working Paper Seriesin Law, Working Paper n. 258/2014; Tombari, Amministratori indipendenti, “sistema dei controlli” e corporate governance: quale futuro, in Banca borsa tit. cred., 2012, 506 ss.; P. Ferro Luzzi, Per una razionalizzazione del concetto di controllo, a cura di Bianchini-Di Noia, I controlli societari. Molte regole, nessun sistema, Milano, 2010, 115 ss.; R. Rordorf, Gli amministratori indipendenti, in Giur. Comm., 2007, I, 143 ss., ove si rimarca come la «distinzione dei compiti di amministrazione da quelli di vigilanza e controllo present[i] minori aree di sovrapposizione di quanto non finisca per essere ora da noi». Cfr. anche F.A. Grassini, C’è un ruolo per gli amministratori indipendenti?, in Merc. conc. reg., 2004, 427 ss.; L. Calvosa, Alcune riflessioni sulla figura degli amministratori indipendenti, in F. Annunziata (a cura di), Il Testo Unico della Finanza. Un bilancio dopo 15 anni, Milano, 2015, 45. G. Ferrarini, La corporate governance e il risparmio gestito, Ruolo degli amministratori indipendenti e Lead Independent Director, in Quaderni di ricerca, n. 27, Assogestioni, 2006, p. 35 ss; ID, Funzione del consiglio di amministrazione, ruolo degli indipendenti e doveri fiduciari, in Bianchi-Di Noia, I controlli societari: molte regole, nessun sistema, Milano, 2010, pagg. 49 ss; Ferro-Luzzi, Indipendente… da chi; cosa, in Riv. soc., 2008, 204 ss.; Regoli, Gli amministratori indipendenti, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, II, Torino, Utet, 2006, 385 ss.; Id., Gli amministratori indipendenti tra fonti private e fonti pubbliche e statuali, in Riv. soc., 2008, 382 ss.; Id., Gli amministratori indipendenti nei codici di autodisciplina europei, in Riv. dir. soc., 2007, 134 ss.; Salanitro, Nozione e disciplina degli amministratori indipendenti, in Banca borsa tit. cred., 2008, 1 ss.; Ventoruzzo, La composizione del consiglio di amministrazione delle società quotate dopo il d.lgs. n. 303 del 2006: prime osservazioni, in Riv. soc., 2007, 205 ss.; Tombari, Verso uno “statuto speciale” degli amministratori indipendenti (Prime considerazioni sul d.lgs. n. 303/2006 e sulle modifiche al Regolamento Consob in materia di emittenti, in Riv. dir. soc., 2007, 51 ss.; Stella Richter jr., Gli adeguamenti degli statuti delle società con azioni quotate dopo il d.lgs. n. 303/2006, in Riv. dir. soc., 2007, 197 ss.; L.A. Bianchi, Amministratori non esecutivi e indipendenti tra teoria e prassi, in Riv. dir. comm., 2007, 49 ss.; Rordorf, Gli amministratori indipendenti, in Giurisprudenza commerciale, 2007, I, 143 ss. D’altra parte, anche la dottrina si colloca in continuità con questo orientamento. Si legge in A. Pisani-Massamormile che “Tenuto conto delle osservazioni svolte e del nostro “ambiente” normativo e culturale, l’identificazione degli amministratori indipendenti deve passare attraverso l’individuazione di uno spazio giuridico (ma in qualche modo anche “fisico”) in cui sia possibile collocare concettualmente (e nella realtà) questa figura di operatori. Bene, crederei che questo spazio possa trovarsi in quell’area di “non esecutività”, interna al consiglio di amministrazione, che (conosciuta da tempo nella prassi delle grandi ed anche medio grandi società per azioni) è ora una delle più interessanti (ed intelligenti) novità introdotte dalla riforma del 2003”. Esula invece dalla presente analisi l’esame della figura dell’amministratore c.d. “di minoranza” introdotto dal testo unico della finanza.
[2] Cfr. d.m. 169/2020 su cui v. infra.
[3] V. Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza per le Banche, Circolare n. 285 e s.m.i. Sul ruolo degli amministratori indipendenti nelle operazioni con parti correlate, ad assicurare agli amministratori indipendenti approfondita conoscenza delle operazioni con soggetti collegati, le procedure prevedono almeno che a tali amministratori venga fornita, con congruo anticipo, completa e adeguata informativa sui diversi profili dell’operazione oggetto di delibera (controparte, tipo di operazione, condizioni, convenienza per la società, impatto sugli interessi dei soggetti coinvolti, etc.). Agli amministratori indipendenti deve essere altresì riconosciuta la facoltà di farsi assistere, a spese della società, da uno o più esperti indipendenti.
[4] La valutazione nel merito di operazioni con parti correlate, restando sull’esempio già effettuato, implica per il consigliere indipendente la necessità di vagliare la congruità economica della operazione che i consiglieri in conflitto intendono porre in essere e impone di approvarla senza il concorso dei consiglieri “correlati”. È forse questa una prerogativa propria di un consigliere non esecutivo? No appunto. Trattasi di ruolo di natura operativa ed esecutiva. L’indipendenza dal gruppo di riferimento della società può infatti essere maggiormente utile ad avviso di chi scrive proprio nei casi in cui questa caratteristica del consigliere sia messa a servizio della macchina esecutiva dell’intermediario.
[5] Un coinvolgimento “gestorio” degli amministratori indipendenti si ha spesso nella prassi anche per gli investimenti correlati ai cc.dd. “anchor investors” del fondo ad altro titolo (ad es società partecipate dagli stessi etc) sempre in ragione del fatto che l’advisory board/comitato consultivo del fondo, espressione degli anchor investors, sia anch’esso portatore di un interesse potenzialmente in conflitto. Oppure tale coinvolgimento è significativo i casi di potenziale conflitto tra due OICR gestiti dalla SGR, ad es per operazioni di investimento potenzialmente compatibili con politica investimento di più OICR. O ancora per coinvestimenti.
[6]Evidenzia correttamente Consob in una risalente comunicazione (Comunicazione n. DEM/10046789 del 20-5-2010) nel nostro ordinamento non esiste una disciplina organica degli amministratori indipendenti; questa è la risultante di una pluralità di disposizioni “aventi ad oggetto diversi sistemi di corporate governance e situate a livelli differenti della gerarchia delle fonti”. Inoltre, nell’ordinamento nazionale, il requisito di indipendenza deve essere inteso “in termini più allargati rispetto ai sistemi in cui la figura è stata originariamente elaborata”, come si sosterrà peraltro infra. Infatti, il sistema nazionale è contrassegnato da una “proprietà concentrata” e, pertanto, l’attributo dell’indipendenza deve essere riferita “alla funzione di controllo esercitata dagli amministratori indipendenti sia nei confronti dei soggetti titolari della funzione di gestione (rispetto al pericolo di perseguimento di fini extrasociali), sia nei confronti dell’azionista di controllo (rispetto alle interferenze nella gestione della società allo scopo di estrazione dei c.dd. “benefici privati”)”. Meno condivisibile appare lo sviluppo del ragionamento da parte dell’Autorità. Si legge infatti che tale funzione di controllo, in sostanza, si esplicherebbe nel “partecipare ai processi deliberativi in modo informato e vigile con riguardo alla prevenzione di interferenze di interessi extrasociali di cui gli amministratori esecutivi o l’azionista di controllo potrebbero essere portatori a livello generale o con particolare riferimento a una determinata operazione gestoria”. Avuto riguardo a tali compiti, “ben si comprende come sia difficile isolare l’attributo dell’indipendenza in una precisa regola definitoria comune che esattamente tipizzi al suo interno le ipotesi al ricorrere delle quali l’amministratore non può dirsi indipendente”. Nella comunicazione Consob, l’indipendenza è considerata come “autonomia di giudizio che attribuisce a chi la possiede la capacità di esprimere valutazioni critiche non condizionate da vincoli e legami” ed è un concetto “eminentemente relativo” che deve sussistere rispetto a chi esercita “effettivamente il comando” sulla società: ossia rispetto al management e, nelle società a proprietà concentrata, rispetto al socio o i soci di controllo. Orbene se questa prima affermazione è condivisibile e può ben essere trasposta nel mercato degli intermediari vigilati vi sono a mio avviso maggiori dubbi sulla seconda qui di seguito riportata. “Considerato, quindi, che un amministratore indipendente si contraddistingue per la sua autonomia di giudizio nei confronti degli amministratori esecutivi e per l’assenza di coinvolgimento nella gestione della società, nell’applicare agli amministratori i requisiti previsti per i sindaci dalla lettera b) dell’art. 148, comma 3, del TUF (“Non possono essere eletti sindaci e, se eletti, decadono dall’ufficio: …….b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo”), si ritiene che gli amministratori a cui fa riferimento la predetta disposizione debbano essere considerati gli amministratori con incarichi esecutivi”.
[7] Di seguito si passano in rassegna tali nozioni con l’avvertenza che ci si sofferma sulla qualificazione del ruolo e non sui requisiti per poter essere considerato indipendente, tema che esula dalla presente analisi.
[8] Si noti inoltre che, in riferimento agli amministratori indipendenti del sistema monistico, è possibile distinguere le ipotesi in cui la società sia o meno quotata in un mercato regolamentato; infatti, mentre nel primo caso, ai sensi dell’art. 147-ter, 4° comma, t.u.f. si dovrebbe adottare un parametro legale più gravoso come quello previsto dall’art. 148 t.u.f., recentemente riformato proprio sotto questo profilo, nel caso di società non quotata, gli amministratori sarebbero tenuti a rispettare i requisiti di indipendenza descritti dall’art. 2399 c.c.
[9] Un ruolo sostanzialmente analogo è attribuito agli amministratori indipendenti dalla disciplina dettata da Consob in materia di operazioni con parti correlate nell’ambito di intermediari vigilati.
[10] Nella già citata Comunicazione n. DEM/10046789 del 20-5-2010, l’Autorità ha sostenuto che “premesso che l’indipendenza di giudizio richiesta agli amministratori indipendenti è la stessa di quella richiesta agli amministratori esecutivi – in quanto entrambi devono operare nell’interesse esclusivo della società – la bipartizione viene individuata in base alla diversa funzione [enfasi aggiunta] esercitata dalle due categorie di amministratori, che deve essere di gestione per gli esecutivi e di controllo (o di sorveglianza dell’integrità e correttezza dei processi decisionali) per gli indipendenti”. Si tratta di un punto molto interessante, anche alla luce del “criterio dell’indipendenza di giudizio” introdotto dal DM 169/2020 per tutti gli amministratori. Tuttavia, se tutti gli amministratori devono garantire indipendenza di giudizio, gli indipendenti cosa devono garantire in più? È diverso l’ambito cui questa indipendenza di giudizio è rivolta– (con ciò rafforzando l’idea dell’indipendente necessariamente non esecutivo) oppure si tratta, secondo Consob, di un grado di indipendenza soggettivo diverso che l’indipendente può comunque sempre applicare in relazione a tutte le funzioni che gli possono essere attribuite e non necessariamente compromesso da incarichi “esecutivi”?.
[11] Questa previsione, peraltro, fa il paio con la seguente disposizione contenuta nella Circolare n. 285 con riferimento al Presidente del CdA che dispone “Per svolgere efficacemente la propria funzione, il presidente deve avere un ruolo non esecutivo e non svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali”.
[12] Sulla genesi degli amministratori indipendenti la dottrina è estesa. Si rinvia ex multis a F. Maccabruni, Gli amministratori indipendenti: mito e realtà nelle esperienze anglosassoni, in Analisi giur. econ., 2003, n. 1, p. 97 ss, Gordon J. N. The rise of independent directors in the united states, 1950-2005: of shareholder value and stockmarket prices, in Stanford law rewiew, vol. 59, pagg. 1465 ss, in cui l’autore effettua una ricostruzione molto accurata circa il ruolo e lo sviluppo degli amministratori indipendenti nella governance americana a partire dal 1950.V. inoltre Macey J. R., Corporate Governance: Promises Kept, Promises Broken, Princeton e Oxford, 2008, p.51 e ss.
[13] Constatazione ripresa da A. Pisani Massamormile, Appunti sugli amministratori indipendenti, 2008, 2, 247 e ss.
[14] Così Pisani Massamormile, op. cit., il quale aggiunge che “Più in generale, con riferimento al tema degli amministratori giocano due significative differenze normative ed ambientali fra l’esperienza anglosassone e quella italiana (e forse in generale dell’Europa continentale): il differente grado di diffusione azionaria ed il differente modello di governance. Sotto il primo aspetto, in particolare nel mondo nordamericano, l’amplissima diffusione azionaria e quindi la frammentazione delle compagini societarie, in uno al consolidato ruolo degli investitori istituzionali, ha consegnato il potere nelle grandi corporations al ceto dei managers, i tecnici provenienti dalle gerarchie interne, siedano o meno essi nel board. In quell’area, come hanno messo in luce notissime indagini alle quali si può tranquillamente rinviare, sono dunque i managers, grazie alle conoscenze acquisite ed al ruolo conquistato, ad elaborare concretamente le strategie imprenditoriali ed anche a formare, magari d’accordo con gli esponenti dei fondi, le liste dei candidati ad entrare nell’organo gestorio e di questi componenti “esterni” del board sono poi in grado di guidare le scelte, di consentire o meno la consapevole assunzione di responsabilità e di determinare finanche il livello della remunerazione (che spesso risente, grazie ai meccanismi delle stock options, dell’andamento dei corsi azionari e dunque delle diverse politiche aziendali programmate e/o programmabili)”.
[15] A.M. Luciano, Amministratori indipendenti ed incarichi esecutivi, Rivista del diritto societario, vol. 2, 2012, passim.
[16] V. sul punto R. Costi, F. Vella, Banche, governo societario e funzioni di vigilanza, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, 62, Banca d’Italia, Circolare n. 285 della Banca d’Italia, p. 7; sul ruolo degli amministratori indipendenti nelle banche cfr. M. Perassi, Consiglieri indipendenti e di minoranza, in AGE, Analisi giuridica dell’economia, n. 2/2007, op. cit., p. 348.