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Giurisprudenza

L’efficacia nel giudizio tributario della sentenza GIP di assoluzione

26 Febbraio 2025

Angelica Chiara Tazzioli, Dottoranda di ricerca in diritto tributario – Università degli Studi di Milano-Bicocca

Cassazione Civile, Sez. V, 17 gennaio 2025, n. 1148 – Pres. Luciotti, Rel. Gori

Di cosa si parla in questo articolo

Con l’ordinanza n. 1148/2025, la Corte di Cassazione ha stabilito che, in base alla nuova disciplina dettata dall’art. 21-bis del D. Lgs. n. 74/2000, introdotta dal D. Lgs. n. 87/2024, in tema di ingresso del giudicato penale nell’ambito del giudizio tributario, la sentenza del GIP emessa all’esito dell’udienza preliminare non può vincolare il giudice tributario, anche qualora sia stata pronunciata con la formula “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”.

Come noto, la citata disposizione stabilisce che la sentenza irrevocabile di assoluzione, pronunciata con locuzione “il fatto non sussiste” ovvero “l’imputato non lo ha commesso”, in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, acquista, in quest’ultimo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, relativamente ai medesimi fatti.

Ciò posto, la vicenda in esame traeva origine da una verifica fiscale espletata dalla Guardia di Finanza nel corso del 2014 nei confronti della contribuente, impresa italiana che intratteneva rapporti di commercio import/export con una società di diritto statunitense, una di diritto ungherese ed un’altra ancora di diritto interno.

Il controllo culminava nella contestazione della inesistenza oggettiva delle operazioni di acquisto e vendita di materiale realizzate dalla contribuente giacché, ad avviso dell’Ufficio, intercorse solo apparentemente con le imprese suddette.

Mentre, da un lato, il Giudice di appello, nel respingere il gravame, aveva rilevato come l’Agenzia non avesse fornito idonea prova dei rilievi avanzati negli atti di contestazione delle sanzioni, dall’altro, aveva valorizzato il fatto che il Tribunale penale (con sentenza divenuta definitiva) avesse assolto dall’accusa di evasione, con espressione “perché il fatto non sussiste”, il legale rappresentante della società contribuente.

L’Ufficio impugnava dunque la pronuncia per la sua cassazione.

Nella parte motiva, la Suprema Corte richiama, in primo luogo, la disciplina enunciata dal menzionato art. 21-bis, D. Lgs. n. 74/2000 precisando, altresì, che non potrà trovare applicazione qualora le formule “di merito” previste dal codice di procedura penale siano state adoperate dal giudice non già alla conclusione del dibattimento penale, bensì in un momento antecedente, al termine dell’udienza preliminare.

La regola, peraltro, sarebbe manifestazione di una precisa scelta legislativa, giustificata dal differente rigore valutativo richiesto al giudice penale o tributario in punto di assunzione della prova in sede decisionale.

Sulla base di questo assunto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dall’Erario.

Infatti, nel caso sub specie, la sentenza emessa dal GIP, benché accertativa dell’insussistenza del fatto costituente reato, non era stata adottata a seguito del dibattimento, da intendersi quale fase processuale funzionale alla ripetizione delle prove assunte durante le indagini preliminari.

In conclusione, fermo restando che la sentenza penale potrà essere assunta, dal giudice tributario, come fonte di prova e di convincimento, per altro verso l’ordinamento impone ugualmente un’attenta ed autonoma attività di ponderazione, per evitare l’acritico rinvio alle risultanze del giudizio penale.

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