Il presente contributo affronta il tema della qualifica e della normativa applicabile ai fin-influencer, ovvero influencer che promuovono o consigliano prodotti bancari, finanziari e assicurativi attraverso la condivisione di contenuti online, spesso su piattaforme social.
1. Premesse: gli influencer
La diffusione massiva dei social network ha portato alla nascita di nuove figure professionali che, pubblicando sui propri profili contenuti multimediali, sono in grado – grazie alla loro popolarità – di influenzare i comportamenti e le scelte di un vasto numero di utenti (i c.d. “followers”), potenziali consumatori. Considerata l’elevata capacità di attrazione della clientela che gli influencer sono in grado di esercitare, i medesimi sono ormai regolarmente inseriti nelle strategie di comunicazione e di marketing di qualsiasi fornitore che abbia l’obiettivo di vendere i propri prodotti o servizi ad un vasto pubblico, senza limitazioni territoriali.
Il fenomeno degli influencer in generale è, ormai da qualche anno, sotto l’osservatorio delle principali istituzioni ed autorità a livello nazionale, europeo ed anche internazionale [1]. La Commissione Europea, ad esempio, nel definire gli influencer come dei creatori di contenuti multimediali che pubblicizzano o vendono regolarmente prodotti e tenendo conto della relativa capacità di influenzare le masse di utenti del web (non qualificabili come “professionisti”) [2], ha sottoposto la relativa attività alle disposizioni in materia di tutela dei consumatori e sui contenuti e servizi digitali [3].
Considerata la natura delle attività svolte dagli influencer (i.e. pubblicità, promozione e vendita), anche in Italia le prime autorità ad aver studiato il fenomeno sono state l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), nell’ambito delle proprie competenze in materia di tutela dei consumatori [4], e l’Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni AGCOM, in relazione agli aspetti pubblicitari dell’attività svolta dagli influencer [5].
Tuttavia, ad oggi non sono ancora state emanate – né in Italia, né in Europa – disposizioni che inquadrino e regolino gli influencer e le attività dai medesimi svolte.
In assenza di una qualificazione giuridica degli influencer e di una disciplina specifica ad essi applicabile, le autorità e la giurisprudenza che hanno affrontato la tematica li hanno inquadrati sulla base delle attività dai medesimi svolte, facendo ricorso agli istituti giuridici esistenti. Di interesse, in questo senso, la sentenza del 4 marzo 2024 del Tribunale di Roma, che per primo si è espresso sulla qualificazione giuridica dell’influencer, fornendo interessanti indicazioni sul relativo inquadramento. In particolare, il Tribunale di Roma muovendo dalla consapevolezza della “rivoluzione” apportata dal mondo del Web e dei social network e del ruolo che, in tali ambiti, hanno assunto gli influencer, ha definito l’influencer quale “figura professionale in grado di influenzare le opinioni e gli atteggiamenti altrui, divenendo, quindi, uno strumento di comunicazione del brand poiché riescono a influenzare e quindi, a promuovere le scelte d’acquisto del pubblico attraverso la loro reputazione e autorevolezza” nonché il “marketing influencer” quale “esperto di settore che, con i propri post, permette di offrire maggiore visibilità a prodotti o servizi da lui promossi, avvalendosi dei canali web che ritiene più opportuni ed adeguati (Instragram, Youtube, Facebook, un blog personale, etc)”. Da tale inquadramento, il Tribunale di Roma ha desunto che, tramite la sottoscrizione del contratto con l’influencer, l’impresa persegue lo scopo di far diventare i followers dell’influencer i propri clienti.
Valorizzando, poi, determinati elementi fattuali del rapporto di collaborazione in essere tra l’azienda mandante – nel caso in oggetto produttrice e venditrice di integratori alimentari – e l’influencer [6], ha qualificato quest’ultimo quale agente, ex art. 1742 c.c., determinando quindi l’applicazione della relativa disciplina normativa e, nel caso specifico, gli obblighi di contribuzione previdenziale in capo alla società mandante.
La sentenza offre interessanti spunti di riflessione in merito all’inquadramento giuridico di una peculiare tipologia di influencer, ossia gli influencer finanziari o “fin-influencer”, e alla disciplina che potrebbe risultare ad essi applicabile. Nel presente contributo verranno formulate alcune considerazioni preliminari sul possibile inquadramento giuridico dei fin-influencer nell’ambito delle disposizioni vigenti in materia bancaria, finanziaria e assicurativa, anche alla luce della decisione del Tribunale di Roma del 4 marzo scorso e della qualificazione degli influencer quali agenti in essa suggerita. Verranno inoltre formulate alcune considerazioni sulle iniziative legislative attualmente in corso a livello comunitario in materia di fin-influencer.
2. I Fin-influencer in ambito bancario, finanziario e assicurativo
Negli ultimi anni si è assistito ad una crescente diffusione di influencer che, condividendo contenuti online (spesso su piattaforme come Instagram, YouTube, TikTok o LinkedIn), promuovono o consigliano prodotti bancari, finanziari e assicurativi (“fin-influencer”). La crescente presenza di tali soggetti in ambiti regolamentati – quali quello finanziario, bancario e assicurativo – porta con sé una serie di rischi (principalmente di mancata trasparenza e, in generale, di mancato rispetto delle regole di condotta applicabili alla promozione di prodotti finanziari, bancari e assicurativi, oltre che di frode) e opportunità (di educazione finanziaria e di maggior accesso al mercato dei capitali) che sono oggetto di attenzione da parte delle attività di vigilanza e delle istituzioni europee e nazionali.
Si segnala, al riguardo il tentativo da parte del Parlamento Europeo di introdurre, nell’ambito dell’iter legislativo per l’emanazione del c.d. “Retail Investment Package”, oltre che una definizione specifica di fin-influencer, anche delle disposizioni che regolino i rapporti con le imprese di investimento e le imprese assicurative mandanti.
Inoltre, si rilevano a livello europeo iniziative da parte di alcuni legislatori e autorità di vigilanza degli Stati Membri volte a regolare o a fornire criteri interpretativi utili ad inquadrare la figura del Fin-influencer nell’ambito del quadro normativo vigente. A mero titolo esemplificativo, il Parlamento francese il 9 giugno 2023 ha approvato la legge n. 2023/451 che – oltre a disciplinare in generale le attività svolte dagli influencer – presenta requisiti specifici sugli influencer finanziari. In particolare, ai fin-influencer è vietato promuove direttamente o indirettamente determinati prodotti finanziari, caratterizzati da elevato livello di complessità e rischiosità, così come gli asset digitali e la fornitura di servizi su asset digitali [7].
In Portogallo, invece, il 6 settembre 2023, il Comissão do Mercado de Valores Mobiliários (CMVM) ha pubblicato una nota (“The CMVM warns on dissemination of contents concerning investment services by financial intermediaries on social networks or online channels”) con la quale ha avvisato che l’attività pubblicitaria e promozionale finalizzata alla stipulazione di contratti di intermediazione finanziaria ovvero alla raccolta di informazioni su clienti attuali o potenziali sono riservate agli intermediari finanziari e agli agenti collegati ai sensi degli articoli 292 e da 294-A a 294-C del Codice dei Valori e ha quindi precisato che, trattandosi di attività riservate: (i) l’intermediario finanziario è considerato autore e responsabile dei contenuti e (ii) i contenuti devono essere chiaramente identificati come pubblicitari o promozionali. Inoltre, lo scorso 7 ottobre 2024, il CMVM ha pubblicato una guida per gli investitori (“Guia do Investidor”), nell’ambito della quale è presente una sezione specifica dedicata ai fin-influencer e al loro ruolo nell’assunzione di decisioni di investimento da parte degli investitori non professionali [8].
Diversamente da Francia e Portogallo, altri Stati Membri non si sono ancora espressi sulla qualificazione e sulla disciplina applicabile ai fin-influencer, forse in attesa che vengano emanate disposizioni specifiche a livello comunitario.
In un contesto di incertezza a livello normativo, la sentenza del Tribunale di Roma del 4 marzo 2024 offre importanti spunti intrepretativi per l’inquadramento del fin-influencer anche nell’ambito della disciplina bancaria, finanziaria e assicurativa.
Traslando l’analisi condotta e le conclusioni raggiunte dal Tribunale di Roma nella sentenza del 4 marzo 2024 sull’operatività propria degli influencer attivi in ambito bancario, finanziario e assicurativo è, infatti, immediato chiedersi se, in presenza degli elementi che il Tribunale di Roma ha considerato rilevanti per la qualificazione del contratto di collaborazione tra l’azienda e l’influencer come contratto di agenzia, le attività prestate dal fin-influencer possano ricadere nell’ambito delle attività soggette a riserva di legge. Infatti, a prescindere dalla qualificazione del rapporto come agenzia, le normative bancaria, finanziaria e assicurativa subordinano la prestazione di determinate attività – quali la promozione, la consulenza, la vendita e più in generale la distribuzione di prodotti e servizi bancari, finanziari e assicurativi – al possesso di determinati requisiti di professionalità e competenza, nonché in alcuni casi ad autorizzazioni, all’iscrizione agli albi ed elenchi tenuti delle autorità di vigilanza, al rispetto di determinate regole di condotta e alla vigilanza da parte delle autorità indipendenti. È, quindi, necessario verificare se le attività svolte dai fin-influencer abbiano contenuti e caratteristiche tali da configurare attività riservate, ai sensi della disciplina bancaria, finanziaria e assicurativa.
Prima di analizzare separatamente tali discipline al fine di enucleare gli elementi al ricorrere dei quali l’attività svolta dai fin-influencer potrebbe configurare un’attività riservata, è opportuno evidenziare che le istituzioni e le autorità di vigilanza, nazionali ed europee, del settore bancario, finanziario e assicurativo stanno ormai da qualche tempo osservando e analizzando il fenomeno dei fin-influencer [9], ma, ad oggi – da quanto ci consta – nessuna di esse ha formalmente raggiunto conclusioni o fornito orientamenti circa il possibile inquadramento di tali figure professionali e la riconducibilità delle attività da essi svolte ad attività riservate.
– I fin-influencer in ambito bancario e creditizio
In ambito bancario, le attività di promozione e vendita di contratti di finanziamento o di servizi di pagamento sono riservate agli agenti in attività finanziaria.
A tale riguardo l’art. 148 quater del Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (“TUB”) prevede che “il soggetto che promuove e conclude contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma o alla prestazione di servizi di pagamento, su mandato diretto di intermediari finanziari previsti dal titolo V, istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica, banche o Poste Italiane” è qualificato come “agente in attività finanziaria” e che “L’esercizio professionale nei confronti del pubblico dell’attività di agente in attività finanziaria è riservato ai soggetti iscritti in un apposito elenco tenuto dall’Organismo previsto dall’articolo 128-undecies”. Nell’ambito bancario, quindi, la promozione e la vendita di contratti di finanziamento o servizi di pagamento per conto di banche, istituti di pagamento e altri intermediari finanziari è un’attività riservata agli agenti in attività finanziaria, i quali devono essere iscritti negli elenchi tenuti dall’ “Organismo per la gestione degli elenchi degli Agenti in attività finanziaria e dei Mediatori creditizi” (“OAM”) (ai quali possono accedere previo superamento di una prova valutativa e dimostrando di possedere requisiti di onorabilità e professionalità), rispettare le regole di condotta e di trasparenza di cui al Titolo VI del TUB e alle relative disposizioni attuative (disposizioni di Banca d’Italia sulla “trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”) nonché adempiere periodicamente agli obblighi di formazione professionale.
Preme precisare come l’iscrizione negli elenchi degli Agenti in Attività Finanziaria tenuti dall’OAM e il rispetto della disciplina normativa ai medesimi applicabile sia prevista anche per le sole attività di “promozione o di generica descrizione di prodotti di finanziamento o di servizi di pagamento (…) a cui non segua quindi necessariamente un’illustrazione specifica delle caratteristiche del prodotto o la conclusione del relativo contratto” (cfr. Comunicazione OAM 19/18 del 23 ottobre 2018). Si ricorda, peraltro, che anche la sola segnalazione di pregi di una banca, di un istituto di pagamento, di un intermediario finanziario in relazione all’attività di erogazione di finanziamenti comporta l’assoggettamento del segnalatore agli obblighi di iscrizione nell’apposito elenco tenuto dall’OAM e alla relativa disciplina normativa (Cfr. Circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro Direzione Valutario Antiriciclaggio e Antiusura, emanata in data 30/10/2012 – Prot. DT 85076 e Circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro, emanata in data 21/12/2012 – Prot. DT 100578, nonché la Comunicazione OAM 1/13)
I soggetti “in grado di influenzare le opinioni e gli atteggiamenti altrui” e che, su incarico di banche, istituti di pagamento e/o altri intermediari finanziari “riescono a influenzare e quindi, a promuovere le scelte d’acquisto [di servizi bancari da parte] del pubblico attraverso la loro reputazione e autorevolezza” (i.e. i fin-influencer ) o si limitino anche soltanto allo svolgimento di una semplice attività di segnalazione di pregi a favore dei medesimi soggetti vigilati tramite i propri canali social sembrerebbero, quindi, presentare caratteristiche operative tali da dover essere iscritti nell’apposito elenco tenuto dall’OAM e svolgere l’attività promozionale nel rispetto delle regole di condotta di cui al Titolo VI e alla Disposizioni di Trasparenza di Banca d’Italia.
Quanto ai prodotti bancari di raccolta del risparmio, quali ad esempio i conti correnti e i depositi bancari, occorre ricordare che la Circolare di Banca d’Italia n. 229 del 1999 (“Circolare 229/1999”) – sebbene ormai quasi del tutto abrogata – prevede tutt’ora una disciplina specifica delle c.d. “attività bancarie fuori sede”, identificandole – senza definirle – nelle attività di “promozione” e “collocamento”. Nello specifico, il Titolo III, Capitolo 2, Sezione III della Circolare 229/1999 consente alle banche di promuovere e collocare i propri prodotti e servizi bancari, nonché i prodotti di terzi fuori sede, ossia fuori dai locali commerciali della banca stessa, utilizzando – oltre ai canali pubblicitari – solo determinate categorie di soggetti, ossia i propri dipendenti e promotori finanziari (i.e. consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede) altre banche, SIM e le rispettive reti di promotori finanziari (i.e. consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede), imprese di assicurazione e i relativi agenti assicurativi [10]. Una tale riserva di attività invece, non è espressamente prevista con riferimento alla segnalazione di pregi o alla pubblicità dei prodotti bancari.
La Circolare 229/1999 non fornisce una definizione di “attività bancarie fuori sede”. Il concetto di “offerta fuori sede” viene introdotto successivamente dalle Disposizioni di Banca d’Italia del 9 luglio 2009 sulla “trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” (“Disposizioni di Trasparenza”) che la definiscono come “l’offerta (ossia la promozione, il collocamento, la conclusione di contratti relativi a operazioni e servizi bancari e finanziari) svolta in luogo diverso dalla sede o dalle dipendenze dell’intermediario”. A tale riguardo, Banca d’Italia stessa ha chiarito che perché si configuri un’offerta fuori sede non è necessario lo svolgimento congiuntamente di tutte e tre le attività menzionate nella suddetta definizione, ossia, la promozione, il collocamento e la conclusione di contratti, ma costituisce offerta fuori sede lo svolgimento di ciascuna delle suddette attività [11]. Ne consegue che anche la sola promozione di prodotti bancari, non accompagnata dal collocamento, se svolta fuori dai locali commerciali della banca o dell’intermediario finanziario, costituisce offerta fuori sede e può essere pertanto svolta solo dai soggetti specificamente identificati dalla Circolare 229/1999.
Con riferimento alla pubblicità, preme evidenziare come la normativa regolamentare non preveda espressamente una riserva di attività [12]. Al tempo stesso, la Circolare 229/1999 qualifica la pubblicità come una modalità di offerta fuori sede, stabilendo che “Le banche possono effettuare fuori sede attività di promozione dei propri prodotti e servizi bancari e finanziari (…) utilizzando, oltre ai canali pubblicitari [ndr. enfasi aggiunta], i propri dipendenti e promotori finanziari (…)”. Inoltre, le Disposizioni di Trasparenza, circoscrivono l’ambito di applicazione delle norme specifiche in materia di annunci pubblicitari (Sezione II, par. 5) alle banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie, ai soggetti iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 TUB (con riferimento ai contratti di finanziamento dai medesimi emessi) e a Poste Italiane S.p.A., per le attività di bancoposta di cui al D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144. (Cfr. Sez. I, par. 4). Infine, sempre le Disposizioni di Trasparenza di Banca d’Italia definiscono l’“annuncio pubblicitario” come una modalità di promozione (“tutti i messaggi, in qualsiasi forma diffusi, aventi natura promozionale, e ogni altra documentazione non personalizzata avente la funzione di rendere note le condizioni dell’offerta di uno o più operazioni o servizi alla potenziale clientela [13]”), prevedendo in capo all’intermediario bancario l’obbligo di specificare: (i) la natura di messaggio pubblicitario con finalità promozionale e (ii) la necessità di fare riferimento, per le condizioni contrattuali, ai fogli informativi, indicando anche le modalità con cui questi ultimi sono messi a disposizione dei clienti.
Dalle previsioni sopra riassunte sembrerebbe che, nella normativa in ambito bancario, la pubblicità sia una forma di promozione che le banche possono svolgere e rispetto alla quale assumono taluni obblighi e responsabilità, anche laddove si avvalgano di terzi soggetti.
Prima di passare all’analisi dell’attività del fin-influencer alla luce delle disposizioni in materia bancaria, occorre svolgere alcune considerazioni anche con riferimento alla commercializzazione di prodotti bancari tramite tecniche di comunicazione a distanza, definite dalle Disposizioni di Trasparenza come “tecniche di contatto con la clientela, diverse dagli annunci pubblicitari, che non comportano la presenza fisica e simultanea del cliente e dell’intermediario o di un suo incaricato”.
Le Disposizioni di Trasparenza qualificano le tecniche di comunicazione a distanza come una modalità di offerta di prodotti e servizi bancari svolta attraverso canali diversi dalla pubblicità e dall’offerta fuori sede. Sono ricomprese in tali modalità di offerta la posta ordinaria, la posta elettronica, la telefonia vocale, internet e altre tecniche di comunicazione a distanza che consentono comunicazioni individuali. Così come per la pubblicità, anche con riferimento alle tecniche di comunicazione a distanza le Disposizioni di Trasparenza prevedono un ambito di applicazione limitato – alle banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie, ai soggetti iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 TUB e a Poste Italiane S.p.A., per le attività di bancoposta, nonché ai soggetti dai medesimi incaricati nei rapporti con la clientela – e prevedono una disciplina specifica in relazione all’informativa precontrattuale, alle comunicazioni non richieste e alla stipula del contratto (Cfr. Sezione V delle Disposizioni di Trasparenza). Pertanto, anche con riferimento all’offerta fuori sede tramite mezzi di comunicazione a distanza può giungersi alla conclusione che si tratta di attività di cui le banche e gli intermediari bancari sono direttamente responsabili, anche quando svolta con l’ausilio di soggetti terzi.
Si osserva come il regolatore qualifichi le tecniche di comunicazione a distanza come una forma di offerta “diversa dagli annunci pubblicitari”. Tuttavia, in alcuni casi la distinzione tra annuncio pubblicitario e promozione attraverso tecniche di comunicazione a distanza potrebbe essere di non facile individuazione. Si pensi, ad esempio, all’invio via e-mail di contenuti multimediali per la promozione di un determinato prodotto bancario, ovvero la pubblicazione di banner su siti internet. A quest’ultimo riguardo, Banca d’Italia, nell’ambito delle “domande frequenti sul provvedimento del 29 luglio 2009 e successive integrazioni” ha considerato i banner, i popup (ossia i messaggi promozionali che appaiono automaticamente allorché l’utente si colleghi a una determinata pagina web) e le sezioni sponsorizzate dei motori di ricerca (che, a seguito di un’interrogazione su un motore di ricerca, appaiono di norma in alto e/o lateralmente sulla pagina con i risultati) come delle forme di annunci pubblicitari che veicolano messaggi promozionali sintetici. A tal fine, Banca d’Italia ha chiarito che si tratta di messaggi pubblicitari che “presentano un carattere estremamente sintetico” e, tenuto conto che “le informazioni in esse contenute non sono sufficienti per accedere all’offerta reclamizzata se non attraverso l’utilizzo del link alla pagina dell’annuncio vero e proprio” ha specificato che “le informazioni e le avvertenze richieste dalle Disposizioni possano essere inserite nella “pagina di atterraggio”, ossia nella pagina internet della banca.
Si potrebbe desumere, quindi, che l’offerta attraverso tecniche di comunicazione a distanza si distingua dall’annuncio pubblicitario per la non sinteticità del messaggio promozionale. Appare, tuttavia, evidente come la sinteticità del messaggio promozionale non possa costituire un oggettivo criterio distintivo e come ogni valutazione al riguardo debba, quindi, essere effettuata caso per caso verificando che, sulla base dell’idoneità o meno, le informazioni ivi contenute siano sufficienti – per contenuto e completezza – a consentire al cliente di compiere scelte d’acquisto informate e consapevoli.
Dall’analisi delle suddette disposizioni è possibile concludere che l’offerta di prodotti e servizi bancari consiste nello svolgimento, anche disgiunto, di attività di promozione, collocamento e/o conclusione di contratti e che tali attività possono essere svolte attraverso tre diverse modalità: (i) l’offerta fuori sede, svolta da persone fisiche al di fuori dei locali commerciali della banca; (ii) annunci pubblicitari e (iii) tecniche di comunicazione a distanza. È evidente che lo sviluppo tecnologico ha portato a delle forme di comunicazione che non sono rigidamente inquadrabili nell’uno o nell’altro dei suddetti canali e che con riferimento alle stesse debba, quindi, effettuarsi un’analisi caso per caso, applicando – nel dubbio – le disposizioni che riguardano tutte le diverse modalità di promozione di prodotti bancari contemplate dalla normativa bancaria.
Venendo all’attività svolta dal fin-influencer, dall’analisi della normativa in vigore è possibile concludere che a questi ultimi sia consentita senza dubbio l’attività di segnalazione di pregi. Diversamente, la promozione di prodotti bancari sui social network – attraverso video e/o dirette – potrebbe configurare pubblicità o attività promozionale fuori sede, svolta tramite mezzi di comunicazione a distanza, che ai sensi della Circolare 229/1999 sono attività riservate alle banche. Ove si tratti di pubblicità il fin-influencer può svolgere tale attività sotto stretto controllo della banca stessa. Ove, invece, il fin-influencer svolga promozione attiva dei prodotti e servizi bancari offerti dalla Banca, tale attività sarebbe consentita solo ai consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede per conto della banca stessa o di altro suo distributore autorizzato (es. una SIM).
Ciò premesso, si rileva che qualora – come nel caso trattato dal Tribunale di Roma – l’attività del fin-influencer fosse caratterizzata da contenuti e modalità operative tali da dover essere inquadrata nell’ambito del rapporto di agenzia, il medesimo dovrebbe far parte della rete di vendita della banca composta dai soggetti previsti dalla Circolare 229/1999, quali dipendenti e consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede.
– I fin-influencer nell’ambito dell’offerta di prodotti e servizi di investimento
Con riferimento alla promozione di strumenti finanziari e/o prodotti di investimento sui social media da parte di fin-influencer occorre, invece, fare riferimento alle disposizioni del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (“Testo Unico della Finanza”, “TUF”). A tal riguardo, si evidenzia che la normativa finanziaria distingue le (i) attività di mera pubblicità commerciale, dalle (ii) attività di promozione e (iii) da quelle di collocamento, applicando ad esse diverse discipline normative.
Con riferimento alla pubblicità, si rileva, anzitutto, l’assenza di una specifica definizione normativa di tale attività nell’ambito della disciplina finanziaria. A tale riguardo, la dottrina sottolinea come la pubblicità sia un’attività caratterizzata per una valenza puramente informativa e rivolta ad incertam personam, ossia al pubblico indeterminato degli investitori, mentre l’attività di promozione sia volta a stimolare la propensione all’acquisto del singolo investitore, quindi un’attività direttamente finalizzata alla conclusione del contratto che si colloca all’interno di un rapporto diretto e personale con il cliente [14]. Tale interpretazione sembra allineata all’indicazione riportata nel Considerando 85 della MIFID II [15], nonché alla nozione di “pubblicità” prevista dall’art. 2, comma 1, lett. a) del Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n. 145 recante la “Attuazione dell’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole”, intesa come “qualsiasi forma di messaggio che è diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi” e che, in assenza di una specifica definizione nell’ambito della disciplina finanziaria, deve intendersi estesa anche a quest’ultima.
Una corretta individuazione del perimetro dell’attività pubblicitaria e dei caratteri che la distinguono dalla promozione e dall’attività distributiva assume rilevanza in quanto, ai sensi della normativa finanziaria, la pubblicità non configura prestazione di un servizio di investimento, né altra attività soggetta a riserva di legge e, pertanto, può essere svolta – nel rispetto dei principi e delle disposizioni normative che regolano l’attività pubblicitaria – da chiunque, senza necessità di un’autorizzazione preventiva o l’iscrizione ad un apposito albo o registro.
Come più volte precisato dalla Consob [16], anche l’attività di segnalazione di pregi – consistente nella “mera segnalazione della denominazione e della sede di un intermediario autorizzato, nonché nella generica enunciazione dei pregi del medesimo, senza svolgimento di alcuna attività promozionale o contrattuale a favore o nell’interesse dell’intermediario relativamente ai servizi dallo stesso prestati non rappresenta un’effettiva offerta di servizi di intermediazione mobiliare” – non costituisce attività riservata e può essere svolta senza necessità di preventiva autorizzazione e/o iscrizione ad un albo e/o registro. Al contempo, nelle proprie Comunicazioni, la Consob ha tenuto a sottolineare come la linea di confine tra la mera segnalazione di pregi e la promozione sia sottile, con conseguente invito alla cautela nel ricorrere alla segnalazione di pregi ed alla definizione di controlli adeguati volti ad accertare il rispetto dei limiti dell’attività di segnalazione di pregi.
Fintanto che l’attività del fin-influencer si limiti alla pubblicità di prodotti e servizi di investimento o alla segnalazione di pregi di un determinato emittente o intermediario finanziario, il medesimo non svolge alcuna attività riservata e pertanto non è tenuto all’iscrizione in alcun albo.
Diversamente, qualora – come nel caso esaminato dal Tribunale di Roma – l’attività del fin-influencer abbia ad oggetto anche un’attività promozionale finalizzata a favorire la vendita di servizi di investimento e prodotti finanziari – quali l’illustrazione delle caratteristiche del prodotto o del servizio e di qualsiasi elemento necessario ad assumere una decisione di investimento – potrebbero trovare applicazione le disposizioni normative in materia (almeno) di promozione.
Con riferimento alla promozione e al collocamento di prodotti e servizi di investimento, è necessario preliminarmente sottolineare che non sussiste una definizione giuridica di tali attività; secondo un’interpretazione ormai consolidata della Consob, le medesime costituisco due fasi diverse e autonome dell’attività distributiva (sebbene il collocamento possa svolgersi anche attraverso l’impiego di prodromiche iniziative di carattere promozionale) [17]. In particolare, la Consob ha precisato che l’attività esclusivamente promozionale di prodotti e/o servizi di investimento – svolta in sede e con interazione diretta con la clientela – non configura di per sé esercizio di servizi o attività d’investimento e, pertanto, non è soggetta ad alcun vincolo di riserva. In altri termini, la promozione presso la sede di una banca o di un intermediario finanziario non configura un servizio autonomo e di per sé regolamentato rispetto al servizio di collocamento al quale è funzionale, ma un momento dell’attività distributiva, che può andare a buon fine o meno. Diversamente, nel caso in cui la promozione sia effettuata “fuori sede” oppure tramite mezzi di “comunicazione a distanza”, tale attività può essere svolta solo da parte di soggetti autorizzati ai sensi delle disposizioni sull’offerta fuori sede, di cui agli articoli 30 e 32 del TUF (di cui meglio infra) [18].
Come noto, il collocamento – ai sensi dell’art. 1, comma 5 del TUF – costituisce un “servizio di investimento” ed è pertanto un’attività riservata agli intermediari specificamente autorizzati. Tenuto conto che – né le disposizioni normative primarie, né la regolamentazione finanziaria – forniscono una definizione specifica di collocamento, per individuare i tratti caratteristici di tale attività è necessario fare riferimento alle Comunicazioni emanate da Consob. A tal riguardo Consob ha precisato che, qualora al soggetto incaricato dell’attività promozionale sia accordato dall’emittente anche il potere di rivolgere ai potenziali investitori una vera e propria offerta di acquisto degli strumenti finanziari e di riceverne la relativa adesione, l’incaricato si trova a svolgere, in concreto, non già un’attività meramente promozionale, ma il servizio di collocamento. Il collocamento, quindi, include anche un’attività promozionale, ma è un servizio maggiormente strutturato e completo, comprensivo – a differenza della mera “promozione” – dell’assistenza fornita al cliente nella sottoscrizione del prodotto finanziario e, quindi, del potere, conferito al collocatore, di ricevere la documentazione contrattuale sottoscritta dal cliente (“adesione”) e trasmetterla all’emittente per la finalizzazione dell’acquisto o sottoscrizione.
Come indicato sopra, sia la promozione sia il collocamento – ove condotti fuori dai locali commerciali dell’emittente, del proponente l’investimento o del soggetto incaricato della promozione o collocamento, ovvero attraverso tramite tecniche di comunicazione a distanza – possono essere svolti solo dai soggetti a ciò specificamente autorizzati [19], secondo le disposizioni stabilite dalla Parte II, Capo IV del TUF e dal Libro VI del Regolamento adottato da Consob con delibera n. 20307 del 15 febbraio 2018 (“Regolamento Intermediari”) [20]. L’offerta fuori sede di prodotti e servizi di investimento non è armonizzata a livello europeo e trova, quindi, la sua regolamentazione specifica solo nella normativa domestica [21]. La ratio di tale disciplina origina dall’esigenza di garantire al consumatore una maggiore tutela in circostanze meno presidiate, caratterizzate da una maggiore pressione commerciale e una minore trasparenza, come le c.d. “vendite porta a-porta”.
In particolare, ai sensi dell’art. 30 del TUF, costituisce offerta fuori sede, “la promozione e il collocamento presso il pubblico a) di strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell’emittente, del proponente l’investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento; b) di servizi e attività di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio o l’attività”. Ai sensi del medesimo art. 30, comma 3 del TUF, tale attività può essere svolta esclusivamente da: “a) dai soggetti autorizzati allo svolgimento dei servizi previsti dall’articolo 1, comma 5, lettere c) [n.d.r. l’assunzione a fermo e/o collocamento sulla base di un impegno irrevocabile nei confronti dell’emittente] e c bis) [n.d.r. il collocamento senza impegno irrevocabile nei confronti dell’emittente]; b) dalle Sgr, dalle società di gestione UE, dalle Sicav, dalle Sicaf, dai GEFIA UE e non UE, limitatamente alle quote o azioni di Oicr”. Dopodiché, l’art. 31 comma 1 del TUF e l’art. 124 del Regolamento Intermediari, specificano che i soggetti autorizzati [22] – nel rapporto diretto con la clientela fuori dai locali commerciali – devono avvalersi di “consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede” nonché adempiere alle prescrizioni di cui al Libro III (i.e. le regole di condotta nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei servizi accessori) e all’articolo 93 (i.e. “Sistemi di remunerazione e di incentivazione e valutazione del personale”).
Pertanto, lo svolgimento di attività di promozione e/o di collocamento di prodotti e servizi di investimento al di fuori dei locali dell’intermediario finanziario autorizzato è consentito solo attraverso “consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede”, iscritti nell’apposita sezione dell’Albo tenuto dall’Organismo di Vigilanza e tenuta dell’Albo Unico dei Consulenti Finanziari (“OCF”) e soggetti alle regole di condotta di cui al Regolamento Intermediari. Tali soggetti possono essere legati all’intermediario abilitato in forza di un contrato di lavoro dipendente o di agenzia e possono svolgere la propria attività a favore di un solo intermediario finanziario (c.d. vincolo di monomandato).
La normativa domestica (l’art. 32 TUF) prevede una disciplina specifica delle attività di promozione e di collocamento, non solo quando siano svolte fuori sede, ma anche quando siano svolte attraverso “tecniche di comunicazione a distanza”, ossia attraverso “tecniche di contatto con la clientela, diverse dalla pubblicità, che non comportano la presenza fisica e simultanea del cliente e del soggetto offerente o di un suo incaricato”. La differenza rispetto all’offerta fuori sede sembra, quindi, potersi rinvenire nell’assenza della “presenza fisica” e “simultanea” del cliente e dell’offerente nello stesso luogo, sicché costituisce, senza dubbio promozione tramite mezzi di comunicazione a distanza, l’attività promozionale svolta tramite email, siti internet, messaggistica istantanea etc.
Da un’interpretazione letterale della definizione di tecniche di comunicazione a distanza, sembrerebbe che la presenza del cliente e dell’offerente debba essere, al tempo stesso, sia “fisica” che “simultanea” per escludere la promozione tramite mezzi di comunicazione a distanza. La distinzione tra l’ipotesi in cui le due condizioni siano cumulative e la diversa interpretazione secondo la quale sia sufficiente l’assenza di una delle due condizioni non è di poco conto, specialmente se si considera l’evoluzione dei mezzi digitali, che consentono oggi un’interazione simultanea tra soggetti che stanno fisicamente in lughi diversi (ossia, le videochiamate) e che la medesima potrebbe condurre all’applicazione di diverse normative. Infatti, nel caso in cui l’assenza della “presenza fisica” e della “simultaneità” debbano considerarsi congiuntamente, la promozione tramite videochiamata non dovrebbe essere soggetta alla disciplina dell’offerta tramite mezzi di comunicazione a distanza, bensì a quella dell’offerta fuori sede. Nel caso in cui, invece, l’assenza della “presenza fisica” e della “simultaneità” debbano considerarsi disgiuntamente, la promozione tramite videochiamata (mancando la presenza fisica, ma non la simultaneità) dovrebbe essere disciplinata dalle disposizioni relative alla promozione tramite tecniche di comunicazione a distanza. A parere di chi scrive, la prima delle due interpretazioni, sembra essere la più fondata, sia da un punto di vista letterale – per la presenza della congiunzione tra “presenza fisica” e “simultanea” – sia in considerazione della ratio sottostante alle norme, ossia quella di distinguere i casi in cui il cliente può interagire direttamente e simultaneamente con l’offerente al fine di chiedere chiarimenti, da quella in cui il cliente non ha la possibilità di ottenere risposte immediate.
Con riferimento alla promozione e al collocamento di strumenti finanziari e/o servizi di investimento tramite mezzi di comunicazione a distanza, il Regolamento Intermediari prevede che tali attività possano essere svolte esclusivamente da parte degli intermediari finanziari autorizzati, specificamente elencati nell’art. 125 dello stesso [23]. Tali attività devono, inoltre, essere svolte nel rispetto delle regole di condotta di cui al Libro III e al Libro IV del Regolamento Intermediari. La ratio della norma in tal caso è quella di garantire un controllo pieno delle comunicazioni promozionali che vengono trasmesse – con ogni mezzo – ai potenziali clienti.
Non è semplice inquadrare l’attività del fin-influencer e il relativo rapporto che lo lega all’emittente o all’intermediario finanziario nell’ambito del suddetto quadro normativo. Ciò, non solo per il fatto che le disposizioni sulla promozione e il collocamento sono state emesse avendo a mente i tradizionali schemi distributivi (vendita porta a porta, promozione tramite sito internet o email), ma anche in considerazione dei diversi modelli di business attraverso i quali i fin-influencer – e più in generale gli influencer – operano nel web.
Le attività dei fin-influencer, infatti, come già accennato sopra, potrebbero limitarsi alla mera pubblicità o alla segnalazione di pregi ed in tal caso non richiederebbero alcuna autorizzazione e/o iscrizione preventiva ad un apposito albo o registro.
Più complesso invece appare l’inquadramento del fin-influencer che non si limiti all’attività pubblicitaria e alla segnalazione di pregi ma che promuova prodotti e servizi di investimento su incarico di un determinato emittente e/o intermediario finanziario autorizzato alla prestazione di servizi di investimento. In tal caso, non può di certo dirsi che l’attività promozionale sia svolta “presso i locali dell’intermediario” e pertanto – a seconda delle modalità con le quali viene svolta – potrebbe costituire “offerta fuori sede” ovvero promozione “tramite mezzi di comunicazione a distanza”. Proviamo ad ipotizzare alcuni casi e ad effettuare alcune riflessioni sulle possibili applicazioni della normativa in oggetto.
Il primo caso – ossia, l’offerta fuori sede – potrebbe ipotizzarsi qualora l’attività promozionale da parte del fin-influencer sia svolta attraverso dirette streaming che consentono un’interazione diretta con i propri followers. In tali casi, infatti, il fin-influencer e i followers (potenziali clienti) hanno la possibilità di interagire simultaneamente (ad esempio, con domande e risposte su un determinato prodotto finanziario o servizio di investimento), sebbene non siano presenti fisicamente nello stesso luogo. In tal caso, il fin-influencer – ad avviso di chi scrive – dovrebbe essere un consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede.
Qualora l’attività promozionale da parte del Fin-influencer dovesse, invece, avvenire attraverso la pubblicazione di video promozionali di prodotti e servizi di investimento sul proprio profilo social, senza interazione diretta con i followers, si configurerebbe un’attività di promozione attraverso mezzi di comunicazione a distanza, riservata ai soggetti autorizzati di cui all’art. 125 del Regolamento Intermediari.
Se – come nel caso analizzato dal Tribunale di Roma – il fin-influencer nel pubblicare i contenuti multimediali, dovesse anche mettere a disposizione dei propri follower dei codici promozionali e/o fornire istruzioni e/o link per la sottoscrizione diretta dei prodotti e servizi di investimento, l’attività del fin-influencer potrebbe configurare non solo promozione, ma anche collocamento, che, ai sensi dell’art. 1, comma 5 del TUF, costituisce “servizio di investimento” ed è, pertanto, riservato agli intermediari finanziari a ciò specificamente autorizzati. A tal riguardo, si ricorda come la Consob abbia inquadrato nell’ambito della promozione e collocamento a distanza di servizi finanziari, di cui all’art. 32 TUF, anche la semplice pubblicazione di banners sulle pagine web, qualora tali banners siano in grado di mettere in collegamento l’utente con l’emittente o il prestatore di servizi di investimento per la sottoscrizione dei relativi prodotti o servizi e la remunerazione del soggetto ospitante il banner sia commisurata alle vendite realizzate tramite tale accesso.
Più specificamente nell’ambito della Comunicazione n. DIN/10077002 del 17-09-2010 la Consob ha precisato “in linea generale, che i predetti “banners” – qualora consentano, ove selezionati, di accedere all’indirizzo web di un soggetto abilitato alla prestazione dei servizi di investimento – sono da intendersi come accorgimenti di natura tecnica, insuscettibili di essere qualificati, di per sé solo considerati, come autonoma forma di “promozione e collocamento a distanza”, come tale riservata agli intermediari autorizzati ai sensi degli artt. 32 del d.lgs. n. 58/1998 (T.U.F.) e 79 del Regolamento CONSOB n. 16190/20072”. Tuttavia – precisa Conosb –“A conclusioni diverse si perviene, invece, nell’ipotesi in cui i menzionati “banners” costituiscano elementi di una più complessa attività a carattere non meramente pubblicitario ed informativo; in particolare, l’ospitare in pagine web “banners” può integrare, anche in relazione al contesto in cui sono collocati, la nozione di “promozione o collocamento a distanza” dei servizi di investimento prestati dall’intermediario al cui sito è favorito il collegamento, qualora i messaggi ivi contenuti siano idonei ad instaurare forme di dialogo o di interazione con gli utenti ovvero presentino natura negoziale (o comunque siano tali da non limitarsi all’enunciazione delle qualità e caratteristiche del soggetto offerente, dei servizi di investimento o degli strumenti finanziari offerti). In considerazione di ciò, nel caso in cui i messaggi contenuti nei siti internet ospitanti i “banners” in parola, dovessero presentare le caratteristiche da ultimo indicate, si configurerebbe un’attività di “promozione e collocamento a distanza” riservata a soggetti debitamente autorizzati, il cui esercizio abusivo integrerebbe, conseguentemente, un illecito punibile sia penalmente che amministrativamente”.
L’inquadramento giuridico del fin-influencer nell’ambito dell’ordinamento finanziario deve avvenire attraverso un’attenta valutazione caso per caso, analizzando ogni elemento fattuale che possa ricondurre l’attività svolta alla mera segnalazione di pregi o all’attività pubblicitaria, ovvero all’attività di promozione e collocamento fuori sede per conto di emittenti o altri intermediari autorizzati alla prestazione di servizi di investimento. A tal riguardo, preme evidenziare come i meccanismi di remunerazione costituiscano uno dei principali elementi fattuali per il corretto inquadramento dell’attività svolta. Si ricorda, infatti, che la Consob ha più volte sottolineato che “un meccanismo di remunerazione dell’attività di mera segnalazione che preveda il riconoscimento di un compenso solo ove il cliente “presentato” abbia effettivamente concluso il contratto e compiuto un atto di disposizione “potrebbe indurre, in modo implicito ma convincente, […] a non limitare la propria attività ad una mera presentazione dell’impresa di investimento ma ad estenderla ad una effettiva promozione dei servizi dalla stessa forniti”; attività, quest’ultima, che, se svolta “fuori sede”, risulta riservata esclusivamente agli intermediari appositamente autorizzati” [24].
In conclusione, l’attività del fin-influencer , svolta mediante la pubblicazione di video e/o dirette streaming e la pubblicazione di contenuti digitali nell’ambito dei quali il fin-influencer stesso – non si limiti alla pubblicità o alla segnalazione di pregi di un determinato emittente o intermediario finanziario ma – promuova ed eventualmente favorisca la sottoscrizione di servizi e prodotti di investimento (attraverso link al sito dell’emittente o dell’intermediario finanziario), potrebbe qualificare un’attività riservata, richiedendo – conseguentemente – l’iscrizione da parte del fin-influencer all’Albo Unico dei consulenti finanziari, tenuto dall’OCF, nella sezione relativa ai “consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede” di cui all’art. 31 del TUF.
In tali casi, il rapporto contrattuale tra l’emittente il prodotto di investimenti e/o l’intermediario finanziario dovrebbe essere qualificato come contratto di agenzia o di mandato e, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del TUF il fin-influencer sarebbe soggetto al vincolo del mono-mandato (“attività di consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede è svolta esclusivamente nell’interesse di un solo soggetto”).
Infine, ulteriori considerazioni andrebbero svolte in merito alla possibilità che le attività svolte dal fin-influencer possano sfociare nella consulenza in materia di investimenti, di cui all’art. 1 comma 5 septies del TUF [25] o in “raccomandazioni in materia di investimenti”, di cui all’art. 3, par. 1, punto 35 del Regolamento (UE) n. 596/2014 relativo agli abusi di mercato (“MAR”) [26].
Con specifico riferimento alla prima delle due si ricorda che, ai sensi dell’art. 1, co. 5 del TUF, la consulenza in materia di investimenti è un servizio di investimento e, quindi, la relativa prestazione è riservata a soggetti (i.e. banche, imprese di investimento, SGR, consulenti finanziari autonomi, società di consulenza finanziaria etc.) a ciò autorizzati. Essa consiste nella formulazione di raccomandazioni (di acquisto, vendita, mantenimento) che: 1) abbiano ad oggetto strumenti finanziari; 2) siano personalizzate, ossia formulate tenendo conto delle caratteristiche del cliente (conoscenza ed esperienza), dei suoi obiettivi di investimento e della relativa capacità di sostenere perdite. Lo svolgimento delle attività di consulenza in materia di investimenti richiede il rispetto di specifiche regole di condotta. Con riguardo al rischio che le raccomandazioni di investimento fornite attraverso internet, social media etc. possano configurare consulenza in materia di investimenti – sebbene rivolte al pubblico e non ad un singolo cliente – l’ESMA, nel “Supervisory Briefing on understanding the definition of advice under MiFID II” del 11 luglio 2023 – richiamando il considerando 14 del Regolamento Delegato 2017/565 [27] – ha affermato che “a recommendation concerning financial instruments made through internet websites, investment apps, and/or social media (including through (f)influencers) could, in certain instances, be regarded as a personal recommendation and not as issued exclusively to the public”. Ciò, in particolare, quando la raccomandazione di investimento, sia indirizzata a – o sia rappresentata come adeguata per – una determinata persona o un determinato gruppo a cui tale persona appartiene (quali potrebbero essere, in linea teorica, i followers dell’influencer che hanno determinate caratteristiche).
Con riferimento alla pubblicità, si rileva come l’eventuale suggerimento da parte del fin-influencer ad acquistare determinati titoli, quotati nei mercati regolamenti, possa costituire una raccomandazione in materia di investimenti di cui al MAR. A tal riguardo, l’ESMA il 6 febbraio 2014 ha avvertito il mercato in merito ai rischi di market manipulation che possono essere insiti in alcune raccomandazioni di investimento postate sui social media e ha ricordato come tale attività, sebbene non sia riservata a soggetti autorizzati, sia soggetta a specifici adempimenti normativi previsti dalla disciplina sugli abusi di mercato, la cui violazione può comportare l’irrogazione di sanzioni amministrative e penali.
– i Fin-influencer in ambito assicurativo
Con riferimento alla normativa in ambito assicurativo, si rileva, anzitutto che l’art. 106 del Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (“Codice delle Assicurazioni Private”, “CAP”) riserva alle imprese di assicurazioni e agli intermediari assicurativi lo svolgimento delle attività di “distribuzione assicurativa”.
Dalla definizione di “distribuzione assicurativa” prevista dall’art. 106 del CAP si evince che rientrano nell’ambito di tale attività:
- la consulenza assicurativa, che ai sensi dell’art. 1, co.1, lett. m-ter del CAP consiste nel “fornire raccomandazioni personalizzate ad un cliente, su richiesta dello stesso o su iniziativa del distributore, in relazione ad uno o più contratti di assicurazione”
- proporre contratti di assicurazione, ossia la promozione degli stessi;
- il compimento di “altri atti” (ulteriori rispetto alle attività di promozione) preparatori relativi alla conclusione di contratti di assicurazione, ossia il collocamento;
- la collaborazione nella gestione di sinistri;
- la fornitura di informazioni e la comparazione di uno o più contratti di assicurazione, attraverso siti comparatori, qualora il cliente è in grado di stipulare direttamente o indirettamente il contratto tramite sito internet.
Le suddette attività possono essere svolte esclusivamente dalle imprese assicurative e dagli intermediari assicurativi di cui all’articolo 198 del CAP, che sono iscritti nel Registro Unico degli Intermediari assicurativi tenuto dall’IVASS (RUI) e che sono tenuti a rispettare determinate norme di condottata, oltre che ad adempiere a requisiti di formazione e aggiornamento professionale.
Al fine di delineare i confini dell’attività distributiva, occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 107 comma 3, del CAP; non configurano attività di distribuzione assicurativa o riassicurativa e sono, quindi, escluse dall’ambito di applicazione della riserva di attività, inter alia: “c) la mera fornitura di dati e informazioni su potenziali assicurati a intermediari assicurativi o riassicurativi, o a imprese di assicurazione o di riassicurazione, se il fornitore non intraprende ulteriori iniziative di assistenza nella conclusione di un contratto di assicurazione o riassicurazione” e “d) la mera fornitura a potenziali assicurati di informazioni su prodotti assicurativi o riassicurativi, su un intermediario assicurativo o riassicurativo, su un’impresa di assicurazione o riassicurazione, se il fornitore non intraprende ulteriori iniziative di assistenza nella conclusione del contratto”.
Non sono, inoltre, comprese nella definizione di cui all’art. 106 del CAP né le attività meramente pubblicitarie, né la segnalazione di pregi. A quest’ultimo riguardo, l’IVASS – coerentemente con la richiamata esclusione di cui alla lettera d) dell’art. 107, comma 3, del CAP – ha precisato che l’attività di mera segnalazione di nominativi del distributore [28] non costituisce distribuzione assicurativa, “salvo che essa non si sostanzi in un’attività di assistenza o consulenza finalizzate alla presentazione o proposta di contratti di assicurazione ai clienti e comporti la percezione di un compenso” (Cfr. Q&A pubblicata sul sito internet IVASS).
È sulla base dei contenuti divulgati e delle modalità di remunerazione dei fin-influencer , da un lato, e le norme che definiscono il perimetro della distribuzione assicurativa sopra richiamate, dall’altro lato, che va verificato se le attività svolte dai fin-influencer possano rientrare nel perimetro dell’attività di distribuzione assicurativa. Andranno esaminati gli elementi fattuali che caratterizzano l’attività del fin-influencer, quali, ad esempio, la divulgazione ai propri follower di link ai siti delle imprese, o istruzioni di sottoscrizione dettati dal medesimo nell’ambito dei video e/o coupon, o altre informazioni che consentano al pubblico dei followers di sottoscrivere il prodotto assicurativo. A seconda dei contenuti dei messaggi divulgati, l’attività svolta dal fin-influencer potrebbe, ad esempio, configurare promozione o essere intesa come “assistenza” alla sottoscrizione del prodotto assicurativo. Nella valutazione rileveranno anche le modalità di interazione del fin-influencer con il pubblico dei follower – ad esempio attraverso chat (individuali o di gruppo) o dirette streaming – nonché le remunerazioni allo stesso riconosciute da imprese assicurative o intermediari assicurativi.
L’inquadramento dell’attività svolta dai fin-influencer in ambito assicurativo può risultare non agevole e variare da caso a caso a seconda degli specifici contenuti dei messaggi dallo stesso divulgati e, più in generale, dalle relative modalità operative.
Gli artt. 106 e 107 del CAP consentono soltanto in parte di definire i confini oltre i quali l’attività del fin-influencer può essere attratta alla definizione di distribuzione assicurativa, come detto, riservata alle imprese di assicurazione e agli intermediari assicurativi: il fin-influencer (che non sia un intermediario assicurativo) non può certamente promuovere o offrire contratti di assicurazione, né svolgere consulenza assicurativa o attività comparativa tra contratti di assicurazione, né compiere atti preparatori relativi alla conclusione di contratti di assicurazione; può, invece, svolgere attività di mero indirizzo dei suoi follower a intermediari assicurativi o imprese di assicurazione.
Meno immediato è stabilire i confini tra pubblicità (non riservata) e promozione (soggetta a riserva di legge) di contratti assicurativi, da un lato, e tra promozione e la “mera fornitura a potenziali assicurati di informazioni su prodotti assicurativi o riassicurativi, su un intermediario assicurativo o riassicurativo, su un’impresa di assicurazione o riassicurazione” senza “intraprende ulteriori iniziative di assistenza nella conclusione del contratto”, dall’altro lato.
Con riguardo alla prima delle due distinzioni, nella normativa di legge e regolamentare in ambito assicurativo non esiste una definizione specifica di “promozione”, per quanto vi siano, come noto, più previsioni che regolano le modalità di prestazione dell’attività di promozione (ad esempio, il Capo III del Regolamento IVASS 40/2018).
La pubblicità è, invece, definita dall’Art. 2 comma 1, lett. v) del Regolamento IVASS 41/2018 come “ogni messaggio, diffuso con qualsiasi mezzo di comunicazione e con qualunque modalità, avente la finalità di promuovere i prodotti assicurativi”. La stessa definizione è utilizzata anche nell’art. 2, comma 1, del Regolamento 40/2018, in materia di distribuzione assicurativa. La definizione di “pubblicità” non è di grande aiuto nel tentare di tracciare una linea di demarcazione tra promozione e pubblicità, dato che la pubblicità è definita quale attività “avente la finalità di promuovere i prodotti assicurativi”. Una strada interpretativa potrebbe consistere nell’attingere alla MiFID II e, in particolare, ad un principio ricavabile dal suo Considerando 85. Nell’introdurre il concetto di reverse solicitation, infatti, nel Considerando 85 si distingue il caso in cui un servizio sia prestato su iniziativa del cliente in risposta ad una “comunicazione personalizzata da o per conto dell’impresa a quel particolare cliente, che contiene un invito o è intesa a influenzare il cliente rispetto ad uno strumento finanziario o transazione finanziaria specifici”, in cui non è possibile considerare il servizio come prestato su iniziativa del cliente, rispetto al caso in cui un cliente richieda l’attivazione del servizio di investimento “sulla base di comunicazioni contenenti una promozione o offerta di strumenti finanziari effettuate con mezzi che siano per natura generali e rivolti al pubblico o a un più ampio gruppo o categoria di clienti o di potenziali clienti”, nel quale il servizio risulterebbe attivato in reverse solicitation. Da questa indicazione si desume come, al fine di chiarire quando la prestazione di servizi di investimento richiede un’autorizzazione, si distingue la pubblicità rivolta ad pubblico indistinto o comunque ad un gruppo o categoria di clienti e potenziali clienti (che pur presentando contenuti promozionali non configura un’attività di offerta o comunque di sollecitazione all’investimento), rispetto ai messaggi promozionali rivolti ad un particolare cliente (che qualificano l’attività di offerta di servizi e richiedono, quindi, un’autorizzazione alla prestazione dei servizi offerti). Per analogia potremmo ritenere che la pubblicità relativa a prodotti assicurativi – non soggetta a riserva di legge – sia caratterizzata da contenuti promozionali rivolti ad un pubblico indistinto o un gruppo di soggetti, ma non ad uno specifico cliente o potenziale cliente, tenendo conto delle relative caratteristiche ed esigenze, mentre la promozione – riservata – sia tale quando i messaggi promozionali siano rivolti ad uno specifico soggetto e finalizzati ad un’offerta allo stesso rivolta.
Per quanto attiene alla distinzione tra la promozione in ambito assicurativo e la “mera fornitura a potenziali assicurati di informazioni su prodotti assicurativi o riassicurativi, su un intermediario assicurativo o riassicurativo, su un’impresa di assicurazione o riassicurazione” senza “intraprende ulteriori iniziative di assistenza nella conclusione del contratto”, si ritiene che la fornitura di informazioni su prodotti assicurativi, intermediari o imprese di assicurazione e riassicurazione non configuri promozione nella misura in cui le informazioni fornite ad un determinato soggetto non contengano alcun messaggio promozionale, invito a sottoscrivere, raccomandazione o altra forma di sollecitazione alla sottoscrizione del prodotto stesso e non venga fornito al potenziale assicurato alcun supporto volto a favorire la conclusione di un contratto da parte dello stesso, ma si limitino, invece, alla condivisione di informazioni meramente descrittive su prodotti o soggetti.
Ciò premesso, si rileva che qualora – come nel caso trattato dal Tribunale di Roma – l’attività del fin-influencer fosse caratterizzata da contenuti e modalità operative tali da doverla inquadrare nell’ambito del rapporto di agenzia, il medesimo: (i) in caso di mandato conferito dall’impresa assicurativa, dovrebbe assumere la qualifica di “agente assicurativo” ed essere, quindi, iscritto nella sezione A del RUI, di cui all’art 109 comma 2 lett. a) del CAP; ovvero (ii) nel caso di collaborazione con altro intermediario assicurativo, dovrebbe assumere la qualifica di “soggetto addetto all’intermediazione”, quale collaboratore di altro intermediario, ed essere, quindi, iscritto nella Sezione E del RUI. In ogni caso, la qualificazione del fin-influencer quale intermediario assicurativo comporterebbe in capo al medesimo l’obbligo di iscrizione al RUI, l’adempimento degli obblighi formativi e di aggiornamento, nonché il rispetto delle regole di condotta.
3. Prospettive di futura regolamentazione dei fin-influencer
Tenuto conto del livello di armonizzazione della normativa bancaria, finanziaria e assicurativa, le prospettive di una futura regolamentazione dei fin-influencer non possono prescindere da una disciplina normativa a livello comunitario. A tale riguardo si evidenzia come i fin-influencer siano da tempo oggetto di studio e analisi da parte, non solo delle autorità di vigilanza del settore finanziario, ma anche delle istituzioni europee stesse.
Con il Technical Advice “on the European Commission mandate on certain aspects relating to retail investor protection” – rilasciato il 29 aprile 2022 su richiesta della Commissione Europea, nel quadro dell’allora prospettata revisione della normativa europea a protezione degli investitori al dettaglio (c.d. retail investment strategy) [29] – l’ESMA, dopo aver analizzato nel dettaglio le tendenze evolutive delle prassi commerciali digitali nel mercato finanziario e la diffusione e l’impatto che i fin-influencer hanno sugli investitori retail (in particolare, sui più giovani) [30], ha raccomandato alla Commissione Europea stessa di conferirle uno specifico mandato all’elaborazione di guidelinessui temi dell’informativa digitale e dell’utilizzo di tecniche e strumenti digitali da parte delle imprese di investimento e di terze parti [31]. In tal senso l’ESMA non ha ritenuto necessario raccomandare alla Commissione l’introduzione di una disciplina specifica sull’utilizzo di social media e fin-influencer nell’ambito dell’intermediazione finanziaria, in quanto – secondo l’ESMA – i principi e le disposizioni previste da MiFid II sono di per sé adeguati e sufficienti a regolare anche tali aspetti connessi alla digitalizzazione dei servizi di investimento [32], purché siano forniti adeguati orientamenti interpretativi per l’applicazione degli stessi [33].
L’ESMA è tornata a trattare il tema dei fin-influencer nel “Discussion Paper On MiFID II investor protection topics linked to digitalisation” pubblicato il 14 dicembre 2023. Nell’ambito di tale Discussion Paper, l’ESMA ha ripercorso le iniziative legislative adottate (e non) dagli Stati Membri e gli studi più recenti sull’evoluzione della digitalizzazione nell’ambito della prestazione di servizi di investimenti, dedicando un focus specifico sui fin-influencer (par. da 71 a 82). A tal riguardo, l’ESMA ha confermato che le imprese di investimento: (i) sono responsabili in relazione all’accuratezza delle informazioni fornite dai fin-influcencer ai potenziali investitori e in relazione alla conformità delle attività dai medesimi svolte rispetto alle disposizioni previse da MiFid II, (ii) dovrebbero monitorare le attività svolte dai fin-influencer , adottando appositi presidi di controllo (iii) dovrebbero adottare policies e procedure volte a disciplinare i rapporti con i fin-influencers (in particolare, i processi di selezione e controllo dei fin-influencer , l’approvazione e la revisione dei contenuti multimediali dai medesimi pubblicati, la gestione di conflitti di interesse, le remunerazioni ai medesimi riconosciute e la tenuta di registrazioni relative ai rapporti contrattuali in essere con i medesimi); (iv) dovrebbero dare evidenza specifica del fatto il fin-influencer è remunerato per diffondere qualsiasi tipo di messaggio promozionale /pubblicità (o formazione) per conto della stessa.
Con tale Discussion Paper l’ESMA ha chiesto ai vari stakeholders (imprese di investimento, investitori retail e associazioni di categoria) di fornire, entro il 14 marzo 2024 informazioni in merito alle relative esperienze [34]. L’ESMA utilizzerà i feedback pervenuti per pubblicare un proprio Position Paper sull’utilizzo di pratiche di digital-engagement, come il “gamification”, e sull’uso di pratiche di marketing (compresi i social media e i fin-influencer) da parte delle imprese di investimento, e in particolare per valutare l’eventuale necessità di una risposta normativa.
La Commissione Europea ha recepito le raccomandazioni formulate dall’ESMA con il Technical Advice del 2021, introducendo nella “Proposta di Direttiva che modifica le direttive 2009/65/CE, 2009/138/CE, 2011/61/UE, 2014/65/UE e (UE) 2016/97 per quanto riguarda le norme dell’Unione a tutela degli investitori al dettaglio” (c.d. “Direttiva Omnibus”, di cui al c.d. “Retail Investment Package”), una disciplina specifica sulle comunicazioni e pratiche di marketing, sia in ambito MiFid II, sia in ambito IDD. Nello specifico, la Proposta di Direttiva Omnibus presentata dalla Commissione Europea non prevede una disciplina specifica degli influencer finanziari e delle attività dai medesimi svolte, ma include il ricorso a tali figure professionali tra le pratiche di marketing [35] a cui le imprese di investimento, le imprese assicurative e gli intermediari assicurativi possono far ricorso nell’ambito delle attività promozionali dei relativi prodotti. Si prevede, quindi, sia in ambito MiFid II (art. 24 quater), sia in ambito IDD (art. 26 bis), che le imprese di investimento, le imprese assicurative e gli intermediari assicurativi che organizzano una propria comunicazione di marketing siano pienamente responsabili dell’adeguatezza del contenuto, dell’aggiornamento e dell’uso, nel rispetto della congruenza rispetto al target market e alla categoria di clienti individuati. La proposta di Direttiva Omnibus presentata dalla Commissione UE prevede che le imprese di investimento, le imprese assicurative e gli intermediari assicurativi adottino adeguati presidi volti ad assicurare che le comunicazioni di marketing siano imparziali chiare e non fuorvianti, nonché chiaramente riconoscibili come tali dall’investitore retail, identificando espressamente l’impresa di investimento, l’impresa assicurativa e/o l’intermediario assicurativo responsabile del contenuto della comunicazione stessa e della relativa distribuzione. A tal fine, si richiede ai produttori e ai distributori di prodotti di investimento e di prodotti di investimento assicurativi, di adottare policy e procedure sulla gestione e monitoraggio di tutte le comunicazioni e pratiche di marketing (tra cui anche la previsione di registrazioni specifiche delle comunicazioni di marketing e dei soggetti attraverso le quali sono veicolate), prevedendo altresì misure tempestive ed efficaci in relazione a qualsiasi comunicazione o pratica di marketing non conforme agli obblighi ivi previsti.
Preme osservare come nella Proposta di Direttiva Omnibus formulata dalla Commissione UE, si dia per assunto che l’attività del fin-influencer sia un’attività meramente pubblicitaria e promozionale, come tale esclusa dal novero delle attività riservate (ricordiamo che, diversamente dalla normativa italiana, la normativa comunitaria non disciplina la promozione di prodotti e servizi di investimento fuori dai locali commerciali dell’intermediario finanziario). Tale Proposta non tiene in considerazione il fatto che la collaborazione contrattuale tra il fin-influencer e l’emittente possa consistere in attività che vanno oltre il confine della mera promozione, come ad esempio nel caso esaminato dal Tribunale di Roma.
Nell’ambito dell’iter legislativo del Retail Investment Package, il Parlamento Europeo ha espresso la propria posizione sulla Proposta di Direttiva Omnibus, proponendo l’introduzione di disposizioni specifiche sugli influencer finanziari. In particolare, nei considerando 31 bis e 32 bis, il Parlamento rileva come “Le generazioni più giovani sono le più vulnerabili alle pratiche di vendita scorretta digitali. Sebbene l’aumento degli influencer finanziari possa essere positivo in termini di promozione dell’educazione finanziaria per un pubblico più ampio, è essenziale assicurare garanzie sufficienti al fine di creare un ambiente di investimento sicuro per ciascun cittadino dell’Unione” e ed evidenzia come “Le imprese di investimento, le imprese di assicurazione e gli intermediari assicurativi che ricorrono agli influencer finanziari per le loro comunicazioni di marketing dovrebbero definire un accordo scritto con gli influencer finanziari, che definisca il contenuto della loro relazione contrattuale, segnatamente l’ambito e la natura delle attività svolte. Su richiesta, dovrebbero altresì fornire alle autorità competenti l’identità e le informazioni di contatto degli influencer finanziari, dei cui servizi si servono, e dovrebbero effettuare controlli regolari sulle attività svolte dagli influencer finanziari per garantire che rispettino la presente direttiva”. Tale posizione fa emergere come le disposizioni sulle pratiche e comunicazioni di marketing proposte dalla Commissione UE non siano sufficienti a regolare le attività svolte dai fin-influencer e a presidiare i relativi rischi di misselling e come sia necessaria una responsabilizzazione e una supervisione da parte delle imprese di investimento, delle imprese assicurative o degli intermediari assicurativi sui contenuti pubblicati dai fin-influencer con i quali intrattengono rapporti di collaborazione. Inoltre, la previsione di un flusso informativo da parte dei soggetti vigilati verso le autorità di vigilanza con riferimento all’identità e ai contatti dei fin-influencer fa emergere, ad avviso di chi scrive, un’esigenza di monitoraggio da parte di queste ultime sulle attività svolte da tali figure.
Al fine di intensificare la protezione degli investitori retail, il Parlamento Europeo fornisce, anzitutto, una definizione di “influencer finanziario”, in ambito sia MIFID II [36], sia IDD [37], che identifica l’influencer come “ una persona fisica o giuridica che svolge un’attività di influenza commerciale mobilitando la sua notorietà per comunicare al pubblico, mediante mezzi elettronici e in cambio di una retribuzione (…) contenuti volti a promuovere, direttamente o indirettamente” prodotti o contratti finanziari o prodotti di investimento assicurativi.
La Proposta di Direttiva Omibus formulata dal Parlamento prevede – rispettivamente agli artt. 24 quater, par. 4 bis di MIFID II e all’art. 26 bis, par. 4 bis della IDD – che le imprese di investimento, le imprese assicurative e gli intermediari assicurativi che si avvalgono di influencer finanziari debbano stipulare un accordo scritto con questi ultimi, stabilendo la natura e l’ambito dell’attività svolta per conto dell’impresa e verificando in maniera regolare se l’attività dai medesimi svolta sia conforme alle disposizioni normative. Inoltre, tale accordo deve prevedere che l’impresa di investimento, su richiesta dell’autorità nazionale competente, fornisca l’identità e le informazioni di contatto del fin-influencer di cui si avvale. In ogni caso, l’impresa di investimento, l’impresa assicurativa e l’intermediario assicurativo che si avvalgono di fin-influencer sono responsabili dell’adeguatezza dei contenuti, del relativo aggiornamento e della scelta stessa di ricorrere a tale pratica di marketing [38].
Si ricorda, infine, che sempre nell’ambito dell’iter legislativo del Retail Investment Package, anche il Consiglio Europeo lo scorso 12 giugno 2024 ha espresso la propria posizione in merito alla Proposta di Direttiva Omnibus della Commissione Europea [39]. Nell’ambito di tale posizione, il Consiglio Europeo – diversamente dal Parlamento Europeo – non ha introdotto alcuna disposizione specifica relativa ai fin-influencer. Se ne desume che, nell’ottica del Consiglio Europeo, le disposizioni in materia di comunicazioni e pratiche di marketing formulate dalla Commission Europea nella proposta iniziale di Direttiva Omnibus siano sufficienti ed adeguate a disciplinare anche la commercializzazione dei prodotti di investimento tramite influencer finanziari.
Le posizioni del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla disciplina dei fin-influencer appaio, ad oggi, molto lontane e, pertanto, solo all’esito dei negoziati interistituzionali sarà possibile sapere quale sarà la disciplina applicabile ai fin-influencer.
4. Conclusioni
Nell’ultimo “Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane – focus investitori” [40], pubblicato da Consob a luglio 2024, per la prima volta viene analizzato il tema delle fonti e della documentazione maggiormente utilizzate dagli investitori per raccogliere informazioni sull’economia, la finanza e le opportunità di investimento e viene evidenziato come l’era digitale e l’intelligenza artificiale abbiano conferito rilevanza a nuove fonti di informazione – rispetto ai tradizionali siti degli intermediari finanziari e delle autorità di vigilanza – come internet e i social media nelle scelte di investimento degli italiani [41]. In particolare, con riferimento ai social media, il Rapporto mostra come alcune categorie di investitori (in particolare le donne, i meno abbienti, i meno istruiti e coloro che hanno conoscenze finanziarie e digitali più basse) siano più propensi ad un utilizzo frequente dei social media. “In tale contesto” – si evidenzia nel Rapporto – “chi si affida di più ai social media per avere informazioni sugli investimenti, essendo meno competente in ambito economico-finanziario e digitale e/o finanziariamente più fragile, può essere esposto con maggiore probabilità al rischio di assumere decisioni di investimento di cui non ha piena consapevolezza o che non è in grado di valutare adeguatamente, oltre al rischio di essere vittima di frodi finanziarie”.
Tuttavia, attualmente l’offerta di servizi bancari, finanziari e assicurativi attraverso canali digitali ed, in particolare, attraverso fin-influencer – come abbiamo visto sopra – costituisce un ambito del tutto privo di una regolamentazione specifica e costringe gli operatori del settore ad esercizi interpretativi di non facile soluzione, volti ad estendere o escludere, a seconda dei casi (o anche della convenienza) l’applicazione delle disposizioni normative vigenti.
In particolare, la mancanza di una definizione normativa di influencer e, quindi, l’assenza di una chiara qualificazione delle attività dai medesimi svolte, comporta la necessità di inquadrare tali figure e le attività dalle medesime svolte nell’ambito degli istituti giuridici già esistenti [42], attraverso un’analisi caso per caso che porta inevitabilmente all’applicazione di tutele diverse a seconda della regolamentazione di settore presa in considerazione e dell’attività su cui si pone l’accento (pubblicità, promozione o collocamento). A titolo esemplificativo, dalle analisi sopra condotte emerge che gli influencer finanziari che promuovono contratti di finanziamento devono essere iscritti nell’elenco degli agenti in attività finanziaria tenuto dall’OAM (anche se si limitano alla mera segnalazione di pregi di istituti di credito), mentre i fin-influencer che promuovono prodotti e servizi di investimento con finalità di vendita – indirizzando i follower sui siti degli intermediari ed eventualmente fornendo indicazioni per la sottoscrizione dei prodotti – potrebbero essere tenuti ad iscriversi all’albo dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede tenuto dall’OCF.
Tale divergenza appare ancora più evidente ove si ponga a confronto la disciplina nazionale con le prospettive di regolamentazione elaborate a livello comunitario. A tale riguardo, si osserva anzitutto come, l’inquadramento dell’attività del fin-influencer (i) in ambito nazionale sembra porsi sul piano della sua qualificazione come attività commerciale (lo stesso Tribunale di Roma qualifica il rapporto tra l’influencer e l’impresa mandante nell’ambito della distribuzione del prodotto ed in particolare nell’ambito del rapporto di agenzia), ossia di un’attività riservata e soggetta ad un determinato regime normativo a tutela dei consumatori – mentre (ii) a livello europeo, nell’ambito del Retail Investment Package, tale attività sembra confinata alla mera comunicazione commerciale e alla promozione, che ai sensi della normativa europea non sono soggette a riserva di legge. Ne consegue, in quest’ultimo caso, l’inapplicabilità delle regole di condotta previste per gli intermediari finanziari e assicurativi e, quindi, la totale de-responsabilizzazione dei fin-influencer e maggiori oneri e aggravi – in termini di responsabilità e adempimenti organizzativi – in capo alle imprese di investimento, alle imprese assicurative e agli intermediari assicurativi che ne fanno uso.
A questo elemento di difficoltà se ne aggiunge uno ulteriore connesso alla non uniformità di approccio nelle definizioni di pubblicità, promozione e offerta (attività che, a seconda dei casi, possono essere svolte dai fin-influencer) e nella relativa regolamentazione rispettivamente in ambito finanziario, bancario e assicurativo.
La conseguenza di un approccio e di un quadro normativo non armonizzati a livello comunitario e tra i diversi ambiti normativi (finanziario, bancario e assicurativo) è che, a parità di attività svolte dai fin-influencer, potrebbero trovare applicazione regimi autorizzativi e regole di condotta differenti alle attività svolte da tali soggetti in tre ambiti che sono tra di essi prossimi e caratterizzati da analoghe esigenze di tutela dei clienti.
Allo stato attuale, è possibile osservare come la mancata previsione di disposizioni normative che regolino l’attività dei fin-influencer e l’applicazione in via interpretativa degli istituti giuridici esistenti abbia come inevitabile conseguenza l’applicazione, caso per caso, non solo di tutele divergenti, ma anche non adeguate rispetto alla portata che tale fenomeno sta avendo nel settore finanziario. Come visto sopra, infatti, gli studi condotti a livello europeo e nazionale dimostrano come gli investitori al dettaglio siano sempre più esposti all’influenza dei social media e del marketing online e come le categorie maggiormente esposte siano quelle ritenute – per grado di alfabetizzazione finanziaria – più deboli. La crescente esposizione ai social network, accompagnata da un inadeguato livello di alfabetizzazione finanziaria e dall’assenza di requisiti di professionalità in capo ai fin-influencer, che consentano agli investitori al dettaglio di reperire e valutare adeguatamente le informazioni necessarie all’assunzione si scelte di investimento consapevoli, comporta una crescente esposizione al rischio di misselling.
In tale contesto, è apprezzabile come le autorità di vigilanza italiane stiano investendo ingenti risorse nella promozione dell’educazione finanziaria e nella prevenzione delle frodi. Si citano, a mero titolo esemplificativo, il portale creato da IVASS – www.educazioneassicurativa.it – al fine di fornire ai cittadini strumenti informativi semplici e chiari sulle principali tematiche del settore assicurativo, i portali creati da Consob e Banca d’Italia al fine di fornire ai cittadini le conoscenze finanziarie di base e sviluppare una maggiore educazione finanziaria (rispettivamente, https://www.consob.it/web/investor-education e https://economiapertutti.bancaditalia.it/), nonché il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria (“Comitato per l’Educazione Finanziaria”, istituito nel 2017) che ha lo scopo di promuovere e coordinare iniziative utili a innalzare tra la popolazione la conoscenza e le competenze finanziarie, assicurative e previdenziali e migliorare per tutti la capacità di fare scelte coerenti con i propri obiettivi e le proprie condizioni.
Inoltre, si assiste ad un’evoluzione dell’attività di vigilanza: con specifico riferimento alla prevenzione delle frodi finanziarie e assicurative, si rileva come Consob e IVASS siano da tempo impegnate – anche in collaborazione con altre istituzioni – nel contrasto all’abusivismo attraverso azioni e interventi concreti, quali l’oscuramento di siti internet irregolari, in cui vengono promossi servizi finanziari e assicurativi da parte di soggetti privi di autorizzazione (IVASS – Siti abusivi e Occhio alle truffe! – AREA PUBBLICA – CONSOB), nonché da ultimo la collaborazione avviata nel mese di novembre 2024 dalla Consob con Google per contrastare le frodi finanziarie on line attraverso la creazione di un filtro che fermi la pubblicità delle proposte di investimento abusive prima che arrivino sui social network e sul web (cs_20241105) [43].
Tali impegni nell’ambito dell’educazione finanziaria e della prevenzione delle frodi sono certamente utili e degni di nota. Al tempo stesso, al fine di garantire un’efficace tutela del cliente, lo sforzo delle Autorità di Vigilanza dovrebbe essere accompagnato da un quadro normativo chiaro e coordinato a livello non soltanto nazionale, che consenta agli operatori del mercato di sfruttare le potenzialità delle nuove tecnologie e dei social network per promuove i propri servizi bancari, finanziari e assicurativi secondo regole certe e nella piena consapevolezza delle proprie responsabilità nei confronti dei clienti.
In attesa che si definisca un quadro normativo di maggior certezza, lo scorso 19 novembre 2024 l’International Organization of Securities Commissions (IOSCO) ha pubblicato il “consultation report on Fininfluencer”. Nel report viene analizzato il fenomeno dei fin-influencer nel suo complesso, da un lato, esaminando il contesto in cui operano, i benefici (es. educazione finanziaria), i rischi (es. disinformazione, promozione di prodotti ad alto rischio, mancata trasparenza su conflitti di interesse e remunerazioni), e le risposte esistenti da un punto di vista legislativo, regolamentare e di azioni da parte delle Autorità di Vigilanza; dall’altro lato, proponendo delle “good practises” per i regolatori, gli intermediari finanziari e i influencer stessi, al fine di promuovere un approccio coordinato tra gli stakeholders che possa garantire un approccio trasparente e responsabile, riducendo i rischi per gli investitori al dettaglio e promuovendo la fiducia nei mercati finanziari.
[1] Tra le varie iniziative, si segnala che la Commissione Europea ha creato un portale dedicato agli influencer (Influencer Legal Hub) al fine di chiarire la disciplina normativa ai medesimi applicabile, mentre, lo scorso 19 novembre 2024, l’International Organization of Securities Commissions (IOSCO) ha pubblicato un “consultation report on Fininfluencer”, al fine di analizzare il fenomeno e promuovere delle “good practices” per i fin-influencer, gli intermediari finanziari e le autorità di vigilanza.
[2] Secondo lo studio “The impact of influencers on advertising and consumer protection in the Single Market” pubblicato nel febbraio 2022 dal “Policy Department for Economic, Scientific and Quality of Life Policies” (istituito presso il Parlamento Europeo) e condotto su richiesta del “Committee on Internal Market and Consumer Protection” l’influencer, in generale, è definito come “a content creator with a commercial intent, who builds trust and authenticity-based relations with their audience (mainly on social media platforms) and engages online with commercial actors through different business models for monetisation purposes”. Sebbene dallo studio in oggetto emerga come gli influencer svolgano la relativa attività principalmente attraverso quattro modelli di business, elaborati sulla base della c.d. “monetization supply chain”, gli aspetti caratterizzanti gli influencer sono: (1) la creazione di contenuti multimediali (video, foto, stories, dirette streaming etc.), che rappresentano il servizio dai medesimi offerto; (2) lo scopo commerciale, guidato da incentivi (monetari e non monetari) riconosciuti direttamente dai brand, ovvero derivanti dall’audience o dalla piattaforma in cui operano; (3) la monetizzazione dell’attività, ovvero la generazione di ricavi attraverso diversi modelli di business (dal marketing influencer al livestream shopping) e la (4) fiducia e autenticità, in quanto la fonte dell’influenza che l’influencer riesce ad esercitare sui consumatori, condizionandone i relativi comportamenti di acquisto, è costituita dal legame di fiducia con il pubblico e dalla capacità dell’influencer di far percepire i propri messaggi come autentici.
[3] In particolare, la Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno; la Direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori; la Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori; la Direttiva (UE) 2019/770 relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali; la Direttiva (UE) 2019/771 relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, il Regolamento (UE) 2022/2065 relativo a un mercato unico dei servizi digitali e il Regolamento 2023/988 relativo alla sicurezza generale dei prodotti.
[4] In particolare, l’AGCM è stata la prima autorità italiana ad attenzionare il fenomeno in oggetto con la lettera di moral suasion del 24 luglio 2017 avente ad oggetto “Antitrust su Influencer Marketing: la pubblicità deve essere sempre trasparente” e con quella successiva del 6 agosto 2018 avente ad oggetto “Seconda moral suasion per influencer: pubblicità occulta vietata sempre, anche sui social network”; ha poi attuato un monitoraggio in via continuativa, che ha portato l’Autorità stessa ad avviare diversi procedimenti istruttori nei confronti di ben noti influencers italiani. Da ultimo, il 10 luglio 2024, l’AGCM ha informato con comunicato stampa di aver avviato 6 procedimenti istruttori nei confronti di 6 influencer che promettono “importanti guadagni facili e sicuri”
[5] L’AGCOM, invece, è stata la prima autorità italiana a pubblicare, in data 10 gennaio 2024, le “linee-guida volte a garantire il rispetto delle disposizioni del testo unico da parte degli influencer e istituzione di un apposito tavolo tecnico” (“Linee Guida AGCOM”), ossia delle linee guida sulle disposizioni normative che gli influencer sono tenuti a rispettare (i.e. il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 208, “Testo unico dei servizi di media audiovisivi”) e sulle misure necessarie a garantirne l’uniforme e coerente applicazione (nel caso in oggetto, con particolare riferimento al “rispetto dei principi di trasparenza e della correttezza dell’informazione, all’applicazione della disciplina in materia di tutela dei minori e dei diritti fondamentali della persona e alle disposizioni in materia di comunicazioni commerciali e di product placement volte a rendere trasparenti al pubblico le finalità promozionali eventualmente perseguite”).
[6] Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Roma nel caso in oggetto ha accertato la presenza di “una pluralità di indizi, gravi, precisi ed univoci, idonei a dimostrare nel caso di specie gli elementi della stabilità e della continuità, tipici dell’agenzia di cui all’art. 1742 e ss. c.c.”. I suddetti indizi sono stati riassunti dal Tribunale di Roma nei seguenti elementi:
- lo scopo del contratto, che non è di mera propaganda, ma di promozione e vendita dei prodotti attraverso la messa a disposizione di un codice sconto personalizzato che permetta all’impresa di tracciare gli acquisti effettuati grazie all’attività dell’influencer;
- la durata pluriennale e continuativa della collaborazione (a tempo indeterminato);
- il pagamento di provvigioni che maturano sulla base di vendite riconducibili all’attività promozionale dell’influencer andate a buon fine (tracciate, come detto, attraverso il codice sconto);
- la stabilità dell’incarico di influencer, desumibile dall’emissione di fatture periodiche (per lo più mensili) e dal fatto che la collaborazione è stata avviata tra le parti allo scopo di promuovere una serie indeterminata di affari (e non di iniziative libere e occasionali, come invece avviene nel procacciamento d’affari);
- la presenza di una zona determinata, non geograficamente intesa, bensì circoscritta alla comunità dei followers;
- la possibilità di concedere sconti, attraverso la divulgazione di codici sconto;
- l’obbligo di esclusiva a carico dell’influencer (al quale viene fatto divieto di promuovere prodotti di competitor).
In conclusione, il Tribunale di Roma conferma la posizione assunta dalla Fondazione Enasarco rilevando la sussistenza degli elementi di stabilità e continuità tipici del contratto d’agenzia, accompagnata dalla percezione di provvigioni solo nel caso in cui l’attività di vendita e promozione sia andata a buon fine.
[7] L’art. 4 par. V della Legge 2023/451 prevede il divieto per le persone che esercitano l’attività di “influenza commerciale” tramite mezzi elettronici di promuovere direttamente o indirettamente i seguenti prodotti e servizi finanziari:
- 1° Contratti finanziari come definiti nell’articolo L. 533-12-7 del Codice Monetario e Finanziario, ossia i contratti finanziari non ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che rientrano in una delle categorie di contratti definiti nel Regolamento generale dell’Autorité des marchés financiers (AMF) e che hanno una delle seguenti caratteristiche: a) il rischio massimo non è noto al momento della sottoscrizione; b) il rischio di perdita supera l’importo del contributo finanziario iniziale; c) il rischio di perdita in relazione ai corrispondenti benefici potenziali non è ragionevolmente comprensibile in considerazione della particolare natura del contratto finanziario proposto;
- 2° la prestazione di servizi su asset digitali, ai sensi dell’articolo L. 54-10-2 dello stesso CMF, ad eccezione di quelli per la cui prestazione l’inserzionista è registrato alle condizioni previste dall’articolo L. 54-10-3 del CMF o approvato alle condizioni previste dall’articolo L. 54-10-5 del suddetto CMF;
- 3° offerte di token al pubblico, ai sensi dell’Articolo L. 552-3 dello stesso CMF, tranne nel caso in cui l’inserzionista abbia ottenuto l’approvazione prevista dall’Articolo L. 552-4 dello stesso CMF;
- 4° asset digitali, ad eccezione di quelle legate a servizi per i quali l’inserzionista è registrato alle condizioni previste dall’articolo L. 54-10-3 dello stesso CMF o approvato alle condizioni previste dall’articolo L. 54-10-5 del CMF, o nel caso in cui l’inserzionista non rientri nell’ambito degli articoli L. 54-10-3 e L. 54-10-5 del suddetto CMF.
[8] In particolare, la guida specifica che, se il fin-influencer: 1) fornisce consulenza personalizzata sugli investimenti, deve essere registrato e autorizzato dalla CMVM come consulente indipendente o notificato alla CMVM come agente collegato di un particolare intermediario finanziario; 2) emette raccomandazioni di investimento generiche, deve prima comunicare una serie di elementi alla CMVM come analista finanziario; 3) svolge un’attività di pubblicità e/o di promozione finalizzata alla conclusione di contratti di intermediazione finanziaria o alla raccolta di informazioni su clienti attuali o futuri, deve essere stato notificato alla CMVM come agente collegato dell’intermediario finanziario, salvo i casi in cui il fin-influencer sia un collaboratore di un intermediario finanziario e agisca come tale o nei casi in cui il contenuto prodotto dal fin-influencer sia chiaramente identificato come pubblicità e identifichi l’intermediario finanziario responsabile.
[9] A tal riguardo si cita, ad esempio, l’intervento del commissario CONSOB, Carlo Comporti, in occasione della presentazione della “Relazione annuale dell’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari (OCF) per l’anno 2023”, tenutasi il 27 giugno 2024, nell’evidenziare i nuovi rischi connessi alla digitalizzazione nell’ambito della consulenza in materia di investimenti ed in particolare quelli connessi all’ampia disponibilità di informazioni sugli investimenti presente on-line e alla facilità di accesso a prodotti finanziari, con specifico riferimento ai fin-influencer ha evidenziato quanto segue: “Anche le informazioni apparentemente filtrate e selezionate possono nascondere insidie, si pensi alla discussione in corso sul ruolo degli influencers finanziari (fin-fluencers), che si relazionano con il pubblico senza possedere le caratteristiche di professionalità e correttezza richieste ai consulenti finanziari”.
[10] L’elenco dei soggetti a cui le banche possono rivolgersi per l’offerta fuori sede di prodotti bancari è stato ampliato da Banca d’Italia con la nota “Attività Bancaria Fuori Sede” pubblicata nel Bollettino di Vigilanza di dicembre 2005, pag. 7, anche a “altri soggetti convenzionati che svolgano in via principale un’attività professionale o commerciale, cui è funzionale la distribuzione di prodotti bancari” (c.d. soggetti convenzionati).
[11] Cfr. “Domande frequenti sul provvedimento del 29 luglio 2009 e successive integrazioni” in cui “Si precisa, inoltre, che la definizione di “offerta fuori sede” (sez. I, par. 3 delle Disposizioni) comprende tanto la promozione quanto il collocamento di operazioni e servizi bancari e finanziari. Ne deriva che anche la promozione dei finanziamenti ricade nell’ambito di applicazione della disciplina sulla trasparenza, ad eccezione ovviamente delle regole che riguardano la stipula dei contratti, attività estranea alla promozione
[12] In tal senso anche A. Urbani “L’offerta e l’operatività fuori sede”, cap. XIV in “Il testo Unico Finanziario” diretto da Mario Cera e Gaetano Presti, Zanichelli, Torino, 2024, p. 661.
[13] Preme evidenziare che secondo le Disposizioni di Trasparenza “Non rientrano nella definizione di annuncio pubblicitario le comunicazioni relative a prodotti non ancora commercializzati”
[14] Rabitti Bedogni C., “Commentario al Testo unico dell’intermediazione finanziaria”, Milano 1998, p.249, richiamato, ex multis, da A. Urbani, op. cit. p.659. Sulla discussione in merito al fatto che l’attività promozionale debba ritenersi comprensiva o meno della pubblicità, si veda A.M. Carozzi – R. F. Schiavelli “Il contratto di collocamento fuori sede di strumenti finanziari e di servizi di investimento”, in “Trattato dei Contratti” diretto da P.Rescigno e E. Gabrielli, Tomo Secondo “I contratti del mercato finanziario” a cura di E. Gabrielli e R. Lener, Utet Giuridica, Torino 2011, pag. 1184.
[15] “Un servizio dovrebbe essere considerato come prestato su iniziativa del cliente a meno che il cliente lo richieda in risposta ad una comunicazione personalizzata da o per conto dell’impresa a quel particolare cliente, che contiene un invito o è intesa a influenzare il cliente rispetto ad uno strumento finanziario o transazione finanziaria specifici.
Un servizio può essere considerato come prestato su iniziativa del cliente nonostante il cliente lo richieda sulla base di comunicazioni contenenti una promozione o offerta di strumenti finanziari effettuate con mezzi che siano per natura generali e rivolti al pubblico o a un più ampio gruppo o categoria di clienti o di potenziali clienti”.
[16] Si veda da ultimo la Comunicazione Consob n. 0073137 del 26 luglio 2024, nonché ex multis la Comunicazione Consob n. DIN/2049119 del 15-7-2002
[17] Si veda la Comunicazione Consob n. DIN/DSR/CLE/0049126 dell’11-6-2014 “La differenza e la reciproca autonomia del collocamento (da una parte) e della promozione (dall’altra) emergono con evidenza dai precetti contenuti negli artt. 30, comma 1, 32, comma 2, e 166, comma 1, lett. “c”, del TUF: in tali norme, le due attività sono considerate in maniera distinta. Siffatta lettura trova sostegno anche nell’interpretazione dottrinale secondo cui la configurazione di un’attività promozionale non basta (né è richiesta) ad integrare la fattispecie del servizio di collocamento. Pertanto, l’esercizio di una attività di tipo esclusivamente promozionale, avente per oggetto i titoli offerti tramite la Procedura, non costituisce prestazione di servizi d’investimento e non è soggetta ad alcun vincolo di riserva”. Ad ulteriore conferma, si evidenzia come il collocamento costituisca, ai sensi di MiFID II, un servizio di investimento e quindi un’attività riservata ai soggetti autorizzati e sottoposta a specifica regolamentazione a livello europeo e nazionale. Diversamente dal collocamento, la promozione non è regolata a livello comunitario e pertanto, la relativa disciplina è rimessa ai singoli Stati Membri.
[18] Sempre la Comunicazione Consob n. DIN/DSR/CLE/0049126 dell’11-6-2014, dopo aver affermato che “l’esercizio di una attività di tipo esclusivamente promozionale, avente per oggetto i titoli offerti tramite la Procedura, non costituisce prestazione di servizi d’investimento e non è soggetta ad alcun vincolo di riserva”, precisa che “Tale conclusione non può ovviamente valere nel caso in cui la promozione avvenga “fuori sede” (a norma dell’art. 30 del TUF) ovvero mediante l’impiego di “tecniche di comunicazione a distanza” (ex art. 32 del TUF). In tali ipotesi, infatti, deve applicarsi la disciplina propria dell’offerta fuori sede e della “promozione a distanza” che, fra l’altro, consente tali modalità operative solo agli intermediari autorizzati a prestare il collocamento (art. 30, comma 3, lett. “a”, del TUF ed art. 79, comma 1, del Reg. Intermediari)”.
[19] Cfr. Comunicazione Consob n. DIN/DSR/CLE/0049126 dell’11-6-2014 “Tale conclusione non può ovviamente valere nel caso in cui la promozione avvenga “fuori sede” (a norma dell’art. 30 del TUF) ovvero mediante l’impiego di “tecniche di comunicazione a distanza” (ex art. 32 del TUF). In tali ipotesi, infatti, deve applicarsi la disciplina propria dell’offerta fuori sede e della “promozione a distanza” che, fra l’altro, consente tali modalità operative solo agli intermediari autorizzati a prestare il collocamento (art. 30, comma 3, lett. “a”, del TUF ed art. 79, comma 1, del Reg. Intermediari)”
[20] L’art. 32 TUF delega la Consob a disciplinare la promozione e il collocamento di servizi e attività di investimento e di prodotti finanziari mediante tecniche di comunicazione a distanza attraverso regolamento, in conformità ai principi stabiliti negli articoli 30 e 30 bis del TUF, nonché nel Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n. 190 recante “Attuazione della direttiva 2002/65/CE relativa alla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori”. Tenuto conto che il D.Lgs. 190/2005 è stato abrogato dal Decreto Legislativo 23 ottobre 2007, n. 221 recante “Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante Codice del consumo”, il rinvio deve intendersi operato al Codice del Consumo e segnatamente alla Sezione VI bis dello stesso relativa alla “commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori”.
[21] Cfr. considerando n. 101 della Direttiva MiFid II “Le condizioni per l’esercizio di attività al di fuori dei locali dell’impresa di investimento (vendita porta a porta) non dovrebbero essere disciplinate dalla presente direttiva”.
[22] Ossia, le SIM, le imprese di investimento UE, le imprese di paesi terzi diverse dalle banche, le banche, gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del TUB, le società di gestione del risparmio, le società di gestione UE, le SICAV, le SICAF, i GEFIA UE e la società Poste Italiane – Divisione Servizi di Banco Posta autorizzata ai sensi dell’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 144 del 14 marzo 2001.
[23] In particolare, (i) l’attività di promozione e al collocamento mediante tecniche di comunicazione a distanza di prodotti finanziari nonché di servizi e attività d’investimento prestati da altri intermediari può essere svolta solo dalle SIM, le imprese di investimento UE con succursale in Italia, le imprese di paesi terzi diverse dalla banche, le banche italiane e di paesi terzi, le banche UE con succursale in Italia e la società Poste Italiane -Divisione Servizi di Banco Posta, autorizzate allo svolgimento del servizio di cui all’articolo 1, comma 5, lettere c) o c-bis), del TUF nonché, nei casi e alle condizioni stabiliti ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del TUF, gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del TUB, mentre (ii) la promozione e il collocamento mediante tecniche di comunicazione a distanza dei propri servizi e attività d’investimento, può essere svolta dalle SIM, le banche italiane autorizzate alla prestazione di servizi di investimento, gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del TUB, autorizzati alla prestazione del servizio di cui all’articolo 1, comma 5, lettera a), del Testo Unico (limitatamente agli strumenti finanziari derivati, nei casi e alle condizioni stabiliti ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del TUF) le SGR, le società di gestione UE, i GEFIA UE, gli agenti di cambio, la società Poste Italiane – Divisione Servizi di Banco Posta, le imprese di paesi terzi nonché le imprese di investimento e le banche UE con succursale in Italia comunque abilitate alla prestazione di servizi e attività di investimento in Italia
[24] Cfr. Comunicazione Consob n. DIN/10077002 del 17-09-2010 e la Comunicazione Consob n. DIN/57808 del 26 luglio 2000
[25] Per “consulenza in materia di investimenti” si intende “la prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative a strumenti finanziari”.
[26] Per “raccomandazione in materia di investimenti” si intendono “informazioni destinate ai canali di distribuzione o al pubblico, intese a raccomandare o a consigliare, in maniera esplicita o implicita, una strategia di investimento in merito a uno o a più strumenti finanziari o emittenti, ivi compresi pareri sul valore o sul prezzo presenti o futuri di tali strumenti”.
[27] “I pareri sugli strumenti finanziari destinati al vasto pubblico non dovrebbero essere considerati raccomandazioni personalizzate ai fini della definizione di «consulenza in materia di investimenti» di cui alla direttiva 2014/65/UE. Considerato il crescente numero di intermediari che forniscono raccomandazioni personalizzate attraverso l’uso di canali di distribuzione, è opportuno chiarire che una raccomandazione pubblicata, anche in modo esclusivo, attraverso canali di distribuzione come internet potrebbe costituire una raccomandazione personalizzata. Pertanto, le situazioni in cui, ad esempio, venga utilizzata una corrispondenza di posta elettronica per fornire raccomandazioni personalizzate a una specifica persona, invece di rivolgere le informazioni al vasto pubblico, possono costituire una forma di consulenza in materia di investimenti.
[28] IVASS si riferisce alla sola segnalazione dei pregi del distributore, ma si ritiene che, in via interpretativa, il riferimento possa essere ragionevolmente esteso anche all’impresa assicurativa e che, pertanto, la segnalazione di pregi dell’impresa assicurativa non costituisca attività riservata.
[29] Cfr. Call for advice to the European Securities and Markets Authority (ESMA) regarding certain aspects relating to retail investor protection del 3 agosto 2021 e relativa nota esplicativa.
[30] Cfr. Par. 110 – 117.
[31] Cfr. Final Report on the European Commission mandate on certain aspects relating to retail investor protection
[32] A titolo esemplificativo, nell’ambito della revisione delle “Guidelines on MiFID II product governance requirements” del 27 marzo 2023, al par. 59 è stato specificato che nell’ambito della definizione della strategia distributiva, il distributore deve utilizzare una strategia distributiva coerente con il target market di riferimento del prodotto, incluso l’utilizzo di active marketing, nudges, gamification techniques o fin-influencers (“For example, a distributor could decide to make a more complex product only available when requested by the client and not to actively market it or use any gamification techniques or finfluencers in the distribution of such a product to its clients”).
[33] Secondo l’ESMA le imprese di investimento sono responsabili dei contenuti pubblicati dai fin-influencer nei loro profili social e devono porre in essere controlli su tali attività. A monte, le imprese di investimento devono considerare l’utilizzo di fin-influencer (cosi come le altre pratiche di commercializzazione digitale, come ad esempio l’utilizzo di videogame) nell’ambito dei relativi processi di product governance, nell’erogazione degli inducements, nella formazione e nell’aggiornamento degli stessi in quanto soggetti che forniscono informazioni di investimento ai sensi dell’art. 25 di MiFid II etc. Allo stesso tempo, l’ESMA mette in evidenza la necessità di investire nell’educazione finanziaria al fine di formare gli investitori (soprattutto i più giovani e propensi al rischio) in merito ai rischi connessi alla digitalizzazione dei servizi di investimenti. Ciò, in particolare, con riferimento ai fin-influencer che non operano sulla base di collaborazioni con imprese di investimento e che, quindi, sfuggono ai controlli delle stesse.
[34] Hanno risposto al Discussion Paper una ventina di stakeholders (per lo più associazioni di categoria) tra cui anche l’ABI, la quale, evidenziando la necessità di un intervento normativo relativamente alle attività svolte dai fin-influencer, ha rilevato “In this respect, one critical point is to clearly define the boundaries between i) on the one side, their role as “promoters” and ii) on the other side, their role in terms of “investment solicitation” e che è necessario distinguere i c.d. “creators” dai fin-influencer in quanto “The distinctive feature of “creators” – which also marks their difference vis-à-vis “influencers” – lies in the circumstance that these entities do not contribute to the substantive contents which, rather, are defined by the relevant financial intermediary”. L’ABI ha infine sottolineato l’importanza di “ensure a real and effective level playing field vis-à-vis other operators which cannot be qualified as financial intermediaries and that, seemingly, are not subject to the above-mentioned set of requirements, including those relating to advisors’ financial skills”. Anche Assoreti ha risposto al Discussion Paper evidenziando come “the Italian framework allows only authorised intermediaries to promote investment products and services via distance means, including digital ones. Such promotion is carried out by these intermediaries under their own responsibility and in accordance with MiFID II, even where they use a marketing strategy through digital channels (blog, website, podcast, forum) that include third parties (such as affiliates and finfluencers) who work on social media” e precisando che “We believe that MiFID II already provides an adequate balance between the investor’s protection and the exercise of marketing activities. Therefore, no additional regulations are required and all existing rules must be followed correctly while using affiliates and influencers”.
[35] la Direttiva Omnibus introduce, sia in ambito MIFid II, sia in ambito IDD la definizione di “pratica di marketing” come segue:
(I) in ambito MiFid II introduce all’art. 4, par. 1:
- il punto 66 “”comunicazione di marketing”: la divulgazione di informazioni diverse dalle informazioni la cui divulgazione è imposta dal diritto dell’Unione o nazionale, diverse dal materiale di educazione finanziaria di cui all’articolo 88 ter ovvero diverse dalla ricerca in materia di investimenti rispondente alle condizioni per essere così considerata, con la quale è promosso o stimolato, direttamente o indirettamente, l’investimento in uno o più strumenti finanziari o categorie di strumenti finanziari ovvero l’uso di servizi di investimento o servizi ausiliari forniti da un’impresa di investimento, e che è effettuata: a) da un’impresa di investimento o da un terzo da essa remunerato o incentivato con corrispettivo extrapecuniario; b) per persone fisiche o giuridiche; c) in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo”;
- il punto 67 “”pratica di marketing”: la strategia, l’uso di uno strumento o la tecnica applicata da un’impresa di investimento o da un terzo da essa remunerato o incentivato con corrispettivo extrapecuniario per: a) diffondere direttamente o indirettamente le comunicazioni di marketing; b) accelerare o migliorare la portata e l’efficacia delle comunicazioni di marketing; c) promuovere in qualsiasi modo imprese di investimento, strumenti finanziari o servizi di investimento”;
(II) in ambito IDD, introduce all’art. 2, par. 1:
- il punto 20 “”comunicazione di marketing”: la divulgazione di informazioni diverse dalle informazioni la cui divulgazione è imposta dal diritto dell’Unione o nazionale ovvero diverse dal materiale di educazione finanziaria di cui all’articolo 16 ter, con la quale sono promossi, direttamente o indirettamente, prodotti assicurativi o è stimolato, direttamente o indirettamente, l’investimento in prodotti di investimento assicurativi, e che è effettuata a) da un’impresa di assicurazione o da un intermediario assicurativo ovvero da un terzo da essa o esso remunerato o incentivato con corrispettivo extrapecuniario; b) per persone fisiche o giuridiche; c) in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo”
- il punto 21) “pratica di marketing”: la strategia, l’uso di uno strumento o la tecnica applicata da un’impresa di assicurazione o un intermediario assicurativo ovvero da un terzo da essa o esso remunerato o incentivato con corrispettivo extrapecuniario per: a) diffondere direttamente o indirettamente le comunicazioni di marketing; b) accelerare o migliorare la portata e l’efficacia delle comunicazioni di marketing; c) promuovere in qualsiasi modo imprese di assicurazione, intermediari assicurativi o prodotti assicurativi”
[36] All’articolo 4, paragrafo 1, di MIFID II è aggiunto il punto 68 bis) “influencer finanziario”: una persona fisica o giuridica che svolge un’attività di influenza commerciale mobilitando la sua notorietà per comunicare al pubblico, mediante mezzi elettronici e in cambio di una retribuzione ai sensi dell’articolo 2, punto 5, del regolamento delegato (UE) 2017/565, contenuti volti a promuovere, direttamente o indirettamente, prodotti o contratti finanziari;“.
[37] All’articolo 2, par. 1, della IDD è aggiunto il punto 20bis) ““influencer finanziario”: una persona fisica o giuridica che esercita un’attività di influenza commerciale mobilitando la propria popolarità per comunicare al pubblico, per via elettronica e in cambio di una retribuzione ai sensi dell’articolo 2, punto 5, del regolamento delegato (UE) 2017/565, contenuti volti a promuovere, direttamente o indirettamente, prodotti o contratti finanziari;”.
[38] Come sopra definita nella nota 35.
[39] La “Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2009/65/CE, 2009/138/CE, 2011/61/UE, 2014/65/UE e (UE) 2016/97 per quanto riguarda le norme dell’Unione a tutela degli investitori al dettaglio” nel testo approvato dal Consiglio UE è consultabile al seguente link Retail investment package: Council agrees on its position – Consilium (europa.eu).
[40] Il Report è stato curato da: Paola Deriu (coordinatrice) – CONSOB, Responsabile Divisione Studi; Dario Colonnello – CONSOB, Divisione Studi, Ufficio Studi Giuridici, Daniela Costa – CONSOB, Divisione Studi, Ufficio Studi Economici, Monica Gentile – CONSOB, Divisione Studi, Ufficio Studi Economici; Paola Soccorso – CONSOB, Divisione Studi, Ufficio Studi Economici.
[41] Quasi il 70% degli investitori italiani mette al primo posto, tra i canali più consultati per la raccolta e l’elaborazione delle informazioni sugli investimenti, i motori di ricerca in internet, il cui grado di diffusione supera largamente la televisione (43%), le app e il sito web degli intermediari finanziari (36%)
[42] A tale riguardo, lo studio “The impact of influencers on advertising and consumer protection in the Single Market”, pubblicato dal Policy Department for Economic, Scientific and Quality of Life Policies nel febbraio 2022, evidenzia come “A review of literature that discusses the question of how to define influencers shows that criteria used to define influencers are derived from different features that are considered to make an individual an influencer, which mainly refer to the source of revenue, the service provided, and the audience”.
[43] Di interesse il convegno “La tutela del risparmio al tempo dei social – Frodi finanziarie e nuove tecnologie digitali”, organizzato da Consob e tenutosi lo scorso 5 novembre 2014 presso l’Aula dei Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati, disponibile al seguente link evento | WebTV. In particolare, con riguardo alla tematica in argomento, si segnalano gli interventi di Diego Ciulli (Head of Government Affairs and Public Policy di Google Italia) e quello di Flavio Arzarello (Responsabile Economic and Regulatory policy di Meta).