Il Tribunale di Pesaro, con sentenza pubblicata il 24/12/2024, si è pronunciata sull’inadempimento degli obblighi correlati al contratto di consulenza intercorso fra una banca, in qualità di advisor, ed un ente locale, per operazioni in derivati sottoscritte dall’ente locale medesimo su contrattualistica ISDA.
La sentenza, in particolare, è relativa ad un contenzioso instaurato post Brexit, su modulistica contrattuale ISDA (che devolve la giurisdizione su eventuali controversie al giudice inglese) e sancisce l’irriconoscibilità, nell’ambito dell’ordinamento italiano, della sentenza della High Court of Justice di Londra, favorevole alla banca, emanata prima della sentenza del Tribunale di Pesaro, ma all’esito di una causa, radicata a Londra dalla banca, successivamente a quella promossa in Italia dalla provincia.
Derivati ISDA: giurisdizione del giudice italiano e irriconoscibilità della sentenza inglese
La sentenza del Tribunale di Pesaro segue ad ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione del 29/05/2024, all’esito di regolamento di giurisdizione promosso dalla banca (e pubblicata sulla nostra rivista a questo link) ed afferma preliminarmente che, in conformità a principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità, la giurisdizione si determina in base alla domanda principale avanzata dall’attrice, a nulla rilevando il contenuto delle domande proposte in via subordinata.
La banca, proponendo il regolamento di giurisdizione, aveva infatti contestato la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano adito dalla provincia, la quale aveva proposto in via principale, e alternativa fra loro, una domanda di accertamento dell’inadempimento della convenuta agli obblighi discendenti da un contratto di consulenza, e una domanda di accertamento della responsabilità precontrattuale e/o extracontrattuale della medesima convenuta nella fase delle trattative.
Le Sezioni Unite avevano tuttavia deciso in ordine all’assenza di rilevanza della proposizione in via subordinata della domanda di nullità del contratto in derivati, non sussistendo un nesso di pregiudizialità tra domanda principale e domanda subordinata, ed essendo irrilevante il rinvio al clausolario ISDA, il quale non disciplina le domande di accertamento della responsabilità precontrattuale e/o extracontrattuale e/o di inadempimento del contratto di consulenza.
Il Tribunale precisa che, pur se nella fattispecie le parti avevano sottoscritto operazioni in derivati con modulistica contrattuale ISDA, le domande principali di responsabilità precontrattuale ed extracontrattuale della convenuta e di inadempimento della stessa convenuta al mandato di consulenza sono soggette, in via esclusiva, alla legge italiana: ciò in quanto i sottoscrittori sono entrambi italiani; la convenuta ha la propria sede legale in Italia; il contratto si è perfezionato in Italia, mediante l’incontro di proposta ed accettazione; il contratto è stato eseguito e/o è da eseguirsi in Italia e ha ad oggetto la prestazione di un servizio di investimento da eseguirsi presso il domicilio dell’attrice che è anche il luogo ove devono eseguirsi le obbligazioni pecuniarie previste dai contratti.
Ed infatti la clausola ISDA richiama la legge inglese, ma solo con riferimento al contratto ISDA e, dunque, non alla responsabilità per scorretta informazione antecedente alla conclusione dei contratti, che discenda da fonte diversa da quella contrattuale o, come nel mandato di consulenza, da un contratto diverso dall’ISDA e che da questo va tenuto autonomo.
Il Tribunale afferma quindi che la sentenza emessa dal giudice inglese – designato quale giurisdizione competente, dalla modulistica ISDA relativa ai contratti derivati oggetto di causa – nelle more del processo avanti al giudice italiano (peraltro adito dalla convenuta successivamente all’instaurazione del processo italiano) è priva di effetti nell’ordinamento italiano, ai sensi degli artt. 64 e 67 della Legge n. 218/1995, normativa nella specie applicabile in ragione del fatto che il giudizio è stato radicato dall’attrice dopo la cd. Brexit.
Al fine di escludere la riconoscibilità della sentenza inglese occorre anzitutto verificare ex artt. 7 e 64 lett. f) della Legge n. 218/1995 se vi sia identità di cause tra giudizio italiano e giudizio inglese; nel caso di specie tale identità sussiste ricorrendo un’ipotesi di litispendenza internazionale stante l’identità, per oggetto e per titolo, dei due giudizi, avuto riguardo alle domande proposte dalla convenuta con claim avanti al giudice inglese, le quali risultano “speculari” a quelle proposte dall’attrice nel giudizio italiano.
Nel caso di specie, (i) acclarata la giurisdizione del giudice italiano come da ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione all’esito di regolamento di giurisdizione; (ii) la prevenzione del giudizio italiano rispetto a quello straniero; (iii) l’identità, in termini di parti, oggetto, titolo e risultati pratici perseguiti nelle accezioni normative e giurisprudenziali delle cause promosse innanzi alle due giurisdizioni, devono ritenersi insussistenti i presupposti per la riconoscibilità della decisione emessa dal giudice inglese.
Sul contratto di consulenza
Secondo il Tribunale, in presenza di un contratto scritto che attesti formalmente l’assunzione da parte della banca delle obbligazioni del consulente per la ristrutturazione del debito dell’Ente locale, il mandato di consulenza non può intendersi come una forma di “consulenza incidentale”, che si limiti ad illustrare al cliente i principali termini e condizioni degli strumenti finanziari proposti.
Anzi, tale assunto, induce a ritenere, implicitamente, che costituisca ammissione, da parte della banca, circa il mancato assolvimento dei propri obblighi informativi.
Sugli obblighi informativi a carico della banca
Non è condivisibile la tesi, secondo cui, all’epoca della sottoscrizione dei contratti derivati rilevanti nel caso di specie (i.e. negli anni 2003 e 2005), non sussisteva alcun obbligo di legge o regolamentare, di indicare il valore del mark to market, dei costi impliciti e degli scenari probabilistici, correlati ai contratti derivati medesimi: il quadro normativo vigente all’epoca già prevedeva, indipendentemente dalla qualifica o meno del cliente come investitore professionale/operatore qualificato, l’obbligo per l’intermediario di prestare un’adeguata informazione, sia in relazione ai costi, che al conseguimento del risultato connesso al rischio assunto dal cliente.
Operavano, dunque, già all’epoca, norme imperative incidenti sulla formazione dell’accordo, che imponevano l’esplicitazione del rischio iniziale, dei costi e delle commissioni.
La banca è quindi onerata ai sensi e per gli effetti dell’art. 23 TUF di fornire la prova della diligente osservanza delle regole imposte dalla normativa di settore all’intermediario finanziario, da valutarsi alla stregua di un canone di diligenza qualificato, cui si aggiunge il doveroso rispetto da parte dell’intermediario del menzionato art. 21 TUF: la trasmissione al proprio cliente di semplici “presentazioni”, oltre alla documentazione contrattuale per la sottoscrizione, per il Tribunale non soddisfa i requisiti prescritti dalla normativa di settore sopra richiamata, la quale impone (in ciò sostanziandosi il dovere di diligenza qualificata) che i contenuti dei contratti siano analiticamente illustrati dall’intermediario al cliente.
Dalla normativa di settore si evince infatti come siano posti a carico dell’intermediario finanziario precisi obblighi informativi in favore della clientela, il cui puntuale adempimento è finalizzato a consentire alla stessa consapevoli scelte di investimento: tali obblighi devono essere intesi in senso sostanziale, non risolvendosi in una mera esposizione generica e formale della tipologia di investimento proposto, in quanto la normativa è improntata alla ricerca non solo di una conoscenza dal punto di vista giuridico-operativo dello strumento finanziario, ma anche di una effettiva comprensione dei risvolti economici dell’operazione posta in essere.
Non può ritenersi conforme alle disposizioni della normativa di settore il contegno della banca che:
- dapprima sottopone al cliente la modulistica contrattuale ISDA (redatta unilateralmente ed operante un rinvio alla normativa ed alla giurisdizione inglese), senza esplicitare le previsioni ivi contenute – con particolare riferimento alla normativa e alla giurisdizione applicabile – e senza illustrare lo specifico interesse perseguibile, adottando tali fattispecie contrattuali
- successivamente, propone la sottoscrizione di contratti derivati con caratteristiche tali da compromettere l’idoneità dello swap a perseguire l’obiettivo delle operazioni in derivati degli Enti locali sotto il profilo della convenienza economico-finanziaria.
Si può pertanto desumere proprio dai contratti derivati stipulati dall’Ente locale “a valle” della consulenza svolta dalla banca, e in esecuzione al mandato consulenziale, la violazione degli obblighi ed il conseguente inadempimento, sul piano informativo, da parte dell’advisor.
Sulla determinazione esplicita dell’oggetto del contratto derivato
In tema di contratti derivati, è necessaria, come statuito da Cass. civ. Sez. Un. n. 8770/2020, una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market, che individua il valore del contratto ad una certa data, sia degli scenari probabilistici, sia dei c.d. costi occulti, che determinano uno squilibrio iniziale dell’alea, allo scopo di rendere l’investitore pienamente consapevole di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto: tali elementi rappresentano, infatti, il contenuto di un’obbligazione che sorge con la stipula del contratto, concorrendo ad integrarne la determinabilità del suo oggetto.
L’omessa esplicitazione di tali elementi da parte dell’investitore si sostanzia nella mancata formazione di un consenso in ordine agli stessi, tale da integrare tanto la violazione di obblighi informativi e la conseguente responsabilità dell’intermediario che non abbia effettuato tale disclosure, quanto carenze foriere di nullità del contratto.
Incombe quindi sul consulente l’onere di fornire la prova del corretto adempimento degli obblighi informativi sia in punto di caratteristiche specifiche dell’investimento che riguardo al grado effettivo di rischiosità: in caso di sottoscrizione di contratti finanziari derivati consigliati dalla banca advisor, l’adempimento degli obblighi informativi relativi alla misura dell’alea avrebbe richiesto l’indicazione del mark to market (compresa l’esplicitazione della formula matematica per la determinazione del calcolo), degli scenari probabilistici e dei costi occulti (nel caso di specie la documentazione negoziale agli atti di causa ha confermato l’assenza di qualsivoglia riferimento al valore negativo del mark to market iniziale dei contratti medesimi e al metodo di calcolo del medesimo).
Derivati ISDA e specifici obblighi informativi verso gli operatori non qualificati
Nel caso in cui l’investitore si trovi a stipulare un contratto che presenta, già ab origine, un disvalore di mercato non compensato mediante l’erogazione da parte della banca di un correlato premio di liquidità, dovendosi individuare nel suddetto disvalore di mercato iniziale un costo comunque sostenuto dal cliente, lo stesso avrebbe dovuto essere adeguatamente illustrato, sia nell’ipotesi in cui lo si voglia intendere quale costo che remunera l’attività della banca, sia nel caso in cui venga identificato con il vero costo del contratto, il quale deve essere conosciuto dal contraente che subisce l’alterazione delle naturali condizioni contrattuali, trovando la propria origine in quella serie di doveri di informazione dell’intermediario che improntano la normativa di settore nell’art. 21 TUF e nel più generale dovere di correttezza e buona fede di derivazione codicistica.
Ciò a maggior ragione allorquando il cliente è un “operatore non qualificato” come l’Ente locale, il quale, nel caso di specie, ha espressamente dichiarato nei propri atti amministrativi di avere la necessità di ricorrere ad un advisor esterno “per la conoscenza approfondita dell’uso di strumenti derivati” da parte del consulente.
Fra gli obblighi informativi incombenti sull’intermediario finanziario che svolga la funzione di consulente per la ristrutturazione del debito dell’Ente locale assume rilievo anche la necessaria specificazione all’Ente da parte dell’advisor dei rischi sottesi alla sottoscrizione dei contratti derivati, quali, ad esempio, il possibile aumento del debito dell’Amministrazione, sul cui aggravio, come statuito in maniera pressoché costante dalla giurisprudenza di legittimità, deve inderogabilmente deliberare l’organo consiliare.
In tema di adempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, deve ritenersi imputabile alla banca advisor l’omissione di informazioni al cliente, in ordine agli effetti e possibili rischi della stipulazione delle operazioni in derivati, ricorrendo alla modulistica contrattuale ISDA: nel caso di specie, peraltro, la banca ha omesso di fornire la prova della ritenuta conformità del contratto ISDA sulle operazioni in derivati, al contratto quadro di intermediazione finanziaria di cui all’art. 23 TUF e, quindi, del fatto che tale tipologia di contratto rispettasse le forme e i contenuti disciplinati dall’art. 30 Reg. Consob n. 11522/1998.
E’ quindi censurabile la condotta della banca convenuta che ha omesso di segnalare all’attrice la situazione di conflitto d’interessi, ex art. 27 Regolamento Consob n. 11522/1998, nella quale essa versava, attesa la coincidenza tra il ruolo di advisor dell’Ente locale e controparte contrattuale dei contratti derivati e che, per contro, ha consigliato la stipula di contratti di cui si sarebbe dovuta rilevare l’inadeguatezza ai sensi del precitato Regolamento Consob in relazione ai parametri normativi della “tipologia, oggetto, frequenza e dimensione”, anche alla luce di quanto esposto nella consulenza di parte attrice.
La condotta della banca consulente dell’Ente locale, consistente, da un lato, nell’omissione degli obblighi informativi gravanti sugli intermediari finanziari e, dall’altro, nella strutturazione e proposta all’Ente locale proprio cliente di concludere i contratti derivati nel suddetto deficit informativo, a maggior ragione avendo la stipula degli swap funzione di copertura, integra un atto esecutivo del contratto di consulenza e, quindi, un inadempimento contrattuale, foriero di responsabilità risarcitoria, secondo i principi generali in tema di inadempimento contrattuale.
Sul risarcimento dei danni in favore dell’ente locale
All’accertato inadempimento della banca convenuta alle obbligazioni derivanti dal contratto di consulenza consegue la condanna, da parte del Tribunale, della banca convenuta, al risarcimento dei danni rappresentati dai complessivi esborsi sostenuti dall’Ente locale in dipendenza dei contratti derivati.
A tale quantificazione si perviene seguendo l’orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità (ribadito da Cass. civ. n. 7315/2024), secondo cui, laddove “gli investimenti in titoli con alto profilo di rischio hanno esorbitato dall’incarico originariamente conferito dagli investitori all’istituto bancario, accostabile al mandato, che prevedeva investimenti garantiti coerenti col profilo di basso rischio, in relazione al quale si configurano come negozi esecutivi di acquisizione”, gli effetti degli atti eccedenti il mandato restano a carico del mandatario.