Il contributo analizza il tema della raccolta e dell’aggiornamento delle informazioni sui clienti da parte dell’intermediario finanziario attraverso il questionario antiriciclaggio nell’ambito del processo di adeguata verifica.
La qualità delle informazioni da utilizzare in sede di adeguata verifica è un argomento che, negli anni, è stato poco dibattuto, perché la sensazione più diffusa fra gli operatori è sempre stata quella di ottenere il massimo risultato con la somministrazione del questionario antiriciclaggio al cliente.
Ma chiedere al cliente è veramente il miglior modo di approfondire concretamente la sua conoscenza? Posso effettivamente affermare che conosco il mio cliente perché ho somministrato un questionario antiriciclaggio? Fare dei ragionamenti su questo tema risulta importante, da un lato, alla luce del nuovo quadro normativo europeo che prevede l’aggiornamento delle informazioni sui clienti al massimo ogni cinque anni, dall’altro, in funzione delle nuove possibilità che ci vengono offerte dal mondo digitale.
Anche perché, contattare il cliente per chiedergli di fornire informazioni aggiornate non costa poco, ma risulta al contrario piuttosto dispendioso per gli intermediari.
In aggiunta, sappiamo bene, anche alla luce dell’esperienza di ciascuno di noi in veste di cliente di intermediario, che il cliente non è certo contento di fornire determinate informazioni ad un operatore che, per lo stesso, risulta estraneo (si pensi al reddito annuale, al reddito complessivo, ecc.).
Cosa otterrà il cliente in cambio del tempo che ha dedicato a questa attività? Semplicemente il fatto di poter continuare ad operare? Esattamente come già era abilitato a fare prima della somministrazione? Quale sarà l’opinione che il cliente avrà dell’intermediario dopo questa esperienza?
Proviamo a rispondere a tutte queste domande cercando di dare una vista il più possibile oggettiva, concentrandoci in particolar modo sulla fase di aggiornamento dell’adeguata verifica, piuttosto che sulla fase di prima entrata in relazione con l’intermediario. Per quest’ultima, infatti, sicuramente un questionario antiriciclaggio può, in assenza di dati storici ed informazioni transazionali sul cliente, risolvere egregiamente il compito di colmare il gap informativo iniziale, sempre che la compilazione dello stesso sia accompagnata da una sana chiacchierata con il cliente, che possa in qualche modo confermare le informazioni raccolte.
Ad ogni modo, tornando alla fase di aggiornamento, cerchiamo di analizzare effettivamente cosa succede quando una banca o un intermediario chiede al cliente di compilare un questionario. A tal riguardo, il ragionamento si avvalora ulteriormente se pensiamo ad un cliente a basso rischio, per il quale la banca si ritrova a verificare, solo a seguito della somministrazione del questionario, che di fatto, il profilo di rischio del cliente non è variato.
Per assolvere a questo esercizio suggerirei di metterci per un momento nei panni dell’operatore bancario. L’operatore, così come il cliente, non ha un concreto interesse nella somministrazione del questionario. L’operatore sa che non può continuare a lavorare con il cliente se questo non fornisce le informazioni necessarie. Ma sa anche, purtroppo, che i propri obiettivi commerciali non avranno un miglioramento a seguito della somministrazione del questionario. Sa quindi, purtroppo, che il tempo dedicato alla somministrazione del questionario antiriciclaggio è comunque tempo sottratto al processo commerciale. È consapevole, dunque, che questa azione rappresenta per lui un obbligo dal quale non può sottrarsi, ma che deve durare il meno possibile, perché il suo vero obiettivo è quello di raggiungere dei risultati diversi, risultati di sviluppo del business.
Il questionario e la qualità dello stesso, nei casi più virtuosi, sono valutati con specifici indicatori di compliance. Il raggiungimento di ottime performance evidenziate da questi indicatori, tuttavia, spesso non rappresenta per l’operatore una vera ambizione. L’operatore punta ad avere la sufficienza e non lavora certo per raggiungere l’eccellenza in questo processo, che può portare al massimo ad un nulla osta sul processo incentivante, piuttosto che ad un reale beneficio paragonabile a quello del raggiungimento di specifici target commerciali.
Si potrebbe affermare che si tratti di un adempimento che può comportare esclusivamente delle penalizzazioni nel caso in cui venga eseguito con scarsa qualità, ma non è in grado di apportare benefici tangibili quando viene svolto in maniera corretta.
Ma la sopracitata qualità delle informazioni è veramente così facile da riscontrare in sede di controllo? Azzarderei nel dire che, più spesso, le penalizzazioni sono incentrate su dati quantitativi piuttosto che qualitativi: “quante adeguate verifiche scadute sono state recuperate nell’ultimo mese?”, “Qual’è il backlog delle adeguate verifiche scadute?”. Queste sono le tipiche domande che i destinatari della norma si vedono porre in sede di ispezione esterna o di audit interno.
Diciamo quindi che è un compito che l’operatore deve portare a termine ma che deve farlo nel modo più breve possibile con un livello qualitativo appena sufficiente, tale per cui non possa essere obiettato un granché da eventuali controllori. Per fare un esempio sull’aspetto qualitativo possiamo dire, avendo avuto esperienza di controllo sull’argomento, che l’operatore presta molta più attenzione al fatto che tutti i previsti campi del questionario trovino effettivamente una esplicita risposta del cliente (vengano compilati!) piuttosto che alla qualità e all’accuratezza delle informazioni rese.
Su questo aspetto possiamo quindi concludere che l’operatore ed il cliente si trovano in una situazione di perfetta coincidenza di interessi nella compilazione del questionario antiriciclaggio : entrambi vogliono che il processo duri poco e che non ci sia un rischio eccessivo che un eventuale controllore possa obiettare la mancanza di dati essenziali, tali da richiedere una nuova compilazione.
Possiamo quindi concludere che entrambi – sia il cliente, sia l’operatore – hanno un maggior interesse nella riduzione del tempo dedicato all’attività piuttosto che nella qualità delle informazioni raccolte.
Un interessante ulteriore punto di osservazione del fenomeno è rappresentato dalla “consapevolezza” sull’effettivo significato di alcune (non tutte) informazioni che vengono raccolte con il questionario. Anche qui si può intravedere una coincidenza delle due posizioni: l’operatore, da un lato, e il cliente, dall’altro. Il primo, che ha sicuramente ricevuto formazione per un tema al quale però, come detto, non è particolarmente interessato; il secondo, che non è tenuto a conoscere gli argomenti del questionario antiriciclaggio, ma che può porre rimedio a questo potenziale deficit conoscitivo nei due modi seguenti: i) chiedere spiegazioni, che però verrebbero rivolte a colui che non è in grado di soddisfare tale aspettativa ii) leggere le spiegazioni che sono comprese nei moduli di adeguata verifica, anche se spesso sono scritte in carattere molto ridotto. Anche per questa seconda opzione, interviene tuttavia il problema di cui abbiamo parlato poc’anzi: il fattore “tempo”.
Entrambi i soggetti, cliente e operatore, non sono disposti a dedicare il giusto tempo a questa attività e, pertanto, non c’è tempo di leggere e di capire; ciò porta, molto spesso, a fornire una risposta improvvisata e poco accurata.
Provate ad immaginare le domande che possono sorgere nella mente del cliente di fronte alle diverse opzioni presentate dal questionario: “sono iscritto al partito, dunque sono un PEP?”; ”Non sono iscritto ma seguo la politica e seguo attivamente tutte le tribune politiche e non manco mai di esprimere il mio voto, dunque sono un PEP?”.
Il secondo take away è quindi, ahimè, la presenza di una consapevolezza carente sui dati e sulle informazioni fornite, che inevitabilmente ne inficia la qualità.
C’è infine un’ultima angolatura da esplorare, ed è in realtà il punto di vista che dovrebbe influenzare le scelte degli intermediari e dei regolatori: riuscirebbe un questionario ben fatto ad incastrare un riciclatore che si è adeguatamente preparato all’incontro in banca?
Proviamo infatti a metterci nei panni di un riciclatore che vuole perseguire i propri fini facendo entrare nel sistema finanziario dei capitali di provenienza illecita per renderli giustificabili. Ecco, un tale soggetto arriverà in banca (o presso un qualsiasi intermediario che applica la normativa antiriciclaggio) con un robusto bagaglio culturale sulla materia. Una conoscenza della materia approfondita, con forte motivazione e attenzione, dettata dalla forte spinta a realizzare il suo scopo principale: riciclare il denaro illecito immettendolo nel sistema finanziario.
Una motivazione forte che mal si combina ai nostri fini con lo scarso interesse alla materia dell’operatore che, come detto, è molto più interessato allo sviluppo commerciale. Un atteggiamento attento del riciclatore, che è in evidente contrasto con la bassa propensione dell’operatore a dedicare il giusto tempo al processo. Scarsità di tempo che potrebbe facilmente rivelarsi una trappola di fronte a chi, con cura e dovizia di particolari, ha studiato una storia da raccontare precisa, coerente e credibile, che anche un soggetto attento e concentrato farebbe fatica a smontare.
Abbiamo quindi un ulteriore terzo elemento conclusivo, che si aggiunge ai primi due sopra esposti, ed evidenzia come la somministrazione del questionario antiriciclaggio al cliente non dovrebbe essere considerata la modalità più sicura per aggiornare la conoscenza del cliente in sede di riprofilazione del rischio.
Fortunatamente, anche in questo caso, la tecnologia ci viene in aiuto. Le nuove tecnologie legate all’intelligenza artificiale e le soluzioni di robotica, meglio se combinate fra loro, ci offrono delle possibilità di analisi dei dati che in passato, quando sono stati adottati i questionari per l’aggiornamento delle adeguate verifiche, non esistevano.
Tramite l’utilizzo di queste tecnologie i destinatari della normativa antiriciclaggio potranno dedurre queste informazioni, andando a ricercare la coerenza delle stesse con quanto già osservato in sede di prima entrata in relazione. L’auspicio è che i regulator, ed in particolare l’AMLA che a breve dovrà pubblicare le prime bozze di standard tecnici sull’adeguata verifica, possano prendere in considerazione riflessioni di questo tipo, evitando di porre limiti alla capacità degli intermediari di acquisire informazioni utili ad approfondire la conoscenza del cliente in maniera del tutto autonoma, senza dover necessariamente ricorrere alla richiesta delle stesse al cliente.
Nella visione di chi scrive, tale eventualità (di richiesta) al cliente dovrebbe essere vista come una possibilità ulteriore ma non principale; da usare nei casi di necessità di approfondimento a fronte di risultati incoerenti o poco convincenti ottenuti dalla fase principale consistente nell’acquisizione autonoma da parte dell’intermediario. Tale circostanza sarebbe risultata evidente anche da un’accurata analisi dei dati e dei comportamenti del cliente.