La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 6612 del 5 luglio 2024 e pubblicata il 22 ottobre (Pres. Rel. B.R. Cimini), si è recentemente pronunciata sul tema della validità del mutuo “solutorio”, ossia quel tipo di prestito utilizzato per estinguere una precedente esposizione debitoria, in cui, a differenza del mutuo codicistico, le somme erogate non passano effettivamente nella disponibilità del mutuatario ma vengono immediatamente utilizzate per saldare un debito esistente.
Orbene, le caratteristiche del mutuo solutorio hanno sollevato diversi interrogativi in dottrina e giurisprudenza: infatti, ai sensi dell’art. 1813 c.c., «la validità di un mutuo e l’obbligazione di rimborso sorgono dal momento in cui il mutuante consegna al mutuatario le somme o i beni fungibili concordati».
Con riferimento al mutuo solutorio, quindi, «si deve stabilire se il contratto si perfeziona e quindi se l’obbligo di rimborso è valido, anche quando la somma viene trasferita direttamente per l’estinzione del debito preesistente attraverso operazioni automatiche, senza che il mutuatario ne disponga liberamente».
La Corte ha ricordato come intorno al problema si siano formati due orientamenti.
(i) Il primo orientamento, maggioritario, ritiene che il mutuo solutorio sia valido «anche in assenza di un effettivo trasferimento materiale delle somme di denaro al mutuatario», adducendo al riguardo che «l’accredito delle somme su un conto corrente sia sufficiente a soddisfare il requisito della “datio rei” giuridica, fondamentale per il perfezionamento del contratto di mutuo; ed anche se le somme accreditate vengono immediatamente utilizzate per l’estinzione di un debito preesistente del mutuatario nei confronti del mutuante, questo processo non implica una semplice dilazione del termine di pagamento o un “pactum de non petendo”, in quanto l’uso delle somme per estinguere il debito precedente è considerato una legittima modalità di impiego del denaro, che purga il patrimonio del mutuatario da una passività preesistente».
In buona sostanza, secondo tale orientamento «il mutuo solutorio deve essere considerato valido e perfetto anche in assenza di un effettivo trasferimento materiale di denaro al mutuatario, purché le somme siano state poste a sua disposizione e utilizzate per estinguere un debito preesistente».
(ii) Il secondo orientamento, minoritario ed al quale aderisce la Corte, sostiene che «il mutuo solutorio non configura un vero e proprio contratto di mutuo, ma un’operazione meramente contabile che non implica la reale consegna di denaro dal mutuante al mutuatario; esso si basa sull’idea che il semplice utilizzo di somme da parte di un istituto di credito per ripianare una pregressa esposizione debitoria del correntista, eventualmente accompagnato dalla costituzione di una garanzia reale in favore della banca, non soddisfa i requisiti del mutuo, essendo necessario un effettivo trasferimento delle somme di denaro al mutuatario, il quale deve poter disporre liberamente delle somme erogate».
Pertanto, «l’operazione di utilizzo delle somme per ripianare un debito esistente, pur accompagnata da una garanzia reale, rappresenta una mera movimentazione contabile tra dare ed avere sul conto corrente.
E mancando la “datio rei”, ossia la consegna reale delle somme al mutuatario, che è un requisito fondamentale per il perfezionamento del contratto di mutuo, viene meno la sua sussistenza».
La Corte, come detto, ha aderito a tale ultimo orientamento, posto che, nel caso di specie, il mutuo la cui validità era controversa era semplicemente volto a dilatare le scadenze dei debiti pregressi: per i giudici d’appello, la semplice operazione contabile di accredito per il ripianamento di debiti preesistenti non costituiva una vera “traditio” in quanto le somme non erano entrate nella disponibilità effettiva del mutuatario.