Con ordinanza del 13 gennaio 2025 la Prima sezione civile della Corte di Cassazione ha ribadito che, in caso di revoca della dichiarazione di fallimento, l’Erario è tenuto al pagamento delle spese della procedura e del compenso del curatore, se non sussiste responsabilità del creditore istante o del debitore (art. 147 D.P.R. 115/2002).
Questa regola generale si applica anche ove vi sia dell’attivo distribuibile, che in realtà va restituito al fallito, una volta avvenuta la revoca del fallimento.
Diversamente, si finirebbe per imputare al soggetto fallito tornato in bonis le spese del fallimento oggetto di revoca, a prescindere dal fatto che vi abbia dato causa.
Viene, dunque, confermato il principio per cui il professionista che abbia svolto prestazioni professionali nei confronti della procedura deve individuare il soggetto obbligato al pagamento, illustrandone il contributo causale all’apertura della procedura; in mancanza, il compenso dovrà essere sopportato dall’Amministrazione dello Stato stante il carattere officioso della procedura (sul punto già Cass. 10099/2008; Cass. 27524/2023).
La pronuncia chiarisce, altresì, che i presupposti applicativi dell’art. 147 D.P.R. n. 115/2002 non vengono meno ove intervenga una seconda dichiarazione di fallimento, ove questa non costituisca una riapertura ai sensi dell’art. 121 l.fall.
Nel caso in esame, viene dunque rigettata la tesi del Ministero della Giustizia, secondo cui la nuova dichiarazione di fallimento – a prescindere dalla sua configurazione quale riapertura ai sensi dell’art. 121 l. fall. – impedirebbe l’applicazione dell’art. 147 D.P.R. 115/2002, in quanto non vi sarebbero ragioni per discostarsi dalla regola dell’art. 111 L. fall., secondo cui i crediti “sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali” devono essere soddisfatti mediante liquidazione dell’attivo fallimentare.