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Giurisprudenza

Fusioni con efficacia retroattiva e limiti al riporto delle perdite fiscali

25 Febbraio 2025

Angelica Chiara Tazzioli, Dottoranda di ricerca in diritto tributario – Università degli Studi di Milano-Bicocca

Cassazione Civile, Sez. V, sentenza 24 gennaio 2025, n. 1715 – Pres. Napolitano, Rel. Crivelli

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza n. 1715 del 24 gennaio 2025, la Corte di Cassazione ha affermato che il riporto delle perdite fiscali maturate dalle società partecipanti a fusioni con efficacia retroattiva, oltre a risentire dei limiti quantitativi fissati dall’art. 172, comma 7 del TUIR, richiede il superamento del c.d. “test di vitalità”, il quale dev’essere verificato sia sull’utile operativo dell’anno precedente alla fusione, sia su quello del periodo tra l’inizio dell’anno e la data della fusione stessa.

La Cassazione, con questo arresto, ripercorre, di fatto, l’intervento riformatore in materia di riporto delle perdite e operazioni straordinarie attuato dal legislatore con l’art. 15, comma 1, lett. b) del D. Lgs. n. 192/2024 applicabile, per espressa previsione normativa, alle operazioni effettuate a partire dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2024.

Quest’ultima norma dispone che, per le fusioni e le scissioni con efficacia retroattiva, i limiti per il riporto delle perdite (tra cui quelle fiscali) si estendono anche al risultato negativo del periodo in cui avviene la deliberazione e la verifica dei requisiti deve essere effettuata anche per il periodo compreso tra l’inizio del periodo di imposta e la data di efficacia dell’operazione.

Il caso trattato riguardava un’operazione di fusione per incorporazione con retrodatazione degli effetti fiscali al 1° gennaio dell’anno di assunzione delle relative deliberazioni, che aveva coinvolto anche un soggetto societario che, in tale periodo, non superava il “test di vitalità”.

L’Agenzia delle entrate disconosceva pertanto il diritto dell’incorporante alla riportabilità delle perdite pregresse maturate dall’incorporata anteriormente alla fusione.

Il ricorso veniva respinto dalla CTP, ma la CTR accoglieva l’appello.

L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per Cassazione, deducendo che la CTR aveva commesso un error in iudicando nel ritenere che il “test di vitalità” andava limitato all’esercizio antecedente alla fusione ed escludendo invece quello in cui era stata deliberata la fusione.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. 

Richiamando suoi precedenti sezionali, il Collegio ha sottolineato che la disciplina contenuta nell’art. 172, comma 7 cit. è volta a prevenire il rischio di operazioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi esclusivamente o prevalentemente elusivi e costituisce una regola “circolare”, la quale, attraverso l’identificazione di criteri legali presuntivi ma specificamente predeterminati, assicura all’operatore economico la conoscenza degli effetti della fusione sotto il profilo tributario, ferma restando la sua disapplicazione qualora sia dimostrato, mediante interpello ex art. 11 della L. n. 212/2000, che la società partecipante all’operazione, pur con perdite fiscali incompatibili con la deducibilità dal reddito della società risultante dalla fusione, non è una “scatola vuota”

Tale finalità, secondo il Giudice di legittimità, “sarebbe agevolmente elusa ove non si prendesse in considerazione, in caso di retrodatazione, anche il periodo che intercorre tra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione, quindi alla frazione di anno decorsa anteriormente all’adozione della fusione, in cui la società potrebbe essere interamente svuotata senza conseguenze sul test di operatività, il cui significato sarebbe allora ridotto a una mera quanto inutile formalità priva di efficacia effettiva”.

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