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Giurisprudenza

Sulla legittimità del sequestro probatorio dei Bitcoin

28 Gennaio 2025

Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, 20 novembre 2024, n. 1760 – Pres. Aceto, Rel. Giorgianni

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, con la sentenza n. 1760/2025, ha annullato con rinvio un’ordinanza del Tribunale del riesame che, in sede di riesame reale, aveva confermato un sequestro probatorio di Bitcoin, ritenuti “profitto” del reato tributario di infedele dichiarazione ex art. 4 del D.Lgs. 74/2000.

La Corte ha affermato che, nell’ambito del sequestro probatorio, non è legittimo considerare come “profitto” del reato tributario un ammontare di criptovalute il cui valore di cambio, rispetto all’euro, varia in base alle fluttuazioni di mercato e non è stabilito nominalmente.

Nel caso concreto, il Tribunale del riesame aveva confermato un decreto di convalida del sequestro emesso dal pubblico ministero, avente a oggetto un controvalore in Bitcoin (BTC 1,88805294) corrispondente all’imposta evasa: l’infedele dichiarazione contestata derivava dalla mancata indicazione, nella dichiarazione dei redditi, di una plusvalenza ottenuta da operazioni di trading su Bitcoin.

La Cassazione, esaminando la natura giuridica delle criptovalute, ha chiarito che queste non possono essere assimilate a moneta legale, in quanto prive di valore nominale stabile e non garantite da un’autorità centrale: la loro volatilità e la funzione di asset digitali rendono necessario dimostrare un nesso diretto tra il bene sequestrato e il profitto del reato, nesso che non può essere presunto unicamente sulla base del controvalore in euro delle criptovalute sequestrate.

Nel caso di specie, il Tribunale non aveva dimostrato tale nesso, limitandosi a equiparare il valore delle criptovalute all’imposta evasa, senza verificare se i Bitcoin sequestrati costituissero effettivamente il profitto diretto del reato.

Per quanto riguarda la natura probatoria del sequestro, la Corte ha rilevato che il provvedimento si era di fatto tradotto in un sequestro “per equivalente”, misura non ammessa in questo ambito: il sequestro probatorio, infatti, deve essere esclusivamente finalizzato all’accertamento del fatto e alla conservazione delle prove, non alla semplice conservazione di un valore corrispondente all’imposta evasa (nel caso di specie in bitcoin).

Tale impostazione è stata ritenuta incompatibile con le finalità proprie del sequestro probatorio, portando la Cassazione ad annullare l’ordinanza e a disporre un nuovo esame.

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