Il presente contributo analizza l’ordinanza n. 26248 dell’8 ottobre 2024 con cui la Cassazione ha affrontato il tema della nullità per violazione di norma penale del mutuo concesso con garanzia MCC, riconducibile alla valutazione inadeguata, da parte della banca, del merito creditizio dell’impresa finanziata.
1. Premessa
Con ordinanza n. 26248/2024 dell’8 ottobre 2024, la Suprema Corte di Cassazione ha annullato con rinvio il decreto con il quale il Tribunale di Torino aveva rigettato l’opposizione allo stato passivo promossa dalla Banca creditrice avverso l’esclusione del proprio credito dal passivo della società fallita in considerazione della affermata nullità del finanziamento sotteso al credito insinuato.
Il Collegio torinese aveva, infatti, ritenuto che detto finanziamento – pari ad euro 25.000,00 e concesso ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. m), del D.L. n. 23/2020 convertito dalla L. n. 40/2020 (c.d. “Decreto liquidità”), con garanzia del Fondo di Garanzia ex Legge 662/1996 per l’intero importo erogato – dovesse considerarsi nullo avendo la Banca violato il principio di prudente valutazione del merito creditizio ex art. 5 TUB con la conseguenza di poter ritenere sussistenti, in capo alla Banca mutuante, i presupposti del concorso nel reato di bancarotta semplice per ritardata dichiarazione di fallimento ex art. 217, comma 1, n. 4), l.fall. in capo all’amministratore unico della società mutuataria.
In particolare, il Tribunale aveva ritenuto che “la fattispecie di bancarotta semplice ipotizzata nel caso in esame, nel quale la banca ha concesso, senza effettuare la dovuta valutazione del merito creditizio, ad impresa avente indici riconoscibili di insolvenza, un mutuo garantito al 100% in via automatica da un fondo di garanzia statale, così contribuendo ad aggravarne il dissesto e ritardandone il fallimento, sia posta a tutela anche di interesse collettivo, da individuare nell’ordinato esercizio del commercio, interesse generale e costituzionalmente garantito dall’art. 41 Cost. alla regolarità e dalla correttezza delle operazioni commerciali e dell’esercizio dell’impresa, non solo degli interessi dei creditori, configurandosi come reato plurioffensivo”.
La pronuncia di Cassazione in commento ha a nostro avviso il pregio di aver smentito la sussistenza di un’equivalenza, sostanzialmente presente nella motivazione del decreto cassato e fatta propria da altre pronunce analoghe, tra l’eventuale violazione dell’obbligo della Banca di valutare il merito creditizio dell’impresa finanziata e la sussistenza dei presupposti del concorso in capo alla stessa nel reato proprio dell’imprenditore o degli amministratori della società finanziata di attivarsi tempestivamente per la dichiarazione di fallimento (o oggi di apertura della liquidazione giudiziale).
2. La reale latitudine della motivazione della pronuncia
Prima di procedere ad una più approfondita analisi della pronuncia in esame, si ritiene opportuno evidenziare in via preliminare come non risulti condivisibile quanto parrebbe emergere dalle prime pubblicazioni che hanno dato notizia dell’ordinanza.
Nello specifico, non può affatto ritenersi che, quantomeno, con riferimento ai finanziamenti bancari, ivi compresi quelli muniti della garanzia del Fondo di Garanzia, la Suprema Corte abbia inteso dare continuità all’orientamento inaugurato da Cass. 1676/2020 e poi ripreso da Cass. 4376/2024.
Al riguardo è infatti sufficiente prendere in considerazione il § 4.2 della pronuncia che così testualmente recita:
“Sennonché, il precedente di questa Corte evocato nel decreto impugnato (Cass. 16706/2020), così come un’analoga pronuncia successiva (Cass. 4376/2024), sono caratterizzati dall’accertamento di peculiari condotte delittuose.
In particolare, nel primo caso il credito insinuato al passivo fallimentare derivava da forniture a credito effettuate a un imprenditore in crisi, che veniva così a indebitarsi ulteriormente, aggravando il proprio dissesto – con integrazione della fattispecie penalistica di cui all’art. 217, comma 1, n. 4 l.fall. – nel contesto di un disegno del fornitore finalizzato a rilevarne gli asset, tramite una forma di finanziamento dissimulato, erogato in più tranches a fronte di forniture non eseguite, tanto che la condotta è stata descritta come «una disinvolta attitudine “predatoria” nei confronti di soggetti economici in dissesto».
Nel secondo caso invece il credito insinuato al passivo fallimentare riguardava un finanziamento per oltre due milioni e mezzo di euro erogato da un socio amministratore a società in totale dissesto, finalizzati a procrastinarne il fallimento, nel contesto di un’attività truffaldina e fraudolenta che aveva avuto ampio risalto mediatico.”
Si tratta, in tutta evidenza, di fattispecie profondamente diverse da quella, rilevante nella fattispecie in esame, nell’ambito della quale viene contestato alla Banca di aver concesso un finanziamento, per quanto munito di garanzia statale, a seguito dell’effettuazione di un’istruttoria non adeguata sul merito creditizio del soggetto finanziato.
Non a caso, del resto, la Suprema Corte ha ritenuto di valutare congiuntamente i motivi di ricorso della Banca dal secondo al quinto, accogliendoli in considerazione della ritenuta nullità della motivazione del decreto impugnato, correttamente rilevando come il Tribunale abbia individuato la causa di nullità del contratto di mutuo “sull’ipotizzato concorso della banca finanziatrice nel reato di bancarotta semplice ex art. 217, comma 1, n. 4, l.fall.”. Presupposti del reato che però il giudice di primo grado non ha in alcun modo accertato, limitandosi nella sostanza ad individuare, in modo decisamente semplicistico, una correlazione tra inadeguata valutazione del merito creditizio e sussistenza dei presupposti del concorso nel reato di bancarotta.
Tale decisione è stata giustamente stigmatizzata dalla Cassazione, la quale, oltre a rilevare la differenza rispetto ai due precedenti sopra citati, ha correttamente osservato che “il tribunale non ha in alcun modo tratteggiato né l’elemento oggettivo né quello soggettivo del reato ipotizzato, né tantomeno le modalità del concorso della banca, quale soggetto extraneus” [n.d.r. enfasi aggiunta], essendo “dunque evidente che, sotto questo profilo, la motivazione non supera la soglia del cd. “minimo costituzionale” (Cass. Sez.U, 8053/2014; cfr. Cass. 9017/2018, 26199/2021, 33961/2022, 956/2023, 4784/2023)”.
Quanto sinora esposto consente a nostro avviso di evidenziare l’erroneità anche di ulteriore opinione secondo la quale, in relazione al primo motivo di ricorso, la Corte avrebbe ritenuto condivisibile la decisione del tribunale di dichiarare nullo il mutuo chirografario ex art. 1418 c.c. per negligenza della Banca nella valutazione del merito creditizio della società finanziata poi fallita poiché il correlato obbligo di diligenza del bonus argentarius non sarebbe stato oggetto di deroga dal D.L. 23/2020.
L’affermazione è infatti innanzitutto smentita dal surriportato passaggio motivazionale, nell’ambito della quale la Corte riconduce la decisione del Tribunale di Torino di affermare la nullità del mutuo unicamente alla violazione della norma imperativa rappresentata dal precetto penale di cui all’art. 217, comma 1, n. 4, l.f., in ragione dell’asserito concorso della Banca nel reato proprio dell’amministratore sociale.
Infatti, la Corte ha rigettato, ritenendolo inammissibile, il primo motivo di ricorso in considerazione del fatto che, contrariamente all’assunto di parte ricorrente, nemmeno i finanziamenti di “fascia bassa”, quali quelli sino al limite di euro 30.000,00 previsti dalla lett. m) del Decreto Liquidità per come modificato dalla Legge di conversione n. 40/2020 (nella versione originaria del Decreto Legge n. 23/2020 il limite era euro 25.000,00), potevano considerarsi esenti dall’obbligo in capo alla Banca di verificare il merito creditizio del soggetto finanziato, essendo unicamente il rilascio della garanzia da parte di MCC, quale gestore del Fondo di Garanzia, ad andare esente da detta istruttoria.
Da ciò però non discende affatto la nullità del mutuo de quo e tale affermazione non risulta effettuata nemmeno dal Tribunale di Torino, il quale, come sopra visto e confermato anche dalla pronuncia di legittimità in esame, ne ha ricondotto l’invalidità unicamente al concorso della Banca mutuante nel reato di cui all’art. 217, comma 1, n. 4, l.f..
Del resto, diversamente opinando, la Cassazione ben avrebbe potuto limitarsi a dichiarare inammissibile il primo motivo, il cui rigetto sarebbe stato di per sé in ipotesi idoneo a determinare la nullità del finanziamento, così potendosi ritenere assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso, i quali sono invece stati congiuntamente valutati ed accolti per le ragioni dianzi esposte.
In altre parole, la Cassazione nella pronuncia in commento non ha in alcun modo affermato, nemmeno indirettamente, che un mutuo potrebbe essere dichiarato nullo ex art. 1418 c.c. a causa della ritenuta negligenza della Banca nella valutazione del merito creditizio.
3. Possibili conseguenze sul panorama giurisprudenziale e dottrinale
Alla luce di quanto precede, può pertanto ribadirsi che la pronuncia di legittimità in esame ha posto un significativo limite alla surriferita consequenzialità tra inadeguata valutazione del merito creditizio e ritenuta nullità dei finanziamenti bancari (ivi compresi quelli con garanzia MCC), spesso sostenuta dai Curatori nell’ambito delle procedure di verifica crediti, chiarendo la sussistenza di un’evidente cesura tra l’orientamento di legittimità di cui a Cass. 16706/2020 e Cass. 4376/2024, nell’ambito del quale la nullità dei finanziamenti era stata ricondotta a fattispecie particolari e che nemmeno riguardavano istituti di credito, e la fattispecie tipica del finanziamento bancario erogato in assenza di una corretta istruttoria sulla situazione economico-patrimoniale e finanziaria del soggetto finanziato.
Ad avviso di chi scrive non è del tutto condivisibile quell’opinione dottrinale[1] volta a sostenere, anche sulla base del precedente del Tribunale di Torino oggi cassato, la possibilità di estendere il suddetto orientamento di legittimità anche alla fattispecie del finanziamento bancario addirittura includendovi la sanzione di cui all’art. 2035 c.c. in capo alla Banca finanziatrice, riconducendo la nullità del mutuo nell’alveo della violazione del buon costume, con attribuzione della soluti retentio in capo al soggetto finanziato.
Pare, invece, più coerente rispetto alla pronuncia in commento il pensiero di altra dottrina[2], la quale, nel richiamare le recenti pronunce delle Sezioni Unite in materia, rispettivamente, di superamento del limite di finanziabilità di cui all’art. 38 TUB (cfr. Cass. S.U. 33719/2022) e di violazione dell’art. 155, comma 4, TUB in relazione all’ipotesi di fideiussione rilasciata da un “confidi minore” (cfr. Cass. S.U. 8472/2022), ha affermato che “la nullità di un finanziamento bancario per violazione, da parte dell’istituto erogante, di regole poste a sua tutela, non è fondatamente predicabile, essendo anzi una contraddizione logico-giuridica”.
Ancora più condivisibile, se possibile, risulta tale opinione in relazione alla possibilità di escludere la sussistenza di un effettivo legame tra l’erogazione del finanziamento ed il ricorrere dei presupposti di cui all’art. 217, comma 1, n. 4, l.f., atteso che, in relazione al fatto generatore del reato, “la condotta non ha alcun legame con la stipulazione dei contratti di credito, perché ha ad oggetto la semplice inerzia del fallito nel depositare istanza di fallimento in proprio (…), la qual cosa non coincide nemmeno con la condotta e con l’evento delittuoso, i quali invece, nella disposizione in esame, come già detto consistono nell’aggravamento del dissesto” (cit., § 5); per cui, difettano totalmente i presupposti che la già citata Cass. S.U. 33719/2022 ha posto come imprescindibili per predicare una sanzione tanto grave quale la nullità del negozio.
In tale prospettiva, che dovrebbe escludere in radice la possibilità di dichiarare nullo un contratto perché, a valle della sua stipulazione, il “fallito” ha aggravato il dissesto astenendosi dal chiedere l’apertura della procedura concorsuale, non si può fare a meno di osservare come la decisione in commento contribuisca a rafforzare quell’orientamento di merito che si sta sviluppando e che, ad avviso di chi scrive, ha correttamente preso le distanze dai precedenti[3], tra cui quello del Tribunale di Torino oggi cassato, che hanno affermato la nullità dei finanziamenti bancari concessi a soggetti in situazione di crisi in assenza di un’adeguata valutazione del loro merito creditizio.
Peraltro, per quanto il decreto del Tribunale di Torino non affronti esplicitamente l’argomento, a noi pare di poter affermare che i principi sopra esposti possano essere estesi anche all’ipotesi in cui la Banca abbia del tutto omesso di effettuare l’istruttoria preliminare ai fini della concessione del credito. Infatti, pur trattandosi di ipotesi di scuola, l’assenza di istruttoria da parte dell’Istituto mutuante sarebbe comunque riconducibile alla fattispecie della carenza di diligenza in capo a quest’ultimo, con conseguente esclusione dei presupposti sottesi al concorso nel reato di cui all’art. 217, comma 1, n. 4, l.f., rispetto al quale il Curatore sarà comunque tenuto ad assolvere i relativi oneri di allegazione e probatorio.
4. Le principali pronunce di merito sul tema della possibile nullità del finanziamento garantito da MCC
Ciò premesso, ci pare opportuno in questo contesto ripercorrere alcune delle principali pronunce che hanno escluso la nullità del finanziamento. Tra queste si può certamente segnalare il decreto del 23 luglio 2024 con il quale il Tribunale di Padova[4] ha affermato che le disposizioni sulla valutazione del merito creditizio rientrano nel novero di norme di condotta: “In particolare, nel caso del contratto di mutuo, gli elementi strutturali sono costituiti dalla corresponsione di una somma di denaro da parte del mutuante e dalla sussistenza dell’obbligo restitutorio del mutuatario di capitale ed interessi in un dato periodo di tempo, secondo il piano di ammortamento prescelto.
Tali elementi risultano indifferenti alla precedente valutazione delle capacità restitutorie del mutuatario malamente eseguita o non eseguita del tutto da parte del mutuante: ove infatti il mutuante, ciò nonostante, eroghi la somma mutuata ed il mutuatario assuma su di sé l’obbligo restitutorio, il contratto sarà stato comunque validamente perfezionato, potendo assolvere alla funzione sua propria di finanziamento del mutuatario. (…) la violazione delle regole sulla valutazione del merito creditizio non comporta nullità del contratto di mutuo, costituendo, al più, presupposto per la condanna al risarcimento dei danni e per la risoluzione del contratto nei casi che lo consentano” [n.d.r. enfasi aggiunta].
Nello stesso senso si è anche pronunciato il Tribunale di Modena con la pronuncia del 4 giugno 2024 n. 1018[5], il quale, affrontando la questione relativa alle conseguenze dell’accertamento della concessione abusiva del credito nei contratti di finanziamento garantiti da MCC ha ritenuto che non sia “seriamente sostenibile, come allegato in citazione, che alla asserita condotta illecita della banca finanziatrice di c.d. “concessione abusiva del credito” consegua, per ciò solo, la nullità del contratto di finanziamento e correlate fideiussioni” [n.d.r. enfasi aggiunta]. È di tutta evidenza, infatti, secondo il Tribunale, che la concessione abusiva del credito non assurge a causa di nullità – sotto il versante genetico (causale) – del contratto di finanziamento e correlate fideiussioni, ma, al più, può assumere rilievo, in sede civile, sotto il versante risarcitorio, ovviamente solo laddove risultino provati gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano ascritto alla Banca.
Quanto precede, peraltro, senza nemmeno tener conto che, secondo il consolidato orientamento di legittimità, la violazione delle norme penali previste dalla Legge Fallimentare, in quanto volte a tutelare l’interesse dei creditori, non è di per sé in grado di determinare l’invalidità di un contratto che possa astrattamente integrare il precetto penale, atteso che gli atti posti in essere in frode ai creditori non danno luogo a nullità, non potendo essere ritenuti compiuti in frode alla legge:
“In mancanza di una norma che in via generale faccia divieto di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle attese dei creditori non può considerarsi di per sé illecito, sicché la sua conclusione non comporta una nullità per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, in quanto, a tutela di chi risulti danneggiato da un simile atto, l’ordinamento appresta rimedi speciali, i quali comportano, in presenza di particolari condizioni, la sua inefficacia o inopponibilità nei confronti del singolo creditore o della categoria dei creditori concorsuali. Si, infatti, sottolineato che la violazione di una norma imperativa non dà necessariamente luogo alla nullità del contratto, dal momento che l’art. 1418 c.c., comma 1, facendo salva l’ipotesi in cui la legge disponga diversamente, impone all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso di inosservanza del precetto, abbia voluto salvaguardare la validità del negozio mediante la predisposizione di un meccanismo alternativo idoneo a realizzare gli effetti della norma” (Cass. 24 agosto 2023, n. 25209).
Sul tema pare poi opportuno citare anche ulteriore giurisprudenza di merito che, pur non entrando direttamente nel merito della questione dell’ipotetica nullità di un mutuo a causa della ritenuta negligenza della Banca nella valutazione del merito creditizio, ha tratteggiato alcuni principi in tema di onere della prova.
In questa fattispecie il Tribunale di Monza, con la pronuncia del 4 luglio 2024 n. 737[6], resa all’esito di un giudizio di opposizione allo stato passivo promosso da una Banca, che aveva visto il suo credito escluso per asserita nullità ex art. 1418 c.c. del finanziamento garantito MCC, ha con attenta motivazione accolto integralmente l’opposizione e rigettato l’eccezione di nullità e la eccezione di revocatoria ordinaria in via breve proposta dalla Liquidazione Giudiziale.
Nello specifico, il Collegio ha rigetto l’eccezione di nullità in quanto in giudizio è mancata una qualsivoglia prova del c.d. presupposto soggettivo di conoscenza o conoscibilità dello stato di insolvenza del debitore da parte della Banca che la Curatela avrebbe dovuto fornire, tanto per vedere accogliere la domanda di nullità (sia essa per contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico ovvero al buon costume), quanto per vedere accogliere l’azione revocatoria ordinaria.
In segno contrario si è invece espresso il Tribunale di Pescara[7], con una motivazione ad avviso di scrive non condivisibile.
Con la suddetta pronuncia è stata rigettata l’opposizione allo stato passivo effettuata da una Banca, escludendo dunque dal passivo il credito derivante da un mutuo garantito da MCC. Il Tribunale di Pescara ha ritenuto nullo per difetto di causa il contratto di finanziamento il cui scopo era stato indicato con la dicitura “reintegro circolante” – dando così continuità all’orientamento di cui alla pronuncia sopra citata del Tribunale di Asti dell’8 gennaio 2024 – in quanto la Banca non avrebbe fornito la prova di aver svolto l’analisi del merito creditizio e della capacità di rimborso del finanziato.
Il decreto, tuttavia, a nostro avviso non coglie nel segno dove erroneamente afferma che spetterebbe “all’impugnante dimostrare, sul piano logico-argomentativo, l’errore commesso dal giudice delegato nel ritenere provato quel determinato fatto. In altri, ma equivalenti, termini: l’impugnante ha un onere dimostrativo primario della fondatezza dei motivi di gravame con cui si censura l’accertamento del fatto (ossia, della ragione di critica rivolta alla decisione nella parte in cui ha ritenuto provato il fatto), fermo restando che, assolto tale onere, la regola di riparto della prova dei fatti principali rilevanti ai fini dell’esistenza del diritto controverso è quella ordinaria di cui all’art. 2697 c.c.”.
Si tratta di affermazione che non trova alcun supporto nella giurisprudenza di legittimità, tantomeno nei precedenti richiamati nella motivazione, i quali attengono alla diversa questione inerente all’assolvimento dell’onere della prova in capo all’opponente e, in particolare, alla necessità o meno per quest’ultimo di riprodurre i documenti allegati alla domanda di ammissione al passivo, ora definitivamente negata dalle citate pronunce, essendo sufficiente il mero richiamo specifico a detti documenti.
Del resto, per quanto sia corretto affermare che il giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria, da ciò non deriva affatto alcun onere in capo all’opponente di “dimostrare” l’erroneità della motivazione sottesa al provvedimento impugnato, atteso che la giurisprudenza di legittimità e di merito ha costantemente affermato che il creditore è tenuto, anche nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo, a dimostrare unicamente la fonte del proprio credito e la sussistenza dello stesso. In tal senso si è espressa chiaramente la giurisprudenza di legittimità: “Il procedimento di opposizione allo stato passivo del fallimento si configura come un vero e proprio giudizio ordinario di cognizione in cui trovano applicazione le regole generali in tema di onere della prova. Da ciò consegue che l’opponente è tenuto a fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto di credito, mentre grava sulla curatela l’onere di dimostrare l’esistenza di fatti modificativi, impeditivi o estintivi dell’obbligazione” (cfr. Cass. 10 gennaio 2024, n. 949).
Diversamente opinando si introdurrebbe nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo un’evidente e inammissibile inversione dell’onere della prova in capo al creditore opponente, il quale sarebbe tenuto non solo ad allegare e dimostrare la fonte del credito insinuato e l’esistenza dello stesso, ma addirittura l’erroneità del provvedimento di esclusione. Si tratta di conclusione del tutto inaccettabile, la quale consentirebbe un’ingiustificata agevolazione della posizione processuale del Curatore, il quale potrebbe limitarsi ad invocare a fondamento della proposta di esclusione del credito insinuato circostanze indimostrate, eventualmente anche sulla base di tesi giuridiche infondate, confidando nell’adesione, spesso acritica, da parte del Giudice Delegato al progetto di stato passivo sottopostogli, così ponendo in capo al creditore opponente oneri di allegazione e probatorio normalmente insussistenti.
Pertanto a nostro avviso il Tribunale di Pescara ha posto erroneamente a carico della Banca opponente l’onere di provare di aver svolto una corretta analisi del merito creditizio, dal momento che è noto come nel procedimento di verifica del passivo è il Curatore a dover allegare i fatti impeditivi ed estintivi della pretesa del creditore, nonché a fornire la prova nella specie della presunta conoscenza da parte della Banca dello stato di decozione della società all’epoca della erogazione del finanziamento. In altre parole, spetta al solo Curatore allegare e dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’accertamento – incidentale – della nullità del contratto.
Inoltre, e nel merito, il Tribunale ha ritenuto di rigettare l’opposizione allo stato passivo, ritenendo il mutuo affetto da nullità per non avere la Banca svolto adeguata istruttoria.
Si tratta di una conclusione non condivisibile in quanto, come già evidenziato supra, non constano precedenti di legittimità che abbiano sostenuto la tesi della nullità dei mutui concessi da banche a società in stato di crisi in caso di mancata istruttoria del merito creditizio per negligenza. Sinora, infatti, la Cassazione ha riconosciuto la sola responsabilità della Banca per concessione abusiva di credito, con conseguente possibilità di porre in capo alla Banca stessa il risarcimento dei danni arrecati alla società e/o ai suoi creditori, senza però che sia inficiata la validità e l’efficacia del relativo finanziamento.
Peraltro, seguendo la infondata tesi della nullità dei mutui garantiti, a nostro avviso non sarebbe possibile ravvisare benefici per lo Stato che sarebbe comunque tenuto a liquidare la garanzia che non risulta compromessa dalla nullità del contratto, trattandosi di credito che sorge ex lege, tenuto altresì conto che le Disposizioni Operative del Fondo di garanzia per le PMI prevedono che la Banca garantita è tenuta unicamente a proporre l’insinuazione al passivo senza che rilevi l’eventuale esclusione, la quale, quand’anche motivata dalla nullità del finanziamento e confermata all’esito dell’opposizione, non può assumere rilevanza al fine di consentire a MCC, quale gestore del Fondo, di non liquidare la garanzia e ciò in ragione di quanto previsto dall’art. 96, u.c., l.f., disposizione ripresa nel Codice della Crisi dall’art. 204, u.c.[8].
5. Conclusioni
Come detto, la pronuncia in commento contribuisce a chiarire il quadro inerente alla tematica della invalidità dei finanziamenti bancari, ivi compresi quelli assistiti dalla garanzia statale. A questo punto, anche a voler ritenere ancora teoricamente aperta la strada della nullità del finanziamento per violazione della norma imperativa rappresentata dall’art. 217, comma 1, n. 4, l.f. (ora art. 323, comma 1, lett. d), del Codice della Crisi) per l’ipotesi di ritenuto concorso della Banca finanziatrice nel reato proprio commesso dall’intraneus, il Curatore dovrà assolvere il non semplice onere probatorio di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti soggettivi ed oggettivi del reato.
[1] S. Ambrosini, I rapporti fra l’impresa in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi), in Ristrutturazioni Aziendali, 4 ottobre 2024, § 5.
[2] E. Staunovo-Polacco, La nullità dei contratti per concessione abusiva di credito e aggravamento del dissesto, alla prova degli insegnamenti della Suprema Corte sulle nullità “virtuali”, in Ristrutturazioni aziendali, 29 luglio 2024, § 4.
[3] Tribunale di Asti, 8 gennaio 2024, Pres. Rampini, Rel. Dagna, in www.ilcaso.it
[4] Tribunale di Padova, 23 luglio 2024. Pres. Sacchetto. Est. Cantelli, in Ristrutturazioni aziendali. Tale orientamento è stato confermato sempre dal Tribunale di Padova con la pronuncia del 19 novembre 2024, Pres. Santinello. Rel. Amenduni, in Ristrutturazioni aziendali.
[5] Tribunale di Modena, 4 giugno 2024 n. 1018, G.U. Vaccaro, in www.iusletter.com
[6] Tribunale di Monza, decreto n. 737/2024 del 4 luglio 2024, Pres. Fantin, Rel. Caliari, in www.iusletter.com
[7] Tribunale Pescara, 2 luglio 2024. Pres. Bongrazio. Est. Marganella, in www.ilcaso.it.
[8] Cfr. sul tema anche L. Cipolla, L. Dell’oro, G. Gaudenzi, Procedure concorsuali e crediti garantiti da MCC e SACE, 12 luglio 2024, in www.dirittobancario.it;